Si narra che Osama Bin Laden sia stato abbattuto da un commando americano nei dintorni di Islamabad. Il fatto, in sé e per sé, è di rilevanza più che minimale, in quanto di questo oscuro e "malefico" individuo non si sentiva parlare più da diversi anni. Bush stesso, il presidente che aveva fatto della pittoresca crociata contro il terrorismo il proprio cavallo di battaglia mediante il quale si è garantito la rielezione, aveva da tempo raffreddato i sacri ardori islamofobi dichiarando che la cattura di Bin Laden non rientrava nella "scala delle priorità" della Casa Bianca.
Con la messa in scena dell'11 settembre 2001 e con la valanga di menzogne costruite ad arte per obnubilare il più elementare buon senso gli Stati Uniti hanno trovato lo schopenaueriano velo di Maya per legittimare le proprie imprese imperiali atte a puntellare la propria egemonia nell'area cruciale del Medio Oriente. Osama Bin Laden non era - o non è, ammesso e non concesso assolutamente che sia stato realmente ucciso - che l'ultimo tassello da giustapporre all'interno del variegato e complesso mosaico accuratamente illustrato nel documento pubblicato nell'agosto del 1991, mediante il quale Washington rese il resto del mondo edotto della "Strategia della sicurezza nazionale" che gli Stati Uniti avrebbero adottato da quel momento in poi.
Tale documento enuncia chiaramente le linee guida della politica estera che gli Stati Uniti avrebbero seguito una volta crollata l'Unione Sovietica e venuto meno, di conseguenza, il rigido bipolarismo che aveva imbalsamato la politica internazionale per diversi decenni precedenti. "Il nostro obiettivo primario - spiegano gli USA - è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell'ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell'ordine di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica. La nuova strategia richiede che noi operiamo per impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale". La strategia in questione sarebbe stata messa in pratica non solo nei riguardi di "qualsiasi potenza ostile", ma anche verso i "paesi industrializzati avanzati, per dissuaderli dallo sfidare la nostra leadership o cercare di capovolgere l'ordine politico ed economico costituito. Infine, dobbiamo mantenere i meccanismi per scoraggiare i potenziali competitori anche dall'aspirare a un maggiore ruolo regionale o globale".
Ecco spiegati, in poche sintetiche parole, tutti gli eventi che hanno avuto luogo in giro per il mondo dalla caduta dell'Unione Sovietica in poi. Il cambiamento di rotta dell'Alleanza Atlantica, che aveva perso la propria ragion d'essere, la Guerra del Golfo contro l'Iraq di Saddam Hussein, l'aggressione criminale alla Serbia del 1999, l''invasione dell'Afghanistan e la Seconda Guerra del Golfo, ancora contro Saddam Hussein. Nell'orchestrare e nel condurre le prime imprese imperiali gli USA si affidarono alla fedele obbedienza di alcuni protettorati gravitanti attorno alla propria orbita, mentre cruciale fu il ruolo di Osama Bin Laden nella determinazione delle seconde. L'obiettivo della Guerra del Golfo era di assestare un colpo durissimo all'Iraq e di ridimensionare gli aneliti panarabi del medesimo Saddam Hussein sostenuto, finanziato, armato ed equipaggiato fino a un paio d'anni prima affinché si opponesse efficacemente al risorgere vigoroso dell'Iran guidato dall'Ayatollah Ruollah Khomeini, che aveva disposto la nazionalizzazione delle imprese petrolifere (cosa che a Mohammad Mossadeq era costata il rovesciamento orchestrato da americani e britannici) in perfetta opposizione al suo predecessore, lo Shah di Persia Reza Pahlevi.
La sanguinosa guerra tra Iraq ed Iran si risolse con un sostanziale nulla di fatto, ma Saddam Hussein si ritrovò, a differenza di Khomeini, a gestire una valanga di debiti esteri contratti con i paesi del Golfo per far fronte alle esorbitanti spese legate al mantenimento delle moderne e sofisticate forze armate equipaggiate con "generosità" da numerosi paesi del blocco occidentale. Washington suggerì al Kuwait di esigere che Saddam Hussein saldasse istantaneamente il proprio debito e, parallelamente, di intensificare lo sfruttamento del giacimento di Rumalia per portare la propria produzione petrolifera ben al di sopra dei parametri stabiliti dall'OPEC. Il Kuwait seguì i "consigli" e la sovrabbondanza di offerta energetica dovuta all'attivazione del giacimento di Rumalia provocò una forte diminuzione del prezzo del greggio, cosa che aggravò le già penose condizioni economiche in cui versava l'Iraq in quel frangente. Saddam Hussein pensò che annettendo il Kuwait entro i confini iracheni si sarebbe posto nella condizione da un lato di riallineare la produzione petrolifera entro i limiti fissati dall'OPEC e dall'altro di garantirsi l'ambito sbocco sul Golfo Persico. April Glasbie, ambasciatrice statunitense in Iraq, lasciò credere che gli USA non avrebbero interferito nel contenzioso e così Saddam Hussein si sentì coperto a sufficienza per ordinare alle proprie forze armate di invadere il Kuwait. Di colpo, il presidente George Bush (senior) contravvenne agli impegni presi, bollò Saddam Hussein come "nuovo Hitler" e, formata una coalizione internazionale di inaudita imponenza, diede il via all'operazione "Desert Storm". L'Iraq venne bombardato e poi invaso, fu applicato un embargo spaventoso che provocò più morti della stessa guerra, ma Saddam Hussein non fu detronizzato. Con questo conflitto gli USA puntellarono la propria presenza nell'area cruciale del Golfo, ove sono stanziati circa due terzi dei giacimenti petroliferi del globo, estesero la propria capacità d'influenza all'intero Medio Oriente e lanciarono un serissimo monito al resto del mondo.
Otto anni dopo fu la volta del Kosovo, con gli Stati Uniti che fecero pervenire all'esercito di tagliagole e spacciatori di droga meglio noto come UCK una quantità ingente di armi utili per contrastare la repressione delle forze governative agli ordini del presidente Slobodan Milosevic. Ne nacque una guerra civile a bassa intensità che provocò morti da entrambe le parti, che fu però ingigantita e strumentalizzata ad arte (si parlò di "pulizia etnica") per criminalizzare i serbi e legittimare l'imminente aggressione "umanitaria", in cui l'Italia governata da Massimo D'Alema svolse il miserrimo ruolo del "palo". Belgrado fu bombardata a tappeto, i ponti sul Danubio abbattuti, le chiatte destinate alle piattaforme petrolifere del Mar Nero affondate, l'ambasciata cinese distrutta e Milosevic sottoposto a processo dal norimberghiano tribunale dell'Aja, mero feudo di Washington. La classica "giustizia dei vincitori". Con questa inaudita dimostrazione di forza gli Stati Uniti resero i propri dubbiosi "alleati" europei edotti del fatto che il collasso dell'Unione Sovietica non aveva minimamente intaccato il profondo significato dell'Alleanza Atlantica, vero e proprio atto costitutivo della subordinazione del Vecchio Continente nei confronti degli USA, e rafforzato la propria presenza nel cuore dell'Europa mediante l'installazione della gigantesca base di Camp Bondsteel nel "liberato" territorio kosovaro. L'11 settembre 2001 non fece altro che imprimere una brusca accelerazione al processo di occidentalizzazione del mondo già in atto. L'evento mediatico cardine del nuovo millennio e la sua esaltazione incondizionata che ha innescato un'assurda e inconcepibile reazione a catena di individui smaniosi di "proclamarsi americani" ha posto il presidente Bush (junior) nelle condizioni di attuare il progetto egemonico ,concepito dal think - tank neoconservatore (tra i cui adepti compaiono i fratelli Kristol, Wolfowitz, Cheney, Fukuyama ecc.), meglio noto come "Project for a New American Century" (PNAC). Si individuò il colpevole perfetto nello sceicco Osama Bin Laden, uomo legato a doppio filo alla CIA di cui Zbigniew Brzezinski si era servito in passato per rendere all'Unione Sovietica la pariglia dopo la cocente disfatta del Vietnam, impantanando l'Armata Rossa nelle sabbie mobili afghane. Si mediatizzò l'evento e lo si caricò dei significati più oscuri e reconditi, conferendo credibilità al pericoloso vaticinio profetizzato a suo tempo da Samuel Huntington, secondo il quale gli USA avrebbero dovuto prima o poi fare i conti con due civiltà intrinsecamente e irriducibilmente impermeabili al modello americano; quella confuciana e quella islamica. Ben presto emersero indizi e prove che resero del tutto assurda e priva di credibilità la versione dei fatti ricostruita dalla commissione d'inchiesta governativa incaricata di far luce sull'evento, ma la corruzione endemica del clero intellettuale occidentale fece si che la massa gigantesca di menzogne propinate dagli USA fosse presa ugualmente per oro colato. Con i ben noti esiti. L'Afghanistan tenuto in pugno dagli ex alleati Talebani fu spianato e poi invaso e Hamid Karzai (uomo della Unocal) fu posto al governo a tutela degli interessi di Washington. I moventi dell'aggressione sono facilmente deducibili dall'analisi del "Quadriennal Defense Review Report" (Rapporto Quadriennale sulla Revisione della Difesa) redatto dal Dipartimento della Difesa una ventina di giorni dopo i tragici e oscuri fatti dall'11 settembre 2001.
Tale documento recita che "Anche se gli Stati Uniti non avranno di fronte nel prossimo futuro un rivale di pari forza, esiste la possibilità che le potenze regionali sviluppino capacità sufficienti a minacciare la stabilità di regioni cruciali per gli interessi statunitensi [...]. L'Asia, in particolare, sta gradualmente emergendo come una regione suscettibile di competizione militare su larga scala. Esiste la possibilità che emerga nella regione un rivale militare con una formidabile base di risorse". Cina e Russia corrispondono alla perfezione all'identikit reso all'interno del rapporto in questione.
Con l'aggressione all'Afghanistan, che fa il paio con l'espansione verso est della NATO iniziata a suo tempo da Reagan (cosa su cui gli adoratori di Gorbaciov farebbero bene a riflettere), gli Stati Uniti hanno stretto l'accerchiamento attorno all'heartland (cuore della terra) individuato a suo tempo da Halford Mackinder , accogliendo un ulteriore paese assieme a quelli nati dalla disgregazione dell'Unione Sovietica sotto il proprio ombrello protettivo. Il controllo dell'Asia centrale si era rivelato un fattore cruciale, in quanto tale area si situa al crocevia tra Cina, Russia ed India, lambisce i giacimenti petroliferi e gasiferi del Mar Caspio fino ad affacciarsi sulle ricche terre litorali del Golfo Persico. Il territorio in questione è percorso da un impressionante reticolato di oleodotti e gasdotti che garantiscono approvvigionamento energetico sia all'Europa che alla Cina.Ed infatti è proprio in questo contesto che va iscritta la Seconda Guerra del Golfo, atta a porre fine al governo (e alla vita) di Saddam Hussein e a utilizzare le ingenti risorse petrolifere irachene per assestare un duro colpo al rinascente pericolo rappresentato dalla Russia governata da Vladimir Putin e frenare l'ascesa prorompente del gigante cinese.
Osama Bin Laden venne forzatamente accostato a Saddam Hussein, laddove il rais era sempre stato un chiaro bastione garante del laicismo, in piena sintonia con le linee guida del partito Baath. Occorreva trovare una connessione tra i due personaggi per motivare l'attacco, e così fu fatto. Si propinò l'assurda bufala di Saddam Hussein vicino al gruppo Bin Laden e protettore della fantomatica organizzazione Al Qaeda, si costruirono ad arte prove rigorosamente e palesemente false riguardanti un presunto arsenale chimico che il rais avrebbe indubbiamente utilizzato contro l'Occidente e l'aggressione ebbe inizio nonostante la sonante bocciatura ottenuta in sede ONU. Nel marzo del 2003 la "coalizione di volenterosi" formata da Stati Uniti e paesi alleati coadiuvata da un nutrito gruppo di mercenari diede il via alle ostilità e nell'arco di poche settimane sbaragliò le armate governative irachene, sancendo ufficialmente il trionfo statunitense. La gestione dopoguerra si rivelò tuttavia molto più ardua e complessa di quanto non fossero stati i combattimenti stessi, in quanto gli occupanti si ritrovarono a far fronte a un'accanita resistenza irachena che provocò migliaia e migliaia di morti sia tra gli aggressori che tra la popolazione civile. Il classico "divide et impera" fu ancora una volta l'asso nella manica che consentì agli USA di spezzare, seppur parzialmente, la pericolosa inerzia innescatasi. Favorendo talune fazioni tribali sciite e curde essi riuscirono nell'impresa di isolare la maggioranza sunnita, innescando una guerra civile estremamente cruenta che sollevò le demotivate forze occupanti da alcuni gravosi compiti. Quando gli USA si ritireranno è altamente probabile che la mai sopita guerra civile porterà a una balcanizzazione dell'Iraq in zone tenute in pugno dalle nomenklature selezionate tra le rispettive maggioranze etniche e religiose.
Gli USA si attrezzeranno per controllare le aree più ricche di giacimenti energetici e abbandoneranno le altre al loro destino. Da un punto di vista strategico l'aggressione all'Iraq era tesa a limitare lo strapotere dell'OPEC nell'ambito dell'offerta energetica internazionale, favorendo un deprezzamento del greggio che avrebbe compromesso il consolidamento della Russia quale secondo produttore assoluto mondiale. Visto e considerato che gli USA si rifornivano - e si riforniscono ancora - per lo più da paesi americani come il Messico, il Canada e il Venezuela, il controllo del petrolio iracheno li avrebbe messi nelle condizioni di chiudere i rubinetti energetici verso la Cina, importatore netto il cui fabbisogno energetico è in costante crescita da un intero decennio. Per niente secondario fu inoltre il fatto che dal 2000 Saddam Hussein aveva iniziato a richiedere il pagamento delle forniture petrolifere in euro anziché in dollari, scelta potenzialmente catastrofica per il predominio statunitense che, se emulata da qualche altro paese produttore, avrebbe portato l'intero sistema economico americano al tracollo. Riagganciando il petrolio iracheno al dollaro gli USA lanciarono un serio monito a tutti gli altri paesi produttori e fecero momentaneamente tramontare i sogni europei legati alla candidatura dell'euro a moneta internazionale di riserva.
L'ambiziosissimo progetto incardinato sui punti nodali necessari alla creazione di un "Grande Medio Oriente" aveva così inizio. Gli obiettivi principali dei neconservatori che idearono il tutto era quello di affermare l'egemonia indiscussa di Israele all'interno della grande scacchiera mediorientale, segregare i palestinesi in un vero e proprio stato - riserva, sradicare definitivamente i partiti indisciplinati (Hamas, Hezbollah e il Baath siriano) e sostituirli con propri elementi di fiducia (Karzai, Musharraf ecc.). Si trattava, in sostanza, di riallineare, sottraendola all'influenza di Russia e Cina, l'intera area che si estende dal Marocco al Pakistan sulla direttrice Atlantica, rafforzando il dominio israeliano nella regione. Barack Obama appare così il prosecutore dei piani messi a punto dai neoconservatori e quindi il naturale successore di George Bush. Entrambi hanno alle spalle gruppi ben consolidati di domanti (Bush le lobby petrolifere e militari, Obama l'alta finanza legata alle grandi banche d'affari), l'uno ha costruito la propria fortuna politica sull'11 settembre 2001, l'altro sta tentando di costruirla sul'eliminazione del presunto responsabile, il "nemico pubblico numero uno". La notizia della strage dei familiari del colonnello Muhammar Gheddafi è stata infatti immediatamente eclissata da quella relativa all'uccisione di Osama Bin Laden, di fronte alla quale tutto pare perdere importanza. La Libia è dilaniata da una guerra civile fomentata esternamente dai soliti noti, Egitto e Tunisia sono andate, l'Iran è stato vittima di ben due tentativi di rivoluzione colorata, la Siria è in subbuglio, Gaza torna ancora una volta ad essere pericolosamente nel mirino di Israele, il Pakistan doppiogiochista incallito si prostra con oscena riverenza al cospetto di Barack Obama. Un presidente a corto (a cortissimo) di credibilità alla disperata ricerca della via impervia che conduce alla rielezione.
*Autodafé o auto da fe o sermo generalis, era una cerimonia pubblica, facente parte in particolare della tradizione dell'Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita, coram populo, la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione. Il nome deriva dallo spagnolo Auto de Fe, cioè atto di fede, e fu il cerimoniale giuridico più impressionante messo a punto e usato dall'Inquisizione.
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