Marines rossi, Quando c'era Bush in piazza contro la guerra.
Ora, con Obama, anche le bombe vanno bene.
Convincerli non è stato difficile. È bastato che alla Casa Bianca ci fosse un afroamericano democratico invece di un bianco repubblicano, due paroline interventiste dette al momento giusto dall’ex compagno che sta al Quirinale e loro, sull’attenti, hanno battuto i tacchi e si sono calati l’elmetto. Pronti a partire. L’articolo 11 della Costituzione, quello che dice «L’Italia ripudia la guerra» e altre belle cose, è diventato all’improvviso aggirabilissimo. Gli stessi che pochi anni fa sventolavano fieri le bandierine arcobaleno, al punto da metterle sui simboli elettorali e sulle prime pagine dei loro giornali, e accusavano gli Stati Uniti di ogni nefandezza imperialista, adesso scoprono i diritti delle minoranze oppresse nei Paesi arabi e l’urgenza di ricorrere alle portaerei americane e ai caccia francesi per esportare la democrazia, o almeno qualcosa che le assomigli. E lo fanno senza nemmeno avere l’alibi di dover neutralizzare un arsenale come quello di cui disponeva in Iraq Saddam Hussein. Già che ci sono, i neofiti dei Cruise e degli F-16 fanno pure la ramanzina alla Lega perché non manifesta il necessario afflato bellico. Non ci fossero le bombe e i morti, l’effetto comico sarebbe garantito.
Loro però non sembrano rendersene conto. Concita De Gregorio era serissima mentre vergava la chiamata alle armi pubblicata ieri sull’Unità. Eppure vi si leggevano cose tipo: «Non si possono lasciare soli gli eroi del “nuovo risorgimento del mondo arabo”, per usare le parole di Napolitano. Non si possono celebrare i nostri ventenni di centocinquant’anni fa e ignorare i loro ventenni oggi». Chi non vuole l’impresa di Libia e fa come la Lega, spiega la direttrice del quotidiano ex pacifista, non è «dalla parte del Paese». Più o meno quello che scrisse cent’anni fa, con stile di sicuro più sobrio, Gabriele D’Annunzio celebrando in versi la guerra di Libia.
Che per loro sia complicato affrontare l’argomento lo si capisce quando la direttrice dell’Unità scrive che «da 66 anni a questa parte non siamo mai stati così vicini dall’essere un paese in guerra». Segno che la loro coscienza collettiva ha provveduto a rimuovere l’intervento militare in Kosovo del 1999, avviato dal governo D’Alema senza l’autorizzazione del Parlamento e senza il mandato delle Nazioni Unite. Comprensibile.
Il parallelismo con la maggioranza stavolta non regge. Il PdL è sempre stato interventista e in questa occasione, come nelle precedenti, ha fatto aderire il governo alla coalizione dei volenterosi, composta dai soliti alleati. Quanto alla Lega, di certe operazioni militari se ne fregava prima e se ne frega adesso: interessano solo per motivi tattici. Ogni volta che le elezioni amministrative sono alle porte, Umberto Bossi se le inventa tutte per smarcarsi dall’alleato, stando attento a farlo senza che la tenuta della coalizione e del governo ne risenta più di tanto. Il Carroccio, insomma, si è rifiutato di appoggiare l’intervento sapendo benissimo che tale gesto gli avrebbe portato qualche voto in più al Nord e non avrebbe provocato danni a Roma. Anche qui, nulla di nuovo.
Ma se a destra gli elettori sono abituati a ragionare sulle missioni militari con criteri realistici, ponendosi cioè la domanda «ci conviene intervenire?», e proprio per questo tanti sostenitori del PdL contestano la decisione di partecipare alle operazioni, a sinistra lo scontro è molto più acceso, perché il criterio che comanda è quello idealistico: «È giusto intervenire»? Bella domanda. Mica è facile spiegare a gente che durante tutta la seconda guerra del Golfo è stata illusa con slogan contro la guerra «senza se e senza ma» che stavolta è giusto bombardare in nome della democrazia. (Di commesse per il petrolio libico, per carità, è vietato parlare).
La foglia di fico con cui il Pd prova a coprire l’avallo all’operazione “Odissey Dawn” sono le solite Nazioni Unite. Ma a parte il fatto che sotto l’egida del Palazzo di vetro si sono svolte alcune delle peggiori porcherie del dopoguerra, il dubbio su quale sia la differenza tra le bombe marchiate Onu e quelle con il logo della Nato qualcuno se lo sta ponendo, anche ad alta voce. Quando il deputato del Pd Enrico Gasbarra dice di non essere convinto dalla missione militare perché «sicuramente l’Onu è dalla parte giusta, ma il sangue che scorre e scorrerà sarà tanto», dice una cosa che pensano in tanti, tra gli eletti e soprattutto tra gli elettori. Alcuni di loro sono andati a bussare sulla pagina Facebook di Pier Luigi Bersani: «Scusa, segretario, dove sono finite le bandiere della pace?».
È solo l’inizio. Ai sedicenti bombardamenti chirurgici, destinati a proteggere gli insorti ma già responsabili delle prime vittime civili, se Gheddafi non sloggia dovrà fare seguito la campagna di terra. Che renderà la guerra ancora più brutta, sporca e cattiva. L’ultimo posto in cui le anime belle della sinistra vorranno trovarsi.
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