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giovedì 23 giugno 2011

Speculazione, l’Italia è il prossimo bersaglio.


Quello che sta succedendo in questi giorni sul piano finanziario internazionale è l’ennesima conferma che è l’euro il vero obiettivo della speculazione proveniente dai mercati finanziari anglosassoni. Quelli ufficiali, Wall Street e la City, e quelli collaterali, ma non per questo meno pericolosi, dei paradisi fiscali a sovranità statunitense o britannica. A tutto questo si aggiunge poi l’attività delle agenzie di rating Usa che valutano l’affidabilità dei titoli. Siano essi le azioni e le obbligazioni emesse da società private, siano i titoli di questo o quello Stato. Giudizi che vengono tenuti in considerazione dai clienti delle società di rating per effettuare investimenti o al contrario per disinvestire da questo o quel titolo pubblico o privato.

Ma si deve bene tenere presente che i giudizi delle società di rating (le principali sono Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch) non rappresentano la verità assoluta. Anzi. Prima della crisi scoppiata alla fine del 2007, Moody’s valutava infatti più che affidabili i titoli della Lehman Brothers, la banca d’affari e di speculazione poi lasciata fallire dal governo Usa. Affidabile sia dal punto di vista patrimoniale che finanziario, ossia nella capacità di cui era accreditata di restituire il capitale imprestato dagli investitori e pagare regolarmente dividendi e interessi. Diventa inevitabile concludere che nonostante gli accurati (?) studi che i tecnici delle tre Big dicono di effettuare sulle società e sugli Stati, le loro conclusioni devono essere prese con il beneficio d’inventario. Ma al tempo stesso devono purtroppo essere recepite con timore dagli amministratori delle società e dai governi, perché anche se un giudizio fosse del tutto campato in aria, esso è in grado, se negativo, di trasformarsi in una valanga inarrestabile spingendo gli investitori a vendere quanto hanno in portafoglio. Unito alla speculazione vera e propria questo meccanismo ha due conseguenze precise. La prima è quella di spingere in basso il valore di mercato di quel titolo, a fronte del valore fisso che l’emittente dovrà rimborsare alla scadenza. Allo stesso tempo obbligherà .l’emittente, per rendere ancora appetibile quel titolo, ad alzare i rendimenti, ossia i tassi di interesse che graveranno sui titoli in circolazione e su quelli in via di emissione, aumentando quindi il proprio impegno finanziario per il futuro. Se non facesse infatti così, l’emittente, società e Stato, rischierebbero di trovarsi senza clienti. Si tratta comunque di un meccanismo che rischia di divenire ingestibile portando i rendimenti oltre ogni limite. Ad esempio in questa fase, tra difficoltà interne della Grecia e azione della speculazione i rendimenti dei titoli di Atene, biennali (30%) e decennali (18%), hanno ormai raggiunto un livello pari a 15 volte quelli tedeschi, presi come riferimento sui mercati per la loro affidabilità e solvibilità.

Si deve poi aggiungere che c’è il fondato sospetto che le valutazioni delle società di rating non siano poi così indipendenti ma che anzi spesso esse finiscano per svolgere il ruolo di cavallo di Troia della speculazione. In altre parole l’impressione palpabile è che con l’attacco ai Paesi più deboli dell’area dell’Euro, come Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna si sia voluta creare una profonda crepa nell’edificio comunitario. Adesso con l’attacco all’Italia, che pure ha i suoi non pochi problemi, si intende assestare il colpo definitivo e colpendo una delle prime quattro economie europee e si punta a fare crollare tutto il meccanismo. Venerdì scorso, Moody’s ha comunicato di avere posto i titoli di Stato italiani “sotto revisione” che dal punto di vista tecnico rappresenta l’anticipazione di un sicuro declassamento. Annuncio che è stato seguito sabato dall’avvertimento del lussemburghese Jean Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo: “Se la Grecia salta, anche l’Italia si troverà a rischio”. Un’Italia che ha un debito pubblico al 120% del Pil, un disavanzo al 4,2% pure a fronte di una solida (apparentemente) ricchezza delle famiglie.

E ieri immancabile, trascinato dal fatto che non si è trovato un accordo tra i Paesi europei sul nuovo prestito alla Grecia (altri 110 miliardi fino al 2014), c’è stato il crollo delle Borse europee che hanno evidenziato il nervosismo di quegli investitori che speravano in un periodo di relativa calma. I capi di Stato e di governo riparleranno del prestito venerdì e sabato prossimi (quando si deciderà sulla nomina di Mario Draghi alla Bce) e l’11 luglio alla riunione dei ministri delle finanze europei e di quelli dell’Euro. Resta per l’Italia il segnale inquietante venuto da oltre Atlantico che denota che un attacco in grande stile è in arrivo.

di Filippo Ghira (f.ghira@rinascita.eu)
Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8963

3 commenti:

  1. Scusa,ma hai visto chi sono i proprietari delle agenzie di rating?

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  2. ... se non erro queste agenzie di rating sono una sorta di imprese private, possiedute da privati, i quali spesso sono anche proprietari di fondi speculativi...
    tra questi spicca l’«oracolo di Omaha», Warren Buffett, il secondo uomo più ricco d’America, che specula sui debiti cui la sua Moody’s (di cui possiede circa il 19%) assegna i voti (ratings) ...

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  3. ...ancora più a fondo,i controllati sono i padroni dei controllori...de profundis

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