Le rivolte del mondo arabo ispirano analoghi movimenti anche nel Caucaso: proteste in Azerbaigian e Armenia. Occhi puntati sui regimi dell’Asia centrale.
L’ondata rivoluzionaria partita dal Maghreb sta raggiungendo non solo la penisola araba ma anche nel Caucaso, e Mosca teme che possa arrivare anche nel suo ‘giardino di casa’: le repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale.
I primi segnali di rivolta si sono avuti venerdì scorso in Azerbaigian, paese musulmano moderato, ricco di petrolio e corteggiato dal Pentagono per la sua posizione strategica. Usando Facebook e Twitter, i giovani oppositori al regime della dinastia Aliyev – al potere da quasi vent’anni, prima con Heydar poi con il figlio Ilham – si erano dati appuntamento nel centro di Baku per la ‘Grande giornata del popolo’. Ma la protesta è stata impedita dalla polizia, che ha arrestato decine e decine di attivisti in piazza e davanti alle principali università. Altri erano stati arrestati il giorno prima, in via preventiva.
Situazione tesa anche nella vicina Armenia. Le opposizioni che non riconoscono la legittimità del presidente Serzh Sargsyan, guidate dal suo predecessore Levon Ter-Petrossian, sono scese in piazza a Yerevan tre volte nelle utlime due settimane e hanno in programma una nuova manifestazione per giovedì prossimo. Chiedono nuove elezioni anticipate e la liberazione degli oppositori arrestati dopo le proteste del 2008 che erano costate la vita a diversi manifestanti. Per ora la polizia non è intervenuta.
Ma l’attenzione maggiore, soprattutto quella preoccupata del Cremlino, è ora puntata sugli ‘stan’ centrasiatici. Per ora pare tutto calmo, ma diversi analisti giudicano ‘a rischio’ i regimi uzbeco e kazaco, entrambi retti da anziani presidenti autoritari, Islam Karimov e Nursultan Nazarbayev. ”Ambedue sono al potere dal 1990 e ambedue non hanno alcuna intenzione, né capacità, di trasferirlo in maniera ordinaria”, scrive Dmitry Trenin, politologo russo del think tank Carnegie Endowment for International Peace.
”Un’area certamente da tenere d’occhio – secondo Trenin – è anche la Valle del Fergana”, crogiolo di tensioni etnico-politiche in perenne ebollizione, come ha dimostrato il massacro di Andijan nel 2005 (in Uzbekistan), le violenze interetniche a Osh e Jalalabad dell’anno scorso (in Kirghizistan) e il recente ritorno in scena della guerriglia islamica (in Tajikistan).
Il continuo aumento dei prezzi dei generi alimentari, sommato a una situazione di povertà già diffusa e di endemica sfiducia verso regimi autoritari e corrotti, potrebbe innescare proteste e rivolte anche in Asia centrale. Ma non bisogna dimenticare che in questi paesi, al contrario che in Maghreb, l’accesso a internet è ancora limitato, e che la stabilità di questa regione (così vicina all’Afghanistan e ricca di risorse energetiche) sta a cuore tanto alla Russia quanto agli Stati Uniti.
di Enrico Piovesana (peacereporter.net)
Tratto da: http://www.stampalibera.com/?p=24976
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