Il Washington Post ha pubblicato oggi (18 aprile) una notizia tratta dagli ormai celeberrimi cablogrammi di Wikileaks e rimasta finora inedita. Nel 2006 il Dipartimento di Stato statunitense stanziò un finanziamento di 6 milioni di dollari a favore di un gruppo dell'opposizione siriana in esilio, facente base a Londra, il Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo, che gestisce anche una rete satellitare, Barada Tv.
Il canale televisivo ha cominciato le sue trasmissioni nel 2009, ma, in seguito ai disordini avvenuti in Siria nelle ultime settimane ha intensificato la programmazione. Secondo il quotidiano americano, i rapporti finanziari coi dissidenti siriani, cominciati dall'Amministrazione Bush, sarebbero proseguiti anche con Barack Obama alla Casa Bianca, almeno fino al settembre 2010.
A Londra si trova un altro dissidente siriano eccellente, Rifaat Assad, fratello minore dello storico presidente Hafez, il "Leone di Damasco", nonché zio dell'attuale presidente Bashar. Fu lui a guidare la cruenta repressione della città di Hama nel 1982, quando rivoltosi islamici si ribellarono contro il regime.
Rifaat cercò di succedere al fratello maggiore Hafez alla guida del paese nel 1983, quando questi cadde malato per problemi cardiaci. L'esercito si trovò spaccato tra i lealisti di Hafez e un gruppo di generali, in particolare alauiti, che non si sentivano sufficientemente rappresentati nel Comitato formato da sei membri che pro tempore gestiva il governo durante la malattia di Hafez. La crisi sembrava poter sfociare in scontro aperto quando nel 1984 Hafez, ristabilitosi, tornò al timone. Il presidente nominò il fratello suo vice ma la ricomposizione fu solo apparente. Rifaat fu ben presto inviato all'estero per missioni diplomatiche da cui, sostanzialmente, non fece più ritorno, salvo per partecipare ai funerali della madre nel 1992. Gli uomini del regime vicini a lui furono estromessi da ogni carica.
Nel 2000 Rifaat Assad ha contestato l'avvicendamento alla presidenza della Siria di suo nipote Bashar, considerandosi unico legittimato a succedere al fratello Hafez in qualità di vice-presidente, una carica che gli era nominalmente rimasta fino al 1999, e cancellata, secondo Rifaat in maniera anti-costituzionale, proprio per favorire il passaggio di potere verso Bashar.
Rifaat Assad detiene ancora sfere di influenze in Siria. È a capo del movimento Gruppo di Unità Nazionale, che raccoglie vari esponenti dissidenti siriani, che auspica il suo ritorno a Damasco e contesta l'attuale dirigenza siriana. Suo figlio Sumer dirige una piccola televisione, la Arab News Network, che è una sorta di organo che diffonde nel paese queste posizioni politiche. È inoltre considerato vicino alle posizioni del re dell'Arabia Saudita, Abdullah, con cui è anche imparentato (le mogli di Abdullah e Rifaat sono sorelle) ma si vocifera anche di suoi contatti sia con Israele sia con organizzazioni islamiche come i Fratelli musulmani. Il think-tank statunitense Stratfor lo ha indicato come uno dei possibili sospetti per l'assassinio del magnate libanese Rafiq Hariri, nel 2005, un attentato strategicamente destabilizzante per la Siria. Da quell'episodio nacque la cosiddetta "Rivoluzione dei Cedri" che portò le truppe siriane a ritirarsi da Beirut, mettendo fine ad un protettorato che durava da trent'anni.
In esilio si trova, dal 2005, un altro ex uomo forte del regime siriano. Si tratta di un altro "eterno vice-presidente", Abdel Halim Khaddam. Uomo della vecchia guardia baathista, fu progressivamente emarginato dal potere da Bashar Assad fino a diventarne uno dei più acerrimi avversari ed essere costretto a rifugiarsi in Francia. Da qui Khaddam ha lanciato numerose critiche al governo se non vere proprie accuse, come quella verso Bashar, di essere il mandante dell'assassinio di Rafiq Hariri. Khaddam ha formato un "governo siriano in esilio" e fondato un movimento politico, il Fronte di Salvezza Nazionale della Siria. Il suo feudo nel paese è la città costiera di Banias dove nei giorni scorsi si sono verificati gravissimi disordini. Mentre i media occidentali parlavano, indistintamente, di repressione nel sangue di proteste anti-regime, si stava verificando ben altro. Gruppi di rivoltosi, probabilmente con l'appoggio di fasce della popolazione, avevano occupato alcune moschee e fronteggiato in duri scontri i servizi di sicurezza. Un convoglio militare inviato per sedare la rivolta veniva attaccata sull'autostrada da uomini armati, provocando nove morti tra l'esercito. Solo l'intervento dei carri armati che hanno cinturato la città ha potuto ristabilire la calma, almeno apparentemente.
La televisione di stato iraniana, citata da Televideo Rai del 10 aprile, ha apertamente accusato Khaddam di complottare con alcune potenze straniere contro la Siria:
La tv di Stato iraniana ha accusato l'Arabia Saudita e la Giordania di aver organizzato le proteste in Siria, insieme a Usa e Israele, e di aver fornito armi all'opposizione. "Usa, Israele, Giordania e Arabia Saudita hanno formato un quartier generale congiunto nell'ambasciata saudita in Belgio per coordinare i disordini in Siria", ha affermato l'emittente, aggiungendo che l'operazione è diretta dall' ex vice presidente siriano, Khaddam. "Il complotto è nato per spezzare l'asse Teheran-Damasco-Beirut".
Il governo ha annunciato a Banias l'arresto di alcuni uomini indicati come vicini ad Abdel Khaddam, accusati di aver fomentato le proteste in accordo con alcune bande criminali. Che vi siano anche scellerati accordi tra eversori o addirittura spezzoni di potere e ambienti criminali a fomentare gli scontri è voce che corre di bocca in bocca a Damasco. Ne dà puntualmente conto Antonella Appiano, giornalista italiana che si trova da qualche tempo sul posto (vedasi il suo Diario da Damasco per Lettera43).
Secondo una testimonianza raccolta, potrebbero essere settori contrari alle riforme di Bashar Assad a creare la destabilizzazione e favorire così la linea dura del regime, l'ala più oltranzista che vuole preservare lo status quo: "fazioni dentro le strutture del potere ma scollegate dal regime. Un giro di droga, riciclaggio del denaro. Noi, in Siria, la chiamiamo mafia". Potrebbe quindi non essere un caso che si parli sempre più di due linee strategiche al vertice del paese. Una risalente a Bashar, tesa all'apertura, e una a suo fratello Maher, intransigente.
Il quadro internazionale è poi ovviamente ricco di posizioni anti-siriane. Ne avevamo già dato conto su Clarissa.it parlando di un accordo statunitense-saudita finalizzato a creare una complessa struttura sovversiva capace di agire su molteplici livelli per portare la destabilizzazione contro Damasco (si veda: Un piano di Arabia Saudita e Usa per destabilizzare la Siria? ).
Molto probabilmente aveva dunque ragione Bashar Assad quando durante il suo discorso alla Nazione tenuto nel Parlamento siriano lo scorso 30 marzo aveva dichiarato: "Diranno che crediamo alle teorie della cospirazione. In realtà non c'è alcuna teoria della cospirazione. C'è una cospirazione". Resta solo da capire chi, tra i tanti, sta soffiando sul fuoco.
di Simone Santini
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