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giovedì 8 dicembre 2011

L’Europa reagisce poco e male contro le agenzie di rating

L’annuncio di Standard&Poor’s di poter declassare il giudizio sui titoli tedeschi e francesi è parte dell’attacco Usa all’euro.


La minaccia dell’agenzia di rating statunitense Standard&Poor’s di tagliare la valutazione di massima solvibilità dei titoli del debito pubblico di 15 Paesi Ue, come la Germania e la Francia contrassegnate dalle famose tre A, è stata accolta molto male non solo dai governi direttamente interessati ma anche dal presidente dell’Eurogruppo, il lussemburghese Jean Claude Juncker che l’ha definita “esagerata e ingiusta” in quanto “nella zona euro è in corso un processo per rimettere le cose in ordine”.

La reazione di Juncker appare in realtà come uno spreco di fiato perché riflette l’atteggiamento passivo dei Paesi dell’euro che offrono la chiara impressione di non avere il coraggio di mettere sotto accusa le agenzie di rating come parte di una strategia più complessa Usa e britannica che ha come obiettivo primaria il crollo dell’euro e la conseguente sopravvivenza del dollaro e della sterlina. Ora si possono avere tutte le avversioni possibili per la moneta unica europea, per la Banca centrale di Francoforte e per l’Unione europea come strumenti per svuotare di sovranità gli Stati nazionali e trasferirla alla tecnocrazia di Bruxelles e Francoforte, formata da burocrati che vantano un passato lavorativo negli ambienti dell’Alta Finanza e delle multinazionali. Ma a nessuno può sfuggire che in questa fase siamo di fronte ad una lotta per la sopravvivenza tra Europa da una parte e gli Stati Uniti dall’altra, con la Gran Bretagna a fungere da cavallo di Troia di Washington nell’Unione europea. Non è un caso infatti che la speculazione finanziaria che da un anno a questa parte si è scatenata contro i Paesi deboli (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) dell’area dell’euro sia partita in maniera coordinata dalle piazze finanziarie di Wall Street e della City. Non è nemmeno un caso che alle prime voci sull’intenzione della Germania di modificare i trattati europei per obbligare i Paesi membri sotto la minaccia di sanzioni, a ridurre debito e disavanzo, S&P abbia lanciato questo siluro per fare girare l’idea che in fondo nemmeno Berlino e Parigi sono messe poi così bene. Voci insistenti danno per certo che, in previsione del crollo dell’euro, la Germania progetti di dare vita ad una moneta riservata ai Paesi europei con i conti pubblici a posto, se non addirittura di rinunciare all’euro e tornare al marco

Nonostante tutto, le reazioni di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy, seppure condizionate dalla rabbia, non sono state conseguenti con quella che è la realtà dei fatti. L’Unione europea e i suoi Paesi guida sembrano non avere il coraggio di replicare duramente e nel merito alle manovre di Washington mirate a fare saltare l’euro. Si può ricordare che al vertice del G20, il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, si è potuto permettere di rampognare i Paesi europei per la loro presunta incapacità di tenere sotto controllo la dinamica della spesa pubblica. E nessuno dei presenti l’ha mandato a quel paese, non fosse altro perché all’inizio di agosto il Congresso Usa aveva visto un accordo tra democratici e repubblicani per alzare il tetto legale del debito pubblico Usa fino al 100% sul Prodotto interno lordo, dove peraltro già si trovava. Una percentuale che poi sale al 130% contando il debito degli enti locali. Eppure Standard&Poor’s e Moody’s continuano ad attribuire la massima valutazione di affidabilità e solvibilità futura al debito pubblico Usa. Un debito che non preoccupa Washington che è in grado di ripagarlo in ogni momento attraverso la semplice stampa di dollari, un moneta che è sopravvalutata e che sopravvive soltanto in conseguenza del ruolo degli Usa come prima potenza militare del globo e quindi come moneta di occupazione. Un debito che si somma a quello commerciale che è arrivato a 650 miliardi di dollari annui e che testimonia la realtà di un Paese i cui cittadini vivono ben al di sopra delle proprie possibilità e si indebitano per qualsiasi operazione commerciale e finanziaria.

Angela Merkel ha minimizzato l’iniziativa di S&P. Quello che fanno le agenzie di rating sono affari loro, ha spiegato. Giovedì e venerdì il Consiglio europeo prenderà quelle decisioni che sono importanti ed essenziali per la zona euro. Così si contribuirà alla stabilizzazione della zona euro e si riconquisterà la fiducia dei mercati. Certo, ha ammesso, sarà un processo lungo che richiederà molto tempo ma è un percorso che è stato già definito due giorni fa nel corso della riunione con Nicolas Sarkozy, dove è stato ribadito il no agli eurobond ed è stato deciso (la cosiddetta bozza Merkozy) di proporre all’Unione europea di prevedere sanzioni automatiche per quei Paesi che sforassero il tetto del debito e del disavanzo.

Chi sembra invece avere le idee molto chiare è il presidente della Banca di Francia, Christian Noyer, che ha affermato che la metodologia applicata da Standard & Poor's per i rating del debito pubblico ultimamente è molto cambiata e lo dimostrano le argomentazioni usate. Tale metodologia sta diventando sempre più politica e sempre meno legata ai fondamentali economici del Paese esaminato. Le agenzie sono state il motore della crisi del 2008. E adesso, si è domandato, stanno diventando il motore della crisi attuale? Questa, ha concluso, è la vera questione su cui si deve riflettere. Più cauto il ministro delle Finanze François Baroin per il quale la minaccia di S&P rafforza la necessità di una regola tassativa che imponga ai membri dell'eurozona di impegnarsi nel pareggio di bilancio.

Appare quindi significativo che per gli analisti dell’americana Cmc Marketsm, l’annuncio di S&P possa rappresentare un ostacolo imprevisto sulla strada della ratificazione delle modifiche ai trattati sui quali Francia e Germania stanno ormai discutendo da settimane come premessa ad un via libera per il raggiungimento di quell'unione fiscale che lasci le mani libere alla Bce e che permetta la nascita degli eurobond.

di Filippo Ghira
Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=11942

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