Pagine

lunedì 7 marzo 2011

Soluzione di continuità

C'è un filo rosso che tiene ben legate l'attuale questione libica e quella, risalente a un ventennio fa, che segnò l'infausto destino dei Balcani. Un filo rosso fatto di esagerazioni, distorsioni, menzogne, inadeguatezze e quant'altro che hanno accompagnato la disgregazione della ex Jugoslavia e che stanno giocando un ruolo effettivo anche nel determinare gli esiti della rivolta libica.
Era il 1991, quando l'Italia mise in luce la propria inconsistenza e nullità strategica, vanificando di colpo gli effetti della propria, lodevole linea di politica estera nei Balcani tenuta per un quindicennio (si pensi al trattato di Osimo del 1975), per esternare nulla più che flebili pigolii di protesta di fronte alle prepotenti rivendicazioni vaticane e tedesche in quell'area (che si erano tradotte con l'immediato riconoscimento di Slovenia e Croazia) considerate, da queste ultime, come zone in cui privilegiare la componente cattolica (Vaticano) o estendere la propria influenza egemonica (Germania). Fino ad allora i rapporti tra Roma e Belgrado erano stati ottimi, con l'Italia che era riuscita a ricucire i numerosi strappi con la Jugoslavia risalenti alla Seconda Guerra Mondiale dimostrando un non trascurabile abilità diplomatica, e fungendo da esempio - non emulato - per tutti i paesi europei assai recalcitranti a trattare con un paese comunista, anche se non aderente al Patto di Varsavia.

Tuttavia la Jugoslavia era sostanzialmente un frutto della Guerra Fredda, una trincea che si estendeva lungo la "Cortina di Ferro" cui Tito era riuscito a dare un'anima di comunismo nazionale che ne aveva cementato l'unità. Con la formazione del blocco dei paesi non allineati la Jugoslava aveva inoltre acquisito un prestigio internazionale per nulla irrilevante. Tuttavia la morte di Tito, la dissoluzione dell'Unione Sovietica e il semi - fallimento delle riforme economiche privarono il paese, nell'arco di pochi anni, delle ragioni che ne avevano puntellato l'unità. Malgrado per l'Italia si trattasse di un'occasione d'oro per far leva sui rapporti di buon vicinato al fine di far valere le proprie ragioni strategiche - non legate solo al fatto singolo ed esclusivo di ritrovarsi con tre stati ferocemente antagonisti a pochi chilometri dai propri confini - prevalsero come al solito gli interessi di parrocchia, con una forte componente della Democrazia Cristiana storicamente prona ai voleri della Santa Sede.

Così l'Italia finì per prendere atto dell'avvenuta disgregazione jugoslava consolandosi con un eloquente "tanto peggio, tanto meglio", convinta di poter raccogliere le briciole del bottino balcanico lasciate dagli altri paesi europei. L'ostinata miopia dei leader europei in concorrenza gli uni con gli altri non fece altro che rendere ancor più instabile la situazione, che ben presto sfuggì loro di mano. Non rimaneva che chiedere aiuto all'"alleato" d'oltreoceano, che fu ben felice di inserirsi nel caos balcanico e di puntare il dito contro l'incapacità degli europei di gestire efficacemente le controverso in seno al Vecchio Continente. Incapaci di badare a se stessi, gli europei si allinearono alla linea atlantica e pretesero che i principali leader di tutte le fazioni che avevano dato luogo alla guerra civile jugoslava (Milosevic, Tudjman, Izetbegovic) si presentassero alla tavola imbandita di Dayton in Ohio  all'unico scopo di coalizzarsi contro la componente serba di Jugoslavia, di criminalizzarla e soprattutto di gettare le basi per un'imminente processo di frammentazione che rendesse perennemente incandescente e del tutto ingovernabile l'area. Gli USA riuscirono così a scongiurare il pericolo di una reale unità europea, e sobbarcando l'intero onere delle sanzioni sulle spalle dei soli serbi con lo zelante assenso dei politici europei assestarono un colpo durissimo alla concreta possibilità di un'integrazione russa al Vecchio Continente. La strenua difesa del Kosovo (e degli sgherri tagliagole dell'UCK) chiuse poi la parabola, poiché da un lato consentì agli USA di installarsi militarmente nel cuore dell'Europa e dall'altro fomentò le spinte centrifughe di tutte le altre componenti etniche jugoslave, che in breve tempo emularono l'esempio dei kosovari per esigere un'indipendenza dietro l'altra. A ciò si deve il definitivo spezzettamento della Jugoslavia e alla nascita di Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia, oltre alle preesistenti Croazia, Slovenia e Bosnia Erzegovina. In questo modo gli Stati Uniti strinsero il cappio attorno al collo dell'Europa, grazie al servilismo di tutte le singole classi politiche nazionali e di una poderosa campagna giornalistica clamorosamente disinformativa, che decuplicò in un batter d'occhio il numero delle "vittime" kosovare cadute sotto i colpi dei perfidi sgherri serbi.

Oggi assistiamo a una campagna disinformativa se possibile ancor più grottesca e unilaterale, che ha fatto immediatamente proprie le rivendicazioni di alcune frange di riottosi libici infeorociti con Muhammar Gheddafi, il nuovo Hitler, di turno dopo i vari Saddam Hussein e Slobodan Milosevic. Dopo pochi giorni di scontri si è parlato della sbalorditiva cifra di diecimila morti causati da bombardamenti sulle folle, della creazione di fosse comuni e dei consueti stupri sulle "manifestanti". Qualche giorno dopo la notizia delle sedicenti "fosse comuni" si è rivelata essere una colossale bufala, cosa che ha rimandato la memoria di quanti non abbiano il cervello ridotto in pappa dalle fesserie propinate dagli "organi di informazione" al falso carnaio di Timisoara, messo a punto a tavolino dai servizi segreti sovietici (e non solo da loro) allo scopo di spodestare il despota Nicolae Ceausescu. Giorno dopo giorno miriadi di notizie date immediatamente per vere sono state smentite dai fatti e al momento l'intero castello di carte "umanitario" pare effettivamente sul punto di esser sepolto sotto la valanga di grossolane idiozie smascherate una dopo l'altra. Ma i politici europei, come si stanno comportando?

Appena Obama ha aperto bocca sono tutti scattati sull'attenti, compreso il signor Silvio Berlusconi che in un primo momento si era saggiamente guardato dal salire sul carro degli apparenti vincitori. Già, perché i rapporti italiani con la Libia sono datati 1911 e da allora i governi di qualsiasi colore hanno mantenuto ottimi rapporti con quel paese. Gheddafi stesso deve molto all'Italia, che più volte gli ha letteralmente salvato la pelle quando francesi e americani erano inferociti con lui. Tali buoni rapporti hanno fruttato enormi commesse e affari d'oro per le aziende italiane di punta, come Eni e Finmeccanica, che il meccanismo innescatosi ha messo a serio repentaglio. Ora, dato per spacciato con eccessiva fretta, Gheddafi, potendo contare sulla fedeltà dell'esercito, sembra aver ripreso l'iniziativa, cosa che ha rimesso in forte dubbio il "lieto fine" della favola. Di fronte a questa intollerabile prospettiva, il signor Obama si è deciso una volta per tutte a scoprire le carte e ad alzare il tiro, intimando a Gheddafi di "andarsene" e parlando della concreta possibilità di un "intervento" - umanitario, si capisce - risolutore.

Nel frattempo, l'Europa ha bloccato i beni del "rais" e il norimberghiano Tribunale dell'Aja sta "indagando" sui crimini del "tiranno". Ancora una volta l'Europa si accoda agli USA, antepone gli interessi di Washington ai propri e si fa imporre che linea tenere sull'uscio di casa propria. Fosse per i paesi europei, un'altra Dayton si profilerebbe all'orizzonte. Malauguratamente, a scombussolare i piani della "divina provvidenza" ci si è messa l'ostinazione del beduino della Sirte. Il solito impudente.

Nessun commento:

Posta un commento