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domenica 29 aprile 2012

Severino "I blog possono fare più danni dei giornali"

Si era già sentito parlare di attacco ai blog e di leggi "ammazza blog" ma questa volta a dichiarare "guerra" ai diari personali su internet e più in generale alla Libertà di Stampa e direttamente il ministro della giustizia (abusivo) ...

"I blog possono fare più danni (!!!) dei giornali ... " (Severino)

A me viene in mente solo una frase:

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." (Mahatma Gandhi)

... direi che siamo decisamente nella fase 3 ... CI COMBATTONO ... dunque diamo fastidio al sistema, dunque dobbiamo perseverare !!!

Ecco di seguito tre (tra i tanti) articoli che entrano nel dettaglio della notizia. (John Infotricks)

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La Severino: I blog possono fare più danni dei giornali

Ci riducono con le pezze al culo, ci lapidano di tasse, fanno entrare oves et boves nel nostro paese, arrestano chi si difende da rapinatori armati stranieri mentre scarcerano i delinquenti, tolgono industrie piccole, medie e grandi, commerci e artigianato continuando ipocritamente a parlare di "crescita",  e ora dulcis in fundo? La mordacchia ai BLOG.

Non c'è che dire: questa degli abusivi è  una giunta golpista e delinquenziale. Non chiamatelo governo.  Tanto vale per noi blogger trasferire i provider in Cina o in Iran, vista la loro  conclamata "democrazia". A dire la verità quella del controllo  della rete è un vecchio pallino di vari governi di "sinistra" e di "destra" (da Prodi ad Alfano). Ricordate l'idea di Ricardo (con una c) Franco Levi?  Ora la giunta dei "colonelli tecnici" ci riprova, forte del consenso di una legge "europea".


Si legga qui l'articolo "Severino:  allo studio nuove regole sui blog:

E sentite cosa dice la Severino (e cioè la scarceratrice di pregiudicati a scopo svuotamente delle carceri per motivi "umanitari"):

"I blog possono fare più danni dei giornali», ha detto Severino (ndr: si noti l'eliminazione dell'art. determinativo femminile da parte del cronista del Corsera, in ossequio alla Fornero)   accennando a una regolamentazione in sede di Unione Europea per evitare ch i provider si possano trasferire in Paesi dove le maglie della legge sono più larghe. «Il cittadino ha il diritto di interloquire con un altro. Ma deve seguire le regole», , ha detto il ministro creando non poco scompiglio nel mondo digitale dove i tweet sono subito impazziti. «Scrivere su un blog non autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se si sta trattando di diritti di altri. I blog hanno capacità di diffondere pensiero ma questo non deve trasformarsi in libertà di arbitrio», ha ripeuto Severino che appunto prevede presto una forma di regolamentaziome. Anche se sarà «difficile pensare a un'obbligo di retifica nei blog» (notare gli errori di ortografia del cronista Corsera). E conclude con un monito: «Sappiate che quello che voi fate ad altri potrà essere fatto a voi. Cominciate ad autoregolamentarvi».

Temo che la Severino sia in cerca di nuovi prigionieri per le future carceri del NWO: fuori i delinquenti, dentro i blogger poco allineati al pensiero Unico. La loro ipocrita missione della "falsificazione del Bene" sta cercando di edificare  nuovi Muri repressivi con sempre nuovi mattoni.
 
 
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"Sgoverno MONTI": LIBERTA’ DI PENSIERO ADDIO

di Gianni Lannes

Finale di partita o dipartita finale? Un fatto è certo: la censura totale. La libertà di pensiero non è gradita  a chi detiene il potere per conto terzi. Ora tocca ai blog: la democrazia va annichilita per sempre, tanto la popolazione italiana non reagirà mai, avranno pensato i maggiordomi dell’alta finanza e i soliti boiardi di Stato.  Al totalitarismo soft del terzo millennio imposto da un potere straniero in salsetta tricolore, non basta controllare le leve dell’economia, le forze armate, la stragrande maggioranza degli organi di informazione o ricattare i morenti partiti. Adesso che iniziano a manifestarsi i veri effetti delle manovre governative, ovvero fallimenti di massa e suicidi a catena, spunta fuori la proposta ministeriale di Paola Severino: una regolamentazione per i diari liberi che navigano su internet. Niente di nuovo: ci aveva già provato il piduista di Arcore, con tessera 1816 rilasciata dalla loggia P 2 di Eugenio Cefis (il mandante degli omicidi Mattei, De Mauro e Pasolini). Lo ha annunciato proprio il ministro della Giustizia, non eletta democraticamente, ma imposta con un golpe presidenziale - in barba alla Costituzione repubblicana e alla sovranità popolare - intervenendo al Festival del giornalismo di Perugia, evento già sponsorizzato dall’Enel con tanto di propaganda nuclearista. Nessun giornalista di fama ha reagito: l’atonia intellettuale è più che completa.

Un pretesto - «Il cittadino ha il diritto di interloquire con un altro cittadino - ha detto il guardasigilli abusivo - ma lo deve fare seguendo le regole: credo che questo sia un dovere di tutti, anche di chi scrive su un blog». «Il fatto di scrivere su un blog - ha aggiunto - non ti autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se stai trattando di diritti di altri. Ricordiamoci che i diritti di ciascuno di noi sono limitati dai diritti degli altri, io non posso intaccare il diritto di un'altra persona solo perché sono lasciato libero di esprimermi». Sui blog, in particolare, Severino ha sottolineato come «il problema non è vederli con sfavore ma reprimere gli abusi che vengono fatti, anche se su internet è più difficile. Non c’è un preconcetto - ha ribadito - ma questo mondo va regolamentato altrimenti si finisce nell’arbitrio». L’autentico problema italiano, almeno per il ministro è quello di reprimere i cosiddetti e presunti abusi. «Il giornale - ha detto la Severino - ha una sua consistenza cartacea. Il giornalista è individuabile e l’editore anche ed è dunque possibile intervenire. Il blog ha invece una diffusione assolutamente non controllata e non controllabile. E’ in grado di provocare dei danni estremamente più diffusi. Ecco perché bisogna vederne anche la parte oscura. E’ un fenomeno certamente positivo per certi aspetti ma nel quale si possono annidare anche cose negative (può essere un punto criminogeno). Questo mondo va regolamentato e pur nella spontaneità che ne rappresenta la caratteristica non può trasformarsi in arbitrio».

Senti chi sproloquia - «Il cittadino - ha spiegato il ministro - ha il diritto di interloquire con un altro cittadino ma lo deve fare anche lui seguendo le regole. Credo questo sia un dovere di tutti, anche di chi scrive sui blog. Il fatto di scrivere su un blog non ti autorizza a scrivere qualunque cosa soprattutto se stai trattando di diritti di altri. Ricordiamoci che i diritti di ciascuno di noi sono limitati da quelli degli altri. Non posso intaccarlo solo perché sono lasciato libero di scrivere. Mi devo sentire libero di scrivere e i blog hanno questa grandissima capacità di diffondere il pensiero in tempo reale, un grandissimo pregio che riconosco. Ma questo non deve far trasformare la libertà in arbitrio. Questa è una regola che tutti dovrebbero seguire». Del resto «è molto difficile» configurare un obbligo di rettifica per i blog.
Repentino l’intervento  del deputato Massimo Donadi: «Il web è un patrimonio di tutti, è e deve restare libero. Siamo contrari a qualsiasi forma di censura sui blog, che sono fondamentali per la circolazione delle notizie, del pensiero e della cultura». «Non c’è bisogno di leggi restrittive perché le norme attuali già sono sufficienti contro la diffamazione e la circolazione di notizie false. I blog sono un esempio di libertà, un fenomeno culturale e informativo da coltivare e sostenere, non certo da controllare o imbavagliare. I blogger sono una risorsa, i problemi dell’informazione sono ben altri».

Tallone giudiziario - Secondo l’avvocato Severino «è nelle fasi interlocutorie delle indagini che più di frequente avviene la comunicazione e la diffusione della notizia». La selezione spetta quindi, secondo il ministro, al pubblico ministero o al giudice, a seconda dei momenti. «L’idea di base è lasciare al magistrato il compito di escludere le notizie che non sono rilevanti e attengono esclusivamente alla sfera personale delle persone interessate dal provvedimento, anche in quelle fasi nelle quali il provvedimento stesso viene consegnato alle parti» ha spiegato. In pratica quella cui sta pensando il ministro è una regolamentazione imperniata su tre cardini. Primo fra tutti la libertà della magistratura i secretare informazioni che metterebbero in crisi le indagini e allo stesso momento «salvaguardare la sfera personale». Perché, sostiene il ministro non è utile, neppure ai giudici, che si divulghino elementi non riconducibili alle indagini. I tre punti sono: «il diritto-dovere del giornalista di informare su fatti che hanno una rilevanza sociale, quello del magistrato di portare avanti le proprie indagini con una tutela della riservatezza indispensabile in alcune fasi e infine il diritto del cittadino, anche sotto indagine, di vedere pubblicate notizie che attengano all’inchiesta ma non esclusivamente la sua vita privata e anche di non vedere sui mezzi d’informazione contenuti di intercettazioni non rilevanti per il procedimento». Insomma, in questa ottica, dopo la sentenza decalogo della Cassazione, saranno i magistrati a stabilire come e cosa scrivere o raccontare.

Addio articolo 21 - «I blog possono fare più danni dei giornali», ha detto Severino, accennando a una regolamentazione in sede di Unione europea per evitare che i provider si possano trasferire in Paesi dove le maglie della legge sono più larghe. «Il cittadino ha il diritto di interloquire con un altro. Ma deve seguire le regole»,  ha detto  la Severino. «Scrivere su un blog non autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se si sta trattando di diritti di altri. I blog hanno capacità di diffondere pensiero ma questo non deve trasformarsi in libertà di arbitrio», ha ripetuto Severino che appunto prevede presto una forma di regolamentazione. Anche se sarà «difficile pensare a un obbligo di rettifica nei blog». Sarebbe invece opportuno introdurre nel codice penale un nuovo reato: ossia l’ostacolo alla libera informazione. Una norma positiva per rafforzare la difesa di un diritto sancito dalla Costituzione e dalla carta fondamentali dei diritti europei.

Deriva pericolosa - Sereni e sorridenti e spensierati. Ridere senza pensare: è l’imperativo categorico. Ci vogliono come tifosi lobotomizzati, mentre ingiustizia, corruzione e mafie statali imperversano. Al popolo italiano vengono tenute nascoste verità inconfessabili, ad esempio la presenza sul suolo nazionale di centinaia di ordigni atomici targati USA, in violazione del Trattato internazionale di non proliferazione nucleare (TNP).  Al popolo italiano vengono tenute nascoste da più di mezzo secolo le cose essenziali per la libertà. Per dirla con il grande presidente Sandro Pertini: «Libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile». A quando la concretezza di una nuova resistenza che salvaguardi le libertà e i diritti fondamentali? L’Italia, come abbastanza noto, è al 75° posto della classifica mondiale della libertà d’informazione. Vogliono farci retrocedere all’ultimo gradino planetario con tanto di decreto governativo? Il peggio, forse deve ancora arrivare: il Parlamento è stato già platealmente esautorato da ogni facoltà. Ci vogliono sudditi, non cittadini e così tentano di privarci anche della libertà d’opinione. Non dimentichiamo che in punta di diritto costituzionale, il governo Monti è privo di autorità legittima, in quanto non sottoposto al voto democratico, ovvero alla sovranità popolare. Allora: congediamo pacificamente Monti Mario e la sua banda di autoritari burocrati, prima che l’addomesticamento in atto dia i suoi frutti più deleteri.


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Festival Giornalismo Perugia: il Ministro Severino
"I blog possono fare più danni dei giornali"


Intervenuta oggi al Festival del Giornalismo Perugia 2012, il Ministro della Giustizia Paola Severino si è espressa in materia di informazione enunciando tre punti fondamentali.

- Controlli su blog e facebook.
- Filtro alle intercettazioni.
- Punizioni per giornalisti, editori e aziende nei casi di pubblicità camuffata da informazione.

La ministra ha dunque annunciato che sono allo studio nuove regole in materia di blog.
Ecco le dichiarazioni della Severino pubblicate da Corriere.it:
«I blog possono fare più danni dei giornali», ha detto Severino, accennando a una regolamentazione in sede di Unione europea per evitare che i provider si possano trasferire in Paesi dove le maglie della legge sono più larghe. «Il cittadino ha il diritto di interloquire con un altro. Ma deve seguire le regole», , ha detto il ministro creando non poco scompiglio nel mondo digitale dove i tweet sono subito impazziti.
«Scrivere su un blog non autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se si sta trattando di diritti di altri. I blog hanno capacità di diffondere pensiero ma questo non deve trasformarsi in libertà di arbitrio», ha ripeuto Severino che appunto prevede presto una forma di regolamentaziome.
Anche se sarà «difficile pensare a un'obbligo di retifica nei blog».
E conclude con un monito: «Sappiate che quello che voi fate ad altri potrà essere fatto a voi. Cominciate ad autoregolamentarvi».

Un monito che suona più come una minaccia.
Se nel 2010, Reporters sans frontiers poneva il nostro Paese al 49° posto nella classifica delle nazioni in cui c'è maggior libertà d'espressione, dove potremo finire con nuovi restringimenti alla libertà di parola e dunque di pensiero?
Oggi la ministra dice che sarà difficile porre l'obbligo di retifica ai blog, però..., come avevo già accennato, nel nuovo disegno di legge sulle intercettazioni è incluso il comma Alfano-Buongiorno che introduce(va) la cosiddetta "legge ammazza blog", con l'obbligo di retifica sia per siti sia per blog, pena multe fino a 12000 euro.

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mercoledì 25 aprile 2012

Saccheggio di Stato


Non appena il capo dello Stato Giorgio Napolitano ebbe incaricato Mario Monti di formare il governo, Barack Obama telefonò immediatamente al nuovo inquilino di Palazzo Chigi per sbrigare i soliti convenevoli e, soprattutto, per caldeggiare la nomina a ministri di due personaggi strettamente collegati alle strutture atlantiche, ovvero il presidente del Comitato Militare della NATO, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola e l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti Giulio Terzi di Sant’Agata.

 In seguito, quando Monti ufficializzò la nomina di Di Paola come ministro della Difesa e di Giulio Terzi come ministro degli Esteri accogliendo le “raccomandazioni” di Obama, apparve immediatamente chiara la linea che avrebbe seguito il governo dei tecnici insediatosi a “furor di mercati”.Una volta che questo governo ebbe varato la nota manovra finanziaria interamente incentrata sull’aumento delle imposte di base a carico di un tessuto produttivo composto essenzialmente da piccoli e medi imprenditori, alcuni osservatori esterni sollevarono la spinosa questione su come questa proclamata “austerità” finalizzata ufficialmente a raggiungere il pareggio di bilancio potesse sposarsi con l’erogazione di ben 16 miliardi di euro dei contribuenti per l’acquisto di 131 caccia F35 Joint strike Fighter prodotti dalla compagnia statunitense Lockheed Martin.
 A recidere ogni nodo gordiano di sorta intervenne puntualmente il generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, il quale ammonì i giornalisti che avevano posto il problema a non «avventurarsi su temi militari rispetto ai quali hanno poca dimestichezza».
 In primo luogo, ha chiarito Tricarico, la cancellazione dell’ordine relativo a questi 131 F35 comporterebbe una relativa sottrazione di «miliardi di lavoro a una settantina di aziende italiane, dai giganti Finmeccanica e Fincantieri, a molte piccole e medie imprese».

 In secondo luogo, ha proseguito il generale, l’acquisto di questi caccia non andrebbe interpretato come la soddisfazione di un salato capriccio, dal momento che l’F35 è destinato a fungere da «pilastro della Difesa italiana del XXI secolo», in assenza del quale l’Italia «potrebbe esser costretta a chiamarsi fuori se un altro dittatore sanguinario dovesse massacrare il proprio popolo».
 La solita retorica imperniata sulla “complessità” dell’argomento, accompagnata dall’innata reticenza da parte di giornalisti e politici nell’entrare nel merito delle faccende che riguardano le forze armate, ha fatto in modo che nessuno interlocutore di Tricarico e del suo superiore Di Paola avanzassero la più elementare delle obiezioni, ovvero che Finmeccanica, azienda italiana di cui lo Stato detiene ancora (seppur per poco, a quanto pare) la Golden Share, controlla Alenia, società che progetta e realizza tra i più avanzati aerei da difesa e sistemi di volo e che ha ampiamente dimostrato di avere tutte le credenziali necessarie per dotare l’Italia di un avanzato e completo sistema di difesa, producendo le relative ripercussioni positive sull’occupazione e sull’economia, che trarrebbe ampio beneficio dal rilancio di una delle aziende di punta capace di porsi all’avanguardia nei settori, strategicamente fondamentali, della difesa e dell’alta tecnologia.

 Ma proprio la significativa concatenazione di eventi che nell’arco del 2011 hanno riguardato Finmeccanica ha evidenziato in maniera piuttosto evidente quali siano gli interessi in ballo.
 Nel corso del 2011 la quotazione in Borsa di Finmeccanica ha fatto registrare un sonoro -64% e dedurre a cosa sia dovuto questo impressionante e repentino tracollo rappresenta un enigma di non difficile risoluzione.
Negli scorsi anni Finmeccanica aveva beneficiato dello stretto rapporto di collaborazione tra Italia e Libia ottenendo da Muhammar Gheddafi lucrose commesse che vanno dalla realizzazione di strutture ferroviarie lungo i litorali mediterranei alla cooperazione con la difesa libica per quanto concerne i settori dell’aeronautica e dell’elicotteristica.
 Tuttavia, la crociata contro Gheddafi sferrata da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna ha interrotto bruscamente questi affari e costretto l’azienda romana a rinunciare agli importanti affari in Libia.
 Parallelamente, alcune indagini condotte dalla magistratura riguardo ad un oscuro giro di tangenti raggiunsero il vertice della società, ovvero il Presidente Pier Francesco Guarguaglini, contro il quale venne orchestrata una sontuosa campagna di pressione affinché abbandonasse spontaneamente l’incarico.

I più “autorevoli” organi di riferimento della grande finanza angloamericana, ovvero il Financial Times e il Wall Street Journal, colsero l’occasione per riversare ulteriore benzina sul braciere italiano, gettando enorme discredito sia sull’impresentabile governo in carica sia su Finmeccanica, che stava subendo durissimi attacchi in Borsa (-20% in un solo giorno).
 Malgrado ciò che viene comunemente creduto, il mercato azionario necessita di essere inderogabilmente spogliato del carattere ludico (“giocare in Borsa”) che i principali organi informativi sono soliti affibbiargli, perché la grande speculazione persegue generalmente specifiche finalità strategiche e pertanto le tendenze di base di un quel tipo di investimenti vengono indirizzate a porte chiuse dai più navigati protagonisti della politica e della finanza, nell’ambito di riunioni di grandi consessi internazionali come il Club Bilderberg e la Commissione Trilaterale, ove si stabiliscono le regole del “gioco”.
 Alla luce di questo fatto risulta quindi chiaro il motivo per cui al crollo pilotato di Finmeccanica abbia fatto seguito un significativo calo azionario delle compagnie possedute dal Primo Ministro Silvio Berlusconi, finito anch’esso, come Guarguaglini, nell’occhio del ciclone giudiziario.
 Con il valore di Mediaset e Mondadori dimezzato (rispettivamente -53% e -50,5% annuale) e la considerevole flessione subita da Mediolanum (-12% nell’anno 2011) Berlusconi si è deciso a recidere il nodo gordiano relativo alla sua posizione di governo, dimettendosi dall’incarico di Primo Ministro.

Una volta insediatosi, il capo del governo Mario Monti ha convocato d’urgenza Guarguaglini per “accettare” le sue dimissioni, conferendo pieni poteri all’Amministratore Delegato Giuseppe Orsi ma tergiversando sull’opportunità di assecondare il “suggerimento” dato dal Financial Times lo scorso 26 novembre, relativo alla necessità di cedere la quota statale dell’azienda.
 Ciò ha provocato la pronta reazione di Standard & Poor’s, che ha calato la propria scure su Finmeccanica affibbiandogli un BBB- con outlook negativo.
Un fuoco incrociato similare a quello sferrato contro Finmeccanica è stato recentemente aperto sull’ENI, l’altro grande caposaldo del potenziale strategico italiano colpito dalla guerra alla Libia e “attenzionato” dal Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, che ha annunciato l’intenzione di inserire lo scorporo della SNAM, che gestisce la rete del gas, dal “cane a sei zampe”.
 Scopo dichiarato dell’operazione è quello di «tagliare i costi e favorire gli investimenti»; un ritornello già sentito innumerevoli volte che si richiama all’intramontabile dogma del liberismo secondo cui la “concorrenza” assicurerebbe prodotti di buona qualità al minor prezzo possibile.
 Tuttavia, come aveva già spiegato egregiamente Platone più di due millenni fa, la realtà non ricalca infallibilmente i concetti che risiedono nel mondo delle idee (iperuranio) e pertanto la cosiddetta “concorrenza” celebrata dai cultori del libero mercato non è mai “libera”, in quanto viene regolarmente strumentalizzata dai grandi agenti sociali dominanti che la inquinano o la distorcono a proprio uso e consumo allo scopo di ottenere la supremazia a scapito degli altri competitori.
 Dal momento che l’ENI rappresenta l’unico soggetto in Italia a concepire strategie di politica estera – che hanno fruttato successi del calibro del gigantesco gasdotto South Stream – appare quindi estremamente controproducente promuovere misure che intacchino la sua capacità operativa in ottemperanza a direttive impartite da organi sovranazionali come l’Unione Europea che hanno ripetutamente mostrato la propria inadeguatezza prestando il fianco alle pugnalate dagli strateghi degli Stati Uniti, che a suon di manovre speculative e guerre commerciali non dichiarate stanno cercando, con discreto successo, di porre l’Europa sotto il tallone di ferro di Washington.
 Ma la soglia del vero autolesionismo è stata varcata proprio in questi giorni, in occasione della crisi tra Iran e Stati Uniti (con Israele in agguato).
Nell’arco di qualche settimana le portaerei statunitensi Stennis prima, e Lincoln poi, hanno attraversato lo Stretto di Hormuz suscitando l’indignazione del governo di Teheran, che ha minacciato di chiudere l’angusto braccio di mare in cui transita qualcosa come il 20% circa del petrolio mondialmente estratto.
 Le autorità statunitensi hanno immediatamente minacciato di intervenire militarmente qualora Ahmadinejad attuasse questa misura mentre il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha chiarito che «chiudere lo Stretto sarebbe una violazione del diritto internazionale», puntando direttamente il dito contro la Repubblica Islamica.
Tale affermazione assume un significato piuttosto eloquente se inserita nel contesto generale che è andato delineandosi nel corso dell’ultimo mese, e più precisamente dallo scorso 31 dicembre 2011, data in cui l’amministrazione Obama aveva approvato un pacchetto di ulteriori sanzioni da applicare all’Iran salvo poi attivare una massiccia campagna di pressione sull’Unione Europea e sui singoli governi del Vecchio Continente affinché tagliassero i ponti con Teheran.
 In ottemperanza alle gerarchie atlantiste, il 23 gennaio l’Unione Europea ha approvato un embargo totale sulle importazioni di petrolio dall’Iran che entrerà pienamente in vigore nel giro di pochi mesi, malgrado questa decisione minacci seriamente la sicurezza energetica continentale e sia destinata a provocare un sensibile aumento del prezzo di carburanti.
 Malgrado l’Italia sia il maggior importatore del greggio iraniano e il documento approvato il 23 gennaio vincoli i paesi aderenti all’Unione Europea a rescindere i contratti petroliferi stipulati con Teheran entro il primo luglio, il Ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata ha affermato che l’impatto delle limitazioni adottate a Bruxelles sarebbe «trascurabile, se non nullo», in virtù del fatto che le fonti di approvvigionamento italiane sarebbero «in progressiva differenziazione».

 
L’inasprimento delle sanzioni non provocherà alcun impatto agli Stati Uniti, che non importano petrolio dall’Iran, ma l’embargo petrolifero imposto dall’Unione Europea non può assolutamente essere indolore e sarà inesorabilmente destinato a sortire ripercussioni profondamente negative proprio su quei paesi, come l’Italia, che sono maggiormente esposti.
 Il che la dice lunga sul cosiddetto “alto profilo” del Ministro Giulio Terzi di Sant’Agata, che omette di riconoscere il fatto che la maggior parte dei contratti con l’Iran erano stati stipulati dall’ENI , che a sua volta aveva costruito impianti di raffinazione “su misura” del greggio iraniano, ovvero adatti alla lavorazione di un greggio dotato di quelle specifiche caratteristiche.
 E la sedicente “differenziazione delle fonti” appare nel migliore dei casi come una battuta di scarso spirito, perché rimpiazzare qualcosa come 180.000 barili di petrolio al giorno sarà un’impresa praticamente impossibile.
 In definitiva, le fasi attraverso cui sta dispiegandosi l’attacco all’ENI mostrano, pur mutatis mutandis, svariate affinità rispetto a quelle che hanno contraddistinto l’aggressione a Finmeccanica; in entrambi i casi gli avversari geopolitici dell’Italia sono riusciti, attraverso la guerra alla Libia e l’isolamento dell’Iran – che riempirà il vuoto lasciato dall’Unione Europea (che era il secondo importatore di petrolio iraniano) incrementerà le proprie esportazioni verso Cina, India, Giappone e Corea del Sud – a sferrare un duro colpo alle due principali aziende capaci di garantire un seppur ridotto margine di autonomia e, in prospettiva, di sovranità al paese.
Nel mettere in atto le loro strategie questi avversari di Washington, Parigi e Londra hanno potuto contare sull’infima statura politica della classe dirigente italiana che in entrambi i casi ha assecondato i loro interessi e che pare accingersi ora a completare il lavoro, inserendo nel pacchetto di liberalizzazioni la frammentazione di Finmeccanica ed ENI in una miriade di piccole società, la cui privatizzazione finale concluderà la parabola inaugurata nel 1992, con “Mani pulite” e con la crociera sul Britannia da parte del gotha della finanza e della politica italiana.

di Giacomo Gabellini

lunedì 16 aprile 2012

Nuove sanzioni contro l’Iran e dispiegamento di forze navali per difendere il dollaro.

di Federico Dal Cortivo


Il presidente degli Stati Uniti, “Nobel per la pace”, ha chiesto un inasprimento delle sanzioni contro la Repubblica Islamica dell’Iran. Lo rende noto la Casa Bianca. Obama chiede misure drastiche per le banche che continuano a trattare con l’Iran e un aumento dell’isolamento finanziario della Banca Centrale dell’Iran che cura la maggior parte degli affari legati alla vendita del petrolio.
Anche questo ennesimo inasprimento è dettato dal timore, infondato, che l’Iran stia procedendo alla costruzione di armi nucleari, di cui non vi è alcuna prova, ma che come insegna la guerra contro l’Iraq fa parte di un disegno ben più ampio teso a colpire chi non si allinea al “volere di Washington”, dove altri sono gli obiettivi in gioco, e non quelli dati in pasto quotidianamente alla cosiddetta “opinione pubblica mondiale”.

L’obiettivo di Obama è impedire a tutti di acquistare petrolio dall’Iran; una vecchia storia quella delle  sanzioni economiche che hanno caratterizzato da sempre la politica estera delle democrazie anglosassoni contro chi gli sbarrava il passo, alternata a quella delle cannoniere. Ora l’Amministrazione Usa, che non può certo colpire duramente gli “alleati- sudditi”, ha recentemente condonato il Giappone e dieci Stati dell’Ue perché hanno deciso di tagliare le forniture dall’Iran. E mentre Obama “tranquillizza il  mondo” circa una possibile crescita del prezzo  del petrolio, con i problemi che ne deriverebbero dal blocco della circolazione di quello iraniano, c’è chi viene esentato dalle sanzioni come la Turchia fedele alleato nella Nato, la Cina e l’India, il Sud Africa e la Corea del Sud, anche se non mancano progetti in corso per indurli a diminuire le proprie importazioni petrolifere.

Vedremo se queste nuove mosse volte anche a costringere Teheran a recedere dal suo pacifico programma nucleare calmeranno il “cane da guardia sionista”, che da mesi inneggia alla guerra preventiva, e se poi tutti alla fine si allineeranno alle direttive totalizzanti di Washington.

Ben sappiamo la fame di energia che caratterizza i colossi asiatici, e per Cina e India rinunciare alle importazioni iraniane non sarà facile, neppure conveniente, e tantomeno scontato; è in gioco la loro stessa credibilità come potenze nucleari regionali, tanto più che l’Iran ha già annunciato che a breve non venderà più petrolio in Europa, ma i clienti non mancano come abbiamo visto. “La Cina  ha nell’Iran il principale fornitore e nel dicembre 2006 i due Paesi hanno firmato un’intesa con la quale la compagnia petrolifera China National Off Shore Oil Corp avrebbe investito 16 miliardi di dollari per sfruttare con la National Iranian Oil Company un nuovo giacimento di gas naturale situato a 85  chilometri dal grande giacimento South Pars”.(1)


Proprio in queste ultime ore la Cina ha annunciato che non aderirà alle richieste del presidente Obama attraverso il suo ministro degli esteri, che ha ribadito con forza “il diritto cinese ad acquistare il petrolio da qualsiasi nazione”. La defezione cinese potrebbe essere presto seguita da altri membri del Brics (Russia-India-Sud Africa-Brasile) che sono sempre più insofferenti alla politica aggressiva e unipolare degli Stati Uniti. Ma già questa prima defezione nello schieramento che si vorrebbe contro l’Iran è un segnale importante sia sotto il profilo economico, sia sotto quello geopolitico. La posta è sempre il controllo dell’Eurasia o la sua indipendenza da attori esterni.

Per Teheran si potrebbero ora aprire scenari interessanti se altre crepe si allargheranno nel fronte voluto da Us- Israel.
La partita però va ben oltre a quella dettata dalla propaganda Occidentale, la fantomatica bomba atomica iraniana, perché la vera arma nucleare, che potrebbe destabilizzare la potenza economica statunitense, è il passaggio nella vendita del petrolio dal dollaro all’euro, così come prospettato da tempo dall’Iran e anche dall’Opec, che non ha mai nascosto la volontà di diversificare le proprie riserve valutarie, senza contare che anche la Russia, il Venezuela e la Cina vorrebbero sganciarsi dalla dittatura della banconota verde. Un progetto pare accarezzato dallo stesso Gheddafi che sognava una valuta africana, il dinaro oro, per regolare la vendita del greggio. Poi sappiamo come andò a finire.

Tutto dovrebbe ruotare  attorno all’isola di Kish, situata a diciotto chilometri dalla costa iraniana, a Ovest dello Stretto di Hormuz, dove transitano ogni giorno le petroliere dirette in ogni parte del mondo. Attualmente i prezzi del petrolio sono decisi a New York, alla Borsa Americana dell’Energia Nymex e all’ICE-Intercontinental Exchange a Londra e Atlanta.

Tutto questo spiega le tensioni crescenti nell’intera Regione, non solo attribuibili alla mai sopita voglia di guerra d’Israele, ma a fattori non trascurabili legati al controllo monetario degli idrocarburi, lo stesso motivo che portò alla fine gli Stati Uniti in guerra con l’Iraq che stava sostituendo la valuta americana con gli euro.


Si va intanto rafforzando intanto l’apparato militare della Nato e della V Flotta dell’Us Navy, nello stretto di Hormuz, con le portaerei USS Lincoln, USS Vinson e l’USS Enterprise, più la francese De Gaulle, con dragamine ed elicotteri attrezzati per lo sminamento, secondo le dichiarazioni dell'Ammiraglio Jonathan Greenert e come riferiscono fonti israeliane di Debka

L’Us Navy in particolare si sta addestrando a una “guerra asimmetrica”, per contrastare attacchi di natanti veloci iraniani nel Golfo Persico; le navi saranno dotate di mitragliatrici di grosso calibro e cannoncini da 25 mm. Il progetto addestrativo è denominato SCAT- Small Craft Action Team ed è curato dall’Us Naval Forces Central Command-Us Fifth Fleet e Combined Maritme Forces(2).
Una presenza quindi massiccia di aerei e navi da guerra che testimoniano come la temperatura si stia alzando in questo settore, dove l’Occidente teme che la Repubblica Islamica dell’Iran in caso di una aggressione militare contro il proprio territorio, possa ostruire lo stretto con mine e attaccare con barchini veloci le navi Alleate. Una misura che non suona più tanto propagandistica per chi ha orecchie per sentire, alla luce delle nuove sanzioni economiche volute da Obama.

Note:
(1) “La Terza Guerra Mondiale? La verità sulle banche, Monti e l’euro”, Fazi Editore
(2) “Geopolitical Center”

Tratto da: http://europeanphoenix.com/it/component/content/article/8-internazionale-/275-nuove-sanzioni-contro-liran-e-dispiegamento-di-forze-navali-per-difendere-il-dollaro

sabato 14 aprile 2012

Le schifezze di Monti


Ho sempre ritenuto il governo Monti il peggiore degli ultimi tempi, un governo non eletto democraticamente ed imposto non dall’Europa, come furbescamente si afferma nelle televisioni asservite ai poteri finanziari, ma dalla Bce! I risultati lo stanno confermando. Il governo Monti non è costituito da tecnici, ma da tecnocrati incompetenti.

Non sono capaci di calcolare in anticipo l’Imu, cavallo di battaglia di Monti, per non parlare della triste vicenda degli “esodati”, ossia di quei lavoratori che contavano sulle leggi vigenti in quel momento e perciò avevano accettato l’uscita anticipata dal mondo del lavoro, in modo da raggiungere in breve e senza danni la soglia minima del pensionamento. I medesimi ora si trovano senza pensione e senza stipendio! Le pensioni sono diminuite per l’addizionale Irpef, ma anche su questo si tace! Mia madre percepiva 1050 euro al mese, ora 980, in più ha l’Imu sulla casa! Un anziano che lascia la sua prima casa per andare a pagamento in una struttura, deve pagare l’Imu sull’abitazione come fosse la seconda casa, mentre le banche non la pagano perché sono “enti morali”! Un mio amico romeno di 60 anni dal sindacato si è sentito dire che dovrà pagare l’Imu in Italia sulla casa in Romania, tranne le banche tutti la pagano, persino gli stranieri poveri! Lui è rimasto senza lavoro, la moglie percepisce 750 euro al mese di stipendio, pagano 400 euro di affitto a Forlì, perciò a lui e alla moglie ne restano 350 per mangiare e per pagare le bollette! Ho attivato mia zia che è volontaria della Caritas per aiutarli.

Per aumentare le tasse e per fare questi danni non c’era bisogno di ricorrere a prezzolati-costosissimi bocconiani, bastava un imbecille qualunque, almeno ci saremmo risparmiati dei soldi! Invece quello che ancora non ci hanno già mangiato i politici, ce lo mangerà la banca centrale! L’Imu non colpisce solo le aziende, i negozi (per il mio negozio pagavo fino al 2011, 750 euro all’anno, sembra che ora pagherò più del doppio!) e i lavoratori autonomi, ma anche le case date in affitto, quindi anche gli inquilini! Tutto questo oltre ad aver portato l’Italia in una spaventosa recessione, porta anche alla distruzione del settore edile, che era già in crisi.

Non parlo della benzina e dell’Iva che presto sarà del 23%! Tuttavia ciò sembra importare molto poco ai “camerieri” della Bce. A loro importa solo che a pagare il debito pubblico contratto dagli stati europei con la Banca Centrale, per aver stampato il denaro a debito, sia il popolo, poi se ci sono due suicidi al giorno al “sig.” Monti e ai suoi lacchè, parlamentari compresi, ben poco interessa! L’importante è far pagare il debito pubblico e per farlo, tirano il collo al popolo. Ma i politici tutti ed i loro amici banchieri stiano attenti, perché anche loro hanno un collo…

di: Andrea Mantellini (cons. Circoscrizione 1 – D.S. forlì)

mercoledì 4 aprile 2012

Sull’orlo del baratro


Fin dal principio della parabola che iniziò la propria fase ascendente con le dimissioni del governo di Silvio Berlusconi – reclamate a tamburo battente per mesi dalle forze politiche di opposizione e, soprattutto, dagli alti vertici dell’Unione Europea – e si concluse successivamente con la nomina di Mario Monti, apparve chiaro quale strada avrebbe imboccato l’Italia.

Monti annovera tra e proprie credenziali anche l’aver svolto incarichi di rilievo presso Commissione Europea e Goldman Sachs, e può pertanto esser considerato un “globalizzatore” a pieno titolo, ovvero un esecutore tecnico del mantra mondialista escogitato nel corso delle molte riunioni del Gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale, di cui è assiduo ed influente frequentatore.

Gli organi che propagandano ininterrottamente questo pensiero unico imperante, consci del fatto che nella società dell’informazione “ripetizione” equivale a “dimostrazione”, hanno eseguito meticolosamente il loro compito, dal momento che, secondo le più recenti stime, il governo attualmente in carica goda del consenso di circa la metà dei cittadini italiani.

Cittadini catechizzati a dovere, e pertanto ben disposti ad accettare compressione dei salari, tagli alle pensioni, riduzione dello stato sociale, precarizzazione intensiva dei contratti lavorativi e sganciamento delle retribuzioni dall’indice dell’inflazione.

Il depauperamento di un’intera nazione, affermano senza sosta i Ministri Monti, Fornero, e Passera, è necessario a rassicurare i cosiddetti “mercati” del fatto che l’Italia, dopo anni di scialacquamento generalizzato, è pronta a rimettersi in riga, prona ai “desiderata” di Bruxelles.

L’Italia ripartirà, concludono regolarmente tali Ministri, dando sfoggio di un ottimismo talmente malriposto da far impallidire quello sparso a piene mani dai loro illustri predecessori.

Lo scollegamento di costoro dalla realtà effettiva in cui si barcamena il paese Italia è talmente evidente da rendere quasi superfluo sottolineare il fatto che elevando bruscamente le imposte di base – a carico, peraltro, di una popolazione su cui già grava una pressione fiscale assolutamente sproporzionata ai servizi erogati – in un paese in cui la categoria della piccola e media impresa rappresenta il reale tessuto produttivo, si finisce inesorabilmente per assestare un colpo micidiale ad ogni prospettiva di crescita futura.

L’austerità deprime l’economia, perché alimenta una spirale negativa in cui la perdita di potere d’acquisto da parte dei consumatori contrae la domanda, il cui calo si ripercuote sull’offerta e, di riflesso, sull’occupazione.

Nonostante ciò, in questi mesi si è parlato soltanto di calo dello spread – agitato come uno spauracchio quando in sella vi era Berlusconi – e dei buoni esiti delle aste dei Buoni del Tesoro.

Molto meno si è parlato delle misure adottate per favorire la tracciabilità dei pagamenti senza che esse siano state accompagnate da alcun tipo di liberalizzazione dei servizi bancari, cosicché gli istituti di credito hanno potuto aprire ben 15 milioni di nuovi conti corrente da cui tratterranno le consuete, “congrue” quote necessarie per effettuare qualsiasi tipo di transazione.

Ed ancora meno si è parlato del fatto che i 530 miliardi di euro consegnati all’insignificante tasso di interesse dell’1% dalla Banca Centrale Europea agli istituti di credito privati a corto di liquidità (in Italia, Intesa-San Paolo si è aggiudicata 24 miliardi, Unicredit 12,5 miliardi, Monte dei Pasci di Siena oltre 10 miliardi, UBI 6 miliardi, Mediobanca e Banco Popolare 3,5 miliardi) affinché venissero utilizzati per favorire l’accesso al credito da parte delle imprese, sono stati in gran parte destinati all’acquisto dei titoli di debito dei singoli Stati, da cui gli istituti in questione otterranno il pagamento degli interessi.

In compenso, si continua a ripetere che l’articolo 18 non dovrebbe costituire un tabù, perché con i tempi che corrono le aziende richiederebbero maggiore “flessibilizzazione” dei contratti di lavoro.

E i sindacati cosa fanno? Dopo aver “concertato” con governo e Confindustria perdendo ogni capacità e autorevolezza di mantenere vivo il conflitto sociale, chinano attualmente il capo dinnanzi all’ennesimo atto di arroganza di questa tecnocrazia, che ha annunciato di voler proseguire con le “riforme” anche senza l’accordo con le parti sociali.

Nel frattempo si assiste ad una impressionante sequela di suicidi, commessi da imprenditori ridotti al lastrico dalla crisi e dagli incredibili metodi di “riscossione crediti” impiegati dall’Agenzia delle Entrate o da operai che non percepivano il salario da mesi e mesi.

Senza che il fenomeno desti alcuna reazione di rilevo.

L’Italia sta subendo gli evidenti, durissimi contraccolpi della scellerata politica di deindustrializzazione avviata all’epoca del golpe giudiziario meglio noto come “Mani Pulite” da un altro governo tecnico e portata avanti da quelli politici susseguenti.

L’imperativo attuale propugnato dal mantra mondialista non è più, quindi, quello di far ripartire la macchina dell’economia reale ma di introdurre misure improntate all’austerità che convincano i “mercati” ad investire in Italia, cosicché lo spread torni a scendere e i Buoni del Tesoro vadano a ruba.

Tutto il resto viene posto sullo sfondo; un paese di crescenti divari socioeconomici in cui un percentuale esigua è destinata ad accaparrarsi una ancor più grande fetta della torta.

I tecnici, in fondo, sono pagati per eseguire.

Non per pensare.

martedì 3 aprile 2012

Italia, il triste destino di essere una colonia


Doveva essere l’esecutivo in grado di rilanciare l’autorevolezza dell’Italia all’estero ma il Governo Monti si conferma ogni giorno di più incapace anche solo di gestire le difficoltà quotidiane. Il caso diplomatico del sequestro dei marò in India e la drammatica uccisione ieri di un ingegnere italiano in Nigeria durante un blitz delle forze speciali inglesi – assalto condotto senza neanche avvisare la Farnesina – dimostrano l’assoluta inadeguatezza della nostra politica estera.

Certo non si tratta di una novità in un paese in cui i rari personaggi politici di spessore come Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi vengono uccisi per la loro politica filo-araba nel Mediterraneo volta a tutelare gli interessi nazionali italiani.

Una nazione che “sacrifica” una ventina di testimoni della vicenda Ustica per coprire le responsabilità dell’Alleanza Atlantica nel tentativo di eliminare Gheddafi nei cieli italiani. Dove avventurieri come Silvio Berlusconi vengono prima costretti a bombardare il loro migliore alleato in Libia e poi a dimettersi per la loro amicizia personale con Vladimir Putin, utilizzando ricatti e speculazioni finanziarie ormai nemmeno nascosti. Forse qualcuno credeva di aver già pagato abbondantemente il conto durante la “guerra fredda” con le stragi che insanguinarono dal 1969 al 1980 l’Italia, sotto la regia di burattini al servizio della CIA e della NATO.

Ma ovviamente non è così; il problema infatti non consisteva nella rivalità ideologica USA-URSS ma nella condizione di sottomissione dell’Italia alle potenze atlantiste, una condizione coloniale che dura dal 1945 fino ad oggi.

Fanno perciò ridere e pena sia le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che parla di “comportamento inspiegabile degli inglesi” sia la “richiesta di chiarimento” avanzata dal Capo del Governo di Roma Mario Monti.

Il comportamento britannico, così come quello statunitense ad esempio nel caso degli sciatori uccisi al Cermis, sono perfettamente spiegabili e riconducibili alla storica sudditanza dell’Italia a Londra e a Washington, una subordinazione che si paga con il sangue.

Non solo la nostra intelligence ma i nostri stessi vertici militari non possiedono infatti nessuna autonomia di fronte ai servizi segreti angloamericani, così come non esercitano alcuna sovranità nei confronti delle oltre 100 basi militari USA/NATO presenti nella penisola italiana.

Prima perciò di “indignarsi” di fronte ai comportamenti dei finti “alleati” (finti perché i loro interessi nazionali e i nostri non coincidono praticamente mai) si rifletta se siamo davvero liberi: senza sovranità, infatti, non c’è nessuna libertà se non quella di morire, come successo al povero Franco Lamolinara in Nigeria.

venerdì 30 marzo 2012

Scorporo Snam-Eni, così finisce la sovranità italiana

Il governo ha varato la misura auspicata dalle majors atlantiche.
Poi si svenderanno le quote pubbliche di Eni ed Enel ...


Gli integralisti liberisti presenti in Parlamento già pregustano lo scorporo della Snam dall’Eni e la nascita di una società indipendente che gestisca la rete di distribuzione del gas e che offra uguali possibilità di accesso a tutti gli operatori del settore. Un traguardo che le compagnie petrolifere statunitensi, inglesi, anglo-olandesi e francesi sognano da tempo per indebolire il gruppo fondato da Enrico Mattei che con la sua impronta anti colonialista aveva dato tanto fastidio alle Sette Sorelle e agli interessi anglofoni. Una realtà che oggi si sta ripetendo puntualmente dopo i rapporti preferenziali stabiliti dall’Eni e da Berlusconi con la Gazprom e con Putin e dopo quelli ormai dissolti con la Libia di Gheddafi e l’ingresso della Russia in Libia. Quella che era stata la motivazione reale della guerra contro il Rais poi eliminato.

La decisione del governo Monti di procedere alla separazione della Snam dall’Eni era scontata. Poi seguirà la vendita del 30% dell’Eni controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti e quindi dal Tesoro, dopo di che l’Italia non avrà più una politica estera autonoma e si vedrà costretta ad andare a rimorchio degli atlantici. La svolta, perché di svolta si tratta, ha rallegrato non poco i liberisti nostrani. Il deputato Linda Lanzillotta, esponente della rutelliana Alleanza per l’Italia, ha intimato che la separazione proprietaria di Snam da Eni dovrà essere completata entro la fine della legislatura. Intervenendo nella discussione generale alla Camera sul decreto legge per le liberalizzazioni,il deputato ha affermato che la politica della concorrenza dovrà ispirare la politica economica dei prossimi anni e rappresentare una leva fondamentale per la crescita, per il lavoro dei giovani e per la mobilità sociale. In tutti i settori strategici, come energia e trasporti, ha concluso, ci vogliono, autorità di controllo e di indirizzo forti, autorevoli e indipendenti. Affermazioni che, se tanto ci dà tanto, vanno intese nel senso che tali autorità dovranno essere sensibili non più all’indirizzo dato dalla politica ma a quelle dei grandi gruppi esteri. Quelli che con un termine abusato rappresentano il cosiddetto Mercato.
Ma che fare di questa Snam? Qualcuno ha suggerito di creare un’unica società di gestione delle rete energetiche attraverso una fusione con la Terna, la società che gestisce appunto la rete di distribuzione dell’energia elettrica e che è nata da un analogo scorporo dall’Enel che è stato imposto dalla finanza anglofona proprio per impedire l’altro colosso italiano dell’energia.

Oggi il 31% circa dell’Enel è ancora in mano pubblica e i soliti liberisti d’accatto vorrebbero metterlo in vendita con la scusa che una ulteriore privatizzazione servirebbe a fare cassa e ridurre il debito pubblico. In realtà anche per l’Enel vale il discorso geopolitico fatto per l’Eni. Pure l’Enel infatti negli ultimi anni ha dimostrato un iper attivismo sul piano estero, entrando in forze sul mercato spagnolo, su quello russo e su quello libico. Tutte svolte che non potevano essere molto gradite a Washington e Londra che sul piano mediatico hanno subito attivato un fuoco di sbarramento muovendo i soliti fautori del Libero Mercato, degni eredi dei democristiani di destra e dei liberali alla Montanelli che a cavallo degli anni 50 e 60 sparavano a zero su Enrico Mattei con la scusa ridicola che il petrolio puzzava di tangenti.

Indebolire e perdere in questa fase storica due imprese pubbliche che garantiscono l’approvvigionamento energetico del nostro Paese non è soltanto stupido ma è criminale perché va contro i nostri interessi nazionali, in quanto l’approdo di questa operazione sarebbe la trasformazione dei due gruppi in filiali di concorrenti esteri come potrebbe essere la Exxon. Tanto più che i venti di guerra contro l’Iran o il semplice blocco delle forniture da parte di Teheran fanno presagire che ci sarà un aumento esponenziale dei prezzi del petrolio che il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha quantificato in un 30%. In tale ottica disporre di due società giuridicamente e operativamente “italiane” servirebbe a muoversi in maniera molto più elastica ed autonoma sullo scacchiere internazionale.


Da Leggere anche:

giovedì 29 marzo 2012

LO STALINISTA AMERICANO

Monti, lo stalinista americano che devasterà gli italiani


I colpi di Stato? Oggi non si fanno più coi carri armati, ma con un’abile gestione extraparlamentare di magistrati, giornalisti ed economisti. «È il post-moderno, bellezza!», ironizza il filosofo Costanzo Preve, che denuncia due golpe: «Quello di Monti del 2011 non è il primo ma il secondo, dopo quello di Mani Pulite del 1992», un “colpo di stato giudiziario” per abbattere il sistema partitico della Prima Repubblica, «non certo più corrotto di quello venuto dopo, ma pur sempre garante di un certo assistenzialismo sociale e di una sovranità monetaria dello Stato nazionale, sia pure all’interno dello schieramento post-bellico americano».

Stavolta non c’è stato neppure bisogno di manette: «Sono bastati i mercati internazionali e soprattutto la regia di Napolitano, il rinnegato ex-comunista passato al servizio degli americani».

Già nel ’92, aggiunge Preve nel suo dialogo con Luigi Tedeschi sulla “mutazione antropologica degli italiani” pubblicato da Arianna editrice e ripreso da “Megachip”, era stato decisivo l’ex Pci nell’assestare il “colpo di Stato giudiziario extraparlamentare”.

Stessi attori, sempre in prima linea: «Allora per odio verso Craxi, oggi per odio verso Berlusconi, entrambi già largamente indeboliti e delegittimati da asfissianti campagne di stampa». Orfani di Berlinguer, quelli che Preve chiama “rinnegati” si trovavano «improvvisamente privi di qualunque legittimazione storico-politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa politologica».

I seguaci identitari «furono prima fanatizzati contro Craxi (il corrottone, il porcone, il maialone), e poi contro Berlusconi (il nano di Arcore, il puttaniere, il crapulone)».

L’eterogenesi dei fini, segnalata da Vico, si è sposata con l’astuzia della ragione storica teorizzata da Hegel.

«La politica non è stata sconfitta solo nel 2011, perché era già stata sconfitta nel 1992», aggiunge Preve. Inoltre, l’Italia nel 2011 non è stata sconfitta solo una volta, ma due: la prima volta in Libia, dove «è stata costretta dalla Nato a fare una guerra contro i più elementari interessi nazionali ed economici, con barbarico linciaggio finale del nazionalista panarabo nasseriano Gheddafi, trasformato in feroce dittatore dai gestori simbolici monopolisti dei cosiddetti “diritti umani”».

La seconda volta appunto a Roma, con il commissariamento diretto del suo governo. Destra e sinistra? Ormai sono solo «segnali stradali e simboli di costume extra-politico».

Esempio: «La sinistra vota il transessuale Luxuria, mentre la destra non lo voterebbe mai».

Dicotomia ormai inesistente, eppure «continuamente reimposta, per motivi di tifo sportivo, dal ceto intellettuale».

Pura manipolazione simbolica, dice Preve, dotata di un potere inerziale ancora forte anche se non più fondato sulla realtà.

«Quando Bobbio difese la dicotomia, sostenendo che la sinistra era egualitaria e la destra anti-egualitaria, descriveva uno scenario sorpassato, perché questo scenario presupponeva la sovranità monetaria dello Stato nazionale e delle scelte politiche alternative di redistribuzione dal reddito».

Ora questo scenario non esiste più. Al suo posto, ci sono solo «questioni di gusto estetico e di snobismo culturale».

La classe politica ? «Si è allineata a Monti non per responsabilità, ma proprio per il suo contrario, per deresponsabilizzazione». I politici, «ricattati dalle polemiche contro la “casta” e inseguiti dalle plebi furiose per i loro privilegi alla mensa semigratuita di Montecitorio», si sono «consegnati ad una “giunta di economisti” per cercare di zittire, almeno provvisoriamente, il linciaggio mediatico».

Quello di Monti? Un ben strano liberalismo, perché il fondamento del liberalismo nella sua moderna forma liberaldemocratica è la volontà popolare espressa da un corpo elettorale sovrano, laddove il caso della Grecia, ma anche quello della giunta Monti, ci mostra l’esatto contrario.

«Nel Medioevo c’erano i Re Taumaturghi. Ma oggi il medioevo è finito, e ci sono gli Economisti Taumaturghi». Il modello capitalistico di Smith ed il modello comunista di Marx, ricorda Preve, avrebbero entrambi dovuto funzionare senza Stato, o con uno “Stato minimo” tendente verso lo zero.

«Pura utopia modellistica astratta». In realtà, il comunismo di Marx nel ‘900 «funzionò unicamente con lo Stato, anzi con uno stato autoritario di partito monopolista del potere, dell’economia e della cultura».

Idem il capitalismo di Locke e di Smith: «Funzionò unicamente incrementando il dirigismo statale al servizio dell’accumulazione capitalistica».

Poteva andare diversamente? No, perché «un mercato puro, senza intervento riequilibratore di un potere statale, getterebbe nella miseria più nera la stragrande maggioranza della popolazione».

Finché sono ancora in funzione le solidarietà comunitarie pre-capitalistiche (famiglia, tribù), c’è ancora riparo, ma con la generalizzazione dell’individualismo anomico ci sarebbe solo la guerra di tutti contro tutti, come mostra il tragico esempio della Grecia di oggi.

«E’ dunque del tutto triste, ma anche fisiologico, che al bel comunismo utopico ma inapplicabile di Marx succeda il comunismo autoritario ma “realistico” di Lenin e di Stalin. Ed è pertanto fisiologico che al capitalismo utopico di Locke e di Smith succeda il capitalismo oligarchico ma “realistico”, di Draghi e di Monti».

La «dittatura oligarchica dei mercati di Draghi e di Monti» è fuori dal liberismo che si studia nelle università: «Si tratta di uno scenario completamente nuovo, di un capitalismo assoluto o “speculativo”».

Potremo difenderci da questa sorta di “stalinismo occidentale”?

Non nel breve periodo, dice Preve: «Non possiamo aspettarci a breve termine un risveglio di coscienza e di conoscenza: troppo forti sono le forze inerziali della simulazione destra-sinistra, dell’identitarismo di partito di origine Pci, dell’antifascismo in assenza di fascismo e dell’anticomunismo in assenza di comunismo, oltre alle cantilene del politicamente corretto».

Per il filosofo, «questa dittatura dei mercati è ancora relativamente nuova ed inedita, ed é normale che in questo momento domini la paura ed il ricatto del mancato pagamento dei salari e delle pensioni». La realtà? «Siamo appena all’inizio del “tempo di cottura” che la storia ci prepara: la ricetta vuole il suo tempo».


Monti coltiva un disegno pericoloso: «Vuole attuare un progetto di ingegneria antropologica tipica del fanatico liberista che è».

Mettendosi consapevolmente sulla scia di chi ha definito i giovani “bamboccioni” e “sfigati”, e non vittime di un ignobile sistema di lavoro flessibile e precario, Monti vorrebbe una sorta di artificiale anglosassonizzazione forzata della figura storica dell’italiano.

«Come tutti gli economisti professionali, egli è probabilmente del tutto ignaro di storia e di filosofia, che ha certamente abbandonato con la fine degli studi liceali» e quindi sembra non sapere che l’utopia dell’uomo “nuovo”, dell’uomo rinato, «non nasce affatto con l’ingegneria economica oligarchica neo-liberale e le sue ignobili porcherie sul “lavoro fisso noioso”, la cui oscenità raggiunge quella di chi mette un affamato in guardia contro i pericoli dell’obesità e del colesterolo».


Stalin fu un grande sostenitore della “creazione sovietica dell’uomo nuovo”:

«Ne abbiamo visto le conseguenze a medio termine, poco più di mezzo secolo».

Il progetto di “americanizzazione antropologica forzata dagli italiani”, iniziata sul piano del costume con la sconfitta militare del 1945 «addossata al solo fascismo», secondo Preve «solo ora, nel 2012, può realmente dispiegarsi senza ostacoli, con l’integrazione completa in questo progetto del ceto politico e del clero intellettuale, giornalistico ed universitario».

Monti sembra “l’uomo dei tedeschi”, perché da essi mutua la politica recessiva e l’ossessione anti-keynesiana del pareggio del bilancio, ma in realtà è “l’uomo degli americani”: «Si è creduto a lungo che una Europa unificata dall’euro potesse in prospettiva fare da contraltare strategico all’arroganza unipolare degli Usa, e con questo argomento l’unità europea fu “venduta” alla sinistra ed al suo variopinto circo intellettuale».

La tradizionale disattenzione degli italiani per la politica estera, «tipica di un paese privo di sovranità politica e militare», ha fatto sì che passassero praticamente inosservate le nomine dei nuovi ministri degli esteri e della difesa, «un diplomatico di carriera amico della Clinton ed un ammiraglio bombardatore in Afghanistan per conto della Nato».

I due personaggi che hanno sostituito «i precedenti pittoreschi berlusconiani Frattini e La Russa», in realtà sono «servi degli Usa al cento per cento».

Berlusconi? Non poteva certo piacere a Washington: non solo per il suo «stile di vita immorale di puttaniere, improponibile all’ipocrita puritanesimo Usa», ma soprattutto per i suoi “giri di valzer” con Gheddafi e con Putin, «fatti non certo per ragioni politiche o geopolitiche, ma per il vecchio fiuto del faccendiere e del venditore “chiavi in mano”». E ora, eccoci serviti.

«Sono ottimista sulla nascita di anticorpi di resistenza – conclude Preve – ma ci vorrà sicuramente del tempo: probabilmente, molto più tempo di quello che resta alla nostra generazione».

Fonte: http://www.libreidee.org/2012/03/monti-lo-stalinista-americano-che-cambiera-gli-italiani/
Tratto da: http://www.stavrogin2.com/2012/03/lo-stalinista-americano.html

sabato 17 marzo 2012

Sempre più verso una Democrazia Totalitaria passando per questa "Dittatura dell'aula scolastica"


Riflettevo su come le democrazie occidentali si siano sempre più ridotte a mere "Democrazie" elettorali in cui una volta scelti i propri rappresentanti il popolo non ha più modo di far valere i propri diritti.
Negli ultimi tempi questa situazione è pure peggiorata, infatti con l'insediamento del cosiddetto governo tecnico in Italia (come in Grecia) è venuto a mancare anche l'ultimo effimero baluardo democratico di eleggere i propri rappresentanti.
Qualcuno potrebbe obiettare che in Italia vige ancora, tutto sommato, un sistema democratico ben diverso dai regimi totalitari oppressivi e sanguinari del passato ... io penso che oggigiorno sarebbe impensabile instaurare da un giorno all'altro un regime totalitario senza che ciò scateni una rivoluzione quindi l'unica strada è quella di instaurare un regime con parvenza democratica, ma con l'anima totalitaria, insomma una sorta di Democrazia Totalitaria*, inoltre qualsiasi svolta totalitaria deve avvenire non solo sotto mentite spoglie democratiche, ma anche gradualmente un po' come avviene per l'esperimento della rana bollita**.
La dimostrazione che ci stiamo avviando verso una vera e propria dittatura "democratica" è l'attuale governo italiano ... a tal proposito ho trovato molto interessante quest'articolo:

Governo Monti. La dittatura dell’aula scolastica


Quando si descrive un regime di tipo totalitario è uso fare ricorso a immagini militaresche. Come nel recente caso della Corea del Nord che, per i funerali del suo padre-padrone Kim Il Sung, è stata paragonata a una caserma, con frasi del tipo «Con i suoi scarponi chiodati Kim ha trasformato il paese in un’immensa caserma».
Ma si trascura il fatto che esistono istituzioni anche nei paesi democratici, democrazia che qualcuno definisce la tirannia della maggioranza, che, mascherando con atteggiamenti felpati e sorrisi di circostanza la loro vera essenza, possono essere definite totalitarie.
Curioso, a tal proposito, il nostro attuale governo, ribattezzato, per nobilitarlo, prima il governo dei tecnici, a sottolineare la sua imparzialità di fronte alle contese politiche ed ora il governo dei professori, per evidenziare la bonarietà dei suoi rappresentanti: i docenti, tutti dediti solo al bene dei discenti.
Il governo capitanato da Mario Monti, ha istaurato in Italia una forma subdola e nemmeno tanto mascherata di totalitarismo che io chiamo “dittatura dell’aula scolastica”.
La scuola, così come la sua raffigurazione simbolica: l’aula, è una di quelle istituzioni totalitarie e l’applicazione dei suoi principi a un governo che dovrebbe essere democratico lo trasforma.
Le affinità con l’aula scolastica di questo governo sono molte e fotografano la situazione per quella che è.
Un professore lo troviamo in cattedra. Ha vinto un concorso, è stato chiamato per una supplenza, è arrivato grazie a una graduatoria, è stato intruppato con chiamata diretta. Tutto tranne che l’essere stato eletto dalla sua classe. Non guida degli alunni in forza di un loro mandato ma perché è lì per insegnare.
Insegnare per lui è una missione. Non è una questione di soldi ma d’ideale. Insegnare agli studenti. Vedere i giovani crescere in consapevolezza, educarli sono un obiettivo di vita. Non si chiede mai se è un obiettivo megalomane e folle.
Non si accontenta di insegnare quel po’ di nozioni che sono lo zoccolo basale di ogni bagaglio intellettuale. Non gli basta che i suoi studenti imparino date, formule e teorie.
No, l’obiettivo è educare. Educare i grezzi cittadini adolescenti a essere dei buoni cittadini adulti. Conculcare una visione del mondo che è la sola ritenuta giusta.
Se ne frega se il progetto educativo dei genitori dei loro alunni diverge dai loro presupposti. Il suo è giusto e il professore, in spirito caritatevole di servizio, è pronto a dispensarlo a giovani che ancora non possono essere definiti cittadini.
Per edificare l’uomo nuovo bisogna intervenire sulle ceneri del precedente uomo deforme. Cancellare ciò che è in lui o che quei controrivoluzionari dei genitori hanno istillato nella sua mente. Bisogna raddrizzare il legno storto dell’umanità per lasciare il passo al luminoso, radioso, progressivo futuro che ci attende.
Inutile dire che in aula non è ammessa replica. Anche le forme pseudo democratiche di confronto, farcite da organismi come il consiglio di classe, sono sempre dominate dalla figura del professore che, magari con bonomia, zittisce e concede la parola con arbitrio. Il suo, l’unico che può essere preso a misura di tutto.
Atteggiamento che si fonda saldamente sul concetto, fortemente creduto e introiettato dal professore, che nella realtà dell’aula esistono due precise figure antropologiche. Il superuomo: il professore, cittadino perfetto, cataro dell’educazione, pieno solo di buone intenzioni, altruista fino all’autolesionismo e l’untermensch: il sottouomo, l’alunno, il depravato, il legno storto dell’umanità che deve essere, volente o nolente, rieducato. Gli va strappata la falsa educazione precedentemente impartita, gli va inculcato il senso dell’unico dovere e disciplina contemplata quella che lo trasformerà in un “buon cittadino”.
Tutto l’apparato si basa poi su una concezione autoreferenziale della realtà. In aula esiste una realtà parallela alla vita. Parallela ma divergente.
Il professore insegna una realtà che chiusa in sé ha una parvenza di assolutezza. In astratto quello che racconta appare vero. Il guaio è che non viene mai confrontato con una realtà diversa: la realtà della vita.
Non c’è traccia nella totalitaria affermazione della realtà scolastica di quelle forme di realismo e di pietà che modellano un poco la sovrastruttura. E le dichiarazioni piene d’alterigia di Monti e ministri ne sono testimonianza.
Siamo alla riproposizione dello Stato Etico, in cui le idee indeformabili che costituiscono l’apparato intellettuale del professore non possono essere modificate in nulla dalla realtà circostante. È la realtà che deve uniformarsi al mondo ideale dell’aula e mai viceversa. I riottosi vanno piegati.
La dimostrazione che il professore si vede come una razza eletta è la creazione di un rigido, seppur strisciante, regime di apartheid che agisce in due direzioni. Una verso gli alunni e l’altra verso un’altra categoria di sottouomini che vanno tenuti a distanza: i bidelli.
Il luogo simbolo dell’apartheid è la stanza dei professori cui i bidelli possono accedere o per pulirla o perché convocati. È un’estensione dell’aula, anch’essa inibita.
Resta il fatto che i professori hanno eretto un muro invisibile verso le due razze inferiori (moralmente inferiori perché “ignoranti”) e ne vengono ripagati con la stessa moneta che non fa che accrescere il loro sterminato sentimento di elevatezza.
Nella nomenclatura totalitaria poi non possono mancare figli e parenti. E i recenti casi scoppiati in seno al governo spiegano bene la situazione.
Nell’aula, come in ogni regime totalitario non può mancare uno Stakanov che ricorda a tutti i doveri di ogni buon cittadino. Il primo della classe è sempre pronto a sottolineare le parole del professore, come ha fatto recentemente Michel Martone con la sua frase sugli sfigati. Peccato che poi si scopre che il primo della classe, il secchione lo è perché è figlio dell’amico del professore.
In un’aula poi c’è sempre la variante al femminile del professore: la professoressa. Nel suo immaginario è una brava mamma che ha come compito di cancellare dalla mente dei subumani quello che altre madri come lei gli hanno proiettato. Il suo lavoro di demolizione è sacrosanto e fatto solo per il bene dei “suoi figlioli: gli studenti”. Qualche lacrimuccia serve a condire la scena di un tocco patetico.
Se il professore ha dei problemi in classe richiede l’intervento di polizia da parte del bidello, che torna utile in questi frangenti. Il professore non si sporca mai le mani, al massimo usa i voti disciplinari o di profitto come un maglio. Non è abituato al sangue, i suoi sono interventi da colletto bianco, vigliacchi e violenti, di quella violenza mai manesca, sempre composta e devastante nelle sue modalità rarefatte.
Richiede l’allontanamento dell’alunno riottoso come ha fatto con gli uomini tir e con i forconi. Tutto si può discutere ma con educazione, sottovoce, senza interruzioni di lezione e soprattutto senza contrapposizione, senza minare l’unica certezza della dittatura dell’aula: il professore ha sempre ragione, fa quello che fa per il bene degli alunni che sono tenuti a studiare, adeguarsi. Il gap tra loro e il prof è di natura morale. Il professore è il riferimento di ogni qualità etica necessaria, gli alunni, come sottouomini, non possono far altro che sottomettersi, piegarsi alla bontà infinita di chi è disposto a sacrificarsi senza ricompense per dispensare sapienza che li salverà e li eleverà dalla loro immorale condizione.
Non manca ovviamente in questa riproposizione governativa della dittatura dell’aula la figura del Preside. In questo caso Napolitano, come in tutti i regimi paternalistici, fa la figura del tutore bonario che salvaguarda tutti ma che alla fine è strenuo alleato del professore perché anche lui da lì proviene e cane non morde cane.
Non resta che un tocco di frivola cupezza.
Monti con i suoi capelli cotonati sempre a posto, di un colore grigio ma che non può ancora dirsi bianco, non aggressivi come quelli di un “brizzolato”, non ancora candidi come quelli di “un nonnetto rincoglionito”, con i suoi completi eleganti ma di foggia un po’ demodé, si dice di taglio classico, con i suoi occhiali squallidamente quadrati, con i suoi toni pacati e soporiferi replica, in salsa italiana, i brutti completi scuri e i cappelli di feltro giurassici della nomenclatura sovietica anch’essa fatta di toni ministeriali e cupi.
Stesso dicasi dei tailleur color topo della Fornero e dei suoi giri di perle che mi ricordano l’odore di naftalina della casa di mia zia Maria.
Un Monti che somiglia a Suslov, come il suo governo somiglia all’apparatchik ormai dimenticato. Un odore di stantio, come in molte aule scolastiche, nonostante i proclami di modernità, che mi fa inviperire, come quella volta che protestai con un professore di mio figlio, rifiutandomi di accogliere la richiesta, che, per indurlo alla lettura, voleva imporgli la Capanna dello Zio Tom. Roba da chiodi.
Siamo tutti tornati sui banchi di scuola. I cittadini riconvertiti in alunni, ma la loro condizione di untermensch rimane invariata. Il nostro governo dei professori ha trasposto nella vita politica italiana la dittatura dell’aula scolastica perché solo quello sa fare: replicare uno schema noto a situazioni ignote. Incerte le conseguenze.
Prepariamoci al peggio. Speriamo solo che non m’impongano la lettura di “Piccole donne” o “Piccole donne crescono” sarebbe il momento di darsi alla macchia o di descolarizzare la società.

Note:
*Per democrazia totalitaria si intende qui alludere ad un sistema di governo incentrato sullo stato nazionale e sulla tacita accettazione del suo dominio generale. Questo significa:
- sovranità territoriale esclusiva
Lo stato si arroga il potere supremo su ogni cosa (ad es. diritto di esproprio) e su ogni individuo (ad es. diritto di tassazione) all'interno di uno specifico territorio. Dalla sottomissione dei pellerossa americani alla distruzione della città di Grozny in Cecenia, la sovranità territoriale esclusiva ha significato il soffocamento, da parte dello stato centrale, di ogni entità indipendente o anche solo leggermente turbolenta.

- sovranità decisionale estensiva
Lo stato, in una democrazia totalitaria, ha il potere di intervenire in relazione alla maggior parte (quasi la totalità) degli aspetti concernenti la vita degli individui sotto la sua giurisdizione territoriale. Per giustificare questo potere così esteso, la democrazia totalitaria ha fatto proprio il mito della volontà generale in quanto espressione della maggioranza. Sarebbe più corretto affermare che, attraverso il mito della volontà generale, gli individui non contano per nulla mentre i generali (vale a dire, l'élite militare, l'élite politica, l'élite economica, ecc.) contano per tutti. La forza del numero (dominio della maggioranza elettorale) si trasforma nel diritto dei pochi (dominio della minoranza reale) di imporre decisioni di largo raggio a tutti i cittadini.

A questo proposito, non è forse inutile ricordare che, in passato, Socrate e Gesù Cristo, ad esempio, sono stati condannati a morte dal volere della maggioranza o da rappresentanti della maggioranza. In tempi più recenti, maggioranze schiaccianti hanno dato il loro appoggio al fascismo, al nazional socialismo e al comunismo (per riferirci solo ai casi più noti) o sono state complici, in maniera più o meno compiacente, delle atrocità perpetrate dai governanti statali in nome della maggioranza.
Nel corso della storia, ogni qualvolta poteri esclusivi ed estensivi sono stati conferiti a qualcuno, fosse esso un singolo o una organizzazione, sulla base di una qualsiasi giustificazione, fosse essa la volontà di Dio o la volontà generale, crimini e misfatti ne sono seguiti, quasi inevitabilmente.
Nella seconda metà del XX secolo, molti stati hanno perso alcune delle loro tendenze più aggressive; nonostante ciò essi rimangono ancora grandi organizzazioni che pretendono di godere di un potere monopolistico che intendono esercitare in maniera assolutistica. In altre parole, le trasformazioni superficiali verso un più liberale stato di cose, servono solo a coprire una democrazia tuttora totalitaria, la cui faccia reale e brutale appare apertamente in situazioni di crisi, con la riaffermazione del suo potere attraverso il consueto armamentario dello statismo: bombardare, distruggere, controllare. (Fonte)

** Il fenomeno della rana bollita risale ad una ricerca condotta dal John Hopkins University nel lontano 1882. Durante un esperimento, alcuni ricercatori americani notarono che lanciando una rana in una pentola di acqua bollente, questa inevitabilmente saltava fuori per trarsi in salvo. Al contrario, mettendo la rana in una pentola di acqua fredda e riscaldando la pentola lentamente ma in modo costante, la rana finiva inevitabilmente bollita.
Riesco già ad immaginare la tua espressione inorridita… eppure questo esperimento descrive esattamente il modo in cui funziona anche il nostro sistema nervoso.
Ogni qualvolta introduciamo un cambiamento radicale nella nostra vita, il nostro cervello, come la rana nell’acqua bollente, cerca disperatamente di ritornare nella sua zona di comfort, annullando ogni nostro tentativo di cambiamento. Risultato? Frustrazione!
Al contrario, per ottenere un cambiamento duraturo, l’unica tecnica realmente efficace consiste nell’introdurre piccoli cambiamenti, ma in modo costante.
Nel breve periodo, questi piccoli cambiamenti sono impercettibili per il nostro sistema nervoso, ma nel lungo termine proprio questi piccoli passettini ci permetteranno di ottenere enormi trasformazioni (Fonte).