La crescita economica e militare della Repubblica Popolare cinese preoccupa Washington che sta accerchiando con basi e accordi militari il Celeste Impero. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno accordato un pacchetto di “aiuti” militari a Taiwan per 5,8 miliardi di dollari, utili ad ammodernare i caccia F-16 di Taipei. In realtà dietro la commessa vi sarebbe l’invio di bombe intelligenti, missili teleguidati e uno studio di fattibilità per potenziare gli F16, nonché radar tecnologicamente avanzati (AESA), strumenti per la guerra elettronica, missili aria-aria e il sistema JDAM che trasforma le bombe in ordigni teleguidati ad alta precisione.
La notizia ha mandato su tutte le furie il governo cinese. L’ambasciatore Usa in Cina, Gary Locke è stato convocato d’urgenza e il ministero degli Esteri cinese ha diramato una nota: “Un errore quello degli Stati Uniti che minerà la relazioni bilaterali così come gli scambi e la cooperazione militare. Washington deve quanto mai ritrattare la decisione”. Il vice ministro degli Esteri Zhang Zhijiun ha espresso una formale protesta del suo governo all’inviato americano in Cina, così come ha fatto l’ambasciatore cinese negli Usa, Zhang Yesui. Ma non è la prima volta. Lo scorso anno infatti la vendita di un carico d’armi da 6,4 miliardi di dollari scatenò l’ira di Pechino. Dal canto loro esperti americani e cinesi hanno affermato che la persistente vendita di armi tecnologicamente avanzate a Taiwan da parte gli Usa costituisce un’autentica doccia fredda nei rapporti militari tra Cina e Stati Uniti che sembravano invece migliorare. Richard Bush, specialista in problematiche riguardanti i rapporti con la Cina e direttore del centro di ricerca sull’Asia nord-orientale dell’Istituto Brookings, ha sottolineato che la Cina non può assolutamente gradire le commesse americane a Taipei. Già in passato infatti Pechino aveva dichiarato che la vendita di armi a Taiwan, rappresentava un grosso ostacolo allo sviluppo dei rapporti tra i due eserciti.
E comunque il governo di Taipei non è il solo ad avere il sostegno statunitense che, da qualche tempo, ha deciso di circondare militarmente la Cina per frenare le mire strategiche di Pechino e mantenere il controllo su tutta l’area. E così il 13 settembre scorso a San Francisco si sono dati appuntamento i funzionari della difesa e della sicurezza statunitense ed australiana per gettare le basi di una più stretta cooperazione in ambito militare. All’evento hanno partecipato anche Leon Panetta e Hillary Clinton, rispettivamente segretario americano della Difesa e dello Stato, per una serie di colloqui con Stephen Smith e Kevin Rudd, le loro controparti australiane. Washington e Canberra hanno confermato di essere pronte a firmare gli accordi che daranno alle forze armate Usa libero accesso alle basi australiane. Un grande passo in avanti nelle strategie di Washington: l’intesa permetterà agli Stati Uniti di costruire un punto d’appoggio fra l’Oceano Indiano e il Pacifico. “L’Australia sarà un sostegno fondamentale nella regione indo-pacifica”, ha chiosato Patrick Cronin, esperto di Asia orientale militare presso il Center for a New American Security. L’accordo prevede che i militari americani avranno accesso alla base navale di Stirling (Australia Occidentale), a quella militare nei pressi di Townsville (Australia Settentrionale) e al porto di Darwin (Australia Settentrionale). Già lo scorso anno Washington e Canberra hanno firmato un trattato di difesa commerciale che ha dato all’Australia pieno accesso all’hardware militare degli Stati Uniti. In più Canberra sarebbe pronta ad acquistare anche 100 caccia F-35 dagli Stati Uniti, per un affare da 16 miliardi di dollari.
La strategia americana però non si ferma qui. Washington infatti coopera militarmente con Corea del Sud, Giappone, Filippine, Singapore, Vietnam e India, e possiede due enormi basi militari: una situata nell’isola di Guam, nell’Oceano Pacifico occidentale, la più grande e meridionale dell’arcipelago delle Marianne, e l’altra a Diego Garcia, la più grande dell’arcipelago delle Isole Chago, nell’Oceano Indiano, a 1.600 km dall’India. L’obiettivo degli Usa è quello di frenare l’ascesa di Pechino, e impedire le rivendicazioni del Dragone sul Mar Cinese meridionale (in particolare sulle isole Spratlay e Paracel, particolarmente ricche di idrocarburi) e su tutta l’area che va dall’Oceano Indiano al Pacifico, per tagliare le forniture energetiche di cui l’economia cinese ha un ardente bisogno.
di Andrea Perrone
Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=10519
di Andrea Perrone
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