Quando ho sentito per la prima volta, l’anno scorso, che le istituzioni stavano organizzando i “150 anni dell’Unità d’Italia”, di prim’acchito ho pensato si trattasse del consueto gorgo in cui far sparire, un bel po’ di soldi pubblici, alla faccia della “crisi”, con l’abituale condimento di retorica insulsa; ma quando quest’anno è scattata l’aggressione militare alla Libia, e Roma, malgrado il Trattato di amicizia e collaborazione con Tripoli (ostentato come un fiore all’occhiello fino al giorno prima), ha subitamente aderito, mi si è chiarito il perché di tanta enfasi su questa “ricorrenza patriottica”…
Siamo in guerra ma non lo si può ammettere, questa è la verità. Siamo in guerra al fianco dell’America e dell’Occidente (non mi stancherò mai di ripetere che si tratta di sinonimi, per indicare la civiltà dell’ateismo e del “regno della quantità”). Ma come ci siamo scivolati in questa situazione che solo vent’anni fa sarebbe stata impresentabile?
La musica è cambiata un po’ per volta, a partire dalla prima Guerra del Golfo (1991): l’Italia che “ripudia la guerra” (art. 11 della Costituzione) è ormai un pallido ricordo, poiché di fatto oggi la sua “classe dirigente” non fa nulla per evitare di finirvi dentro, né di fiancheggiarla o di giustificarla, se a volerla sono i “nostri alleati” (altrimenti è “condanna senza se e senza ma”: mi pare di sentirlo un Frattini che condanna uno “Stato canaglia”!). Abbiamo poi assistito in tutti questi anni post-Urss ad un progressivo protagonismo militare del nostro Paese, dalla partecipazione allo sbarco in Somalia con tanto di riprese in diretta all’ignobile attacco all’ex Jugoslavia, fino alle decine di costosissime “missioni di pace”, dal Libano (dove peraltro c’eravamo già stati nei primi anni Ottanta, ma con altre motivazioni perché non eravamo così impelagati con NATO & soci) all’Iraq, all’Afghanistan, dove – colmo della mistificazione – manderemmo i nostri “scarponi” a far da “sentinelle della democrazia” e della “ricostruzione” (dopo che gli “alleati” hanno volutamente ridotto quella terra a un cumulo di rovine!) .
Per carità, non sono così fesso da pensare che ogni volta l’Italia partecipi entusiasticamente (siamo o non siamo una colonia americana? ad ogni ordine bisogna battere i tacchi! e chi non lo fa è morto); o che nelle recondite pieghe di qualche tentennamento o attacco ai nostri contingenti (v. la famosa “strage di Nassiriyya”) non si nascondano chissà quali “pugnalate alle spalle” da parte di quelli che la propaganda presenta invariabilmente come “amici”. Non sono neppure così ingenuo da ritenere che alla fine un qualche vantaggio, talvolta, vi sia più nello “starci dentro” che nel “rimanere fuori”… Ma con questa giravolta libica – l’ennesima della nostra disonorevole storia nazionale – si rende davvero un’impresa disperata presentare la cosa in termini di “interesse nazionale”.
Infatti non avevamo alcun interesse ad associarci a quest’ennesimo odioso crimine, di cui siamo ragguagliati ancor meno di quanto ci illusero di sapere in occasione delle precedenti “guerre democratiche” degli ultimi vent’anni. Siamo passati da Peter Arnett della CNN e la guerra tipo videogioco sul cielo di Baghdad alla sparizione pura e semplice di ogni notizia, tant’è che la Libia è passata in secondo o terzo piano, messa dopo le trite scaramucce centro-destra e centro-sinistra, le notizie relative ai disastri meteorologici e il periodico caso di cronaca nera sul quale i notiziari indugiano morbosamente con ogni dovizia di particolari sempre più scabrosi e inquietanti. Dell’aggressione alla Libia ci fanno vedere solo e sempre la solita scena dei “ribelli” che al “ciak si gira” dell’operatore televisivo si mettono a sparare a vanvera in aperta campagna… tanto le pallottole le paghiamo noi!
Stavolta hanno deciso che è decisamente meglio non parlarne proprio, così sembrerà che il problema non sussiste. Ed il risultato è assicurato perché la gente, in giro, non alcuna cognizione del fatto che a pochi chilometri noi anche i “nostri ragazzi” sganciano bombe addosso a persone che non ci hanno fatto alcun male, né avevano minacciato di farcene.
La vergogna è troppo grossa per andare in giro orgogliosi di questo ‘capolavoro’. E cosa di meglio, per velare questo scempio, della retorica patriottica per i “150 anni dell’Unità d’Italia”? Ecco che ogni occasione è buona per propinarci l’eroismo dei “nostri ragazzi” e l’efficienza delle nostre Forze Armate, coi balconi di alcune città-simbolo della pretestuosa ricorrenza – Torino su tutte – addobbati fino all’inverosimile col tricolore, come neppure s’era visto per la vittoria ai mondiali di calcio! (...)
Hai completamente ragione, la guerra sembra oramai un videogioco, cioè vogliono uccidere il leader del paese, ma bombardano i palazzi popolari, e tra l'altro usando uranio impoverito, per condire il tutto per bene. In certe zone dell'Iraq per questo, alle donne viene detto di non far figli poiché nascono ammalati e deformi. Che diritto abbiamo noi di fare questo? Siamo una civiltà ai tempi della pietra, sono più forte e quindi ti uccido!
RispondiEliminaE poi parlano di crisi, lo sapete che dividendo il numero di incursioni, 4.300 se non ricordo male, per i giorni, viene fuori un attacco ogni mezz'ora. E per concludere, lo fanno con i soldi di chi veramente lavora!
PS: Dobbiamo smettere, come io ho fatto dal 2003, di lavorare!
RispondiEliminaLavorare, impegnare le proprie energie per il benessere di tutti mi sta bene, ma impegnare 8\10\12 ore al giorno perché con i miei soldi facciano gli ASSASSINI, NO, anch'Io a quel punto divento colpevole come loro. LO so, non è facile lasciare tutto, anzi è un trauma le prime settimane....ma poi ti rendi conto che sei davvero vivo e fai quello che vuoi, ricco e prigioniero, o povero e libero?! A voi la scelta, mi sembra che già avete scelto purtroppo........
PS: Il mio vuol solo essere un richiamo a quanto è bello l'ozio quando ci nutre, quando da qualcosa.
Battuta di F.W.Nietzsche: L'ozio è il padre di tutti i vizi, e che filosofia e psicologia sarebbero vizi?!