Prodi, Dini, Padoa Schioppa, Mario Monti, Mario Draghi aparatchik di Goldman Sachs catapultati nel potere pubblico.
di Tito Pulsinelli
E’ ormai vicino il giorno in cui gli ex Botteghe Oscure e la nomenklatura della “opposizione” dovrà spiegare l’acritico, succube, incondizionale e sviscerato amore per tutto quel che è targato Goldman Sachs. Gli orfanelli di Mosca, approdati al liberalismo nell’epoca della sua storica estinzione, hanno disinvoltamente calzato la sua negazione -lo spurio surrogato “neoliberista”- con verace furore sadomasochista. Non come astratta teoria ad uso delle madrasse accademiche o “bocconiche”, bensì come recidiva politica economica dei suoi governi. Romano Prodi, capo del più longevo governo di “centro-sinistra”, svolse la mansione di “senior advisor” di Goldman Sachs, sian dal marzo 1990.
Tra il 2007 e il 2009, Romano fu il prode paladino delle banche e firmò vari decreti disegnati sulla misura degli speculatori finanziari. Con il consunto paravento del “governo tecnico”, Botteghe Oscure ha sempre affidato la conduzione dell’economia ai vari Dini, ai Padoa Schioppa che in Grecia svolse l’ultima missione di proconsole-becchino plenipotenziario del FMI.
Che cosa c’è dietro questa succube love story con tecnocrati che hanno sempre lavorato per i grandi centri internazionali della speculazione finanziaria? Costoro, non sono mai stati servitori di due padroni -banchieri e salariati- ne hanno servito sempre uno solo. Anche Mario Monti è stato -dal 2005- advisor di Goldman Sachs.
Per Mario Draghi, la nomenklatura della sinistra neoliberista non arrossiva a indicarlo come capo dei futuri governi post-Berlusconi. Eppure, l’attuale boss della BCE, aveva raggiunto il gradino gerarchico più alto, dal 2002 al 2005, come vicepresidente e responsabile di Goldman Sachs per l’Europa.
Bisogna arrendersi all’evidenza: dirigere e pianificare la speculazione finanziaria globale non è un ostacolo per condurre l’economia di una nazione; bene pubblico ed interesse delle elites sono una unica e identica cosa. In sostanza, per chi si vergogna di Gramsci -molto apprezzato nei think tank della loro patria adottiva usamericana- e persino di Keynes, la ricetta idonea per difendere dal tracollo definitivo i salariati, classe media ed impresa nazionali, sono gli aparatchik del globalismo.
La nomenklatura affida volentieri i malati alle cure dei funzionari d’alto bordo che hanno propagato con foga l’epidemia. Li agevolano persino ad arrivare alla testa delle banche centrali o dei ministeri dell’economia, affinchè possano usare l’erario pubblico per il “salvataggio” dei bancarottieri. E per adottare politiche catastrofiche tendenti a svendere i patrimoni nazionali con privatizzazioni forzate. A vantaggio degli ex datori di lavoro del capo della BCE e dei ministri economici preferiti a Botteghe Oscure.
La “commissione” di Bruxelles e la BCE –eletti da chi? con quanti voti?- hanno oggi poteri di coazione per sanzionare i governi europei che non ridurranno del 7% la spesa pubblica. Ostentano un potere inferiore solo a quello dei fu governi sovietici, pianificando integralmente l’agricoltura, economia e finanza. Spingono in un vicolo cieco in cui 8 persone su 10, riceveranno meno redditi e servizi, con caduta dei consumi e della produzione, aumento esponenziale della disoccupazione, e gli Stati avranno meno entrate fiscali. A chi conviene?
A Londra si alternano governi di segno apparentemente opposto, ma c’è l’unanimità su queste questioni perchè i governi hanno perso la sovranità economica. Laburisti o conservatori, possono decidore solo dove fare tagli o mettere tasse. Il “socialista” George Papandreu svende le imprese pubbliche alle multinazionali. Riduce gli stipendi, le pensioni e i posti di lavoro agli ordini del FMI. Affida la tesoreria pubblica alle banche europee. Sostiene la guerra della NATO contro la Libia. Lui dirige la Polizia costiera greca per rafforzare il blocco di Netanyahu su Gaza.”
Ad Atene, Lisbona, Madrid, Budapest, Dublino contano soli i diktat lanciati dal FMI, BCE, agenzie di rating, cioè il potere internazionale de facto.
Le pietanze previste dal menù elettorale sono identiche, e gli scenari prospettati dai fatiscenti partiti sono miraggi che si sostanziano solo di chiacchiericcio mediatico. Non rappresentano piú i cittadini europei. Per cercare soluzioni che non siano vantaggiose solo per il 20% della popolazione, è necessario oltrepassare il terreno della politica. Per dare un taglio ad un modello incapace di moltiplicare la ricchezza, che si vanta senza pudore di saper moltiplicare solo i milionari, è sempre più necessario varcare la soglia della lotta sociale, civica, trasversale, dal basso. E guardare coloro che hanno osato affrontare la “dittatura del mercato” o che seppero gridare “que se vayan todos!”, o che organizzarono referendum sul debito e sulle modalità con cui pagarlo, o meno. E’ così che l’Islanda ha strappato qualche risultato utile e vitale per le genti laboriose.
Le nuove potenze emergenti, però, si distinguono per non sottostare al dogma della autonomia assoluta delle Banche centrali -vedi Cina- e per delimitare lo spazio di manovra del cosidetto “mercato”, rigettando il dogma della sua libertà assoluta. Tutto, assolutamente tutto, sia nella fisiologia umana, che nella natura e nelle scienze, funziona in base a regole e principi di autoregolazione e delimitazioni reciproche. Tutto ha limiti, perchè i mercanti di “valori cartacei” no?
Non c’é piú la libertá di comprare buoni del tesoro emessi dagli Stati. I governi sono obbligati a indebitarsi con la banca privata. Perché? La “libertà del mercato” è un fondamentalismo oscurantista, con vocazione autoritaria, testo ad abolire la nozione del bene comune e nullificare le istituzioni su cui ancora i cittadini hanno qualche residuale influenza, attraverso il voto.
Pubblicato da Selvasblog
Tratto da: http://cogitoergo.it/?p=3557
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