Amina Abdallah Araf (nella foto a sinistra), la presunta insegnante di inglese di 36 anni, lesbica, siriano-americana ed anti-baathista, che avvrebbe partecipato alle proteste contro Bashir al-Assad, curatrice del blog Gay Girl in Damascus è diventata l'ennesimo simbolo virtuale per l'ennesima possibile guerra reale. Sul blog della presunta Amina, A Gay Girl in Damascus, appariva, due giorni fa il post di una persona che si firma sua cugina, che afferma che la ragazza era finita nelle prigioni del regime siriano. 10000 vitual-fan ne chiedono la liberazione da un presunto arresto da parte dell'orco del momento. La Siria baathista. Eppure, nonostante le migliaia di supporters, nessuno di costoro sembra averla mai incontrara di persona.
Ma allora Amina Abdallah Araf esiste davvero? Le ricerche per contattare un parente o un amico di Amina sono miseramente fallite. Andy Carvin di NPR, una radio americana, la sta cercando freneticamente chiedendo ai suoi contatti su Twitter (quasi 50 mila) se per caso qualcuno l'avesse mai conosciuta di persona senza, finora, ottenere un solo sì. Ha contattato tutti i giornali e le TV, dal Times, alla BBC, dalla C(IA)NN al Guardian, da al-Jazeera (immancabile!) al Global Winnipeg, che hanno ottenuto un’intervista da Amina, finendo per scoprire che ogni intervista è sempre stata fatta via mail. Le foto a lei attribuite sono quelle di una anglo-croata, per giunta eterosessuale.
Insomma, nessuno che l’abbia conosciuta di persona si è finora fatto vivo. Inoltre, Il blog The Led scopre che la canadese Sandra Bagaria, che si presenta quale sua fidanzata virtual-platonica, in realtà non l'ha mai vista, avendo invece comunicato con lei solo via mail, uno scambio di oltre 500 email senza neppure ricorrere alla comodità di un instant messenger come Skype.
“Qualcuno ha mai incontrato Amina (gay girl in Damascus) di persona? Se sì, per favore contattatemi”, così supplica Andy Carvin, “E’ veramente strano”, dice “che nessuno l’abbia mai vista”. “La famiglia della ragazza è incontattabile; per ora il suo blog rimane l’unica fonte di notizie ad affermare che la blogger sia stata arrestata e sia tuttora detenuta, ma di fatto non c’è certezza”. Avverte il New York Times, “i lettori dovrebbero iniziare a stare in guardia. Intanto il lavoro di Carvin continua senza tregua. Un’altra fonte che ha lavorato con Amina online afferma di aver tracciato un suo indirizzo IP fino in Siria, e poi in Scozia. Ma non può confermarlo. (…) Una fonte mi ha detto che i due avrebbero usato la chat di Skype. Ma potrebbe essere stato anche un altro programma.
A questo punto spunta la croata Jelena Lecic, dipendente del Royal college di Fisica di Londra che ha commentato: «...vorrei chiarire che non ho nulla a che fare con lei (Amina Araf) nonostante siano le mie foto quelle che circolano in relazione all’intera vicenda».
Mentre sul Web continua la mobilitazione per Amina, tralasciando le insinuazioni di alcuni media e mantenendo le foto di Lecic con la didascalia che recitano che è Amina Arraf, online compaiono decine di messaggi che chiedono «libertà» per Amina e oviamente condannano l’operato (mai fatto) del governo siriano, con tanto di petizione online per raccogliere firme per la sua liberazione, magari virtuale, come tutto il resto, Carvin ha scoperto anche un blog risalente al 2006-2007 nel quale Amina, o chi per lei, sosteneva di voler mescolare dettagli intimi sulla sua vita quotidiana e fiction. Amina Abdallah Arraf si dimostra più romanzo che cronaca.
Anche a Roma, i soliti mercenari del Pentagono: i radicali italiani, l'Arcigay e l'Agedo, non hanno perso tempo ad organizzare un sit-in davanti l'ambasciata siriana per denunciare il 'crimine virtuale' del regime siriano.
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