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venerdì 6 maggio 2011

I FATTI DELL’ 11 SETTEMBRE 2001: POSSIBILI CAUSE ED AVVENIMENTI SUCCESSIVI - 1ª PARTE

Tempo fa ho letto questa tesi sull' 11 Settembre e mi ha molto impressionato per la semplicità con cui sono esposti i fatti. Fatti sotto gli occhi di tutti ma manipolati ad hoc per farci credere ciò che vogliono farci credere.
Per una questione pratica pubblicherò il documento suddiviso in varie parti, ma suggerisco vivamente la lettura integrale dello scritto disponibile al seguente link :


I FATTI DELL’ 11 SETTEMBRE 2001:
POSSIBILI CAUSE ED AVVENIMENTI SUCCESSIVI
1ª PARTE
di Franco Scarpa

PREMESSA


Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità.
Nessuno ci crede e tutti la prendono per pazzo!

Luigi Pirandello


11 settembre 2001. A day of terror, intitolava “The New York Times” il giorno dopo l’attacco al cuore degli Stati Uniti. Un avvenimento dei piu’ drammatici di tutta la storia contemporanea colpiva i luoghi simbolo del potere finanziario e militare occidentale. Le indagini portarono rapidamente a galla un complotto ordito dall’organizzazione terroristica araba “Al Qaeda” capeggiata dallo sceicco arabo Osama Bin Laden.

La risposta americana non si è fatta attendere: “ Da questa sera siamo una nazione risvegliata al pericolo, e chiamata a difendere la libertà” annunciava il presidente Bush di fronte al Congresso al termine di quella travagliata giornata. Così è stato: da quel giorno gli Stati Uniti sono intervenuti, talvolta anche contro il parere del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per risolvere con le armi le controversie contro gli Stati accusati di nascondere terroristi o di agire con metodi antidemocratici.

Oggi è passato un tempo sufficiente per analizzare quei fatti senza l’enfasi e lo smarrimento che essi hanno provocato. Nel frattempo la versione ufficiale del Governo Statunitense ha prestato il fianco a dubbi e sospetti; una gran quantità d’informazioni è saltata fuori alla portata di tutti. Queste informazioni non si trovano a titoli cubitali sui grandi giornali, ma nelle pieghe della realtà oggi i dati ci sono, basta saperli trovare. E su Internet pieghe della realtà ce ne sono a sufficienza, ed è lì — e non sui mass media — che le informazioni vanno cercate.

Per meglio comprendere ciò che è accaduto, prima di addentrarci nei dati della vicenda credo sia utile impegnare qualche riga per cercare di capire il funzionamento e la struttura della mente umana. Come sostiene anche Gore Vidal nel suo saggio The enemy within,( www.analitica.com/bitblioteca/gore_vidal/enemy.asp ) più una bugia è grossa, più facilmente essa verrà creduta, se l'opzione di non crederci è sufficientemente dolorosa. La nostra psiche è strutturata in modo di credere ciò che ad essa convenga credere. Le verità dolorose vengono di norma negate dalla mente. Rispetto ad accogliere una verità troppo dolorosa, non è infrequente che una mente preferisca addirittura rifugiarsi nella follia.

Il popolo americano è rimasto profondamente traumatizzato dagli eventi dell'11 settembre 2001. Il solo fatto di prendere in considerazione una verità diversa, che veda magari il coinvolgimento di apparati interni allo Stato è impensabilmente doloroso per l'americano medio. Non importa quanto la verità circoli, sino a quando essa non verrà mostrata in televisione la maggioranza degli americani non la prenderà neanche in considerazione. La nostra mente si protegge di fronte a interpretazioni della realtà che essa non è pronta ad affrontare, conservando una visione familiare e rassicurante della cose. La mente giunge alle conclusioni alle quali ha convenienza a giungere.
(...)
Capitolo I: La potenza  Americana



1.1             La dimensione imperiale
Metà degli americani non hanno mai letto un giornale quotidiano.
Metà non hannomai votato per le elezioni presidenziali.
C’è da sperare che si tratti della stessa metà.
Gore Vidal


La Superpotenza Americana si è imposta al mondo dal 1945, al termine del secondo conflitto mondiale, durante il quale gli Stati Uniti affermarono la loro supremazia industriale e militare, ulteriormente incrementata dal fatto di non aver subito danni al proprio apparato tecnico-produttivo, contrariamente a quanto avvenuto a tutti i loro principali competitors. Conquiste fondamentali sono state il protettorato tedesco e quello giapponese, due punti d’appoggio essenziali al controllo del sistema economico mondiale.

Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti organizzarono la loro zona d’influenza imponendo un sistema globale impostato su regole commerciali e finanziarie liberiste, secondo una teoria imperante nelle grandi università americane, improntata sulla specializzazione produttiva dei singoli Stati e basata sul dogma dell’aggiustamento automatico da parte del mercato. Questa è stata una delle loro maggiori esportazioni culturali, insieme al cinema e alla musica.

Nei primi anni l’imperialismo statunitense si è contraddistinto in maniera positiva: il Piano Marshall, un atto di grande intelligenza economica e politica, ha fornito all’Europa i mezzi per la sua ricostruzione. Nel 1948 George Kennan, uno dei maggiori architetti della politica estera statunitense del dopoguerra, dichiarò, con una frase poi divenuta famosa, qual era l’obiettivo principale della politica americana dell’epoca: “Deteniamo circa il 50% della ricchezza mondiale ma siamo solo il 6,3 % della popolazione perciò non possiamo che essere oggetto d’invidia e risentimento. Il nostro vero compito nel tempo a venire è pianificare uno schema di relazioni che ci permetta di mantenere questo divario”. La politica estera americana nella seconda metà del Ventesimo secolo si è strettamente conformata ai dettami proposti da Kennan.

Negli anni Sessanta e Settanta gli americani furono indotti a credere che avrebbero mantenuto il loro standard di vita per sempre, mentre Kennan e la classe al potere sapevano che non sarebbe stato così sul lungo periodo. Avevano capito che il dominio militare sul mondo avrebbe solo potuto ritardare l’inevitabile resa dei conti.

Ma il dominio militare richiedeva l’impegno di ingenti capitali e il problema divenne quindi come affrontare queste spese e allo stesso tempo mantenere alti i consumi dei lavoratori americani. La sola soluzione era il consumo di massa a credito, finanziato dalla vendita di obbligazioni oltre oceano. Solo con il sostegno dei prestiti gli USA avrebbero potuto mantenere ciò che fu chiamato da allora in poi “lo standard di vita americano”, mentre la porzione di ricchezza reale che detenevano diminuiva costantemente. L’imperativo di nascondere la realtà economica ai cittadini americani e ritardare la resa dei conti spiega perché, a scanso d’ogni retorica, sono stati i Repubblicani i principali fautori del deficit americano nel secondo dopoguerra.


1.2               Verso la dipendenza economica.
Gli americani fanno sempre la cosa migliore…
dopo aver esaurito tutte le alternative.
Winston Churchill

La realtà americana è forse un’altra: lungi dall’essere invincibile, deve invece gestire l’inevitabile riduzione della sua potenza relativa in un mondo sempre più popolato e sviluppato. Quella che era una nazione indispensabile per il mondo, ha visto lentamente stravolgersi il suo ruolo economico, la cosiddetta Globalizzazione ha colpito la struttura interna della nazione dominante, indebolendone l’economia e deformandone la società. Il crollo del comunismo ha comportato un’accelerazione di questo processo, e il deficit commerciale americano è, soprattutto negli ultimi anni, aumentato in modo preoccupante: dai 180 miliardi di dollari del 1997 si è passati ai 450 miliardi del 2000.

L’America è lontana dal blocco Eurasiatico, il centro industriale e produttivo mondiale. Non è più un’iperpotenza e non può vivere della sua sola attività economica, basata essenzialmente sull’enorme capitalizzazione borsistica che attira ingenti capitali stranieri. Conscia della sua debolezza, l’America cerca però in tutti i modi di non farla trasparire all’esterno, basando il suo concetto di iperpotenza essenzialmente su un concetto di carattere militare, forse più teatrale e mediatico che effettivo. Questa è quindi la panoramica all’alba dell’ 11 settembre 2001: un’America sempre più debole e governata da un Presidente appoggiato (negli USA i dati dei finanziatori delle campagne elettorali sono resi pubblici) da potenti lobby di petrolieri e produttori di armi.

CAPITOLO II: 11 SETTEBRE 2001


2.1            I quattro aerei dirottati: la versione ufficiale.

L’11 settembre 2001 gli abitanti di New York e Washington in prima persona, e la popolazione mondiale in diretta televisiva, sono stati testimoni di violenti atti terroristici che hanno cambiato per sempre i destini del mondo. Fino a quella data la vita delle persone (quantomeno delle persone occidentali) trascorreva in un cauto e gioioso ottimismo, favorito anche da una crescita economica e tecnologica senza precedenti. Dopo questa data invece, il mondo non sarà più lo stesso, il sogno di prosperità e libertà di milioni di individui resterà per sempre turbato da quelli che sono subito apparsi come atti terroristici programmati da menti mussulmane criminali, votate al martirio e alla Jiad.

In quella mattinata 19 terroristi (di cui 15 arabi) prendono il possesso di ben 4 aerei di linea, armati con pericolosi taglierini da carta. Il primo, il volo Amercian Airlines 11, decollato alle 07:59 da Boston e diretto a Los Angeles, alle 08:16 inverte la rotta, alle 08:20 disattiva il transponder e, una volta direttosi verso New York, vi arriva alle 08:46 colpendo in pieno la torre WTC1. La popolazione è scossa, presa di sorpresa da questo inaspettato attacco al cuore finanziario mondiale.

Ma la tragedia non è finita, anzi, la parte peggiore è ancora di là da venire. Mentre un esercito di forze dell’ordine e soccorritori, seguiti da uno stuolo di giornalisti e cameraman si precipita al World Trade Center, il terrore volteggia ancora alto nei cieli. Ed ha le sembianze di un altro aereo dell’American Airlines, il volo 175, partito anch’esso da Boston in direzione Los Angeles, con una dinamica simile al primo velivolo, devia dalla sua rotta alle 08:42, disattiva il transponder alle 08:46 e oltrepassa Manhattan per poi tornare indietro ed impattare la torre WTC2 alle 09:02, giusto in tempo per essere ripreso in diretta dalle molte telecamere accorse sul luogo del primo impatto. L’impatto è meno preciso del primo, l’aereo colpisce la torre su un fianco, facendo fuoriuscire buona parte del carburante che esplode fuori da essa.

In seguito ai violenti incendi degli idrocarburi presenti nel serbatoio degli aerei e dagli arredi, la struttura portante delle torri cede, sciolta come burro nel forno. La torre 2, quella colpita per seconda, collassa alle 09:59, dopo aver bruciato per poco meno di un’ora. Una nube di polvere finissima e detriti invade Manhattan mentre l’altra torre, alle 10:28, ne segue l’identico destino, collassando in modo perfettamente verticale sbriciolandosi anch’essa come un grissino. Le prime stime dei morti sono allarmanti: si parla di quasi 30.000 morti, tra persone imprigionate nelle torri e i molti componenti delle squadre di soccorso che ne seguono le sorti in modo eroico. Stima destinata in seguito a scendere di parecchio, visto che alla fine i morti accertati saranno 2752. Questa dinamica dei fatti si evince dal rapporto della Commissione Nazionale sugli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti (nota anche come Commissione sull’11 settembre) edito il 22 luglio 2004. A tale spiegazione ne fa seguito un’altra, nel settembre 2005, edita dal NIST (National Institute of Standards and Technology) , al termine di un’indagine durata 3 anni e costata 20 milioni di dollari: gli aerei, nell’impatto, avrebbero asportato il rivestimento antincendio dell’acciaio esponendo quest’ultimo direttamente all’azione devastatrice del fuoco; le travature a ponte del WTC su cui facevano base i pavimenti, nel piegarsi per effetto del calore, avrebbero tirato all’interno i muri perimetrali provocando una “propagazione dell’instabilità” lungo le colonne perimetrali e stressando maggiormente le colonne centrali del nucleo (ogni torre era costituita da un nucleo centrale di 47 spesse colonne in acciaio) , già rese meno resistenti dagli incendi; l’energia dei piani posti sopra la zona dell’incendio innescò il “collasso globale”.

Tornando ai fatti della mattinata, i piani dei terroristi sono solo a metà. Difatti altri due aerei si trovano ancora nei cieli americani. Il volo AA 77, decollato da Washington alle 08:20 verso Los Angeles, alle 08:46 devia per la prima volta dalla sua rotta, alle 09:09 spegne il transponder e alle 09:37 riesce a schiantarsi su uno degli edifici più inaccessibili al mondo, il Pentagono, cuore nevralgico del sistema difensivo degli Stati Uniti. Dopo aver compiuto veloci evoluzioni, l’aereo si presenta rasoterra di fronte all’edificio volando per gli ultimi secondi a pochissimi metri dal suolo, impattando con una velocità stimata di circa 800 km/h. Una tale velocità ha consentito la polverizzazione pressoché totale del velivolo, di cui restano sul prato e dentro il Pentagono stesso pochissimi resti.

L’ultimo dei voli, il volo United Airlines 93, partito da New York alle 08:42, devia dalla sua rotta alle 09:36, disattiva il transponder alle 09:40 e sembra dirigere verso la Casa Bianca. Ma i dirottatori su questo volo devono fare i conti con il coraggio dei passeggeri, i quali impavidamente insorgono contro i malvagi arabi (circostanza confermata dalle telefonate che alcuni passeggeri riescono ad effettuare dai propri telefoni cellulari) che, perdendo il controllo del mezzo, fanno sì che questo si schianti in aperta campagna in Pennsylvania. Anche di quest’aereo non si è trovato alcun pezzo riconoscibile, soltanto minuti relitti della grandezza massima di una manciata di centimetri. 150 tonnellate d’aereo, 45 persone, 200 sedili e bagagli vari, 40 metri d’ali sono scomparsi, a causa del violento schianto, in una fossa di sei metri per tre e profonda pochi metri.

Una serie d’attentati di così vaste proporzioni che è riuscita a mettere in scacco la difesa militare più efficiente del mondo deve avere necessariamente avuto alle spalle una preparazione lunga e complessa. Ciò nonostante la polizia, gli enti federali e i servizi d’intelligence americani non sono stati in grado di sventare questi atti terroristici, subendo passivamente ogni azione scaturita da questi attacchi. Nonostante questa incredibile debacle, l’F.B.I riesce a rifarsi subito dopo e, la sera dell’11 settembre arriva una sentenza di straordinaria tempestività: ad organizzare l’evento è stato sicuramente lo sceicco arabo Osama Bin Laden. Nel giro di 48 ore le autorità presentano la lista completa dei 19 dirottatori, i cui veri nomi non compaiono nemmeno sulle liste di imbarco dei quattro aerei.

Logica risposta a questi efferati atti terroristici è stato l’attacco all’Afghanistan, reo di nascondere e proteggere uno dei più pericolosi criminali mai esistiti sulla faccia della terra. La cauta e minuziosa politica estera americana, una volta certa delle inconfutabili prove a carico di un altro tiranno, Saddam Hussein, ha poi provveduto nel 2003 ad attaccare anche l’Iraq, essendosi ormai la potenza Americana erettasi a paladina della democrazia e della giustizia.

Visti nell’ottica della versione ufficiale, le guerre succedute agli attacchi dell’11 settembre possono sembrare atti ragionevoli e giusti, ma andando ad indagare con un minimo di criticità e razionalità si potrebbero invece scoprire altre e più profonde verità.

2.2               Il movente: ragionevoli dubbi
In criminologia l’analisi del movente è un tassello fondamentale per giungere alla verità. Immaginiamo per un istante di metterci nei panni dei dirottatori: perché i terroristi si sono gettati contro le Torri Gemelle di primo mattino, quando esse erano pressoché vuote? Un paio d’ore dopo e le vittime sarebbero state decine di migliaia. Perché non le hanno colpite più in basso, aumentando a tal modo quantità di vittime e probabilità di crollo? In un evento del genere tutto viene meticolosamente ponderato e perfettamente analizzato da chi lo organizza, quindi nulla avviene a casaccio. Il timing — la scelta del momento - in questo genere di operazioni è un elemento essenziale. Perché allora gli aerei non sono stati dirottati contro le torri in un qualsiasi altro momento della giornata, facendo 10 volte più vittime? Perché non hanno destinato almeno uno degli aerei contro la centrale nucleare di Indian Point, a meno di 40 chilometri da New York?. Scegliendo la centrale nucleare tra l'altro i terroristi avrebbero minimizzato i rischi di venire intercettati dai caccia americani (come di norma sarebbe dovuto accadere ) nei sette minuti di volo che ancora ci volevano per raggiungere Manhattan e avrebbero potuto facilmente causare un disastro assai peggiore di quello di Cernobyl provocando milioni di morti (i reattori non sono stati costruiti per resistere all'impatto di un Boeing 767 pieno di carburante) e mettere davvero in ginocchio l'odiato nemico. Invece no, i terroristi crudeli non erano poi così cattivi, e chissà perché hanno agito in modo da provocare la minor quantità di morti possibile, con il massimo effetto spettacolare. Anche sul Pentagono avrebbero potuto fare danni assai più consistenti mirando a qualsiasi altro punto dell'edificio. Se ad organizzare l'attentato è stata veramente Al Qaeda, non ci sono forse gli estremi per ritirare loro la patente di terroristi, per manifesta incompetenza? Quale movente potevano avere i terroristi a causare la minor quantità di morti possibile con il loro attacco? E se la minor quantità di morti non era il loro obiettivo, perché essi non hanno agito diversamente, in modo assai più letale, dato che potevano farlo?

Ma il vero punto più debole è l'assurda passività dei servizi segreti americani, relegati al ruolo di spettatori inerti di quanto stava avvenendo, un ruolo che ad essi proprio non calza.

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