di Franco Scarpa
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CAPITOLO IV: AVVENIMENTI POST 11 SETTEMBRE
4.1 Strategia di sicurezza e piani segreti del Pentagono
Coloro che rinunciano a libertà essenziali in cambio di una modesta
sicurezza temporanea, non meritano né liberta né sicurezza.
Benjamin Franklin.
Diretta conseguenza degli attacchi terroristici è stata l’emanazione, della “nuova strategia di sicurezza nazionale” approvata nel settembre del 2002(49). In essa gli Stati Uniti affermano il loro diritto ad usare la propria “ineguagliata superiorità militare” senza alcun limite legale. Letteralmente, essa minaccia “l’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica contro qualunque Stato” che l’America consideri pericoloso, e ciò in maniera “preventiva”.
Il trattato di Westfalia, che pose fine alla guerra dei trent’anni, riconobbe la legittimità delle autorità degli Stati, grandi o piccoli. Di fatto fu stabilito il principio della sovranità e della sua legalità: gli Stati potevano legarsi tra loro con trattati, così come le persone fisiche fanno coi contratti. Fu un atto di grande civiltà in un mondo sconvolto dall’instabilità politica. La guerra dei trent’anni era un conflitto di tutti contro tutti, che si poteva evitare grazie al riconoscimento della reciproca sovranità nazionale.
Gli USA hanno radicalmente stravolto questo concetto, proclamando il “diritto” americano a colpire qualsiasi Stato sul pianeta dichiarano in pratica ogni altro Stato illegittimo. Con esso si sentono svincolati dal sistema di alleanze che gli stessi Stati Uniti hanno costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale: per il fatto che non possiedono la necessaria forza militare gli alleati diventano semplici satelliti oppure, se provano ad obiettare, dei potenziali nemici.
La Casa Bianca si svincola da tutti gli impegni internazionali e lo fa’ in modo brutalmente esplicito. L’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato è vietato dalla Carta dell’Onu, se unilaterale. Se poi è preventivo esso configura uno specifico crimine di guerra secondo gli stessi principi stabiliti dagli americani vincitori nel processo di Norimberga.
Non è necessario che un paese possieda o costruisca armi di distruzione di massa per rappresentare un pericolo, è sufficiente che abbia l’intenzione e la capacità di farlo. Quasi tutti hanno la capacità di farlo, e un’intenzione si può sempre attribuire.
I fatti avvenuti immediatamente dopo l’11 settembre confermano in pieno la nuova dottrina americana, e questi rappresentano soltanto la punta dell’iceberg relativa ad un progetto molto ampio.
Molte fonti confermano la progettazione di un vasto conflitto su scala mondiale. “Quella in Iraq è stata solo la prima campagna di una guerra molto più vasta” ha asserito John Pike(50), direttore di Globalsecurity.org, uno dei gruppi di ricerca politico-.militare dei conservatori americani.
Anche James Woolsey, ex direttore della CIA e intimo confidente di Wolfowitz appare del medesimo parere. Il 2 aprile 2003, parlando agli studenti dell’Università di Los Angeles, li informò che la vittoria sull’Iraq era solo la prima battaglia della “Quarta guerra mondiale”. La quale, precisò, “durerà molto di più della Prima e della Seconda ”. (51).
E indicò i tre prossimi nemici da battere: l’Iran degli ayatollah, la Siria fascista e l’estremismo islamico in generale.
Dello stesso avviso era il generale Wesley Clark, l’ex comandante supremo della NATO in Europa dal 1997 al 2000.
Il 20 settembre 2001, ha raccontato Clark (52), egli andò al Pentagono dove vide Rumsfeld e Wolfowitz. Poi andò a salutare dei vecchi amici, uno dei quali gli confidò: «Abbiamo preso la decisione di fare la guerra all’Iraq».
Ciò, solo dieci giorni dopo l’11 settembre. Invece, con sua sorpresa, pochi giorni dopo cominciò l’invasione in Afghanistan. Sicchè, tornato al Pentagono qualche settimana dopo, chiese conferma di quanto appreso, e gli mostrarono un foglio proveniente dall’ufficio del segretario alla Difesa. Racconta Clark: “E' un memorandum che descrive come andremo a prendere sette Paesi in cinque anni; cominciamo con l’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan,e per finire, l’Iran”. Sette Paesi da conquistare in cinque anni: questo piano megalomane, tipico dello stile Rumsfeld-Wolfowitz, non s’è potuto attuare, ma solo perchè le forze armate USA sono tutt’ora incagliate nei primi due Paesi “conquistati”, l’operazione si è mostrata mostruosamente costosa e tanto prolungata, da aver superato il termine della presidenza Bush.
4.2 Afghanistan e Iraq: tra trionfi e stallo.
Dio mi ha detto di colpire Al Qaeda ed io li ho colpiti, e poi mi ha ordinato
di colpire Saddam, cosa che ho fatto, e adesso sono determinato a risolvere il
problema nel Medio Oriente.
George W. Bush – giugno 2003.
Abbiamo già visto come i servizi segreti, inermi nello scoprire e nel fronteggiare il vasto attentato, hanno poi solertemente scoperto i presunti attentatori, presentando in pochi giorni una lista con 19 pericolosi terroristi.
In base a queste scoperte, il presidente Bush ha subito minacciato l’uso della forza contro l’Afghanistan, reo di proteggere e nascondere pericolosi terroristi artefici degli attentanti in America, in quanto secondo la sua teoria “coloro che ospitano i terroristi sono colpevoli quanto i terroristi stessi”.
Molti dimenticano però che attuando questo criterio anche gli stessi Stati Uniti dovrebbero essere bombardati. Sul loro territorio scorrazzano indisturbati infatti pericolosi personaggi come Orlando Bosh, accusato dall’FBI di decine di atti terroristici e al quale Bush I ha concesso la grazia dopo che il dipartimento di Giustizia ne aveva chiesto l’espulsione per motivi di sicurezza nazionale.
Altro esempio lungimirante è quello di Emmanuel Constant, fondatore del Front pour l’avancement e le progrès d’Haiti (FRAPH), organizzazione paramilitare direttamente responsabile dello sterminio di migliaia di haitiani. Le richieste di estradizione di Constant da parte di Haiti sono state sempre regolarmente ignorate; forse, come molti ritengono, perché potrebbe rivelare i contatti avuti durante la sua carriera col governo americano.
Ritornando ai “mostri” di Al-Qaeda, 5 giorni dopo l’11 settembre Washington chiese al Pakistan di sospendere i convoglio di autocarri che trasportavano cibo e rifornimenti destinati alla popolazione afgana, costringendo anche al ritiro gli operatori delle organizzazioni di assistenza.
Il 21 settembre il presidente Bush lanciò un ultimatum, al quale dapprima i rappresentanti talebani non risposero direttamente, ma per mediazione della loro ambasciata in Pakistan dichiararono di rifiutare l'ultimatum in quanto non vi era alcuna prova che legasse Bin Laden agli attentati dell'11 settembre (53).
Il 7 ottobre, poco prima dell'inizio dell'invasione, i Talebani si dichiararono pubblicamente disposti a processare Bin Laden in Afghanistan attraverso un tribunale islamico(54). Gli USA rifiutarono anche questa offerta giudicandola insufficiente.
Solo il 14 ottobre, una settimana dopo lo scoppio della guerra, i Talebani acconsentirono a consegnare Bin Laden a un paese terzo per un processo, ma solo se fossero state fornite prove del coinvolgimento di Bin Laden negli eventi dell’11 settembre(55).
Evidentemente queste prove non c’erano, oppure era maggiore l’interesse di creare un conflitto contro i talebani, forse perché questi iniziavano a scontrarsi contro gli interessi economici americani.
Robin Raphel, analista della CIA negli anni settanta, entrata poi nel servizio diplomatico, fra il 1996 e il 1998 aveva infatti stretto intimi contatti col regime dei Talebani per conto della UNOCAL, consorzio petrolifero americano che sperava di costruire in Afghanistan un oleodotto. Il fatto è confermato anche dalle dichiarazioni di Cristopher Taggart, alto dirigente della UNOCAL,il quale asseriva che il loro regime era visto “molto positivamente per i nostri interessi petroliferi”(56).
Vi era infatti l'esigenza di costruire un oleodotto che portasse il greggio dalla ricca zona del Mar Caspio fino all'Oceano Indiano(57).
Una delle due ragioni principali per l'invasione dell'Afghanistan era poi legata al fatto che i Talebani avevano sradicato le coltivazioni di papavero. Secondo le circostanziate accuse mosse da Michael Levine, ex agente della Drug Enforcement Administration (DEA) , la CIA è direttamente coinvolta nel traffico mondiale di stupefacenti, dal quale evidentemente ottiene grossi guadagni coi quali riesce a finanziare le sue “covered operations”(58).
Le operazioni militari in Afghanistan, iniziate il 7 ottobre 2001, alle ore 20:45 (curiosamente la somma delle cifre di data ed orario è sempre 11, potrebbe rappresentare un evidente riferimento massonico per chi ha qualche conoscenza in merito) hanno visto lo scontro tra i Talebani e le milizie dell’Alleanza del Nord, appoggiate dagli intensi bombardamenti delle forze armate statunitensi e britanniche.
Le scarse tattiche talebane aumentarono gli effetti degli attacchi. I combattenti non avevano precedenti esperienze con la potenza di fuoco americana e vennero decimati, combattenti stranieri presero il controllo della sicurezza delle citta afghane. Intanto, l'Alleanza del Nord, con la collaborazione di membri paramilitari della C.I.A. e delle Forze Speciali, inizio la sua parte dell'offensiva: conquistare Mazar-i Sharif, e da quella posizione tagliare le linee di rifornimento talebane provenienti dal nord, e infine avanzare verso Kabul, abbandonata dai talebani il 12 novembre. Il 7 dicembre era la volta della conquista di Qandahar: l'ultima città controllata dai Talebani, era caduta, e la maggior parte dei combattenti Talebani era sbandata. La città di confine di Spin Boldak si era arresa lo stesso giorno, segnando la fine del controllo talebano in Afghanistan.
Quella che poteva sembrare una guerra lampo, si è poi lentamente trasformata in una dominazione lunga e difficile. In campo aperto le forze militari tradizionali non hanno avuto grossi problemi a sconfiggere le milizie talebane, conquistando velocemente le principali città afgane ed instaurando un governo afghano ad interim sotto la guida di Hamid Garzai, combattente fedele agli americani.
La conquista del vasto territorio afgano, montuoso e ricco di caverne e bunker, ha invece creato molti grattacapi alla coalizione occidentale. Sfruttando le caratteristiche del terreno su cui si trovavano a difendersi, e grazie all’esperienza maturata nella lunga guerriglia combattuta contro l’armata rossa negli anni ’80, i Talebani gradualmente si riorganizzarono. Stabilirono un nuovo tipo di operazione: radunarsi in gruppi di circa 50 persone per lanciare attacchi ad avamposti isolati e a convogli di soldati afghani, polizia o milizia e poi dividersi in gruppi di 5-10 uomini per evitare la successiva reazione. Le forze statunitensi in questa strategia venivano attaccate indirettamente attraverso attacchi missilistici alle basi e ordigni esplosivi improvvisati.
Le forze armate alleate hanno ancora oggi il controllo formale della maggior parte del territorio, anche se in pratica vaste zone sono nelle mani dei talebani, che combattono con tecniche di guerriglia maoista che storicamente sono uscite quasi sempre vincitrici in conflitti in aree montane, specie contro nemici armati di aerei e armi tecnologiche. La lunga e lenta linea logistica che rifornisce le truppe USA è troppo spesso vittima di attentati dinamitardi, con ponti che saltano e camion che vengono distrutti. Inoltre il rifornimento logistico viene affidato a trasportatori locali, che sempre più spesso non se la sentono di affrontare i grossi rischi e molte volte vendono al mercato nero le cose trasportate.
Come già previsto da tempo anche l’Iraq, essendo incluso nella lista dei Paesi facenti parte dell’”asse del male” venne attaccato grazie a dei pretesti rivelatisi molto futili. L’obiettivo di una guerra preventiva quale poteva essere l’Iraq deve soddisfare alcune caratteristiche:
- deve essere praticamente indifeso;
- deve essere abbastanza importante da giustificare il disturbo;
- deve poter essere descritto come l’incarnazione del male supremo e una minaccia per la sopravvivenza.
L’Iraq soddisfava tutte queste caratteristiche: le prime due erano ovvie, la terza poteva essere creata facilmente.
Inizialmente la campagna denigratoria nei confronti del dittatore Saddam Hussein era basata sui contatti tra questi e Bin Laden e sul possesso di armi di distruzione di massa. “Non c’è dubbio, Saddam appoggia Al Qaeda” annunciò il premier Silvio Berlusconi il 2 febbraio 2003. E fu un dossier-patacca elaborato dal SISMI e raccontato da Panorama (che fa capo allo famiglia Berlusconi) su Saddam che faceva shopping di arma di distruzione di massa in Nigeria, poi consegnato da Carlo Rossella all’ambasciata Usa e da questa alla Casa Bianca, a consentire a Bush di sostenere che Saddam si accingeva ad attaccare l’Occidente e che bisognava fermarlo con un’apposita guerra preventiva.
La guerra iniziò il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione formata principalmente da Stati Uniti e Regno Unito.
Le truppe della coalizione prevalsero facilmente sull'esercito iracheno, tanto che il 1° maggio 2003 il presidente statunitense Bush proclamò concluse le operazioni militari su larga scala. Tuttavia, come già successo in Afghanistan, le truppe di tipo tradizionale hanno risentito ancora una volta dei numerosi problemi tattici e operativi nel combattere un nemico non tradizionale ma dedito principalmente a tattiche di guerriglia e di terrorismo. Nonostante numerosi Paesi si siano uniti alla coalizione il conflitto prosegue. Esso si è trasformato in una guerra civile, anche se questo termine non rappresenta forse adeguatamente la complessità del conflitto in Iraq, che comprende diffuse violenze fra sciiti, attacchi contro le forze della coalizione da parte della resistenza sunnita, e una diffusa violenza criminale (cioè senza motivi politici) .
Dopo un drammatico incremento della violenza fra l'inizio del 2006 e la meta del 2007, durante il quale le tattiche di guerriglia e terrorismo adottate dalla resistenza hanno spinto sempre più nel caos buona parte dell'Iraq(59), successivamente si è assistito ad un leggero miglioramento della situazione militare, per via dell'incremento delle truppe USA e della capacita del nuovo comandante americano (Gen. Petraeus) di spezzare l'unita della resistenza sunnita attraverso alleanze con le sue componenti "tribali". Tuttavia lo stesso comando americano ammette che queste misure non sono sostenibili nel lungo periodo.
Nel frattempo, anche se le varie fonti sono molto discordanti tra di loro, la guerra ha causato più di 4500 vittime e oltre 40mila feriti tra le file alleate, diverse centinaia di migliaia di irakeni uccisi, molti dei quali civili, senza contare le altre centinaia di migliaia di persone perite a causa delle conseguenze delle sanzioni economiche inflitte dalla comunità internazionale negli anni successivi alla Prima Guerra del Golfo. Fare un stima dei probabili decessi che avverranno nei prossimi anni a causa della presenza di migliaia di tonnellate di uranio impoverito sul territorio irakeno è molto difficile, ma l’elevata pericolosità di questa sostanza è sufficiente per creare una vera e propria catastrofe demografica.
I presupposti di questa guerra costata, stando ai dati disponibili a Marzo 2008, circa 500 miliardi di dollari, si sono rivelati una farsa colossale: l’11 settembre 2006 il Senato americano chiude l’inchiesta durata due anni della sua Commissione Servizi di sicurezza che fa a pezzi i capisaldi della guerra di Bush.
Sulle armi, il senato conclude che gli accertamenti non confermano le valutazioni del National Intelligence Estimate (Nie) del 2002 in merito ai seguenti punti: 1) la ricostruzione del programma nucleare ai fini militari; 2) l’acquisto di tubi di alluminio ad alta resistenza destinati al programma nucleare; 3) il “vigoroso tentativo” di procurarsi uranio grezzo in Africa (in particolare in Niger, come affermava il dossier-bufala finito nelle mani del direttore di Panorama); 4) il possesso di armi biologiche; 5) il possedimento e lo sviluppo di strutture mobili per la produzione di armi biologiche; 6)lo sviluppo di un velivolo senza pilota. Tutto smentito, tutto falso, salvo un particolare: il Nie aveva visto giusto quando accusava Saddam di possedere missili di gittata superiore a quella stabilità dall’Onu, cioè oltre 150 miglia. Forse un po’ poco per giustificare un simile conflitto armato.
Quanto ai rapporti fra il laico Saddam e il fondamentalista Bin Laden, sempre il Senato afferma che Bush e Cheney misero in campo una serie di “tentativi ingannevoli” per accreditare quella tesi e conclude che: 1) Saddam non si fidava di Al-Qaeda e considerava gli estremisti una minaccia nei confronti del suo regime; 2) Saddam diede istruzioni che l’Iraq non avesse a che fare con Al-Qaeda; 3) le tesi avanzate dalle agenzie di intelligence sulla probabilità che Saddam avesse fornito addestramento all’uso di armi chimiche e biologiche ad Al-Qaeda erano infondate; 4) l’unica presenza di amici di Bin Laden in Iraq era quella stranota del gruppo “Ansar al-Islam” che operava nel Nord-est del paese controllato dai curdi, in un area che sfuggiva al controllo di Bagdad dal 1991; 5) non esistevano informazioni attendibili sulla complicità o la conoscenza dell’Iraq degli attacchi dell’11 settembre o di qualsiasi attacco di Al-Qaeda.
Niente male come smentita a Bush, che nel 2003 giurava:”La guerra al terrorismo investe anche il dittatore Saddam: egli può usare Al-Qaeda come sua avanguardia”.
Nel frattempo il 12 gennaio 2005, fra le notizie di routine, il portavoce della Casa Bianca Scott McClennan annunciava con aria assente che “gli Stati Uniti non sono più attivamente impegnati nella ricerca delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.”
4.3 Iraq: destabilizzazione e conquista economica.
Il tentativo di istaurare un processo di democratizzazione al posto del regime imposto dal dittatore Saddam Hussein è stato un altro dei falsi pretesti utilizzati dagli Stati Uniti per poter conquistare l’Iraq.
I veri motivi dell’invasione sono da ricercare altrove. Il medio oriente e la penisola arabica rappresentano le maggiori riserve petrolifere mondiali. L’Arabia Saudita detiene il 25% delle riserve di petrolio greggio, al secondo posto si piazza l’Iraq con l’11%. E’ logico quindi che gli Stati Uniti, che oltre ad essere la maggior potenza mondiale in ambito militare sono di gran lunga i maggiori consumatori di petrolio, prestino grande attenzione al controllo di queste regioni strategiche. Fin dagli anni di Carter le principali forze d’intervento statunitensi sono puntate sul Golfo.
Il conflitto afgano ha lasciato agli Stati Uniti basi militari in Afghanistan ed in Asia centrale, contribuendo a conferire alle grande aziende statunitensi una posizione vantaggiosa nello scacchiere mediorientale. Uno dei maggiori obiettivi di Washington in Iraq era di ottenere il diritto di impiantare basi militari nel cuore delle regioni petrolifere. Ecco quindi che la destabilizzazione del Paese non deve lasciare sorpresi, lo stato di disordine interno potrebbe avvantaggiare gli americani, che a fronte di una perdita abbastanza limitata di vite umane e mezzi causate dalla guerriglia irakena hanno però la motivazione per una più duratura e massiccia presenza sul territorio.
Da non sottovalutare anche le pressioni esercitate dalla componente israeliana, che in america ha una forte voce in capitolo, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle maggiori industrie industriali, belliche in primis. L’interesse nazionale israeliano diventa così anche un interesse preponderante per gli USA.
Prima ancora che finisse la guerra contro Saddam, il vice ministro della Difesa Wolfowitz era in Qatar ansioso di insediare il “governo provvisorio, compito che in teoria sarebbe spettato a Colin Powell, capo del Dipartimento di Stato, che fece deboli tentativi di inserire nella compagine governativa dei diplomatici con esperienza nel Medio Oriente.
Nessuno dei rappresentanti scelti da Wolfowitz ha avuto esperienze in fatto di ricostruzione ma facevano parte di un’amministrazione militare, d’occupazione e sfruttamento del vinto.
Come governatore fu scelto Jay Garner, mediocre generale in pensione, in precedenza assunto presso la “SY Colemann”, azienda militare produttrice del sistema di guida dei missili Patriot. E’ membro del Jewish Institute for National Security Affaire (JINSA), la “fondazione culturale” che si dà come scopo sviluppare i rapporti di amicizia tra militari statunitensi e israeliani. Come governatore non ha mosso un dito per provvedere alle più urgenti necessità di Bagdad e a maggio, dopo poche settimane, è stato sostituito da Paul Bremer, diplomatico di professione e direttore della “Kissinger Associates”, società di consulenza per le grandi multinazionali. Di religione ebrea, Bremer ha un ossessione per l’Iran, da lui definito “il più rilevante sponsor del terrorismo”. Benché ambasciatore, egli non rispondeva del suo operato a Powell ma bensi a Rumsferld, un indizio della completa irregolarità del governo Bush dove la Difesa ha in pratica esautorato il Dipartimento di Stato.
Zalmay Khalizad, unico islamico, è stato nominato “special envoy” (una specie di ambasciatore viaggiante) per l’Iraq e l’Afghanistan. Dal 1979 al 1989 è stato consigliere speciale del sottosegretario di stato (Esteri) occupandosi della guerra Iraq-Iran e della guerra antisovietica in Afghanistan (conflitti istigati da Washington). E’ stato anche consulente in Asia centrale per la ditta petrolifera Chevron, la stessa ditta dove ha lavorato il segretario di Stato Condoleezza Rice.
Peter McPerson, coordinatore finanziario per l’Iraq, è l’uomo scelto da Cheney (ex presidente della petrolifera Hulliburton) per controllare l’introito petrolifero dell’Iraq; diverrà anche amministratore della rinnovata Banca Centrale Irachena.
Jared L. Bates, braccio destro di Garner, è un altro generale in pensione ed uno dei dirigenti della MPR1, la più grossa formazione di mercenari americani. Il pentagono fa piovere su di essa grassi contratti per operazioni speciali di vario tipo, dove le forze armate USA non possono o non devono apparire direttamente.
Robert Walters, già capo delle forze speciali in Vietnam, è stato scelto per governare il Sud-Iraq da Karbala a Bassora, l’area petrolifera che si estenda ai confini con Arabia Saudita e Kuwait.
Bruce Moore, generale in pensione arruolato dalla MPR1, s’è visto affidare la gestione del settore nord, con base a Mossul.
George F. Ward, il coordinatore per l’assistenza umanitaria in Iraq, è un ex ufficiale dei marines che ha lavorato successivamente a lungo in ambito diplomatico.
Philipp Caroll, è stato scelto per riattivare l’industria petrolifera irachena. E’ stato presidente della “Shell Oil America” e della “Fluor”, due compagnie con un passato molto discusso in Africa. Inoltre la Fluor ha avuto anche un contratto di 100 milioni di dollari in Afghanistan. Appena insediato ha subito cancellato tre contratti petroliferi che l’Iraq aveva firmato con la Russia, con la Cina (per lo sfruttamento del giacimento di Al-Ahdab) e con la Francia.
Quaranta giorni dopo la Prima Guerra del Golfo Saddam Hussein aveva rimesso in funzione il suo paese pesantemente devastato nelle infrastrutture mentre ancora oggi , dopo la facile vittoria militare, l’Iraq affonda nel caos, incapace di fornire sostentamento alla popolazione.
Rumsfeld promise che la truppa americana in Iraq sarebbe stata in gran parte e rapidamente smobilitata entro settembre, riducendola a settantamila uomini per poi ritirarla completamente entro Natale. Dopo circa sei anni e un cambio di Presidente il ritiro sembra ancora lontano, nonostante le promesse mai mantenute si susseguano.
L’America ha disperso le sue truppe d’elite in moltissimi paesi. Quanto alla sua fanteria non d’elite, necessaria come forza occupante, si è dimezzata dai tempi del Vietnam, per effetto dei modelli manageriali imposti da Rumsfeld, che applica le misure di downsizing (riduzione del personale) e di outsourcing (appalto all’esterno di servizi). Le truppe di occupazione sono troppo disperse sul territorio per riuscire a controllarlo davvero e alla lunga, una forza di occupazione “overextended” finisce per subire il conflitto, subendo una guerra che si avvicina all’intifada palestinese: è la guerra araba, ravvicinata ed irregolare, quella basata sul coraggio fisico e la tenacia sotto privazioni e difficoltà ambientali. Contro questa guerra l’hi-tech serve a poco.
Ci si può chiedere se davvero si abbia l’intenzione di ricostruire l’Iraq. Una nazione forte e democratica non sarebbe facilmente demonizzabile, e con esso bisognerebbe trattare anche sui prezzi dei prodotti petroliferi. Quanto alle compagnie petrolifere, esse sono abituate ad operare in paesi instabili, hanno i loro eserciti privati per proteggere gli impianti, hanno esperienza nel corrompere i signori della guerra e quindi l’instabilità le preoccupa meno che un interlocutore statale ben organizzato.
4.4 Estate 2005: bomba atomica su Bruxelles.
E’ difficile fare capire qualcosa ad una persona quando il
suo stipendio dipende dal fatto di non capirla.
Upton Sinclair.
Nel suo film documentario “Zero”, l’europarlamentare Giulietto Chiesa ha riferito come fosse stato invitato dalla Commissione Difesa UE ad assistere al “filmato che simula un attacco nucleare terroristico su Bruxelles”. Si trattava di un vero e proprio film costruito come un reportage dal vivo, elaborato con una tale qualità da sembrare realmente accaduto(60). C’erano le facce note di giornalisti della CNN che annunciavano l’attacco, la notizia ripresa da Al-Jazeera ed altri network, l’apparizione in tv dei veri capi politici contemporanei, mentre scorrevano immagini satellitari che mostravano lo spostarsi della nube radioattiva sull’Europa. Non mancava insomma nulla, nemmeno un video del “vero” Osama Bin Laden che rivendicava in lancio dell’atomica in arabo, con sottotitoli in inglese, nel solito video fatto recapitare da Al-Jazeera.
Chi è perché ha elaborato un film tanto elaborato e costoso ad uso esclusivo di una platea limitata come i deputati del Parlamento Europeo?
Lo spettacolo è stato offerto dal CSIS, il Center for Strategic and International Studies di Washington, un gruppo di lavoro ritenuto un’ emanazione della CIA.
La ragione non è stata quella di convincere gli europei della reale esistenza di Al-Qaeda, probabilmente gli americani sanno che i politici europei ormai sanno che Bin Laden in realtà non è altri che l’America stessa travestita.
Il messaggio di questo film è chiaro e univoco: “ecco cosa siamo in grado di fare, possiamo tirare una bomba atomica su Bruxelles ed addossare tutta la colpa su Al-Qaeda”.
Nessuno potrà dubitare di ciò che vede in televisione, non certamente gli europarlamentari, che nel frattempo sarebbero tragicamente scomparsi a causa della peggiore tragedia atomica della storia.
Il giornalista Maurizio Blondet commenta che il “regalo” del CSIS ha tutto il sapore di una testa di cane troncata, quale la mafia suole recapitare alle sue vittime designate. La minaccia è chiara, precisa, inequivocabile.
Grazie a questo episodio si può meglio comprendere come la versione ufficiale dell’11 settembre riesca a resistere sui media e negli ambienti politici, nonostante le molte evidenti contraddizioni e i tanti fatti che rimangono inspiegabili se ci si ostina a seguire le leggi della fisica.
4.5 Capire il mondo: picco di produzione del petrolio.
Quello che voglio presentare come l’ultimo paragrafo di questa tesi è forse il più interessante, sicuramente è l’unico che non si basa solo su analisi o supposizioni, ma si poggia su solide certezze, su dati storici e geofisici inconfutabili. Averlo citato tra i primi argomenti sarebbe equivalso a scrivere un giallo iniziandolo col nome del colpevole, ho scelto di pubblicarlo per ultimo per lasciare al lettore qualche dubbio sullo svolgersi degli eventi elencati, al termine della lettura credo che di dubbi possano restarne ben pochi.
Il petrolio, una sostanza fisica dalla disponibilità non infinita, formatasi in milioni di anni a seguito di grandi stravolgimenti geologici del pianeta, è la linfa che ha alimentato l’incredibile sviluppo avvenuto nell’ultimo secolo. Secondo precisi studi, il petrolio a breve inizierà a finire, ma per spiegare questo dobbiano analizzare la struttura di un giacimento di petrolio.
Nell’immaginario collettivo un giacimento di greggio è pensato come un grande lago sotterraneo, mentre invece è maggiormente assimilabile ad una grande torta suddivisa in tre strati: a ogni strato corrisponde una varietà e qualità di petrolio diversa, sempre più costose ed energicamente meno efficienti mano a mano che si arriva in profondità.
La prima varietà, detta “light sweet crude oil” è la più conveniente in virtù della sua elevata fluidità e completa assenza di zolfo. Si caratterizza inoltre da una spontaneità nel fuoriuscire dal giacimento una volta che si è trivellato il suolo. Rappresenta all’incirca il 30% di un giacimento.
Il secondo strato individua il cosiddetto petrolio pesante, una qualità di greggio dal contenuto di zolfo elevato, che richiede maggiori oneri di raffinazione. A questo punto dell’estrazione poi, per cercare di mantenere elevata la capacità estrattiva degli impianti, spesso deve essere iniettata acqua od aria al fine di far aumentare la pressione all’interno del pozzo e consentire al petrolio di uscire quasi naturalmente. Ecco a cosa servono le grandi gru che si vedono nelle immagini dei giacimenti petroliferi.
Il fondo del giacimento è rappresentato dal cosiddetto strato bituminoso, caratterizzato da un petrolio estremamente vischioso e spesso mischiato a sedimenti ricchi di sostanze organiche.
Secondo molte stime (61) negli ultimi cento anni abbiamo consumato circa la prima metà, cioè la migliore qualità di greggio, da adesso in poi dovremmo concentrarci sulla seconda metà, nonostante i consumi siano sempre stati crescenti, soprattutto dopo il risveglio di due “orsi dormienti” come Cina ed India.
Per arrivare ad estrarre il greggio dal sottosuolo occorre sostenere molti sforzi produttivi: bisogna sondare, trivellare, scavare, trasportare e raffinare; sono tutte attività umane che richiedono a loro volta petrolio.
Nel 1920 per ogni barile di petrolio investito per ricavare altro petrolio se ne ottenevano circa venti, nel 1950 dieci, nel 1980 cinque, nel 2000 due e nel 2020 forse uno.
Con il termine picco di produzione massima del petrolio si intende un’epoca temporale in cui il quantitativo di greggio complessivamente estratto in tutto il pianeta inizia progressivamente a diminuire. Il motivo di questa contrazione è dovuto a cause geofisiche , perché man mano che il greggio viene estratto si assiste ad una diminuzione della pressione interna e a un graduale esaurimento delle riserve di petrolio.
In termini industriali dalla scoperta di un giacimento si assiste a una esponenziale crescita dei volumi di estrazione fino a un momento in cui questo trend, prima si arresta dopo aver realizzato un massimo (un cosiddetto picco), e lentamente inverte la sua dinamica andando ad assottigliare nei periodi temporali seguenti i volumi di estrazione.
Questo fenomeno è stato descritto agli inizi degli anni ’50 dal prof. Marion King Hubbert. Importante geofisico, egli fu il direttore delle ricerche per la Shell in Texas (lo stato più ricco di petrolio negli USA) durante gli anni ’50 e anche un prestigioso docente presso le migliori università statunitensi: Columbia University, Stanford University, John Hopkins University e il MIT.
In base agli studi di Hubbert la produzione di greggio tende a seguire una curva a campana, che presenta il picco di produzione quando sarà stata estratta quasi la metà di ogni giacimento.
Hubbert immaginò che come ogni giacimento, anche ogni area petrolifera e di conseguenza ogni nazione dovessero seguire lo stesso tipo di curva a campana, quindi essere soggette ad un picco di produzione nazionale.
Nel 1956, in seguito ad analisi sul tasso di crescita degli USA dal 1850 al 1950 egli allertò le comunità finanziarie che gli Stati Uniti avrebbero raggiunto il loro picco di produzione prima di quanto si potesse immaginare ed in seguito si sarebbero dovuti rifornire di petrolio anche altrove. Nel dettaglio Hubbert individuava tra il 1971 e il 1973 il periodo in cui gli USA avrebbero diminuito progressivamente i loro volumi di estrazione.
Il prof. Hubbert venne deriso e bannato come un profeta di sventura, visto che durante gli anni ’50 gli USA erano il più grande produttore ed esportatore di petrolio al mondo.
Tuttavia, all’inizio degli anni ’70, per la precisione nel 1971, avvenne qualcosa di inaspettato: gli USA piccarono, ovvero raggiunsero i volumi massimi di capacità estrattiva e a partire da quell’anno videro diminuire sensibilmente e progressivamente la loro produzione di petrolio, anno dopo anno. L’analisi ed i moniti di Hubbert, 25 anni prima, si dimostrarono impeccabili: Hubbert aveva ragione. Dopo più di 30 anni possiamo notare come la produzione petrolifera USA sia passata dai 3 miliardi di barili annui del 1971 ai circa 1,5 miliardi annui attuali(62).
Nel 1989 Hubbert morì senza ricevere grandi riconoscimenti per le sue scoperte. I suoi studi vennero ripresi da Colin Campbell, che ha lavorato come esploratore e responsabile ricerche per le principali majors petrolifere. Conosce direttamente la maggior parte dei giacimenti mondiali ed è il fondatore dell’ASPO (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio). Anche Campbell attraverso i suoi studi conviene sulla criticità del picco di produzione del greggio, momento in cui le conseguenze non tarderanno a farsi sentire, con un rialzo dei prezzi ad un livello mai visto prima.
Secondo l’ASPO il picco mondiale dovrebbe verificarsi verso il 2010. Colin Campbell è considerato dalla stampa di settore come il portavoce delle correnti pessimiste. I pessimisti sono tutti geofisici che hanno lavorato per decenni all’interno di qualche grande compagnia petrolifera, e stimano le riserve mondiali di greggio a circa 700 miliardi di barili sufficienti, al ritmo di consumo attuale, a soddisfare le esigenze per circa 25/30 anni.
La categoria degli ottimisti è invece rappresentata dalla compagnie petrolifere, ma non c’è da stare molto allegri in quanto le loro stime ammontano a circa 1000 miliardi di barili, che si tramutano in 8/10 anni in termini di differenza temporale prima dell’esaurimento completo dei giacimenti rispetto alle previsioni pessimistiche.
Vi sono tecniche di “recupero assistito” che permettono di aumentare la resa estrattiva dei giacimenti, ma probabilmente questo contribuirà pesantemente al raggiungimento del picco globale, in quanto i giacimenti verranno svuotati ad una velocità maggiore.
Grazie al petrolio sono state sviluppate industrie come quella automobilistica e quella petrolchimica, hanno visto la luce materiali assolutamente rivoluzionari poco costosi e indistruttibili come il nylon, ma il contributo maggiore che il petrolio ha dato all’evoluzione umana lo troviamo nell’industria agroalimentare.
Nel 1900 la popolazione mondiale si attestava a 1,5 miliardi mentre dopo poco più di un secolo ora supera i 6 miliardi. Questo grazie all’enorme aumento della capacità produttiva dei terreni derivante dall’utilizzo su larga scala di fertilizzanti sintetici, pesticidi, grandi macchine per la lavorazione della terra e potenti pompe di irrigazione. La popolazione è cresciuta come diretta conseguenza del cambiamento di vita sia alimentare che salutare: abbiamo avuto la possibilità di nutrirci con una varietà, una ricchezza e un abbondanza alimentare che nessun’altra generazione prima di noi ha mai potuto avere, tutto ciò unito anche all’incessante sviluppo dell’industria farmaceutica
Senza greggio la nostra catena alimentare artificialmente sovralimentata non potrebbe continuare a sostenersi. Le fonti di energia alternativa (spesso più derivate dal petrolio che realmente alternative) non risolveranno mai totalmente e per tutti i problemi e le difficoltà a cui stiamo andando incontro.
La storia e i dati estrattivi dei maggiori paesi produttori ci danno una certezza matematica: prima o poi (probabilmente molto presto) la produzione petrolifera mondiale inizierà a calare. Così come è successo agli Stati Uniti, che dagli anni ’70 ad oggi hanno dimezzato la loro capacità estrattiva, succederà anche agli altri Stati. Il picco di produzione per l’Arabia Saudita, che si stima detenga il 25% delle riserve mondiali di petrolio, è previsto per il 2017.
La crisi economica attuale, dovuta principalmente alla globalizzazione e alla delocalizzazione della produzione industriale in aree sottosviluppate, pur apparendo molto grave e gravida di nefaste conseguenze per gli standard di ricchezza occidentali, è ben poca cosa al confronto della crisi energetica che a breve investirà ogni nazione e ciclo produttivo.
Conclusioni
Alla luce di quanto detto, credo si possa tranquillamente additare il problema del picco del petrolio come il vero movente degli attentati dell’11 settembre. Molti tendono a considerare quegli eventi come un fatto terroristico a sé stante, mentre andrebbero maggiormente considerati per quello che realmente sono stati: un’abile messinscena, una mossa politica e strategica di fondamentale importanza.
All’interno del governo statunitense, sostenuto da potenti lobby petrolifere, molti importanti personaggi avevano avuto ruoli di primo piano in grandi compagnie petrolifere: il Segretario di Stato Condoleezza Rice aveva lavorato per la multinazionale Chevron, il vice presidente Cheney era l’ex presidente della petrolifera Halliburton, lo stesso presidente Bush, discendente di una ricca famiglia petrolifera, aveva in passato fondato la compagnia petrolifera Arbusto (operazione economicamente disastrosa, date le sue ottime doti manageriali), grazie alle relazioni economiche sia con Salem Bin Laden - fratello di Osama - che con Khaled Bin Mafouz, cognato di Salem e di Osama, banchiere della famiglia reale saudita.
E’ impossibile credere che simili personaggi non sapessero dei problemi relativi all’esaurimento dei giacimenti petroliferi. Al contrario, la politica estera statunitense sembra improntata proprio al dominio delle residuali risorse mondiali, incentrando le sue attenzioni nella zona mediorientale che possiede le maggiori riserve petrolifere.
Per fare questo ha dovuto inscenare l’ennesima tragedia, creando a tavolino il pretesto per attuare indicibili piani di rilancio dell’economia americana. Un’economia che, nonostante tutti gli sforzi, non funziona e continua a non funzionare, poiché da quando ha cominciato ad operare non ha mai funzionato ed ha dovuto, ogni volta, nel tempo, inevitabilmente ed invariabilmente alimentarsi e sostentarsi, a colpi di estorsioni, massacri, espropriazioni territoriali indebite e guerre pretestuose e criminali, sia sul continente americano che nel resto del mondo. Il tutto, naturalmente, ogni volta, in nome del “bene”, dei “principi”, del “diritto” e della “morale”.
La versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre si basa su una serie quasi infinita di omissioni, manipolazioni, eventi fisici inspiegabili. Nessuna inchiesta è stata avviata per appurare l’identità dei misteriosi investitori borsistici che hanno guadagnato moltissimo sulle operazioni speculative ai danni delle compagnie aeree coinvolte negli incidenti, gli studi e le simulazioni sui crolli si sono basate su dati falsati, nessuna inchiesta è stata svolta nemmeno sui finanziamenti ricevuti dall’attentatore Mohammed Atta da parte dei servizi segreti pakistani.
La conquista del consenso popolare nei paesi occidentali è avvenuto grazie all’utilizzo di quelle che l’autore Roberto Quaglia definisce armi di banalizzazione di massa, veicolate dai mass media pecorinamente asserviti al potere.
Diversamente dalla armi di distrazione di massa, che sono armi tattiche finalizzate a distrarre l’attenzione collettiva in uno specifico momento, le armi di banalizzazione di massa sono armi strategiche che, una volta entrate efficacemente in azione, hanno un effetto duraturo e difficilmente reversibile.
Gli Stati Uniti hanno indetto una battaglia contro i paesi dell’Asse del Male, quando sono invece loro il primo stato canaglia sulla faccia della terra. Il disprezzo per la democrazia rappresenta la posizione tradizionale di chi detiene potere e privilegi, ma raramente è evidenziato con tanta forza. La storia delle aggressioni internazionali e delle “operazioni coperte” finanziate ed appoggiate dai servizi segreti ci insegna chi sono davvero i terroristi.
Esistono certamente organizzazioni terroristiche anche nei paesi meno sviluppati, ma queste forme di odio nei nostri confronti sono senza dubbio originate dalle violenze e dai soprusi che le popolazioni povere sono state costrette a subire per decenni in nome di uno sviluppo economico incessante a favore di una piccola percentuale della popolazione mondiale. E’ insomma una forma di difesa e di risposta, non certo di attacco nei confronti dell’Occidente.
E una volta in via di esaurimento le risorse rese disponibili dallo sfruttamento delle zone “povere” del pianeta, l’attenzione di chi davvero governa si dovrà gioco forza focalizzare sulle masse dei paesi ricchi, attuando una gestione e una normalizzazione delle poche risorse disponibili.
Viviamo in un sogno, una visione di euforia fisicamente non sostenibile sul lungo periodo. Accecate da una visione di benessere apparente, probabilmente le masse dei paesi più benestanti saranno costrette ad un brusco risveglio. Se questo sarà più o meno graduale, dettato da qualche grave catastrofe, da vaccinazioni di massa pretestuose(63), da conflitti o da ulteriori crisi economiche questo non ci è dato saperlo con sufficiente certezza. Una certezza purtroppo c’è: 6 miliardi di persone sono troppe e non ci sono risorse a sufficienza per tutti se i ritmi di consumo delle materie prime rimarranno quelli attuali.
Il cambiamento prospettato da molti, primo tra tutti il nuovo presidente statunitense Obama, ci sarà, ma forse non nei modi che ci sono stati raccontati.
Obama. Chi è costui? La visione dell’ottimo film documentario “L’inganno di Obama” di Alex Jones(64) aiuta a togliersi molti dei dubbi che circondano la sua figura. Già analizzando i dati dei finanziamenti della sua campagna elettorale si può vedere come egli sia stato il candidato maggiormente finanziato dalle potenti lobbies industriali(65). Ora questo documentario ci illustra come con questo nuovo presidente Usa le elites economiche che governano abbiano solo voluto cambiare la facciata del sistema, rimasto lo stesso nei principi cardine. Molte delle promesse fatte in campagna elettorale saranno infatti impossibili da mantenere, il presidente ha già fatto marcia indietro sul ritiro dall’Iraq, come i suoi predecessori Obama dice una cosa e ne fa un'altra. La sua elezione e il cambiamento sono stati solo un’abile mossa di marketing effettuata al fine di abbindolare milioni di elettori speranzosi in un futuro migliore, diverso dalla profonda crisi economica che sta attanagliando l’occidente e iniziata proprio negli USA, dove milioni di persone hanno già perso il lavoro e la propria abitazione.
Oltre al fatto che il primo lavoro da neo laurato ad Obama è stato fornito nientepocodimenoche da tale Henry Kissinger, che credo non necessiti di ulteriori presentazioni, molti esponenti del suo governo fanno parte di organizzazioni economiche mondialiste e massoniche quali gruppo Bilderberg, Commissione Trilaterale e CFR, i veri centri del potere economico mondiale.
Tanto per citarne alcuni:
- Timothy Geithner, ex presidente della FED di New York, ora ministro del Tesoro, ( gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale) ;
- Hillary Clinton, Segretario di Stato, (gruppo Bilderberg e CFR);
- Susan Rice, ambasciatore all’ONU, (Commissione Trilaterale);
- Generale James L. Jones, Consigliere della Sicurezza Nazionale (gruppo Bilderberg , Commissione Trilaterale e CFR);
- Thomas Donilon, vice di Jones, (Commissione Trilaterale e CFR);
- Ammiraglio Tennis C. Blair, Direttore dell’Intelligence Nazionale (gruppo Bilderberg , Commissione Trilaterale e CFR);
- Robert Gates, Ministro della Difesa (gruppo Bilderberg , Commissione Trilaterale e CFR).
Poteva mancare il “mitico” Henry Kissinger? Certo che no, lo ritroviamo come Inviato Speciale del Dipartimento di Stato, (gruppo Bilderberg , Commissione Trilaterale e CFR).
Insomma, Wall Street sembra essersi insediata alla Casa Bianca, portandosi al seguito righello e compasso.
Quando nel corso della sua storia l’uomo ha abbandonato l’utilizzo di una fonte energetica lo ha fatto per passare ad utilizzarne un’altra: così è stato per il carbone che ha sostituito la legna, e per il petrolio che ha sostituito l’utilizzo del carbone. Questi cambiamenti hanno dato luogo anche ad importanti stravolgimenti nell’ambito della gestione del potere ed è logico quindi pensare che le potenti famiglie petrolifere non vedano di buon occhio la fine dell’era petrolifera, sempre che altre risorse e tecnologie siano disponibili per rimpiazzare questa materia prima: al momento attuale non si ha notizia di disponibilità in tal senso.
Anche se alcune tecnologie sarebbero disponibili, queste verrebbero accuratamente celate ai più.
Nel 1995 lo scienziato americano Stan Mayer attirò su di se l’attenzione per i suoi studi relativi all’ambito automobilistico: egli asseriva di aver trovato un metodo economico e di facile implementazione per trasformare i motori a scoppio in motori a idrogeno, riuscendo a ricavare l’idrogeno dall’acqua tramite un procedimento di elettrolisi direttamente a bordo dell’auto(66). Dopo aver rifiutato il milione di dollari offertogli da un potente gruppo arabo, venne ucciso per avvelenamento da cibo in un ristorante nel 1998.
Tra le scoperte dello scienziato Nikola Tesla, da molti considerato il padre del XX secolo(67), si annoverano l’utilizzo della corrente alternata nella distribuzione di energia elettrica e la radio (in concomitanza con Guglielmo Marconi).
Egli ipotizzò anche la possibilità di trasmettere l’energia elettrica via etere senza fili, nonché l’approvigionamento di corrente in modo gratuito attraverso la ionosfera. Quest’ultimo progetto fu osteggiato dal suo finanziatore J.P. Morgan (uno dei fondatori della Federal Reserve), che lo licenziò in tronco, evidentemente preoccupato per la scoperta di una tecnologia che avrebbe eliminato molti dei privilegi della classe al potere.
Tra i progetti di Tesla vi furono forse anche lo sviluppo di nuove micidiali armi sempre tramite lo sfruttamento dell’energia ionosferica. Non si sa con precisione a che punto fossero questi studi, anche perché al momento della sua morte tutti i suoi progetti furono confiscati dall’F.B.I. E’ probabile che gli Stati Uniti abbiano sfruttato in seguito alcune sue invenzioni, non certo per fini filantropici(68).
Con tutte queste belle premesse, è probabile che la cantante Laura Pausini non abbia sbagliato di molto, descrivendo nella sua canzone “Un fatto ovvio” un futuro prossimo fondato su un duro stato di polizia. Guardare il suo video(69) potrebbe corrispondere ad un illuminante viaggio con la macchina del tempo. Un fatto ovvio, ma non per molta gente, ormai troppo avvezza a rincretinirsi guardando reality e mass media spazzatura, perdendo ogni spirito critico nei confronti della realtà.
Al G8 dell’Aquila tutti i leader politici puntavano all’ottimismo ma la sensazione è più quella di essere seduti su una polveriera: che le guerre si facciano per l’economia e non per esportare la democrazia lo sanno pure i bambini. Nel frattempo i media continuano la campagna denigratoria ai danni dell’Iran, attribuendo frasi mai dette dal suo Presidente al riguardo di Israele, e mostrando immagini di fantomatiche rivolte scomparse nel nulla in pochi giorni, cavalcando l’onda del presunto omicidio della giovane Neda, un caso che come altri presta il fianco a molti dubbi (70).
La vera arma a disposizione dell’Iran, di cui nessuno parla, è il progetto di creare una borsa petrolifera dove avverrebbe la quotazione del greggio in Euro. Tale istituzione rappresenterebbe il colpo di grazia per l’economia americana basata sul dollaro. Abbiamo già visto in passato la fine che è toccata a chi voleva solo farsi pagare (e non anche quotare) il petrolio in Euro: Saddam docet.
Le mie conclusioni sono troppo pessimistiche?
Il problema della produzione petrolifera è un dato di fatto, pur se i media fanno a gara per tacerlo, al più qualcuno parla di un probabile futuro rincaro, sottacendone però i reali motivi. Gli stessi americani, riferendosi all’attacco contro l’Iraq, parlavano di “guerra infinita”. Nella migliore delle ipotesi le operazioni militari iniziate l’11 settembre sono scaturite dall’ingordigia dell’attuale classe dirigente, che forse nasconde le future tecnologie in attesa di mostrarle al mondo nel momento ritenuto più vantaggioso. Se invece queste tecnologie non esistessero, allora un futuro davvero buio attenderebbe l’umanità.
Abbiamo ancora un’ultima certezza: non dovremo aspettare molto tempo per sapere quale verità ci attende, perché nel giro di pochi decenni l’evolversi degli eventi farà sì che o una o l’altra soluzione ci si prospetterà inesorabilmente davanti agli occhi, favorita probabilmente dagli sforzi dei governanti che ancora una volta cercheranno di agire per il bene comune.
NOTE(49) THE NATIONAL SECURITY STRATEGY OF UNITED STATES OF AMERICA”, 20 SETTEMBRE 2002.
(50) “IRAQ FIRST BATTLE OR A WIDER US WAR” DI RICHARD TAYLOR SU THE GUARDIAN, 20 MAGGIO 2003. WWW.GUARDIAN.CO.UK/USA/STORY/0.12271,959644,00.HTML
(51) WWW.CNN.COM/2003/US/04/03/SPRJ.IRQ.WOOLSEY.WORLD.WAR.PER WOOLSEY COME TERZA GUERRA MONDIALE VA CONSIDERATA LA GUERRA FREDDA.
(52) “WESLEY CLARK FECE LA RIVELAZIONE IL 2 MARZO 2007 NELLA TRASMISSIONE DI AMY GOODMAN; SI PUÒ LEGGERE ED ASCOLTARE AL SITO HTTP://WWW.DEMOCRACYNOW.ORG/2007/3/2/GEN_WESLEY_CLARK_WEIGHS_PRESIDENTIAL_BID
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(60) WWW.EFFEDIEFFE.COM/INTERVENTIZETA.PHP?ID=1438
(61) WWW.PEAKOIL.NET
WWW.PEAKOIL.ORG
WWW.DIEOFF.ORG
(62) WWW.ASPOITALIA.IT/COMPONENT/CONTENT/ARTICLE/69
(63) E’ NOTIZIA DI QUESTI GIORNI IL PROGETTO DI UNA VACCINAZIONE DI MASSA CONTRO L’INFLUENZA AVIARIA SUINA, UNA MALATTIA CHE SECONDO LE STESSE FONTI UFFICIALI HA UNA PERCENTUALE DI DECESSI CHE SI AGGIRA TRA LA METÀ ED UN QUINTO RISPETTO ALLA NORMALE INFLUENZA STAGIONALE. UNA PERCENTUALE RISIBILE, CHE NON TROVA UN RISCONTRO LOGICO NELL’ALLARMISMO CREATO DA ISTITUZIONI E MEDIA.
ALCUNE CURIOSITÀ AL RIGUARDO: LO SCRITTORE ROBERTO QUAGLIA, ANALIZZANDO VARIE FONTI E PROBABILI AZIONI DI GUERRE BIOECONOMICHE IPOTIZZAVA, GIÀ NEL 2003, UNA FUTURA PANDEMIA CAUSATA PROPRIO DA UNA DEGENERAZIONE DEL VIRUS DELL’INFLUENZA AVIARIA RELATIVO AGLI ALLEVAMENTI SUINI. E’ UN VEGGENTE O UNA PERSONA BEN INFORMATA?
INTERESSANTE L’ARTICOLO SULLA PRESENZA DI VERTICI MILITARI INTERNAZIONALI NEL LABORATORIO MEDICO USA “TRUDEAU INSTITUTE” VICINO LAKE CLEAR, STATO DI NEW YORK, IL 17 OTTOBRE 2008 AL LINK:
WWW.EFFEDIEFFE.COM/COMPONENT/OPTION,COM_MYBLOG/ITEMID,272/
(64) HTTP://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=XLCNYYBSA28
(65) WWW.DISINFORMAZIONE.IT/OBAMA_SOLDI.HTM
(66) HTTP://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=FJ3JUM6VHWG&FEATURE=CHANNEL_PAGE
WWW.POSTARELIBERO.COM/2008/01/MACCHINA-AD-ACQUA-INVENTATA-DASTAN.HTML
(67)ROBERT LOMAS, L’UOMO CHE HA INVENTATO IL XX SECOLO, NEWTON & COMPTON EDITORI
(68) WWW.TANKERENEMY.COM/SEARCH/LABEL/H.A.A.R.P
(69) HTTP://WWW.YOUTUBE.COM/WATCH?V=ZQOM1QOQJXG
(70) WWW.EFFEDIEFFE.COM/CONTENT/VIEW/7788/167
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