Nazionalizzare le banche e poi cancellare il debito pubblico
in risposta al bocconiano Stefano Feltri
Stefano Feltri |
di Moreno Pasquinelli
«Per il Feltri insomma, se lo Stato non paga il debito, ci sarà lo sfracello, il cataclisma. Perché? Perché salterebbero proprio le banche italiane, che hanno in pancia quasi la metà dei titoli emessi dallo Stato. Quindi: Dio ce ne scampi dal causare il fallimento delle banche, sarebbe il crollo dell'intera economia italiana. La verità sta al polo opposto».
Avremmo voluto occuparci, quest'oggi, del Vertice carolingio tra la Merkel e Sarkozy. Ascoltando vari Tg ieri sera, c'era da mettersi le mani ai capelli. Un vertice del nulla, un incontro-zero-carbonella, che i Tg —tutti, compresi il Tg3 e il Tg La Sette— si sono sforzati di imbellettare come "decisivo", "importante", "significativo". Poi stamattina aprendo i giornali mi sono reso conto che lo sforzo contro-informativo sarebbe stato superfluo. Tutti gli analisti concordano sul fatto che se questi due sono la guida dell'Europa, allora siamo messi proprio male. L'immagine più efficace l'ha fornita Carlo Bastasin su Il Sole 24 Ore di oggi: «Visto con l'occhio dei mercati, l'atteso summit tra Merkele e Sarkozy si è svolto ieri su Marte, mentre sul pianeta Terra infuriava una grave crisi finanziaria e calava una stagnazione economica».
Dall'irrisorio meglio passare al semi-serio. L'altro ieri un lettore ci segnalava un articolo apparso su Il fatto quotidiano, un giornale che confesso, non leggo, tanto ne ho le palle piene di un antiberlusconismo la cui radicalita è direttamente proporzionale al suo servilismo verso il capitalismo-casinò e i suoi cosiddetti "poteri forti", quali Bce, Bankitalia, ecc.
L'articolo segnalatoci è una vera chicca, una plateale conferma di questo servilismo smaccato. Titolo dell'articolo Quelli che "il il debito non lo pago", pubblicato il 14 agosto a firma di Stefano Feltri [1], un fighettino uscito, guarda caso!, dalla Bocconi, e di cui ci era capitato di leggere alcune delle sue vacuità su IL FOGLIO e IL RIFORMISTA —questa transumanza di certi "analisti" economici da testate pro e anti-berlusconiane la dice lunga sulla sostanziale omogeneità dei due fronti.
L'articolo è un attacco a quei pezzi di estrema sinistra, da Cremaschi a Ferrando che, pur con imperdonabile ritardo, oggi perorano la causa della cancellazione del debito pubblico. E' significativo che proprio Il Fatto Quotidiano si stia muovendo preventivamente per stroncare quello che per ora è solo uno stormir di fronde sulla vicenda debito sovrano.
Ma veniamo alla tesi del nostro fighetto appena sfornato dal bocconificio:
«Il nostro debito ha superato ieri i 1900 miliardi di euro, di interessi ne paghiamo oltre 75 all’anno. Un default, anche parziale, renderebbe quasi certo il fallimento delle grandi banche italiane piene di titoli di Stato, da Unicredit e Intesa in giù, oltre a scatenare reazioni imprevedibili nel resto del mondo, che detiene circa metà del nostro debito. Si attende l’assemblea di ottobre per capire quale scenario prevedono i tifosi del default nel caso i loro auspici sull’Italia si avverassero».
Per il Feltri insomma, se lo Stato non paga il debito, ci sarà lo sfracello, il cataclisma. Perché? Perché salterebbero proprio le banche italiane, che hanno in pancia quasi la metà dei titoli emessi dallo Stato. Quindi: Dio ce ne scampi dal causare il fallimento delle banche, sarebbe il crollo dell'intera economia italiana.
Sommessa domandina antiterroristica: e se contestualmente alla cancellazione del debito nazionalizzassimo il sistema bancario? In questo caso, con lo Stato diventato proprietario degli istituti bancari (e assicurativi aggiungo), avremmo, in prima battuta, che esso non solo diventerebbe titolare dei crediti delle banche, ma pure dei loro asset, accrescendo così il proprio patrimonio e la propria stessa solvibilità. Venendo al sodo: accadrebbe, con la nazionalizzazione, che quello che per lo Stato è oggi inscritto a bilancio sulla colonna dei debiti verso creditori esterni (relazione che soggiace alle spietate leggi dello strozzinaggio finanziario globalizzato, per cui i creditori hanno tutto l'interesse a trarre il massimo guadagno a spese del debitore) si sposterebbe nella colonna dei crediti.
Sottraendo il debito/credito al mercato finanziario globalizzato, lo Stato non solo eviterebbe la propria bancarotta, ma proteggerebbe i suoi cespiti, i suoi patrimoni, le sue entrate dai vampiri della finanza speculativa, che ha proprio nelle banche i suoi santuari.
Contrariamente a quanto sottende furbescamente il Feltri, la nazionalizzazione non porterebbe affatto il sistema bancario al crack. Oggi sì che le banche italiane, nel distorto gioco della bisca finanziaria globale, lo rischiano davvero. Una volta che lo Stato ne abbia preso possesso, il patrimonio e le immense entrate tributarie dello Stato diventerebbero la più solida garanzia fideiussoria per il sistema bancario.
Una volta nazionalizzate le banche, una volta che lo Stato sia diventato effettivo titolare del suo debito, prima mossa, solo allora può passare alla seconda, decidere se ristrutturarlo o cancellarlo del tutto.
Un governo popolare, cioè un governo che metta l'interesse pubblico e/o nazionale in cima alle sue priorità, lo cancellerebbe del tutto, liberando così i circa 300 miliardi di euro annui che spende per rimborsare i credito-speculatori, per investirli nell'economia, per sostenere i disoccupati e spronare le zone depresse, per salvare la ricerca e l'istruzione, per salvaguardare i diritti di cittadinanza e i beni comuni.
Come sappiamo i 1900 miliardi e passa di debito (più gli interessi che annualmente maturano) sono posseduti al 50% circa da banche straniere, il resto da banche italiane. Quando si dice banche italiane non si pensi ai Bot-people degli anni '80. La quota di titoli in mano ai risparmiatori italiani non supera il 10%. Lo Stato, una volta nazionalizzate le banche, può ben decidere di ristrutturare i debiti verso questo dieci per cento, stabilendo una soglia politica plausibile —non è che si possono salvare gli speculatori privati milionari!
E i debiti verso le banche tedesche, francesi, olandesi o inglesi? Che questi strozzini vadano alla malora!
Al che sentiamo il Feltri spaventato gridare: "ma questo implica uscire dall'Eurozona! Significa tornare alla lira!". Esatto: le due mosse di cui sopra implicano la terza: l'uscita dall'euro e la riconquista della sovranità monetaria, con la clausola che la nuova Banca d'Italia, quella deputata ad emettere carta moneta, sia sottratta al controllo dei privati —passo del resto congruente alla nazionalizzazione del sistema bancario.
Non è colpa nostra se i firmatari dell'appello per l'incontro del 1 ottobre, non sono né conseguenti né sufficientemente coraggiosi, se non pongono l'uscita dall'euro come la logica conseguenza della cancellazione del debito. Non disperiamo: più prima che poi giungeranno alle nostre medesime conclusioni.
Note:
[1] Stefano Feltri, 1984. Modenese, laureato in economia alla Bocconi, giornalista professionista. Ho cominciato a scrivere sulla Gazzetta di Modena. Poi ho collaborato con varie testate, tra cui Diario e Lo Specchio de La Stampa. Dopo uno stage a Radio24, ho lavorato per il Foglio e per Il Riformista. Scrivo anche su Aspenia, la rivista dell’Aspen Institute, Formiche e altro. Mi occupo anche di fumetti, per la rivista Anteprima della Panini Comics. Sono responsabile dell'economia al Fatto Quotidiano.
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