Pagine

venerdì 29 luglio 2011

Credibile, incredibile

Una interessante riflessione che si potrebbe fare attorno alle parole è che esse sono relative, ma le usiamo come se fossero assolute.
Sono soggettive, ma le usiamo come se fossero oggettive.

Cioè.

Ad esempio le parole "credibile" e "incredibile".
Quand'è che una cosa diventa credibile?
Quando può essere ritenuta vera.
E quando è che può essere ritenuta vera?
Quando può accordarsi con un bagaglio di nozioni accettate.
Credibile relativamente a un sapere precedente.

Tutti noi abbiamo un insieme di assuzioni sulla realtà che non mettiamo in discussione, "verità" che abbiamo costruito nel corso della nostra vita.
Un nuovo dato per essere accettato deve accordarsi e integrarsi con il bagaglio precedente.

Ma qui sta il punto: il bagaglio precedente fissa in qualche modo dei limiti rispetto a quello che di nuovo può essere accettato.
Molti esperimenti della meccanica quantistica possono apparire "incredibili" (non assimilabili) a chi fosse a digiuno di nozioni di quel tipo, mentre viceversa apparire "credibili" (assimilabili) per chi possiede già conoscenze di quel tipo con cui i nuovi dati si accordano.

Cioè "credibile" e "incredibile" sono concetti relativi, dipendono da quello che noi già sappiamo più che dal dato nuovo in sè.
Sono semplicemente parole con cui noi definiamo se il nuovo dato è da noi assimilabile o no.
Sono concetti soggettivi.

"Incredibile" cioè, non è sinonimo di "falso".

Capita di trovarsi di fronte a delle affermazioni "incredibili" che poi, una volta approfondita la questione, non appaiono più cosi' incredibili.
Ma i dati non sono cambiati. Siamo cambiati noi.

E perchè dico tutto questo?
Semplice...

Chi controlla il bagaglio di nozioni sulla realtà che la gente possiede controlla ciò che è credibile e ciò che è incredibile.


Chi controlla il bagaglio di nozioni sulla realtà controlla ciò che le persone possono riuscire a comprendere della realtà.

Chiaro no?

Cioè controlla se il nuovo ordine mondiale è credibile o incredibile, se le scie chimiche sono credibili o incredibili, se il signoraggio è credibile o incredibile, se il problema-reazione-soluzione è credibile o incredibile e via di questo passo.

Sembra che l'ultima battaglia si giochi attorno alla credibilità (eh si) di chi produce controinformazione.
Guai se certi autori possono essere percepiti credibili....no?

A me pare che se un autore dice 9 cose credibili e una dubbia io tengo le 9 buone, qualcuno invece dice che quella dubbia rende l'autore non credibile.

In questo modo avremo vaccinato le persone dall'accostarsi a certi messaggi.

giovedì 28 luglio 2011

I servi della disinformazione


Ben pagati, ben vestiti, costantemente in prima pagina o in televisione, sempre pronti a erudirci con i loro commenti pacati, ma ammantati di una falsa area di cultura…i nostri giornalisti…quelli del famoso “quarto potere”, perennemente proni ai padroni che li pagano, riempiono le nostre orecchie dei fumi della disinformazione.

Cos’è l’informazione nel nostro paese?

Un’accozzaglia di notizie messe in prima o seconda pagina a seconda dei diktat (...) dei loro “benefattori”.

Come nel medioevo, gli “artisti” dell’inganno ora vengono ben remunerati per dire ciò che bisogna dire…e tacere ciò che è meglio mai si sappia.

Scompaiono dalle news cartacee e via etere le notizie di quanto accade in Islanda, in Palestina, scompaiono gli operai di Pomigliano, scompaiono le sofferenze dei disabili, dei pensionati, dei disoccupati…che vengono ridotti solo a mere percentuali…ma non se ne vede un volto, non se ne comprende l’animo, non ci si interroga sui motivi, non se ne riportano le conseguenze reali e materiali.

Fa notizia solo ciò che deve, per forza, fare notizia....

Ed allora, senza alcuna indagine, che un qualunque giornalista, che tale debba ritenersi, è obbligato a fare, vanno bene le dichiarazioni della questura o dei poliziotti o del ministro Maroni, su quanto accaduto in Val di Susa…per poi ignorare, del tutto, i filmati ripresi dalla gente di quanto realmente avveniva.

Si riportano le esternazioni di un Presidente della repubblica sempre più lontano dal capire cosa accade nel nostro paese, se mai è stato capace di esserlo in tutta la sua carriera politica, tacendo o sminuendo le reali conseguenze che questa manovra fiscale, anche da lui voluta, comporterà per quegli 8 milioni di italiani che proprio oggi l’Istat ha dichiarato essere in stato di povertà.

Si intervista, per modo di dire, l’avvocato difensore della Minetti…senza alcun contraddittorio, solo riportando, pari pari, le sue farneticanti esternazioni.

Si danno le notizie staccate l’una dall’altra, senza un minimo commento, se ne tacciono altre…per il “servizio” che è dovuto a chi ti paga…e compra la tua anima e la tua coscienza.

Una disinformazione che costa agli italiani milioni di euro, perché questa carta straccia, chiamata stampa, viene foraggiata dal nostro Stato, e quindi come sempre da noi…come bene ha detto Grillo proprio ieri sul suo blog:

“ Il “Corriere della Sera” riceve trasferimenti pubblici per 20/25 milioni per carta, abbonamenti, spese postali e altro, cifre simili a altri quotidiani di larga diffusione, “l’Avanti” ha incassato 2.530.640 euro, “Buongiorno Campania” 1.041.078, “il Sannio Quotidiano” 1.726.598, “L’Avvenire” 5.871.082 euro, le “Conquiste del Lavoro” 3.289.851 euro, “Italia Oggi”, 5.263.728 euro, “il Musichiere” 277.769 euro per pubblicare “Chitarre” , “Carta”, che stampa “Carta” (su carta ovviamente) 506.660 euro, “Modus Vivendi Scienza Natura e Stili di Vita” 464.105 euro, “Motocross” 506.660, “Risk” 436.335 euro, “Superpartes in the world” 108.820 euro, “la Padania” 3.896.339 euro, “Secolo d’Italia” 2.952.474 euro, “Europa” di Rutelli 3.527.208 euro ,”L’Unità” 6.377.209 euro, “il Foglio” 3.441.668 euro, “Opinione delle Libertà” alla cifra di 2.009.957 euro, “L’Amico del Popolo” 260.840 euro, “Car Audio & FM 297.400 euro, “Quaderni di Milano” a 312.000 euro e “Rho Settegiorni” a 229.718 euro, etc…etc…”.

Ci nascondono tutto perché tutti, ed anche i giornalisti, mangiano e vivono sulle nostre disperazioni, sulle nostre tasse, sui nostri soldi.

Tutta gente ben pagata che ruba alla verità ogni suo accento, ogni suo sentimento.

La rete è la vera risposta a questa gente, una rete fatta dai cittadini che riprendono e riportano quanto realmente accade…dei professionisti servi della disinformazione ce ne stiamo liberando un poco alla volta…tra poco ci toccherà salire l’ulteriore necessario gradino…

di il Pasquino (Reset-Italia)

ECHELON: IL PROGETTO GLOBALE PER LE INTERCETTAZIONI


Mentre gli intercettatori sono in piena attività accanto allo Zio Sam e a John Bull, Rupert Murdoch, la forza morale dietro a Fox News, è solo un dilettante.

Questo perché il progetto per le intercettazioni globali gestito dagli Stati Uniti e dagli gnomi in Gran Bretagna è un qualcosa che fa i redattori di Rupert Murdoch al News of The World (TNTW) non si sarebbero mai azzardati a realizzare.

Il Premier britannico David Cameron potrebbe aver fatto bene a negare di sapere che TNTW stesse intercettando i telefoni dei domestici della Corona o quelli delle vittime dell’11 settembre. Ma non può pretendere di non sapere che il suo paese è un partner in ECHELON, che, secondo il giornalista di Washington Bill Blum, è una “pervasiva rete di stazioni per le intercettazioni altamente automatizzata” che sta intercettando il mondo intero.

Blum ha scritto nel suo libro, "Rogue State" (Common Courage Press): "Come un gigantesco aspirapolvere spaziale, la National Security Agency (NSA) succhia tutto il possibile: telefonate da casa, dall’ufficio, dai cellulari, email, fax, telefax, trasmissioni satellitari, il traffico in fibra ottica, le trasmissioni radio, quelle vocali, le immagini di testo catturate dai satellite che orbitano continuamente sulla Terra e poi le ritrasmettono ai potentissimi computer".

Definendola la più grande invasione della privacy mai realizzata, Blum dice che il sistema di spionaggio illegale e continuato aspira forse miliardi di messaggi al giorno, tra cui quelli dei primi ministri, del Segretario Generale della Nazioni Unite, del Papa, della ambasciate, di Amnesty International, Christian Aid, delle multinazionali e "se Dio avesse un telefono, sarebbe monitorato".

Blum ha anche scritto che durante il conto alla rovescia per l’invasione in Iraq nel 2003, gli Stati Uniti hanno ascoltato le conversazioni del Segretario Generale delle N.U. Kofi Annan, dell’ispettore per gli armamenti della N.U. in Iraq "e di tutti i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU […] quando stavano deliberando sulle azioni da intraprendere in Iraq."

Lanciato negli anni ’70 per spiare le comunicazione dei satelliti sovietici, l’NSA e i suoi partner secondari in Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda gestivano ECHELON, una rete invasiva di stazioni per le intercettazioni altamente automatizzata che copre l’intero pianeta a spese del contribuente statunitense.

Oggi, Ed Miliband, leader dell’opposizione Laburista, sta gettando fango sul premier Cameron per il fatto che, secondo il New York Times del 19 luglio, “i recenti scandali nella vita britannica sono stati provocati da una mancanza di credibilità tra le persone che sono nelle posizioni di comando”. In tutta la Gran Bretagna, ha detto Miliband, “c’è il desiderio di una nazione più dignitosa, responsabile e di sani principi”.

Quello che fa inorridire il pubblico britannico è la condotta dell’ex giornalista di TNTW Clive Goodman, che si dichiarò colpevole nel gennaio 2007 per aver intercettato le caselle vocali dei domestici della famiglia reale.

Scusatemi, ma come si può paragonare questo a ECHELON, un’organizzazione del governo USA, che spia il Segretario Generale dell’ONU o il Papa? O che arraffa, come ha fato, informazioni segrete su alcune trattative per poi passarle alle aziende da loro privilegiate?

Direi questo sul signor Murdoch: ha chiuso il suo più grande quotidiano; ha licenziato cinque redattori e giornalisti di firma per la loro parte negli scandali. È andato di fronte al pubblico e ha chiesto perdono. Al contrario, cosa hanno fatto i funzionari statunitensi per i crimini commessi con ECHELON? Niente, e non hanno alcuna intenzione altrimenti. Continuano a gestire ECHELON senza vergogna.

La TNTW di Rupert Murdoch stava solo tentando di fare in piccolo quello che i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e nuova Zelanda stanno facendo a ben altro livello ogni giorno. ECHELON è un’operazione criminale che viola le leggi internazionali e la sua eliminazione potrebbe far diventare anche l’America too, “un paese dignitoso, responsabile e di sani principi.”

di SHERWOOD ROSS (Global Research)

mercoledì 27 luglio 2011

L’ombra del nuovo ordine mondiale (NWO) dietro la strage di Oslo?

Esistono almeno dieci ottime ragioni per rivedere la versione ufficiale che le autorità e i Media ci hanno trasmesso del duplice attentato a Oslo e Utoja. Di queste, almeno sei valgono come moventi che potrebbero aver spinto coloro che sostengono un Nuovo Ordine Mondiale ad attaccare la Norvegia in modo che il sangue fungesse da monito per il futuro. Propedeutico a ciò l’entrata della Norvegia nell’Unione Europea.



In estrema sintesi: la mancata adesione all’UE; lo storico accordo di cooperazione siglato nel 2010 con la Russia e solo ora entrato in vigore; un’autonomia che si rispecchia in un Governo e un’economia forte che ha resistito alla crisi; una politica pronta a riconoscere la Palestina; le risorse di petrolio e gas e gli appalti ventennali sui pozzi iracheni; la decisione di ritirare le truppe dalla Libia; la spaccatura interna alla NATO facente capo a una politica filorussa; la presenza di una loggia massonica fondamentalista di culto svedese; le esercitazioni militari del governo norvegese che “avrebbero” – come nel caso dell’11/9 e di Londra 2005 – coperto l’operato dei terroristi. Infine, la testimonianza di numerosi sopravvissuti sull’isola di Utoja che ci fosse un vero e proprio commando che avrebbe affiancato Behring Brevik nella sua follia omicida.

Partiamo dall’evidenza: la mancata adesione della Norvegia all’Unione Europea. In due occasioni un referendum popolare ha bocciato l’ipotesi di entrare a far parte dei Paesi membri. Il no definitivo è arrivato nel 1994. Non solo, secondo un sondaggio il 66% della popolazione sarebbe contraria all’annessione. Su questa decisione peserebbe la crisi che hanno attraversato diversi stati membri una volta entrati nella UE.

Se da un lato pesa la recente indipendenza conquistata nel 1905 dal Paese dopo secoli di unione con Svezia e Danimarca, dall’altro il controllo delle acque territoriali con la pesca e l’accesso a risorse quali petrolio e gas votano a sfavore dell’adesione: in questo caso le loro acque potrebbero essere sfruttate anche da altri Paesi europei per la pesca, mentre dall’altro riceverebbero dure sanzioni per la caccia alle balene. Avendo sottoscritto il trattato di Schengen, la Norvegia non ha problemi con gli scambi economici, mentre un’eventuale adesione all’UE sarebbe controproducente per un Paese che ha standard ben al di sopra di quelli richiesti per l’annessione. La Norvegia si è dimostrata una Nazione autonoma, ricca, forte, che ha retto la caduta dei mercati e la conseguente crisi economica. Questa indipendenza non può che intralciare l’opera di coloro che vogliono Stati deboli per un’Europa forte che sostituisca le singole autorità nazionali.

Nel progetto di costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale, professato non solo dalle dinastie quali Rockefeller e Rotschild, ma anche da politici e capi di Stato, la mancata adesione al primo step rappresentato dall’UE non può che essere visto come un ostacolo da eliminare. Non si può escludere che entro un anno, dopo questo duplice attentato, venga riproposto il referendum per l’adesione all’Unione Europea e che questa volta il sì “magicamente” prevalga.

Nella geostrategia disegnata dagli USA e professata dal mentore e consigliere ombra di Obama, Zbigniew Brzezinski, emerge un rigurgito di Guerra Fredda che vede l’America come pilastro politico ed economico degli equilibri mondiali a cui si contrappone l’asse costituito da Russia e Cina, le uniche antagoniste all’espansionismo imperiale americano. A questi due blocchi si aggiungono Paesi indipendenti e forti che sembravano non aver bisogno della guida e della protezione degli USA. Che credono – o meglio credevano – di essersi ritagliate un porto sicuro fuori dalla geopolitica globale. Tra questi Libia e Norvegia sono gli ultimi esempi – seppur diversi – in ordine di tempo.

La Libia di Gheddafi è stata attaccata in quella che Obama ha definito incomprensibilmente una “non guerra” per ragioni che vanno ben oltre il mancato rispetto dei diritti umani. La decisione del Colonnello di abbandonare il dollaro per riprezzare petrolio, gas e altre materie prime e di adottare così una nuova valuta, il dinaro oro, può gettare una nuova luce sulle reali motivazioni che hanno portato a questo nuovo conflitto. Soprattutto a scaricare quello che per molti Paesi, Francia e Italia in primis, era considerato un valido alleato.

Trent’anni fa in un intervista rilasciata alla Principessa giapponese Nakamaru, Gheddafi aveva previsto l’intervento della CIA sul territorio libico e nel Medio Oriente per militarizzare l’area e impadronirsi delle materie prime. La decisione di riprezzare petrolio e gas – proprio come aveva fatto Saddam Hussein nel 2001 riprezzando il petrolio sull’euro – avrebbe ovviamente condotto a una svalutazione del dollaro che avrebbe messo in serio pericolo l’economia statunitense già sul baratro della bancarotta. Similmente la Norvegia si stava dimostrando troppo indipendente per gli interessi globali delle stesse elite che hanno appoggiato l’intervento in Libia. La decisione di ritirare la propria partecipazione sul territorio libico a partire dal 1 agosto di quest’anno ha portato il Ministro della Difesa britannico ad accusare il Governo norvegese – così come quello olandese- “di non fornire sufficienti forze aeree per la campagna in corso”.
A ciò si aggiunge l’accordo storico stipulato con la Russia, destinato a riscrivere gli equilibri economici mondiali. Il Trattato, firmato a Murmansk il 15 settembre scorso dal Primo ministro norvegese Jens Stoltemberg e dal Presidente russo Dimitri Medvedev, definisce la linea di demarcazione delle zone di influenza economica nel Mare di Barents, secondo un criterio che assegna, alle due nazioni, parti ritenute uguali, per regolare attività che vanno dalla pesca del merluzzo allo sfruttamento dei ricchissimi giacimenti petroliferi e di gas naturale in un bacino di 175 mila chilometri quadrati. Si può capire come tale asse strategico metta a rischio gli interessi e il controllo americano sul nostro continente. Anche in questo senso il duplice attentato può essere letto come un “avvertimento” a non procedere oltre…

Oltre ai giacimenti di gas e petrolio, Norvegia e Russia si sono aggiudicate tramite la Statoil Hydro e la Lukoil, l’assegnazione degli appalti ventennali su uno dei maggiori giacimenti petroliferi nel Sud dell’Iraq: una riserva di 13 miliardi di barili di petrolio. La Statoil aveva già fatto tremare le lobby americane dopo essere entrata in un partneriato con la Gazprom per il maxi giacimento di gas a Shtokman… Inoltre la Norvegia si sarebbe macchiata, secondo fonte di Ha’aretz – di aver escluso per ragioni etiche quasi un anno fa due imprese israeliane dalla partecipazione dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio nel Mare del Nord (http://www.haaretz.com/print-edition/business/norway-government-run-pension-fund-drops-africa-israel-group-shares-1.309874).

Veniamo ora alla politica estera. La Norvegia non si è solo “macchiata” della colpa di voler ritirare le sue forze aeree dalla Libia, ma si è contraddistinta per una politica giudicata da alcuni “anti NATO”.

Come riportato da Gianluca Freda sul sito ComeDonChishiotte.org secondo il Cablegate di Wikileaks, il governo norvegese sarebbe stato accusato di far parte della cosiddetta “banda dei cinque” insieme a Francia, Germania, Olanda e Spagna. Le cinque nazioni avrebbero adottato una politica filorussa, creando così una frattura interna alla NATO.

Il secondo peccato della Norvegia in politica estera sarebbe l’appoggio alla causa palestinese. Qui si possono comprendere meglio le voci che hanno parlato anche in questo caso, come nell’11/9, del coinvolgimento del Mossad nel duplice attentato. Ci torneremo più avanti. Il Ministro degli Esteri norvegese, Jonas Gahr Stoere, ha dichiarato in una conferenza stampa tenutasi a Ramallah, che il suo Paese era pronto a riconoscere il futuro Stato palestinese. Non solo. Il Partito Socialista di Sinistra di Kristin Halvorsen si è spinto oltre fino a chiedere di far votare una mozione in cui si chiederebbe un’azione militare contro Israele nel caso di un’azione violenta contro Hamas a Gaza. Il che è davvero troppo anche per un Paese come la Norvegia!

A ciò si aggiunge l’esclusione delle due imprese israeliane dalla partecipazione dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio e l’accusa che il Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liebermann mosse alla Norvegia di adottare politiche di antisemitismo. Allora Liebermann durante una riunione ONU a New York puntò il dito proprio contro il Ministro norvegese Jonas Gahr Store parlando di una sua connivenza con Hamas.

Per chi fosse ancora scettico in merito, basti pensare alla casualità del Fato (sic!) che ha visto il paladino dello causa palestinese, il Ministro Gahr Store, chiedere la fine dell’occupazione israeliana proprio giovedì scorso… a Utoja, presso il campo estivo della gioventù laburista! Che coincidenza davvero! Si capisce che l’avvertimento di Liebermann non gli era bastato…

Ma il Ministro degli Esteri non è il solo ad aver rischiato la pelle nel duplice attentato. Si pensi che il Primo Ministro Jens Stoltenberg aveva mandato i propri figli a prender parte proprio al campo di Utoja. I ragazzi e Gahr Store si sono salvati.

Ma costoro avranno capito il monito?

La lettura “alternativa” degli eventi ci spinge a constatare come ci sia stata un’accelerazione negli attentati “simbolici”, che dovrebbero fungere da avvertimento o da causa per una reazione da parte dei Governi. Quest’ultimo fu il caso dell’11/9 che condusse il Governo a rispolverare il Patriot Act che stava ammuffendo sulla scrivania di Bush jr. in attesa che un evento straordinario – “una nuova Pearl Harbour” come l’aveva evocata Brzezinski nel 1997 – sconvolgesse a tal punto l’opinione pubblica da poter stringere il cappio della sicurezza e trovare un movente per l’occupazione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq, i cui piani di evasione ammuffivano insieme alla bozza del Patriot Act. Le conseguenze sono storia. La Pearl Harbour auspicata da Brzezinki avvenne puntualmente l’11/9. Ma un punto su cui si è troppo poco discusso è l’esercitazione condotta dal NORAD e dal Consiglio di Stato Maggiore riguardo alla simulazioni di un ipotetico attentato aereo. Il caso volle che l’attento avvenisse poco dopo l’esercitazione, senza che NORAD, FBI e CIA riuscissero a far abbattere gli aerei che ebbero il tempo di virare verso i loro obiettivi con tutta calma sorvolando diverse basi militari… anzi! Numerosi caccia vennero mandati fuori rotta sull’Oceano Atlantico nell’ambito della fantomatica simulazione.

Ora, si vede che quando un inganno funziona coloro che si nascondono “dietro il trono”, hanno deciso di esportare le modalità dei false flag cambiando solo – su necessità – il capro espiatorio. Nel caso di Oslo – proprio come già avvenuto anche a Londra per gli attentati del 2005 – la polizia anti terrorismo norvegese stava eseguendo la tipica esercitazione con tanto di scoppio di esplosivi, all’insaputa degli ignari cittadini.

Ora, non essendo capitato solo una volta, la coazione a ripetere della modalità dei servizi segreti supportati dal Mossad potrebbe aver firmato anche questa pagliacciata.

La fantomatica esercitazione potrebbe essere servita – come nel caso dell’11 settembre e di Londra – a far agire indisturbati i veri responsabili degli attentati, in modo che potessero piazzare gli esplosivi. Così avvenne a New York, poi a Londra, ora a Oslo. Sono note le centinaia di testimonianze di cittadini americani che l’11/9 sentirono e videro esplodere delle cariche all’interno del World Trade Center. Basti pensare all’edificio numero 7 che crollò su se stesso in pochi secondo come in una demolizione controllata SENZA neppure essere stato colpito!

Ora, senza tornare sulle anomalie dell’11/9, la stessa cosa sembra sia accaduta anche a Oslo. L’esercitazione militare che si è tenuta 48 ore prima in prossimità del teatro dell’Opera, può aver benissimo coperto e permesso il piazzamento dell’esplosivo che non si è ridotto soltanto a un’autobomba ma ha colpito diversi edifici governativi.

Per chi si chiede che cosa c’entri il Mossad anche in questo caso, eccovi soddisfatti: come ha spiegato Gianluca Freda, «il Mossad opera in Norvegia in cooperazione con i servizi segreti locali, sotto la copertura del cosiddetto “Kilowatt Group”, una rete d’intelligence che vede la partecipazione, oltre che di Israele e Norvegia, anche di altri paesi quali Svizzera, Svezia e Sudafrica e che si maschera – manco a dirlo – sotto la finalità di facciata della “lotta al terrorismo”». Sul Kilowatt Group quel poco che si sa è emerso da alcuni documenti della CIA: è stato fondato nel 1977 ed opera a stretto contatto con il Mossad, «The group is dominated by Israel because of its strong position in the information exchange on Arab based terror group in Europe and the Middle East».

Infine, è evidente che il duplice attentato non possa essere stato commesso da un’unica persona. Non solo perché non ci sarebbe mai riuscita, sebbene Hollywood ci abbia abituato a credere a tutto. Ora, neppure Bruce Willis avrebbe potuto farcela da solo. Che un 32enne emotivamente fragile, mitomane e bugiardo, con il pallino della politica, cristiano e razzista possa essersi trasformato nella nemesi di Jason Bourne è semplicemente ridicolo. Che fosse un massone – del terzo grado! – non cambia le cose. Costui è stato evidentemente aiutato da qualcuno. I testimoni dell’isola di Utoja hanno infatti raccontato di aver sentito gli spari provenire da diverse parti, avvalorando la pista di un commando. Neppure un esaltato può agire indisturbato per un’ora e mezza con un fucile automatico! Che poi sia stato libero di agire per tutto questo tempo è un’altra questione che coinvolge la responsabilità della autorità.

(...)

È (...) evidente che il duplice attentato, che ha ora come unico capro espiatorio un giovane uomo trentaduenne, è stato un monito per la politica del Governo norvegese.

Un avvertimento a cambiare rotta, a sottostare alla creazione di un nuovo ordine mondiale e a sottrarsi alla cooperazione con la Russia. Un modo per far capire che l’indipendenza non è concessa.

Sarà servito?

Speriamo di no.
di Enrica Perucchietti (Il Democratico)
Tratto da:
http://www.vocidallastrada.com/2011/07/esistono-almeno-dieci-ottime-ragioni.html

martedì 26 luglio 2011

Gli Innominati


Gli attacchi militari più rilevanti sono sempre accompagnati da una copiosa e altisonante propaganda, che i media diffondono con ossequiosa solerzia. Sia pur cadendo nella trappola manipolatoria dell’informazione, è dunque piuttosto facile delineare i contorni del conflitto, dalle parti in guerra alle ragioni che hanno spinto una parte a brandire le armi contro un’altra. Ma quando le bombe perdono peso e diventano bond, i paesi che solitamente svolgono un ruolo attivo nei conflitti divengono obiettivi e i cieli di Tripoli e Baghdad si trasformano in mercati finanziari, ecco che la propaganda scompare, la macchina dell’informazione, vera o inventata che sia, si arresta, e sulle ostilità cala la nebbia, una fitta nebbia in cui, chi prima aveva visto Obama e Sarkozy lanciare i caccia contro Gheddafi o Bush padre scatenare Desert Storm contro Saddam, ora fatica a distinguere chi combatte chi e per cosa.

Come molti analisti osservano, le guerre moderne esplodono in Borsa. Proprio come avviene negli scenari militari dove i capi di Stato si dichiarano guerra tra di loro mentre la popolazione perisce sotto i colpi di artiglieria, oggi banchieri e finanzieri si sfidano sui mercati lasciando che sia la gente comune, che non sa nulla di titoli e derivati, a pagare il conto salato di queste azzardate partite finanziarie.

Dall’entrata in vigore dell’Euro, gli Stati aderenti sono divenuti società quotate in Borsa, soggetti cioè al rialzo o al ribasso delle loro quotazioni. Italia, Irlanda, Spagna, Grecia dovrebbero in realtà figurare con il suffisso S.p.A. Questo comporta che, se la società Stato, per un qualche motivo, dovesse mostrare segni di debolezza e vulnerabilità economica, ecco che i suoi titoli perdono valore, si innesca un meccanismo a cascata di vendite improvvise di bond di quello Stato (btp per l’Italia), che perdono quindi appetibilità e capacità di collocarsi in futuro sul mercato. La diretta conseguenza di questo fenomeno, a prima vista così distante dalle nostre vite quotidiane, è che lo Stato, nella pratica il governo di turno, data la sua impossibilità di stampare denaro in proprio in quanto privato della sua moneta sovrana, per raccogliere gli euro necessari al suo sostentamento, è costretto a vendere titoli di Stato agli stessi soggetti che poco prima se ne erano frettolosamente sbarazzati perché ritenuti inaffidabili. Cosa farebbe allora il gestore di un bar in mano agli strozzini per convincerli a prestargli altro danaro e non chiudere l’attività in forte perdita? Promettere interessi più alti. Per far ciò il gestore è costretto ad alzare il prezzo del caffè e licenziare un paio di baristi. Ma se aumenta il prezzo del caffè addio clienti, e addio soprattutto ai soldi per pagare gli interessi agli strozzini. A questo punto le strade sono due: dichiarare fallimento e rifiutarsi di pagare i debiti o il suicidio.

Il governo invece ha una terza strada da seguire, dal momento che a rimetterci non sono le tasche dei ministri o il loro posto di lavoro: convincere la gente che l’ultima manovra di tagli e sacrifici serve a calmierare i mercati, aumenterà la crescita e prima o poi tutto passerà. L’importante è che in Parlamento ci sia stata una “buona prova di coesione”, come dice il sempre più ricco e sereno Napolitano, e che l’opposizione abbia mostrato senso di responsabilità. Non importa che ormai il paese stia sprofondando in un pozzo senza fondo di debito e povertà.

La cialtroneria dell’attuale classe politica è sotto gli occhi di tutti. Ma non dobbiamo dimenticare che essa sguazza in un sistema creato da menti molto più raffinate che, alla luce dei risultati disastrosi che osserviamo oggi, sarebbe ora di raccontare e comprendere. Ai giornalisti, nel cui silenzio è da rintracciare la massima responsabilità dell’attuale stato di cose secondo Ida Magli, spetta il compito di indagare gli artefici di questo sistema. E invece si continua a sentir parlare di speculatori senza sapere chi si nasconde dietro questa nebulosa parola. Sappiamo delle nozze di Brunetta e i flirt di Bocchino; ci appassioniamo alla terminologia veterocomunista di Vendola e ai gestacci di Bossi e Calderoli; ma nessuno riuscirebbe a pronunciare il nome di un solo speculatore finanziario, un solo attore dei mercati borsistici da cui derivano le difficoltà a cui i nostri politici sono chiamati ad offrire l’illusione di rimediare. Nel mondo della finanza e delle banche e nei palazzi di Bruxelles oggi risiedono i massimi responsabili del dissesto dei conti pubblici di gran parte degli stati europei, affogati fino al collo da un debito impagabile.

I nostri soldati dovrebbero andare a stanare gli hedge funds alla City, e non Gheddafi. Loro sì che sarebbero veri patrioti e tutori della sicurezza nazionale.

Finale di partita


E’ ormai palese a chiunque che il ciclo storico che si era iniziato con la liquidazione della classe dirigente che aveva retto le sorti del Paese negli anni del bipolarismo si sta per compiere definitivamente. Svenduta gran parte del patrimonio pubblico, consegnato il Paese a banche e ad istituti finanziari italiani e stranieri (se negli anni Novanta il debito pubblico italiano era ancora nelle mani delle famiglie italiane, nel 2010 queste ultime ne possedevano solo il 9,58%, contro il 44,27% allocato all’estero) (1), americanizzato il sistema educativo, penalizzato in ogni modo lo Stato sociale a vantaggio dello Stato assistenziale (cioè a vantaggio di lobbies e gruppi d’interesse vari), integrati del tutto, una volta abolita la leva, i vertici delle Forze armate nella Nato, persa la sovranità monetaria con la creazione di Eurolandia, senza alcuna reale contropartita, se non quella di contribuire al fallimento politico dell’Unione europea, non rimane che privatizzare le ultime imprese strategiche della Nazione: Eni, Enel e Finmeccanica, in particolare.

Il “sonnifero” Berlusconi, sotto questo profilo, ha funzionato benissimo: gli italiani dopo essersi divisi tra sudditi di destra e sudditi di sinistra, potranno finalmente essere “unicamente” sudditi del mercato, mettendo da parte vecchi e nuovi rancori, ed essere tutti debitori, tranne i “soliti noti”, ossia quelli – per capirsi – che sono soliti trarre profitto dall’Italia dell’otto settembre permanente.

Tuttavia, è innegabile che la cosiddetta “casta” offra la corda a chi la vuole impiccare, così come la offriva il ceto politico di tangentopoli: vere erano le tangenti, veri sono i privilegi ignominiosi della “casta”; ma è vero pure che la terapia proposta dai “soliti noti” è peggio del male (reale) che si dovrebbe curare. Vent’anni di privatizzazioni hanno portato il Paese sull’orlo del baratro e chi avesse tempo potrebbe leggere l’incredibile quantità di sciocchezze pubblicate, negli anni Ottanta e Novanta, dalla grande stampa italiana (in specie dal Corsera e da Repubblica) sui “vizi pubblici” e le “virtù private”, nonché sulle magnifiche e progressive sorti del “libero mercato” angloamericano, per rendersi conto a che cosa in realtà mirano coloro che pretendono di voler risanare il Paese.

Allora però a complicare le cose scese in campo il Cavaliere, naturalmente allo scopo di difendere i propri interessi, ma ostacolando così il completo smantellamento del nostro apparato strategico, non fosse altro perché troppo impegnato a prendersi cura del proprio patrimonio e della propria persona, dentro e fuori le aule dei tribunali, tanto che non sembrava infondata l’ipotesi che certi “ambienti” sia cattolici sia del “vecchio” ceto politico, democristiano e socialista, potessero usare il Cavaliere come uno scudo, ovvero (anche) allo scopo di impedire la totale subordinazione dell’Italia ad interessi stranieri. Una ipotesi confermata, secondo alcuni, dagli accordi con Putin e con Gheddafi, in quanto segno di una politica estera tale da poter implementare programmi strategici di medio-lungo periodo, smarcando (benché, per così dire, soltanto “in potenza”) l’Italia da una “alleanza” che, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, si è ridotta, inevitabilmente, ad essere mero rapporto tra Paese dominante e Paese dominato.

Nel giro però di pochissimo tempo tutto è finito: con la ignobile partecipazione all’intervento militare della Nato contro la Libia, è evidente che il Cavaliere ormai pensa soltanto a salvarsi tirando i remi in barca (di lusso), dopo aver letteralmente “sputtanato” il Bel Paese, avendo un comportamento con il “gentil sesso” che si addice più ad un fenomeno da baraccone che non ad un Presidente del Consiglio. Danno gravissimo però non tanto questo, al di là di facili battute, quanto piuttosto la perdita “secca” di peso sulla scena internazionale, che, sommata alla politica antinazionale dell’oligarchia atlantista (gli Amato, i Prodi, i Ciampi, i Draghi, i Montezemolo, i De Benedetti, i D’Alema, i Fini, i Casini e tutti gli altri “nostri bravi ragazzi” in doppiopetto a stelle e strisce) ed alla incapacità dei governi del Cavaliere di porre un argine all’indebitamento del Paese, dopo l’entrata in Eurolandia, fa sì che la Penisola sia alla mercé di potenze e potentati economici stranieri e delle loro quinte colonne. Nessuna manovra, come anche gli italiani più sprovveduti o meno attenti hanno intuito, potrà infatti evitare che la speculazione e le agenzie di rating facciano lievitare i tassi d’interesse sul debito, costringendo il Paese a fare ciò che i “mercati” hanno deciso che il Paese debba fare (”perfetta logica” della democrazia di mercato). E il fatto che vi possano essere anche più “soggetti” in competizione tra di loro per spartirsi la torta, o meglio quel che rimane (ma non è poco) della torta tricolore, non solo non smentisce che il “libero mercato” pare una libera volpe (quasi sempre “English speaking”) in un libero pollaio, ma rende ancora più difficile trovare una soluzione, ammesso che vi sia qualcuno che la voglia trovare.

D’altra parte, non è solo questione di finanza ed economia, ma di lacune strutturali che, da un lato, non hanno permesso di fare le riforme necessarie (a partire da quella della pubblica amministrazione, vera e propria vacca da mungere per alcuni gruppi sociali, assai ben organizzati, che, come si era già compreso negli anni Settanta, contribuiscono in modo determinante allo “sfascio” del Welfare) per rendere “produttiva” la spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi fondamentali (sanità, scuola etc.), onde rafforzare la coesione sociale e l’etica pubblica, notoriamente quasi del tutto assente nel nostro Paese. Dall’altro, hanno reso pressoché impossibile promuovere un sapere strategico per superare la incapacitante dicotomia sapere umanistico versus sapere tecnico-scientifico, di modo che si è rinunciato a formare le nuove generazioni secondo un punto di vista “nazionalpopolare”, ovvero tenendo conto sia della esigenza di modernizzare il sistema sociale, sia di quella di tutelare e valorizzare il più possibile la propria identità culturale e la propria storia, anche per non perdere l’effettiva capacità di “orientarsi” in un mondo in rapida e continua trasformazione, e non essere costretti a mutare direzione ogni volta che muta il vento della storia, con l’ingrato compito di fare i rappresentanti degli interessi dei padroni d’oltreoceano e/o dei loro “bravi”, come se fossero anche i propri (sotto questo aspetto, le recenti vicende della Libia sono più che istruttive). Ne è derivato un impoverimento politico e culturale, che si vorrebbe compensare con massicce iniezioni di “razionalità tecnomorfa”, quasi che oggettività fosse sinonimo di adeguatezza. Non stupisce allora che perfino il sociologo Luciano Gallino, dopo avere affermato che “se l’industria italiana ebbe negli anni Sessanta e Ottanta un notevole sviluppo e una importante affermazione, lo si deve al fatto che la scuola pubblica, attraverso gli istituti specifici, formava decine di migliaia di tecnici, di periti, di capi”, abbia precisato che oggi però “di sapere tecnologico e tecnico ce n’è già molto nella scuola [mentre ci sarebbe] bisogno di persone che, accanto a una ragionevole dose di specializzazione, [avessero] ampie competenze generali e strategiche per comprendere i grandi fenomeni del mondo in movimento. Ci sarebbe molto più bisogno di quanto non si creda di pensiero critico in tutti campi”. (2) Ma ai disastri combinati negli ultimi due decenni non si può porre rimedio in breve tempo, mentre il tempo del Paese pare essere veramente scaduto.

D’altronde, se si dovesse ritenere che queste considerazioni, in definitiva, non siano pertinenti, giacché i problemi da risolvere sono essenzialmente di natura economica, ci si lasciarebbe sfuggire che è proprio la debolezza strategica del nostro sistema che rende possibile un attacco contro l’Italia, senza correre eccessivi rischi, dacché, nonostante tutto, vi sarebbero ancora molte “carte” da giocare, se alla guida del Paese vi fosse una classe dirigente degna di questo nome ed una opinione pubblica ben informata e capace di valutare con cognizione di causa qual è l’interesse nazionale, senza pregiudizi ideologici, ma anche senza rinunciare a (ri)definire il Politico e l’Economico alla luce di una idea di bene comune intersoggettivamente condivisa. (Al riguardo, non si può non criticare il pregiudizio, tipico del nominalismo, secondo cui esistono solo gli individui. Basta aprire un qualsiasi libro di storia per comprendere, come insegna il filosofo francese Paul Ricoeur, che i singoli Paesi, ma anche entità come il Mediterraneo – si pensi, ad esempio, alle opere di Fernand Braudel – agiscono come “personaggi” di un racconto, sono cioè “entità seconde” – nel senso che non sono “riducibili” agli individui, pur se esistono solo in quanto esistono gli individui. Ed è naturale che per definire, su basi storiche e razionali, l’interesse nazionale si debba tener conto di questo “secondo” o, se si vuole, “emergente” livello di realtà).

Pertanto, occorre riconoscere che sono le condizioni generali del sistema italiano che impediscono a priori quel rinnovamento sociale e politico senza il quale è del tutto illusorio pensare di evitare il declino del Paese, anche se si riuscisse non a risolvere ma perlomeno a “gestire”, in qualche modo, la crisi economica. Di fatto, in politica vale, mutatis mutandis, quel che vale per le istituzioni militari; ossia sono tre i fattori che contano: preparazione tecnica e materiale, azione di comando e preparazione morale. E poiché in Italia difettano tutt’e tre, occorre prendere atto che non v’è alcun punto, se così è lecito esprimersi, su cui poter far leva per una autentica rifondazione della società e dello Stato. Del resto, i primi ad opporre resistenza ad un autentico e radicale rinnovamento sociale e politico sarebbero, con ogni probabilità, proprio i ceti medi (sebbene, paradossalmente, siano i ceti più “tartassati” e più bisognosi di riforme di struttura) dacché – oltre alla tradizionale idiosincrasia per la cultura (solo il 46,8% degli italiani “si accosta” ad un libro almeno una volta l’anno rispetto al 70% dei Paesi dell’Unione europea), alla propensione a premiare i furbi e punire i meritevoli, al pressappochismo ed a scambiare la (vuota) forma per la sostanza (non è il nostro Paese quello dei “dottori” e dell’ordine dei giornalisti?) – nell’arco di qualche decennio si è pure diffuso un modello di consumismo tra i più grossolani e volgari dell’Occidente, che ha ulteroriormente indebolito la coscienza civica, la memoria storica e la maturità intellettuale dei ceti medi italiani (né ciò è forse senza relazione con l’ondata pseudorivoluzionaria del ’68 italiano, dato che non è affatto un caso che gran parte dei sessantottini siano diventati i – peggiori o migliori, a seconda di chi giudica – consiglieri di Mammona). Sicché, è lecito ritenere che anche la parola d’ordine “sovranità” (politica, militare, culturale), per quanto condivisibile, rischi di essere nulla più di un “wishful thinking”, a meno che la storia di questi ultimi anni non generi essa stessa quel “contraccolpo” necessario per un radicale mutamento di paradigma, che non dovrebbe concernere solo l’Italia, bensì la stessa Europa. Non solo perché la questione della sovranità nazionale, volenti o nolenti, passa attraverso le istituzioni della Unione europea, ma perché il sistema italiano, per le ragioni sopraccitate, non può essere (o è assai poco probabile che possa essere) “ri-formato” dall’interno. Nondimeno, la crisi dell’euro – niente affatto di natura contingente ed al tempo stesso causa ed effetto di una trasformazione della Unione europea in una sorta di gigantesco supermercato, di gran lunga più utile alle banche cha non ai popoli europei – lascia pensare che la “vera crisi” sia ancora all’inizio, con quel che ne può conseguire sia per l’Europa che per l’Italia. Crisi di sistema, quindi, non intepretabile secondo un’ottica economicistica, tanto quella dell’Italia quanto quella della Unione europea. Ovviamente, si tratta di crisi indubbiamente diverse, ma non irrelate. Ciò non significa che possano essere gli europei a risolvere i problemi degli italiani – ché sarebbe ridicolo anche solo pensarlo – ma che si dovrebbe prestare attenzione soprattutto al modo in cui si può evolvere la “relazione” tra la crisi italiana e quella dell’Euro(pa), considerando questa stessa relazione in connessione con il passaggio, ancora in atto, da una fase storica tendenzialmente unipolare ad una che sembra essere multipolare, ma la cui configurazione non può non variare al variare della potenza (relativa) degli Usa. In questa prospettiva, certamente complessa, si gioca dunque un finale di partita che non potrebbe avere esito felice per il Paese, rebus sic stantibus. Questa non è una profezia, ma, lo si concederà, una semplice, anche se spiacevole, constatazione. Ciononostante, in politica le regole possono cambiare di punto in bianco – anzi, in un certo senso, sono le regole la vera posta in gioco – e non è azzardato ritenere che tanto più si ridurrà la potenza (relativa) degli Usa, ovverosia quanto minori saranno le possibilità degli Stati Uniti di realizzare il loro disegno di egemonia globale, tanto maggiori saranno le possibilità strategiche e operative di quei giocatori, non tutti di poca importanza, che, nell’attuale fase storica, potrebbero avere interesse a non rispettare più le regole del gioco. Non che si debba essere ottimisti, ché l’ottimismo, si sa, è l’oppio degli imbecilli; ma si dovrebbe evitare di farsi gabbare da chi, in buonafede o in malafede, pretende di vincere una partita che è irrimediabilmente persa. Ed essere invece consapevoli che la condizione necessaria per una soluzione, se non la soluzione, della crisi che attanaglia l’Italia (e non solo l’Italia) consiste, appunto, nel cambiare le regole del gioco, posto che anche l’attuale sistema sociale non è piovuto dal cielo, ma è l’effetto (benché non necessariamente quello voluto) di precise scelte strategiche.

Note
1) http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimefp/2011/sb23_11/suppl_23_11.pdf
2) http://diversamentestrutturati.noblogs.org/post/2011/05/02/i-precari-e-linganno-della-flessibilita-luciano-gallino/

di Fabio Falchi
Tratto da: http://www.cpeurasia.eu/1565/finale-di-partita

L’Europa delle banche è il nostro nemico


L’accordo europeo che le borse e la stampa hanno accolto con grande entusiasmo, prepara un nuovo drammatico attacco ai diritti sociali e alle stesse libertà dei lavoratori e dei popoli europei. Non c’è niente da gioire per il fatto che il governo europeo delle banche ha trovato un’intesa per pilotare il fallimento della Grecia, senza far rimettere troppi soldi alla speculazione. La cambiale di questo accordo la pagheranno tutta, come già stanno facendo, i lavoratori e i cittadini greci, che hanno visto in pochi mesi regredire di trent’anni le loro condizioni sociali.

La pagherà la civiltà e la democrazia, la pagheranno i beni comuni, il patrimonio culturale, se è vero che un ministro finlandese ha chiesto il Partenone, in garanzia dei prestiti alla Grecia, e se è vero che il presidente del parlamento europeo Junker ha detto che in questo momento la Grecia non può permettersi di essere una democrazia. La dittatura bancaria che governa l’Europa ha trovato un accordo, ma già ora si annuncia che dovremo pagarne tutti i costi. Il Sole 24 ore ha addirittura fatto i conti su quanto si risparmia con la pensione a 70 anni. Perché non calcolarla allora fino a 80? I risparmi sarebbero ancora maggiori. Le privatizzazioni, le liberalizzazioni, la mercificazione di tutto sono il prezzo da pagare per la stabilità dell’Europa delle banche. E non è un caso che la manovra del governo italiano, un attacco durissimo alle condizioni di vita e al salario di tutti noi, sia stata elogiata a Bruxelles, così come è stato elogiato l’accordo interconfederale che distrugge contratto nazionale e democrazia.

Quest’Europa delle banche ci è totalmente nemica e per questo dobbiamo combatterla. Non ci sarà libertà, non ci saranno diritti, non ci saranno eguaglianza e giustizia, né tantomeno ci saranno cambiamenti nel modello di sviluppo e nell’economia, fino a che la dittatura delle banche governerà e fino a che i governi europei avranno molta più paura di un verdetto di Moody’s o di Goldman Sachs piuttosto che dell’indignazione e della rivolta dei popoli.
(...)

di Giorgio Cremaschi
Tratto da: http://www.megachipdue.info/tematiche/beni-comuni/6521-leuropa-delle-banche-e-il-nostro-nemico.html

Sotto mentite spoglie


Mettiamo subito in chiaro una cosa: non esistono governi "tecnici", che fanno l'interesse generale nei momenti di crisi, nell'illusione che si possa governare asetticamente, come se ci fosse da risolvere un'equazione matematica. I governi cosiddetti "tecnici" decidono sempre cose sommamente politiche. Di "tecnico" c'è solo che tecnicamente nessuno se ne assume la responsabilità politica, nessuno ci mette la faccia per farsi giudicare dagli elettori. I governi "tecnici" sono governi politici sotto mentite spoglie, agiscono come società fiduciarie, per conto terzi. Terzi di cui l'opinione pubblica non afferra l'identità. Si configura con i governi "tecnici", insomma, il conflitto di interessi all'ennesima potenza, il delitto perfetto. E se si lasciano tracce, si fa in modo che A e B non siano collegabili e che il tutto venga nascosto sotto montagne di teorie cospiratorie indimostrabili.

Ecco perché nel bene o nel male, chi ha fiducia nella democrazia si assume i rischi di un governo incapace, ma legittimato democraticamente e quindi politicamente responsabile, e diffida delle scorciatoie tecnocratiche, che hanno la stessa probabilità di una dittatura illuminata di produrre esiti liberali.  

lunedì 25 luglio 2011

SVENDITA ITALIA: L'ABC - PANFILO BRITANNIA

Ecco un'altro vecchio articolo di Nicoletta Forcheri (settembre 2008) di estrema attualità, per la serie la storia insegna ... o meglio dovrebbe insegnare.
I.T.


Dalla lettura di un articolo del Corriere di qualche giorno fa, la Goldman Sachs sarebbe sul punto di prendere il controllo della rete Wimax italiana; del resto non c’è nessuna sorpresa, visto il ruolo cruciale che la Goldman, azionista della Federal Reserve americana, ha svolto sin dall’inizio nella svendita dell’Italia, di cui si può ragionevolmente affermare che sia iniziata con esattezza il 2 giugno 1992 – nonostante alcuni precedenti inutili tentativi - con l’accordo preso sul panfilo Britannia, onori di casa fatti dalla Regina d’Inghilterra, al largo di Civitavecchia, tra Draghi, allora direttore generale del Tesoro, Azeglio Ciampi, in qualità di governatore della Banca d’Italia, e un centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassoneamericana (Barclays, Warburg, azionista della Federal Riserve, PricewaterhouseCoopers – ex Coopers & Lybrand – Barings – oltre alla Goldman ecc.) e degli ambienti industriali e politici italiani. Era presente anche Costamagna, che diventerà dirigente della Goldman quando sua moglie finanzierà l'ultima campagna elettorale di Prodi.

Lì gli angli dettarono le istruzioni su come privatizzare, per scelta obbligata, le industrie italiane statali. Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa”, manco ne fossimo stati tra i Sei paesi fondatori…

E questa è oramai storia, tant’è vero che sull’episodio del “panfilo Britannia” vi furono le interrogazioni parlamentari di alcuni onorevoli come Raffaele Tiscar (DC), Pillitteri e Bottini (PSI) Antonio Parlato (MSI), autore di tre interrogazioni rimaste senza risposta e della senatrice Edda Fagni (PCI). Fu l’inizio dell’era dei governi tecnici, dopo 40 anni di regime DC, con il “tecnico” Ciampi, il tecnico Amato, il tecnico Prodi. Il governo doveva, a tutti i costi essere “tecnico”, pur di non fare arrivare al potere neanche un’idea, che fosse tale e che lo fosse per il bene del paese, come sarebbe potuto esserla quella, ad esempio, di un Aldo Moro…

Era la stagione dell’attentato a Falcone cosicché – guarda caso - la stampa non diede il dovuto risalto all’incontro, e da poco erano iniziate le indagini di Tangentopoli - nome in codice Manipulite – cosicché molti esponenti degli ambienti politico-economici si ritrovarono improvvisamente “minacciati” dall’insidia latente di potersi ritrovare nell’occhio del ciclone. Un modo per “ammorbidire” un ambiente, prima della grande “purga”? Certo è che Manipulite sembra sia avvenuta proprio in un momento opportuno per fare “PiazzaPulita” di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere le “ManiLibere” di fare entrare i governi dei “tecnici”, quelli che con i loro amici della Goldman e della Coopers ci avrebbero inculcato la “medicina” amara della svendita dell’IRI.

Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese (l’IRI ad oggi sarebbe stata la maggiore multinazionale al mondo e noi non saremmo un paese in svendita), lui che tenne testa agli americani nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori della nave, terroristi palestinesi, e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il veto del presidente Reagan… Certo è che Craxi, dopo l’inizio di Tangentopoli, dovette rassegnare le dimissioni a febbraio del 1993…Guarda caso…

E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani, quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna, proprio di “ingerenza dello Stato in economia” - per voce dei loro accoliti Andreotti, Spadolini, Cossiga - perché aveva decretato la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca (di cui divenne però presidente onorario), e perché si era opposto alla vendita dello SME, il complesso alimentare dell’IRI, negoziato direttamente dal suo presidente Romano Prodi ma smentita da una direttiva del Governo.

Mediobanca, secondo il sito e movimento internazionale Movisol (http://www.movisol.org/draghi4.htm ) “fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Frères [altra azionista della Fed Res] di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell’establishment britannico, il Pearson Group PLC (…) che controlla anche la rivista “The Economist” e il quotidiano “Financial Times”. Nel piano di spartizione del bottino della seconda guerra mondiale "l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui avrebbe predominato l'influenza britannica", influenza che nel frattempo è scesa a patti con la grandeur della Francia….

Ma tornando agli angli, era quindi chiaro che per potere procedere alle privatizzazioni bisognava togliere di torno una classe politica che mostrava i muscoli davanti a certe velleità statunitensi di comandare a casa nostra, e soprattutto che non voleva mollare l’osso – o il malloppo - per lasciare posto a una classe di tecnici, fedeli servitori delle banche e dei circoli finanziari angloamericani, il cui motto era “privatizzare per saccheggiare”. Quella della condizione di tecnicità per accedere al potere fu un imperativo talmente tassativo, da riuscire nell’intento di dividere il PCI, con una fetta che divenne sempre più “tecnica”, sempre più British, sempre più amica delle banche, sempre più …PD…

Il premio di tutta questa svendita, prevista per filo e per segno in tanto di Libri sulle privatizzazioni dai governi tecnici, o di sinistra che dir si voglia (a firma di Amato o di Visco) fu la nostra “entrata in Europa”, demagogicamente parlando, o la cessione della nostra già minata sovranità monetaria dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea SA c per una moneta, l’euro che, con il tasso iniziale di cambio imposto euro-Lira troppo elevato fu penalizzante per le nostre esportazioni. Senza più la possibilità di emettere moneta quando il governo lo reputi giusto, con la possibilità di vendere i titoli del debito pubblico in mani istituzionali estere e private (fino al 2006 il nostro debito doveva rimanere in mani pubbliche e nazionali), senza neanche un governo economico a livello europeo che possa controllare quella banda di imbroglioni, è come se ci avessero improvvisamente messo sulla piazza pubblica per venderci al mercato degli schiavi…

E non c’è l’ombra di un dubbio che nel nostro indebitamente crescente vi sia la mano invisibile di qualche regia occulta, occulta ad esempio come i British Invisibles, che organizzarono appunto la riunione sul panfilo, occulta come alcuni azionisti che si nascondono nelle partecipazioni incrociate e a catena e di cui mai si riescono a scoprire i nomi. O come i mandanti di Soros che speculò sulla Lira per svalutarla, facendoci uscire dallo SME (Sistema monetario europeo) proprio per ostentare lo spauracchio del rischio di “non entrare in Europa”.

L’anno 1992 fu davvero un anno cruciale per il destino del nostro paese, tant’è vero che quando Amato divenne presidente del Consiglio qualche giorno dopo l’incontro sul panfilo, con il decreto 333 dell’11 luglio trasformò in SpA le aziende di Stato IRI, ENEL, INA ed ENI e mise in liquidazione l’Egam. In quell’anno, quando Amato dovette far fronte alla speculazione contro la Lira di Soros, utilizzò 48 milioni di dollari delle riserve della Banca d’Italia, dopo avere operato un prelievo forzoso dell’8 per mille dai conti correnti degli italiani. Sempre in quell’anno mise in liquidazione l’Efim, le cui controllate passarono all’IRI e trasformò le FS in SpA. Sempre nel 1992 Draghi, Direttore del Tesoro preparò la Legge Draghi che entrerà in vigore nel 1998 con il governo Prodi e si predispose una legge per permettere la trattativa privata nella cessione dei beni pubblici qualora fosse in gioco “l’interesse nazionale”….

Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo prezzo e a collocare le azioni che le tre banche pubbliche, BNL (diventanta della BNP Paribas), Credito italiano e Comit detenevano ina Banca d’Italia, privatizzando il 95% della stessa. Indovinate chi scelse come "Advisor"?

Uomini della Goldman, nel senso che vi hanno lavorato sono, oltre a Costamagna e Prodi, Monti (catapultato alla carica di Commissario), Letta, Tononi e naturalmente Draghi. Sicuramente ce ne sono altri; molti nostri uomini politici se non lavorano per la Goldman, lavorano per l'FMI, come Padoa Schioppa, presidente della BEI, Banca europea per gli Investimenti.

Queste sono informazioni che dovrebbero essere spiegate in lungo e in largo dalla stampa, e sicuramente superate dagli avvenimenti - tranne articoletto del Corriere sopra - e invece sono state, e lo sono tutt'ora, accuratamente occultate al grande pubblico, anche se per quelli che gli altri si divertono a chiamare complottisti, per denigrarne le parole, è storia arcinota.


Approfondimenti:
http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/02/convegno_sul_Britannia_sponsor_Regina_co_0_92060218751.shtml

domenica 24 luglio 2011

Decennale di Durban, ecco perchè l’Italia non può partecipare


Sabato abbiamo riferito, o meglio denunciato, il fatto che Frattini, a nome dell’Italia, abbia boicottato il decennale di Durban, in programma il 22 Settembre a New York.
L’annuncio di Frattini è giunto a 2 mesi di tempo dall’appuntamento sponsorizzato dall’Onu, dunque con grandissimo anticipo.

Ma come mai l’Italia manca ad un appuntamento internazionale alla quale partecipano centinaia di paesi?

Secondo Frattini, il “processo di Durban” suscita le riserve italiane perchè “è stato negli anni oggetto di strumentalizzazioni politiche per trasformarlo in una tribuna d'accusa contro Israele”.
Frattini prosegue sostenendo che le derive del 2001 e del 2009 del processo di Durban fossero anti-israeliane e sostiene che l'intervento del 2009 del Presidente iraniano Ahmadinejad legittimasse “le tesi negazioniste sull'Olocausto''.

Frattini dice allora che l’Italia avrebbe chiesto di inserire nel testo finale che “riferimenti fatti in passato nell'ambito del processo di Durban alla specifica situazione mediorientale non fanno parte dell'impegno internazionale contro la discriminazione razziale”, ma visto che ciò non viene accettato l’Italia ritiene che “non sussistano le condizioni minime perche' l'Italia possa partecipare all'evento commemorativo del 22 settembre prossimo''.

L’Italia è libera di prendere qualsiasi decisione sulla partecipazione o meno al decennale di Durban, questo sia chiaro, ma il problema è che Frattini mente sulle motivazioni dell’assenza dell’Italia; semplicemente perchè di motivazioni valide non ce ne sarebbero e si tratta, chiaramente, di un ordine arrivato da fuori Italia.

Il processo di Durban, qualsiasi deriva abbia assunto, è l’esito dei lavori e dei pensieri dell’insieme dei paesi membri dell’Onu, ricchi e poveri, deboli e potenti. È stato uno dei pochi luoghi dove il voto degli Usa valeva quanto quello del Bangladesh. In questa sede centinaia di paesi sono giunti alla conclusione che l’operato di Israele nei territori palestinesi è una forma di Apartheid e di Razzismo.

Pertanto, l’Italia non può imporre una propria politica individuale ad un gruppo internazionale che tra l’altro lavora dal 2001 su una certa questione e dire che non partecipa perchè si potrebbe giungere a conclusioni; è a dir poco infantile, ridicolo e completamente contrario alla normalità. È come se l’Italia si ritirasse dall’Onu perchè questa non approva tutto quello che l’Italia vuole.

Ma tralasciando questo concetto diplomatico Frattini mente sulle motivazioni.

Il processo di Durban non ha assunto alcuna deriva specifica; ha solo avuto la colpa di dire la verità su certe politiche e azioni inqualificabili del regime di TelAviv.

Frattini, forte del sostegno dei media asserviti, racconta bugie anche sull’intervento del presidente iraniano nel 2009. Il presidente iraniano ha, al massimo, chiesto solo di non processare gli storici che vogliono condurre ricerche sull’Olocausto. Richiesta sacrosanta, tra l’altro.

Al Ministro Frattini bisognerebbe chiedere se pure le pressioni fatte sul governo greco per non far partire la Freedom Flotilla 2, fossero per via di strumentalizzazioni pericolose e negazioniste.

Ministro Frattini, perchè il Cavaliere Berlusconi nel 2009 ha definito “giusta” l’operazione “Piombo Fuso” su Gaza. Anche lì c’erano preoccupanti deviazioni negazioniste dei 1400 palestinesi massacrati da Israele?

La verità è che l’Italia è stata trasformata in una nazione a sovranità limitata; una nazione che non può decidere la sua politica estera e deve prendere ordini dall’estero; per l’Italia decide Washington se si tratta di affari occidentali e decide TelAviv se si tratta di questioni inerenti al mondo arabo ed al Medioriente.

È una Italia che è andata a fare la guerra in Libia quando lo stesso Berlusconi ammette che non la voleva fare. È una Italia che sommersa nella crisi economica, deve pagare per le missioni all’estero in cui deve impegnarsi per ordini degli Usa: deve sperperare i suoi fondi perchè lo vuole il padrone; deve rendersi nemica tutto il mondo arabo e islamico perchè fa piacere ad Israele.

È libera di farlo, sia chiaro, ma quello che il Ministro Frattini non può fare, è nascondere la verità agli italiani.

Tratto da: http://italian.irib.ir/analisi/commenti/item/94738-decennale-di-durban-ecco-perchè-l’italia-non-può-partecipare

sabato 23 luglio 2011

Attentati Oslo: riepiloghiamo ...


In questo post raccolgo tutta una serie di articoli e considerazioni tratte dal web, con le relative fonti, che possono essere utili a chiarire gli attentati di Oslo altrimenti apparentemente inspiegabili.
----------------------
Attentato ad Oslo: le riflessioni del Washington’s Blog

(...) si impone subito una riflessione, indipendetemente dall’arresto di uno dei presunti attentatori, un uomo bianco dalla fattezze scandinave. La nostra riflessione coincide più o meno con quella che riporta il Washington’s blog:

1) La Norvegia è tra i paesi che ha riconosciuto lo stato palestinese ed ha annunciato che nella prevista votazione all’ONU, a settembre si schiererà a favore della creazione di uno stato palestinese;

2) La Norvegia ha annunciato il suo ritiro dalla guerra di Libia;

3) La Norvegia, secondo fonte di Haaretz, lo scorso anno ha escluso, per ragioni etiche, due imprese isaeliane dalla partecipazione allo sfruttamento dei pozzi petroliferi del mar del nord;

4) Circa due anni fa, il senatore statunitense-ebreo Lieberman aveva accusato la Norvegia di promuovere l’antisemitismo.

Tutto può essere, ma come fa notare il Washington’s Blog, la Norvegia non sembra proprio un paese che possa entrare nel mirino degli Arabi. Mentre i media ufficiali del mondo, ed ovviamnete anche quelli italiani, hanno subito rilanciato l’idea di una possibile matrice araba degli attentati, noi preferiamo riflettere sugli eventi e sulla storia.

di Attilio Folliero

----------------------
Cos'ha la Norvegia che l'Italia non ha?

(articolo scritto da Nicoletta Forcheri in tempi non sospetti (18/11/2010) in cui si paragona economicamente la Norvegia all'Italia dimostrando come la Norvegia non sia allineata al NWO e quindi "pericolosa" n.d.r.).
 
(...) l'economia norvegese è caratterizzata dalla proprietà statale di grossi comparti industriali cruciali come il petrolio (Statoil), l'energia idroelettrica (Statkraft), l'alluminio (Norsk Hydro), la principale banca del paese (DnB NOR), e le telecomunicazioni (Telenor), e che ben il 30% del valore della borsa di Oslo è in mano allo Stato. Se si comprendono anche le partecipazioni in società non quotate, la quota pubblica aumenta drasticamente con i titoli petroliferi diretti. Insomma, la Norvegia ha la sua IRI intatta, prima del golpe bianco del Britannia.

Inoltre il petrolio del paese è controllato dal governo tramite i maggiori operatori come il 62% in Statoil nel 2007, la controllata statale al 100% Petoro, e SDFI, oltre al controllo delle licenze di esplorazione e produzione. Una sorta di ENI alla Mattei, prima del fatale "incidente".

Poi scopro che il paese, pur essendo il primo produttore ed esportatore di petrolio d'Europa, non è membro dell'OPEC, e che ha fondato un FONDO PENSIONI SOVRANO nel 1995 per ridistribuire i proventi del petrolio, del fisco, dei dividendi, delle cessioni e delle royalties. Si aggiunga a questo che non fa parte dell'UE e che la sua corona è pertanto più sovrana/pubblica dell'euro.

Infine, la Banca centrale norvegese gestisce uffici di investimento a LONDRA, NEW YORK E SHANGHAI.

Viene da chiedersi: ma se l'Italia fosse come la Norvegia monetariamente sovrana cioè fuori dall'euro?
E se non fosse trivellata da cima a fondo da multinazionali estere e/o finanziarie (come l'ENI) per i suoi giacimenti di idrocarburi, i secondi per ordine di importanza in Europa ?
E se per le nostre preziose risorse elettriche non fosse sfruttata da scatole cinesi della multinazionale di stato francese EDF?
E se le nostre risorse idriche, tra le maggiori al mondo, non fossero in mano alle multinazionali dell'acqua in bottiglia tipo Nestlé, e dai due colossi francorotti Suez Gaz de France e Veolia?
E se i proventi di dette risorse pubbliche li gestissimo per ridistribuirli al popolo come nei paesi dove esiste un social welfare?
Avremmo un debito pubblico inesistente come la Norvegia?
(...) Bisognerebbe come minimo non avere ceduto al golpe bianco del Britannia (nel 1992, decisione della svendita dell’IRI con l’aiuto della svalutazione della Lira in seguito all’attacco di Soros), per la verità poi neanche riconosciuto come tale dalla stampa ufficiale. (...)

di Nicoletta Forcheri

----------------------
Osservazioni

(...) La Banca Centrale Norvegese è rimasta una delle ultime banche europee controllate dallo STATO (e... non dai banchieri PRIVATI). Tale banca gestisce anche il Fondo Pensioni norvegese, in ATTIVO (un piatto ricco con i tempi di crisi) Per questi fatti la Norges Bank NON vuole far parte del sistema EURO.

La Norges Bank è la PRIMA banca Centrale in assoluto ad aver citato in giudizio nel 2009 per truffa sui DERIVATI la CITY Group, il più grande gruppo d'affari del Mondo. Immaginiamoci gli esiti delle sentenze che il Tribunale amministrativo di Stato norvegese dovrebbe emettere...

(...) il Governo norvegese ha firmato recentemente un importante Trattato con accordi del confine acqueo nel Mare del Nord con la Federazione Russa, ai fini di un CONGIUNTO sfruttamento gas-petrolifero, escludendo di fatto le "7 sorelle" multinazionali globali, storicamente "coinvolte" in tali frangenti e rappresentanti gli interessi primari di Canada e USA ,ovviamente contrarie a tale accordo

(...) la Norvegia abbia recentemente decretato di uscire dalla coalizione di Stati contro la Libia, aggiungendo alla NATO un'ulteriore difficoltà "politica".

(...) il Governo norvegese abbia evidenziato, PRIMO in Europa, un futuro riconoscimento della Palestina come STATO sollevando molti consensi ma anche dure e aspre critiche

di Fabio Calzavara (FB)
----------------------


Traete le vostre conclusioni ...
Info Tricks

venerdì 22 luglio 2011

Le falsità sull'Italia divulgate dai media

In risposta a una trasmissione USA sull'intenzione della finanza di attaccare l'Italia per le sue ingenti riserve di oro, puntualizzo che:

1) non è vero che Berlusconi possiede il 90% dei media infatti, di fronte al suo compare Merdock - che controlla al 100% Sky Italia - ne possiede sicuramente meno del 50%. Per inciso, Sky Italia ha oscurato unilateralmente Mediaset Plus dalla sua piattaforma senza preavviso, esattamente come quando le banche richiedono un rientro repentino facendo fallire imprese e famiglie;

2) non è vero che l'Italia non è ricca di petrolio e di gas. Secondo un rapporto di una multinazionale inglese, è il secondo paese più ricco di petrolio d'Europa. Guardate la Basilicata oppure semplicemente una cartina delle trivelle in Italia per capire che l'Italia è una manna per le sorelle petrolifere, con "pratiche burocratiche snelle per i permessi" e royalties tra le più basse al mondo 10% (con esenzioni per le prove sui primi 20 milioni),agevolazioni fiscali (il 35% di aliquote massime sul reddito, nel 2008) http://www.northpet.com/operations/italy/ )

3) in quanto all'oro esso è già fisicamente depositato presso caveaux a Washington (Federal Reserve), Londra (Bank of England) e Svizzera (BRI) [Fonte: Ulisse, RAI3, gennaio 2010 http://www.youtube.com/watch?v=T_2d3LdPpbc ], ed esiste una querelle su a chi appartiene, perché apparteneva a Banca d'Italia, quando era pubblica, e adesso secondo la BCE, appartiene sempre a Banca d'Italia, anche se tutti i suoi azionisti sono diventati privati, tranne l'inps che cartolarizza anche i rotoli del cesso: ricordate quella polemica di Tremonti che aveva dichiarato che l'oro apparteneva al paese e non a Bankitalia?

Adesso si tratta solo di consolidare il furto.... è facilissimo, con il macigno del debito sulla testa, il furto è presto consumato.

Perché queste falsità? Facile, per derubarci meglio. Berlusconi per fare da parafulmini e fenomeno di distrazione di massa, il secondo punto è invece piuttosto omesso, perché le multinazionali ci derubino meglio nell'ombra, con trivelle e sondaggi del sottosuolo, acquisizione dati, il tutto a nostra insaputa. Bombardano la Libia ricca di petrolio e oro, e per di più ex alleata dell'Italia a causa del "cattivo" Berlusconi, per sottrarle il petrolio, l'oro, la moneta...Noi siamo costellati di basi nucleari non certo per difenderci dalla Russia, ma per minacciarci direttamente in caso di passi falsi nei confronti dell'oligopolio globale che tiranneggia il mondo e che ha una zampa ben inficcata nel nostro paese. Il terzo punto - giuridico - la proprietà del "nostro" oro, non penso invece che Tremonti ne parlerà più per molto...

di Nicoletta Forcheri

Tratto da: http://mercatoliberotestimonianze.blogspot.com/2011/07/le-falsita-sullitalia-divulgate-dai.html