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martedì 13 settembre 2011

Islanda, l’isola che non ci deve essere


Nelle gelide acque del mare del nord, appena ritemprate dalla corrente del golfo, c’è un’isola di 103.125 km quadrati con 320.136 abitanti (censimento luglio 2010) che ha lo spettrale nome di Islanda (Iceland, terra del ghiaccio). In realtà quest’isola è quasi completamente verdeggiante nonostante le rigide temperature; dicono che il suo nome sia dovuto a uno “scherzetto” dei vichinghi che per camuffare le loro rotte invertirono i nomi dell’Islanda, appunto, e della Groenlandia (Greenland, terra verde), quasi completamente coperta dai ghiacci in ogni stagione.

Negli anni 2008- 2009 l’Islanda attirò su di se l’interesse della cronaca e ogni giorno non c’era telegiornale che non ragguagliasse sulla situazione dell’isola. Di cosa si parlava? Non del fatto che è uno dei pochi paesi al mondo senza un esercito; non della sua peculiarità di usare al 99,9% fonti di energia rinnovabili; non della bellezza dei suoi paesaggi. Bensì del fatto che la crisi economica avesse costretto il paese, alla fine del 2008, a dichiarare bancarotta a causa della dissennata politica economica delle sue banche che avevano offerto rendimenti altissimi a investitori stranieri. La corona islandese perse l’85% del suo valore, e il Fondo monetario internazionale accordò un prestito di 2,5 miliardi di dollari in cambio della consueta richiesta di misure economiche drastiche volte a costringere il governo islandese a farsi carico del debito bancario spalmandolo sulla popolazione.

Il governo in carica eletto nel 2009 con consultazioni anticipate in seguito alla crisi, era di centrosinistra e criticava le politiche liberiste del precedente governo, tuttavia non aveva gli attributi per opporsi al FMI e alle pressioni di quegli stati, come l’Inghilterra e l’Olanda, che prima avevano rimborsato gli investimenti dei propri cittadini in Islanda, poi chiedevano il conto al governo dell’isola. Perciò accettò di riversare il debito sulla popolazione proponendo una manovra di salvataggio che avrebbe costretto ogni islandese a pagare 100 euro al mese per quindici anni. Il tutto per saldare un debito contratto da privati nei confronti di altri privati.

Fu qui che successe l’irreparabile. Il misfatto che ha portato i nostri mass media nazionali a smettere immediatamente di parlare dell’isola nordica cancellandola dalle carte geografiche. Gli islandesi il debito non l’hanno pagato! Il capo dello Stato si rifiutò, in seguito alle proteste, di firmare l’attuazione del piano di salvataggio e indisse un referendum popolare per la sua accettazione. Questo referendum, svoltosi all’inizio del 2010, si concluse con una schiacciante vittoria di chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini; e questo nonostante le pressioni internazionali del FMI e degli altri paesi creditori che minacciavano di far diventare l’Islanda la “Cuba del nord” se fosse uscita vincente quella linea politica. Una volta vinto il referendum, il debito è stato addossato a chi l’aveva creato, ovvero ai direttori delle banche che con politiche scellerate avevano concesso interessi insostenibili e ai politici che non avevano vigilato sul loro operato.

Ma la rivoluzione sull’isola non si è fermata qui. Visto che c’era, il movimento islandese ha sancito l’indipendenza dalle politiche economiche delle banche con una nuova Costituzione, scritta da un’assemblea costituente di venticinque cittadini (il cui requisito primario era che non dovessero essere iscritti ad alcun partito), a cui chiunque poteva dare il suo contributo. I lavori erano online in tempo reale e tutti gli islandesi potevano dire cosa era di loro gradimento e cosa no. Per la prima volta nella storia la Costituzione di un paese non è stata scritta in stanze chiuse con accordi e intrallazzi politici fra i partiti ma sotto agli occhi di tutti e con il contributo di tutti.

E oggi? Tutto bene grazie. L’economia è in crescita (+2,5% nel 2011 e previsto un + 3,1% per il 2012), le sirene catastrofiste del FMI sono state azzittite, il welfare non è stato toccato, i servizi sociali neanche e le banche sono state nazionalizzate. L’isola che non c’è… o l’isola che qualcuno non vorrebbe che esistesse? Funzionerebbe tutto ciò in un paese che di abitanti ne ha decine di milioni e non 320mila? Non lo sappiamo, non abbiamo la sfera di cristallo né la pretesa di avere le verità (economiche) assolute. Ma la vera domanda da porsi è: perché non se ne può parlare? Perché i vari Minzolini di turno non danno queste notizie? Un paese che disobbedisce al FMI e torna a crescere economicamente fa cosi tanta paura? O forse fa paura il fatto che, come diceva Alan Moore nel suo “V for Vendetta”, «Non sono i popoli che devono avere paura dei governi ma i governi che devono avere paura dei popoli»?

L’Islanda non è solo il vulcano che blocca i cieli europei con le sue eruzioni, è anche l’esempio che le linee economiche del FMI non sono dogmi e che forse, davvero, un altro mondo è possibile.

di Alessandro Chiometti
Fonte: http://www.cronachelaiche.it/2011/09/islanda-l%E2%80%99isola-che-non-ci-deve-essere/
Tratto da: http://www.altrainformazione.it/wp/2011/09/12/islanda-lisola-che-non-ci-deve-essere/

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