(...) Occorre considerare in effetti due diverse tecniche di disinformazione:
I) Quella più nota e ovvia à la disinformazione consistente nella diffusione di notizie false, come nel caso delle armi di distruzione di massa di Saddam, dei 10.000 morti ad opera di Gheddafi nei primi giorni della ribellione bengasina, dei morti di Timisoara, o anche dell’attribuzione della strage di Oslo, nelle prime ore, con tanto di barbuto islamico sugli schermi televisivi, alla solita “Al Qaeda”. Questo tipo di disinformazione potrebbe essere contestualizzata in una logica, come dire, di breve durata, perché finalizzata alla svolta politico-militare – sempre o quasi segnata da violenza – perseguita: la guerra del 2003 contro l’Iraq, la guerra NATO contro la Libia, la fucilazione di Ceausescu, l’impatto mediatico della tragedia norvegese. I falsi vengono alla fine scoperti, ma quasi sempre a obbiettivo politico raggiunto.
II) Ma c’è anche una seconda tecnica di disinformazione, collocabile in una prospettiva di lungo periodo, più profonda, e che consiste nell’ omissione di notizie vere, di dati di fattoindubitabili e utili a farsi un’opinione diversa da quella-e dominante-i. Nel caso di Israele e del sionismo questo tipo di disinformazione è molto più diffuso di quanto si creda. Ecco alcuni esempi di cui ho già parlato in altre occasioni:
1) Il 20 marzo 2003 (o forse il giorno dopo) Saddam Hussein in video conferenza commenta l’attacco anglo-americano con le seguenti parole, trasmesse in traduzione simultanea dal TG1: “gli americani, gli inglesi e dietro di loro il maledetto sionismo …”. Quest’ultima unità di notizia (non dell’interpretazione di Saddam della guerra, ma del fatto che aveva pronunciato quelle parole) sfugge alla censura perché la traduzione dell’interprete arabo è in simultanea, ma nessun organo di informazione il giorno dopo – nonostante la sua utilità a fini di demonizzazione ulteriore di Saddam, l’ “antisemita”, il “folle” etc. – l’ha pubblicata. Giammai che qualcuno potesse sospettare che Saddam aveva ragione, o che potesse spiegarsi perché nel 1991, di fronte al primo intervento anglo-americano, Saddam – fosse giusta o sbagliata la sua percezione del potere del sionismo sulle politiche estere di Washington e Londra – avesse lanciato dei missili contro lo Stato ebraico- Tutti zitti: ed è impensabile che nelle ore drammatiche dell’avvio della guerra, non ci fossero all’ascolto del discoroso teletrasmesso dal TG1 almeno uno delle centinaia di giornalisti di qualche testata grande o piccola esistente in Italia.
2) Pochi giorni prima lo scoppio della guerra del 2003, anche il congressista americano Jim Moran aveva espresso un’opinione simile a quella di Saddam: “perché, presidente Bush, dai il via a una guerra che fa gli interessi non degli Stati Uniti ma di Israele?” era stata più o meno la domanda. Ma questa unità di notizia viene censurata dalla rete mediatica, almeno in Italia. Moran, subito accusato di “antisemitismo” dalla lobby israeliana, avrebbe poi ritrattato subito le sue parole e più tardi sarebbe finito tra i nomi dei politici, attori, etc USA pronti a denunciare l’inesistente “genocidio” del Darfur, campagna mediatica poi dilagata anche in Europa e che avrebbe costituito la premessa del mandato di cattura internazionale della CPI contro il presidente sudanese Al Bashir del 2009, per fortuna andato a vuoto per la reazione pronta del Sudafrica e di altri paesi africani. Si ricordi che Elie Wiesel, intervenendo all’ONU nel 2005, aveva citato come più grave “genocidio” della nostra epoca, proprio il Darfur. Con buona pace degli americocentristi, era ed è Israele il principale nemico del Sudan, secondo tradizione storica che risale alla guerriglia Anya-Nya degli anni Sessanta, e secondo le notizie rintracciabili anche sulla stampa israeliana, relative al sostegno aperto di Israele alla guerriglia del Darfur, e ai sudanesi vittime della repressione governativa.
3) Ma andiamo a leggere due intere pagine del Corriere della Sera sul Darfur appunto (Corriere della Sera ). La firma è Bernard Henry Lewy, uno di quegli intellettuali ebrei e proisraeliani attivissimo ogni volta che bisogna colpire e demonizzare i veri o presunti nemici dello Stao ebraico: ebbene, Lewy non cita le notizie di cui sopra – né cita il fatto che la campagna sul “genocidio” del Darfur è stata attivamente lanciata e sostenuta dal sito del Museo dell’Olocausto ancor prima il discorso citato di Elie Wiesel. Tace semplicemente l’unità di notizia. E’ un conflitto, quello tra Kartum e i guerriglieri, tra il cattivo arabo e i suoi crimini, e i purissimi guerriglieri aiutati da nessuno se non dalle campagne di solidarietà della grande stampa (ovviamente neutra quanto a indirizzi, e molto sensibile ai “diritti umani”, almeno in Sydab) e della rete mediatica mondiale.
4) Proseguiamo con la la Libia. All’inizio della crisi libica – quella trasformatasi poi in guerra – mentre alcuni mass media israeliani diffondevano la notizia che Gheddafi sarebbe di origine ebraica – nessuno dei grandi media in Italia ha ripreso la notizia del durissimo attacco a Israele e alla CPI di Gheddafi nel 2009, notizia riportata all’epoca dalla stessaRepubblica con tanto di replica di Tel Aviv (“Gheddafi è un bulletto da circo”). In tal modo, il segno sionista o quanto meno anche sionista della guerra di aggressione alla Libia – ben simboleggiato dai due falchi dell’aggressione: Cameron e soprattutto Sarkozy - è rimasto occultato.
5) Le foto di Sarkozy “l’israeliano” – sono in questa pagina fb, alla sezione foto – circondato da rabbini, o da striscioni dell’AIPAC – emblema di una carriera politica del presidente francese fatta tutta, dal 1983 ad oggi, col supporto attivo della lobby prima solo francese poi anche americana - non sono mai state pubblicate da nessun importante organo di informazione italiano. In tal modo, non solo alcuni commentatori hanno potuto liberamente paragonare nel 2007 l’elezione di Sarkozy a quella del pro-arabo De Gaulle, ma, di nuovo, la guerra di Libia è stata espunta di un dato di fatto atto a darne una interpretazione corretta, o quanto meno altamente probabile;
6) A proposito di foto: la foto dello striscione BR dietro il volto impaurito dell’ingegnere dell’Alfa Romeo Michele Mincuzzi di un sequestro lampo da parte di Mario Moretti, foto che comparve all’epoca sulla stampa italiana e che suscitò le ire di Franceschini e Curcio all’epoca in carcere, perché – questa l’accusa dei due leaders storici delle BR al neo-capo – la stella raffigurata nello striscione aveva 6 punte e non 5, non compare oggi su internet: digitate “michele mincuzzi” su google-immagini e troverete centinaia di immagini, alcune delle quali riferite alle BR, ma non appunto quella del sequestro. Diversi i sequestrati, tra cui Sossi di Genova, e tutte stelle a cinque punti. Potrebbe essere un tassello minimale, ma il problema è che poter vedere e far circolare quella foto vuol dire aprire una finestra di dubbio sul caso Moro: se cioè non avesse ragione il Presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino a sostenere pubblicamente nel 1999, durante la guerra di Jugoslavia, la possibilità-legittimità della pista Mossad nel rapimento dello statista proarabo e nemico di Henry Kissinger. Aldo Moro.
7) Caso Moro bis: nel gennaio 2002, tra l’altro in coincidenza delle prime interpretazioni cosiddette “complottiste” sull’11 settembre, Paolo Mieli, che allora curava la pagina delleLettere al Corriere della sera, pubblica in apertura una domanda di un lettore che gli chiede lumi sul caso Moro: chi lo ha ucciso? E’ vero che si è trattato di un complotto internazionale? Mieli risponde citando uno storico americano collaboratore della rivista di Perfetti, del quale riprende la teoria che la tesi complottista era infondata, ed era stata divulgata dagli ex comunisti pro-BR che all’epoca avevano inneggiato all’assassinio di Moro, e che poi, pentiti e rinsavitisi dal punto di vista etico, si erano rifugiati nell’idea di un complotto esterno che li salvasse.
Attenzione, non è da entrare qui nel merito di questa teoria pseudopsicologica abbastanza strampalata: il fatto da sottolineare è invece che il giornalsita e storico Mieli, elenca sì le piste complottiste più note di cui si era parlato a proposito del Caso Moro - Cia, Kgb e P2 di Licio Gelli – ma omette di citare (dicesi semplicemente citare) il termine Mossad: la pista cioè di cui avevano riferito in decine di articoli per diverse settimane – su input come già detto, dell’on. Pellegrino – i giornali e i media italiani nel non lontano 1999.
Come dire: il complottismo è comunque sbagliato, ma vada per parlare a destra di KGB e a sinistra di CIA e P2: giammai invece parlare, anzi citare, l’ipotesi Mossad. Proibito, come da “lezione” data all’on. Pellegrino – parlamentare italiano eletto dal popolo – da Galli Della Loggia a “sinistra” e da Ferrara a destra sul Corriere e su Il Foglio. Un attacco violentissimo e contestuale, che indusse il Presidente della Commissione Stragi a ritirarsi e a tacere per sempre sulla questione (aiutato anche da un terzo giornalista, un loffio codardo, di cui parlerò, se mi andrà, in altra occasione).
8) Caso Spatuzza: nel dicembre 2009 il pentito Spatuzza accusa Berlusconi delle bombe del 2003 a Roma, Firenze e Milano. Si sviluppa un dibattito politico-giornalistico che dura mesi, assurdo non solo per il credito che a sinistra riceve il pluriassassino Spatuzza, pur di dare addosso a Berlusconi, ma anche perché nessuna ricorda, pare, una notiziola interessante diffusa dall’allora ministro Mancino in parlamento, in risposta da alcune interrogazioni parlamentari appunto sugli attentati di quell’anno: “la rivendicazione – disse più o meno il futuro relatore e promotore della famigerata legge Mancino – è stata fatta da una organizzazione islamica, attraverso un cellulare di un cittadino israeliano”. La notizia era stata riferita, con serietà professionale, proprio da Paolo Mieli, e se io cito questo suo merito è anche per far capire che la questione che sto sollevando, non è ad personam, ma comunque è tale e va sollevata.
Tutti zitti comunque, nelle controrepliche e nei successivi interventi, i coraggiosi parlamentari di destra, di centro e di sinistra. Tutti zitti i giornalisti. Ovviamente, quella rivelazione in atto pubblico non sembra aver interessato minimamente nemmeno la magistratura: chissà se è mai stato aperto un fascicolo sul caso, e chissà se qualcuno ha pensato di interrogare il proprietario del cellulare del cui nome evidentemente Mancino era venuto a conoscenza.
Si potrebbe continuare con numerosi altri esempi. Quello che va sottolineato, di nuovo, non è la questione dell’interpretazione di fatti: uno può essere d’accordo o no sulla pista Mossad in questo o quel caso, può essere o no un negatore assoluto dell’esistenza di complotti e di servizi segreti che complottano. Il problema è a monte, sul terreno dell’informazione secca, della notizia che viene nascosta o che finisce comunque occultata, magari anche solo per pigrizia mentale, una “pigrizia” che a sua volta però indotta dal clima terroristico che regna ogni volta che si parla di Israele in modo negativo.
Riflettiamo ancora: abbiamo parlato di eventi di cronaca sì, ma di valenza sicuramente storica. La questione dell’occultamento scivola in effetti anche sul terreno storiografico, e investe altri aspetti inquietanti: per fare un primo esempio, prima di concludere qui questo articolo, nel suo libro “Mossad base italia”, il giornalista e storico Eric Salerno – uno dei partecipanti al convegno del Master Enrico Mattei sul terrorismo del giugno 2010 – non solo ha disvelato un incredibile attivismo e una fortissima e diffusa presenza del Mossad nell’Italia negli anni Cinquanta – all’epoca del proarabo e pronasseriano Mattei – ma inoltre cita episodi e dichiarazioni che dovrebbero far riflettere tutti, a cominciare dagli storici interessati a difendere l’accessibilità e la trasparenza degli Archivi e che sono spesso ancora fermi all’epoca del fascismo-antifascismo e dei tentati golpe militari in Italia: p. 115: si riferisce di fascicoli scomparsi all’Archivio di Stato, e in particolare uno titolato “Israeliani in Italia” (“Il contenuto è stato distrutto” è scritto sulla copertina) e si accenna a “archivi … ripuliti e molte storie sepolte“; p. 162: “è consuetudine del Mossad lasciare un’ombra di mistero intorno a tutte le operazioni che gli vengono attribuite. Non conferma né smentisce”; p. 191, su quella che in una relazione all’Università di Salerno del 2004, ho individuato come una sorta modalità “massonica” di informazione, rivolta alle elites che devono sapere, ma di cui non devono diffondere i contenuti specifici alle opinioni pubbliche): “quelli che devono sapere, sanno. E quelli che devono sapere, sanno che non c’è posto al mondo dove Israele non può agire” (Ehud Olmert).
La Norvegia è un’eccezione a questa “regola”? Difficile a credersi. E se sì, comunque, perché allora i grandi media non hanno riferito e non riferiscono tranquillamente e professionalmente tutte quelle unità di notizia su cui abbiamo sin qui ragionato e scritto in pochi? *
Tratto da: http://www.ipharra.org/article-caso-norvegia-la-disinformazione-tra-diffusione-di-notizie-false-e-occultamento-di-notizie-vere-80473879.html
* (...) Secondo, tante voci della Norvegia, dai giovani assassinati alle alte sfere governative, avevano espresso nei giorni precedenti il massacro di Utoya e le bombe di Oslo, delle posizioni duramente ostili a Israele, boicottando – gesto inaudito per un paese europeo – due ditte israeliane interessate allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e soprattutto annunciando due drastiche misure in sfida allo Stato ebraico: il riconoscimento dello Stato palestinese e un embargo economico contro quella che i paesi arabi chiamano talvolta, ancora, l’ “entità sionista”. Dire che queste misure non rappresentano un pericolo per Israele vuol dire semplicemente ignorare la storia del conflitto israelo-palestinese, marcata sempre da un’ossessione sionista a imporre la propria legge della giungla non solo ai paesi arabi, ma a tutto il mondo. (...) http://www.claudiomoffa.it/
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