Una settimana dopo il veto con cui Cina e Russia hanno bocciato l'ultimatum che ingiungeva ai siriani di sbarazzarsi del loro governo nel giro di trenta giorni, gli Stati Uniti tornano alla carica. Cavano dal cilindro il più classico, screditato e inverosimle complottismo. In pompa magna e squilli di tromba annunciano che l'Iran è responsabile di aver ordito un complotto per assassinare l'ambasciatore dell'Arabia saudita. Dove? Naturalmente a Washington, non in qualsiasi altra capitale dei 193 Paesi restanti del globo (dove sarebbe più facile raggiungere lo scopo). Prove? Dopo le fialette
esibite all'ONU come "prova" dell'esistenza delle armi di distruzione di massa di Saddam...c'è da aspettarsi di tutto. Stavolta, tutto si basa su di un venditore d'auto usate iraniano del Texas, che avrebbe ordito la congiura in combutta con i narcos messicani (sic). Ma va...! Difficile crederlo, ma questa é la tesi della Casa Bianca. Tanto è bastato affinchè prima fila del governo nordamericano, desse fuoco alle polveri mediatiche e lanciasse minacce a destra e a manca del pollaio globale. Con relativo e rituale messaggio mafioso: "contro l'Iran non si esclude nessuna opzione". Ma riuscite ad immaginarvi gli ayatollah iraniani complottare con la narcomafia messicana dei Zetas? Mmuh....
Ricapitoliamo: un iraniano condannato, atti giudiziari ancora segreti, indagini dei "servizi" aperte da otre 6 mesi, ma il governo di Obama sceglie proprio questo momento per chiamare a raccolta tutti i vassalli d'0ccidente e i liberi paladini dei liberi "mercati" . Basta un giudice di provincia e Washington grida "al lupo, al lupo!". Pretende di essere creduto, sulla parola. E' credibile? No, sembra una foto in bianco e nero dell'epoca del senatore McCarthy, per illustrare una trama datata anni 50. Sul fronte dell'ONU non hanno potuto frenare la Palestina, che vedrà riconosciuta la sua indipendenza dai due terzi dell'Assemblea generale e da 9 Paesi sui 15 che formano il Consiglo di sicurezza. Sulla radicalzzazone accelerata del conflitto in Siria sono stati bloccati dal veto incrociato dei russi e dei cinesi. In Libia, Sirte non cede, il sud è in mano a Gheddafi, mentre Tripoli e Bengasi, salve gli aeroporti, tutto il resto è in disputa.
Internamente, gli Stati Uniti sono scossi da un movimento di protesta contro l'oligarchia finanziaria e le politiche sociali finora seguite. Si tratta di un movimento trasversale che ha toccato 66 città, dove sono attive forze provenienti da diversi settori -incluso veterani e soldati delle "guerre contro il terrore" smobilitati- che hanno per obiettivo principale l'elite finanziaria. Nella situazione interna, caratterizzata da accentuata destrutturazione dell'ortodossia liberista, affiorano segnali preoccupanti di decomposizione sociale. Propri di realtà in cui la proliferazione di disoccupati degenera in disperazione di de-classati.
Surriscaldare la caldaia del Medoriente, gocando la pericolosa carta dell'Iran, non è azzardo di nuovo conio ma ossessiva insistenza, che oggi è vera e propria fuga in avanti. Come riveló il generale W. Clark, dopo l'Iraq, Afganistan e Somalia, il programma bellico prevedeva soggiogare il Libano (obiettivo fallito), Siria (stand by), Libia (impantamento) e Iran. Le screditate classi dirigenti dell'Unione Europee daranno una mano all'incendiario o cercheranno di circoscrivere l'incendio?
di Tito Pulsinelli
Tratto da: Selvas.org
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