"... Il presidente Usa Barack Obama (il Premio Nobel per la Pace !?!?! n.d.r.), ha autorizzato in segreto la vendita a Israele di 55 potenti bombe “bunker-busting”, ovvero capaci di colpire gli obiettivi in profondità. Lo ha scritto nei giorni scorsi il magazine Newsweek, spiegando che, con tutta probabilità, l’obiettivo delle bombe ad alta penetrazione sono i siti nucleari iraniani. Il presidente democratico ha autorizzato la vendita delle GBU-28, ognuna delle quali pesa mille chili, nel 2009, mantenendola segreta. ... "
Procedono a rilento i colloqui tra la Repubblica Islamica e i Paesi impegnati nelle trattative sul programma nucleare di Teheran, in particolare i membri del Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia e Germania). Mentre su tutta la questione incombe l’ombra di un attacco militare contro le strutture iraniane, che, in caso, verrebbe volentieri portato a termine da Israele, che da tempo scalpita per colpire l’odiato nemico.
“Se falliamo nei negoziati con gli iraniani, il rischio di un intervento militare è elevato”, ha dichiarato ieri l’ambasciatore francese alle Nazioni Unite, Gerard Araud. Il diplomatico conosce bene le modalità di azione di Tel Aviv per aver lavorato a lungo in Israele come incaricato degli affari strategici al ministero degli Esteri francese.
Pur senza specificare quali Paesi sarebbero disposti a colpire l’Iran, Araud ha voluto mettere in guardia Teheran sulla crescente preoccupazione di “tutte le nazioni arabe” per il programma nucleare iraniano. “A titolo personale, sono convinto che i Paesi non accetteranno la prospettiva” di un Iran in possesso di armi nucleari, ha dichiarato rispondendo a una domanda.
In parte il diplomatico francese ha ragione: i Paesi arabi sunniti della regione, Arabia Saudita in primis, ostacolerebbero volentieri qualsiasi progresso dello storico nemico persiano (e sciita). Da alcuni documenti pubblicati da Wikileaks (?! ndr) emerse addirittura che Riad avrebbe fatto pressioni su Washington e Tel Aviv affinché attaccassero l’Iran. Ma la preoccupazione principale dei sauditi non è l’eventuale arsenale atomico di Teheran – che, anche volendo, avrebbe davanti ancora anni di ricerche per riuscire a diventare una potenza atomica – quanto piuttosto la crescente influenza economica e politica della Repubblica Islamica nella regione. Alla malcelata ostilità dell’Arabia Saudita si aggiungono le aperte minacce di Israele, che non perde occasione per invocare una dura punizione contro Teheran.
Per quanto riguarda gli altri protagonisti dei negoziati, ognuno è spinto da motivazioni contrastanti, che hanno portato le trattative a un apparente punto di stallo.
Gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati europei, sono intenzionati a isolare il più possibile il governo di Teheran dalla comunità internazionale, ma sono anche consapevoli che un conflitto armato nella regione avrebbe “conseguenze disastrose”, per usare le parole dello stesso Araud. Per questo motivo continuano ad alimentare le voci per cui l’Iran starebbe per costruire la bomba atomica. O meglio, si limitano a dire che Teheran “non è in grado di dimostrare che il suo programma nucleare è per scopi pacifici” (Barack Obama durante il suo intervento all’Onu). Probabilmente la figuraccia irachena ha insegnato agli statunitensi a essere più prudenti nelle dichiarazioni, in assenza di prove certe.
Mosca e Pechino, da parte loro, sono interessati a mantenere fruttuosi scambi commerciali con la Repubblica Islamica e cercano di diluire l’effetto delle sanzioni statunitensi e di arrivare a un accordo. In questi giorni il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha proposto all’Iran di “congelare temporaneamente la produzione di centrifughe” per l’arricchimento dell’uranio, come “primo passo” per prevenire un ulteriore inasprimento delle sanzioni.
Gli iraniani, però, sono restii ad accettare una simile proposta in mancanza di ulteriori garanzie. Il rischio è che, una volta spente le centrifughe, la loro riattivazione venga vincolata a una decisione del gruppo 5+1 e, di conseguenza, ogni tentativo iraniano di far ripartire la produzione potrebbe venire presentato come una violazione degli accordi. E il governo di Teheran non può permettersi una simile eventualità, anche perché un blocco del programma nucleare imposto dagli Usa verrebbe visto dall’opinione pubblica interna e da diversi esponenti politici come un’inaccettabile resa al “Grande Satana”.
Nel frattempo gli Stati Uniti armano Israele e minacciano i cinesi che fanno affari con l'Iran. Il presidente Usa Barack Obama, ha autorizzato in segreto la vendita a Israele di 55 potenti bombe “bunker-busting”, ovvero capaci di colpire gli obiettivi in profondità. Lo ha scritto nei giorni scorsi il magazine Newsweek, spiegando che, con tutta probabilità, l’obiettivo delle bombe ad alta penetrazione sono i siti nucleari iraniani. Il presidente democratico ha autorizzato la vendita delle GBU-28, ognuna delle quali pesa mille chili, nel 2009, mantenendola segreta.
E mentre arma i nemici della Repubblica Islamica, la Casa Bianca si preoccupa anche di minacciarne i partner economici. Durante la sua visita a Pechino, il sottosegretario Usa al Tesoro David Cohen ha avvertito le principali banche commerciali cinesi che “tutti gli istituti stranieri che intrattengono rapporti con la compagnia di assicurazioni iraniana Moallem rischiano di perdere la capacità di fare affari con gli Stati Uniti”.
Moallem assicura il principale trasportatore iraniano di container, Irisl (Islamic Republic of Iran Shipping Lines), che è sottoposto alle sanzioni statunitensi. Per questo motivo numerosi Paesi europei hanno chiuso i loro porti a Irisl, ma le sue navi continuano a lavorare in Asia.
di Ferdinando Calda
Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=10610
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