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giovedì 31 marzo 2011

NON CI HANNO DETTO CHE AL JAZEERA FA PARTE DELLA NATO


Il vento delle rivoluzioni arabe ora coinvolge anche la Siria, il vero Paese di frontiera con Israele. Dal 1967 le Alture del Golan, la zona più ricca d'acqua della Siria, sono infatti occupate da Israele, e l'eventualità di una restituzione di questi territori non è neppure nell'agenda internazionale. La Siria si trova quindi in uno stato di guerra, ma, in base alle "notizie" che pervengono, il tema della liberazione nazionale sembrerebbe totalmente assente dalle rivendicazioni della piazza. Per un Paese tribale, che ha costruito la sua legittimazione statuale in base ad un'incerta identità nazionale siriana, una tale omissione non costituisce soltanto una delegittimazione dell'attuale governo, ma anche dello Stato siriano; come a dire che il Golan potrebbe considerarsi definitivamente annesso ad Israele senza ulteriori complicazioni giuridiche.

Non mancano anche stavolta sui media le analisi sociologiche per spiegarci la natura della rivolta, ma, con l'affollarsi di sempre ulteriori variabili, le costanti di questa "rivoluzione araba" si riducono a ben poco, anzi, ad un unico punto fermo: il ruolo di Al Jazeera nella "informazione" sulle rivolte e sulle relative repressioni. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulla Libia non sono state assunte in base ad informazioni raccolte direttamente da appositi ispettori, bensì dai servizi giornalistici di Al Jazeera, alla quale in questa vicenda è stato riconosciuto una sorta di status di fonte ufficiale.

Ma cos'è realmente Al Jazeera? A volte osservare il dito può risultare più istruttivo che guardare la Luna.

Al Jazeera è la emittente televisiva del Qatar, un piccolo emirato della penisola arabica. Al Jazeera è considerata la CNN araba, ed è stata per molti anni sia un'occasione di orgoglio nazionalistico per gli Arabi, sia un motivo di scandalo e disappunto per molti commentatori occidentalisti. D'altro canto, il piccolo Qatar può considerarsi, dal punto di vista militare, un Paese "occidentale" a tutti gli effetti, dato che è vincolato ad un patto di collaborazione con la NATO. La presenza delle Forze Armate del Qatar nella "coalizione dei volenterosi" che ha aggredito la Libia non può quindi considerarsi un dato inaspettato, poiché è del tutto inquadrabile in questa collaborazione con la NATO. Tale collaborazione è cominciata addirittura nel 2005 e proseguita ininterrottamente negli anni successivi, come risulta dalla documentazione della stessa NATO.

Sempre a proposito di Al Jazeera, la giornalista italiana Barbara Serra che ha lavorato come conduttrice di Al Jazeera English e come corrispondente di Al Jazeera dagli USA, dirigerà un programma, Cosmo, su Rai tre. Al Jazeera di casa nostra?

L'altra emittente araba che svolge un ruolo decisivo nell'informazione sulle rivolte nel Mondo Arabo è Al Arabya, che è la televisione internazionale degli Emirati Arabi Uniti, anch'essi, manco a dirlo, inquadrati in un patto di collaborazione militare con la NATO. ( UAE Interact ).
Quanti si chiedevano che interesse avrebbero mai potuto avere Al Jazeera ed Al Arabya a presentare la situazione araba nei termini favorevoli agli interventi della NATO, possono quindi trovare la loro risposta: Qatar ed Emirati Arabi Uniti fanno parte a tutti gli effetti della coalizione NATO.
 
(...)
 
Tratto da: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=414

Gheddafi, Finmeccanica, petrolio, acqua e Dinaro...


Gheddafi e la Francia

Per circa 3 anni il presidente sionista francese, Nicolas Sarkozy, si è occupato personalmente, assieme al suo staff, di due colossali affari con la Libia: la vendita di una intera flotta aerea da combattimento e un mega investimento per costruire centrali atomiche a Tripoli e dintorni. Tutto ovviamente di marca francese! Stiamo parlando di affari da centinaia di miliardi di euro.

Questi contratti nessuno di noi ovviamente li ha visti, né tantomeno Sarkò.
Di volta in volta infatti il dittatore libico ha sostituito le aziende francesi con aziende russe e anche italiane, facendo schiumare dalla rabbia il presidente francese.
Ecco perché a fine novembre scorso, il presidente francese inizia una controffensiva mediatica verso Gheddafi.

Casualmente, proprio in quei giorni, arriva a Parigi con tutta la famiglia, uno degli uomini più vicini al colonnello libico, Nouri Mesmari, capo del protocollo di Gheddafi.
Mesmari chiedendo asilo politico per sé e la famiglia è diventato, da allora, il più prezioso collaboratore di Sarkò, svelando segreti militari ed economici della Libia…
A guerra iniziata, sempre casualmente, il primo obiettivo dei caccia francesi è stata la flotta aerea libica, composta da 20 aerei tutti russi (Mig21-23 e Sukhol22), come pure da 40 elicotteri, sempre di produzione russa...

Gheddafi e l’oro

Dopo che la Cina ha annunciato il conio dello Yen d’oro si sono alzate strane voci sul sistema aureo del Medio Oriente.
Non a caso il principale iniziatore e fautore del pagamento senza dollari né euro è stato proprio Gheddafi, il quale ha fatto appello al mondo arabo per adottare una valuta unica: il dinaro d’oro!
Il colonnello libico ha anche proposto di creare uno Sato Africano Unito che conti 200 milioni di persone!

Questo ovviamente non s’ha da fare e infatti secondo il sionista Sarkò: “i libici hanno attaccato la sicurezza finanziaria del genere umano”!
Gheddafi in pratica ha deciso di ripetere i tentativi del generale francese De Gaulle, di abbandonare l’uso della carta igienica americana, chiamata dollaro, e tornare all’oro.

Verso la metà degli anni 60 infatti il generale De Gaulle con l’aiuto di un influente monetarista francese, Jacques Rueff, denunciò la pericolosa egemonia del dollaro, proponendo per questo il ritorno all’oro come mezzo di regolazione delle transizioni internazionali (abbandonò anche la NATO).

Molto probabilmente Gheddafi stava attaccando il principale potere della moderna democrazia sionista: il sistema bancario internazionale!

Gheddafi e l’oro nero

Secondo le ultime ricerche, la Libia risulta avere un capitale incalcolabile di greggio e gas.
Non solo, il petrolio che possiede è di ottima qualità perché raffinarlo costa pochissimo, cosa questa rarissima in natura. Stiamo parlando di circa 44 miliardi di barili.[1]

Inoltre la Libia, a differenza degli altri paesi africani non è indebitata con la Banca Mondiale o con il Fondo Monetario Internazionale, quindi Gheddafi può dettare le condizioni e non subirle.
Il petrolio della Libia finirà nelle mani dell’inglese British Petroleum (che dopo il disastro ambientale non naviga in buone acque), della francese Total e dell’americana Chevron.

L’italiana ENI è fuori! L’Eni infatti perde le concessioni a favore della BP, Chevron e Total.

Gheddafi e l’oro blu

La Libia, oltre all’oro nero e al gas è ricchissima di acqua, l’oro blu.
Sotto i piedi di Gheddafi, sembra esservi un mare grande quanto la Germania, una riserva blu grande almeno 35.000 chilometri cubi.[2]

Gheddafi & Unicredit

La Central Bank of Libya, ha in portafoglio il 4,99% delle azioni dell’Unicredit e insieme alla Libyan Investment Authority – che detiene il 2,59% di Finmeccanica di cui è il secondo azionista - ha raggiunto il 7,58% del capitale di Unicredit[3].
Per tanto oggi, la Libia è il primo azionista di Unicredit![4]

Gheddafi & Finmeccanica

Non tutti sono al corrente che Finmeccanica è una delle principali aziende mondiali che si aggiudica ogni anno miliardi in commesse con i vari governi occidentali.
Nel 2007 il Pentagono, sede della Difesa statunitense, ha commissionato a Finmeccanica la fornitura del valore di 6 miliardi di dollari per la costruzione di 145 velivoli per l’esercito e l’aeronautica.[5] Nel quinquennio 2011-2016 sempre Finmeccanica si è aggiudicata un contratto del valore di circa 570 milioni di sterline con il Ministero della Difesa Britannico.[6]
Dal 2008, dopo l’acquisizione dell’americana Drs, Finmeccanica è uno dei principali fornitori del Pentagono[7] e dal 2009 Gheddafi è entrato nel gioco acquistando le azioni di Finmeccanica.
Gli Stati Uniti d’America sono molto preoccupati per questa pesantissima ingerenza libica nei loro sporchi affari economici e guerrafondai!

Conclusione

Dopo tutto questo, viene da sé, che il colonnello non poteva rimanere nel suo trono d’orato per molto tempo ancora.
A questo punto è importante non farsi confondere le idee dalla propaganda vergognosa del Regime mediatico: in Libia non c’entrano nulla le sommosse popolari, i movimenti o le rivolte.
La Libia NON è la Tunisia, NON è il Marocco o l’Egitto!
L’intervento criminale guerrafondaio di Francia, Inghilterra Usa e Italia era in programma da tempo e non dopo le recenti sommosse radiocomandate.
I motivi sono assai diversi, ma il filo conduttore è sempre lo stesso: interessi economici!
Da una parte Gheddafi ha commesso il grosso errore di ficcare il naso negli affari sporchi anglostatunitensi mediante Finmeccanica, dall’altra il colonnello nel corso degli ultimi anni si è fatto alcuni potenti nemici tra cui Israele, Usa, Francia e Inghilterra.

Non si può scardinare il sistema monetario internazionale senza pagarne conseguenze pesantissime.

Ultimo ma non per importanza, la Libia possiede allettanti e ricchi giacimenti (petrolio di ottima qualità, gas, acqua dolce e perfino uranio nel sahara libico). Tutto questo, per gli squali e gli avvoltoi mascherati da banchieri internazionali, è grasso che cola.

Ricordiamo che i banchieri internazionale sono gli unici che guadagnano miliardi di dollari da guerre, carestie, disastri naturali e artificiali, attentati, terremoti.
di Marcello Pamio

Per approfondimenti:
“La Libia viene bombardata perché Gheddafi vuole introdurre il Dinaro d’oro?” http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8108


“Ma quale Gheddafi, Sarkò ha dichiarato guerra all’Italia”, Franco Bechis, fbechis.blogspot.com

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[1] “Breve analisi sulle motivazioni della guerra e il probabile dopo Gheddafi”, http://www.agoravox.it/Breve-analisi-sulle-motivazioni.html
[2] “Libia, acqua dolce sotterranea grande come la Germania”, Paolo della Sala, “Il Secolo XIX” del 25 marzo 2011
[3] “Unicredit, Finmeccanica, i capitali libici e le armi italiane” di Giorgio Beretta, Unimondo
[4] “Gheddafi entra in Finmeccanica”, “La Repubblica”, 22 gennaio 2011
[5] “Finmeccanica: commessa dal Pentagono per 6 miliardi di dollari”, www.corrispondenti.net/index.php?id=18983
[6] “Finmeccanica si aggiudica commessa da 570 milioni di sterline”, http://www.investireoggi.it/news/finmeccanica-si-aggiudica-commessa-da-570-mln-di-sterline/
[7] “Gheddafi entra in Finmeccanica i libici al 2%, gli USA in allarme” http://www.dirittiglobali.it

Tratto da: http://www.disinformazione.it/gheddafi.htm

mercoledì 30 marzo 2011

Tricolori e propaganda di guerra

Siamo in guerra ormai da una settimana, ma dai balconi delle case italiane, anzichè le bandiere arcobaleno della pace continuano a garrire i tricolori di quella patria, riscoperta anche da tanta sinistra, proprio nel momento del suo totale asservimento al padrone a stelle e strisce ed ai suoi vassalli di Bruxelles.

Il popolo dei pacifinti, presente in massa nelle piazze e nelle strade qualche anno fa durante l'invasione dell' Iraq, quando lottare contro la guerra era esercizio prodromico alla conquista di facili consensi elettorali ed ambite poltrone "che contano" sembra essersi dissolto senza lasciare traccia ed i pochi aneliti di contestazione passano perlopiù inosservati, poichè privati della sponsorizzazione di quei partiti e quelle organizzazioni che dal dopoguerra in poi gestiscono "le piazze" a proprio piacimento.

Diventa impossibile non domandarsi... dove siano finite le 150.000 persone con le quali il 18 febbraio 2007 ho condiviso la manifestazione oceanica di Vicenza contro la costruzione della nuova base militare americana Dal Molin. A rigore di logica chi si oppone con fervore alla costruzione di una base militare dovrebbe manifestarsi ben più indignato di fronte all'entrata in guerra del suo paese, ma evidentemente in questi giorni, di logica in giro se ne ravvisa davvero pochina.

Così come diventa diventa impossibile comprendere che fine abbia fatto il popolo cattolico delle marce della pace Perugia-Assisi, dal momento che il mondo cattolico in questi giorni di guerra ha finora manifestato solo inanità e desistenza, in perfetta sintonia con l'assoluto disinteresse espresso dai suoi vertici, nei confronti dell'aggressione armata a Tripoli.

E altrettanto ostica si rivela la ricerca degli strenui difensori della Costituzione, che quasi settimanalmente organizzano qualche marcetta, presidio, manifestazione, protesta di piazza, ma inspiegabilmente sembrano essere caduti vittima di una dissolvenza di fronte alla palese violazione dell'art 11, che in quanto estimatori della nostra carta costituzionale dovrebbero conoscere molto bene.....

Se il pacifismo e l'impegno di quelle forze politiche e sociali che per puro utilitarismo, della pace avevano fatto la propria bandiera, latitano e sembrano incapaci di proporre una qualche reazione degna di questo nome, la propaganda di guerra è invece ben presente, grazie all'impegno di una nutrita schiera di giornalisti prezzolati, animali politici di ventura ed opinionisti militari d'accatto che non mancano mai quando s'invade in armi qualche stato sovrano.

Gli inviati della TV sono come sempre embedded da una parte sola, che naturalmente è quella degli "eroici" insorti affamati di democrazia, e raccontano una pseudo realtà unilaterale che potremmo chiamare quella di Bengasi, della CNN, di Al Jazeera, della Nato e dei militari. Gheddafi ha già ucciso più di ottomila civili, bisogna fermare le sue stragi ed aiutare "gli eroi" che nonostante le bombe del dittatore stanno pian piano riconquistando tutto quel paese il cui controllo spetta loro di diritto.

I missili e le bombe degli alleati impegnati nell'operazione Odissea all'alba (sarebbe stato più onesto chiamarla "Siamo in 20 energumeni che picchiano a sangue un bimbo dell'asilo ma ci piace così") sono buoni, come lo sono gli animi degli alleati stessi. Distruggono le postazioni radar, ma anche i blindati e le jeep dell'esercito libico, ma anche le strutture aeroportuali, molte case di civile abitazione e perfino qualche ospedale. Dentro agli automezzi non ci sono uomini, così come non ci sono uomini negli aeroporti, nei porti, nelle costruzioni civili e neppure negli ospedali. Al più ci sono criminali al soldo di Gheddafi, scudi umani e malati immaginari, ai quali lo status di essere umano è stato revocato di diritto dall'Onnipotente.

La TV ed i giornali di Gheddafi raccontano una storia diversa, fatta di morti ammazzati dai bombardamenti alleati, quartieri in fiamme e stragi di varia natura. Ma quella di Gheddafi è solo propaganda, costruita ad arte per creare disinformazione e mistificare la realtà.

Lo sappiamo bene noi giornalisti italiani ed occidentali che siamo tutti a Bengasi, embedded fra gli insorti, quelli buoni, ed a Tripoli ci guardiamo bene da andare. A Tripoli ci sono i cattivi che sostengono Gheddafi e quando se ne vedono sfilare in piazza a migliaia siamo certi che si tratti di un barbatrucco del Rais. A Tripoli c'è un odio (naturalmente ingiustificato) nei confronti della stampa occidentale. E soprattutto a Tripoli cadono le bombe, quelle buone degli alleati, quelle che non fanno mai alcuna vittima fra i civili, perchè li trasformano in mercenari di Gheddafi e psicopatici sanguinari, sempre un istante prima di morire.

di Marco Cedolin
Tratto da: http://www.pressante.com/politica-e-ordine-mondiale/italia/1759-tricolori-e-propaganda-di-guerra.html

Fine dell'ONU

C'è stato un tempo in cui l'ONU rappresentava davvero un forum mondiale in cui si praticava la giustizia. Il mondo era diviso in due grandi blocchi ideologici che ne garantivano la pace per quanto gli USA dopo la seconda guerra mondiale non abbiano mai cessato di essere una potenza militare bellicosa sempre in guerra con qualcuno per qualcosa che invariabilmente viene spacciata per difesa della libertà e dei diritti umani. Nello istruttivo pamphlet " Fine della libertà" Gore Vidal elenca i conflitti che sono stati suscitati dagli USA negli ultimi decenni e descrive una condizione interna all'Impero in cui le varie agenzie, in guerra l'una con l'altra, sono totalmente sfuggite a qualsiasi controllo democratico.

Peraltro lo stesso Congresso è sempre più condizionato dal Mercato come loro chiamano le multinazionali che ne dettano le leggi. Se si esamina la composizione dei Gabinetti delle ultime Presidenze la presenza dei petrolieri è dominante mentre il cosidetto apparato industriale militare prende sempre più potere. Una potenza che ha già accumulato qualcosa come venticinque milioni di veterani di guerra che, a differenza di come sapeva fare egregiamente l'Impero Romano con i suoi vecchi miles, non sa sistemare e costituiscono un focolaio terribile di suicidi e pazzia unico al mondo, è avviata da molto tempo in sentieri distanti dalla libertà e dalla democrazia ed è obbligata a fare guerre a getto continuo magari solo per tenere occupati gli eserciti di professionisti della morte e alimentare il business dei contractors, degli eserciti e delle forniture private che oggi sono tanta parte dell'universo occupazionale americano.

Il mondo rispecchiato dall'ONU aveva anche un terzo blocco di paesi che esercitavano un peso politico e morale enorme, addirittura superiore alla sua stessa consistenza. Parlo del blocco dei paesi non allineati capeggiato dalla Jugoslavia di Tito, dall'India di Nerhu, dall'Egitto di Nasser. Un blocco che era davvero una forza di pace e di rinnovamento dei popoli che sperimentava vie diverse e nuove piene di tantissima speranza che poi, nei decenni, sarebbe stata delusa ed ostacolata dall'egoismo dello zio Sam che non ha mai abbandonato per un solo istante il suo progetto di mondializzazione del potere USA.

Ora l'ONU è soltanto un mero esecutore della volontà della Amministrazione statunitense. Non c'è una sola decisione di questo organismo che sia mai stata assunta a dispetto della volontà americana. Anche le più violente ed insopportabili violazioni dei diritti umani di Israele non sono mai state sanzionate per il veto USA. Le due guerre di aggressioni del Libano sono state perpetrate con la sostanziale neutralità o indifferenza dell'ONU.

A che serve oggi l'ONU? Serve a certificare che la volontà USA è la volontà del mondo o almeno della sua grande maggioranza. Obama ha detto in questi giorni: "Il mondo deve parlare una sola voce". E' successo con le armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein certificate con una lavagna luminosa dal generale Powell segretario di Stato ed accettate come verità dal Comitato di Sicurezza, è successo con le deleghe alla Nato per sporche operazioni in Europa come l'affettamento della Jugoslavia ed i bombardamenti di Belgrado, succede ora contro una nazione sovrana come la Libia per regredirla allo stato coloniale che ha avuto dal 1911e fino all'avvento al potere del Colonnello Gheddavi.

Avete presente il gioco delle tre carte che certi imbrogliani praticano nelle fiere di mercato? L'ONU è il compare che assiste il giocoliere e ne garantisce sempre la vittoria.

di Pietro Ancona
Tratto da: http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/2011/03/fine-dellonu.html

Zitta zitta la Russia s'incunea nella guerra mondiale islamica

Il Cremlino la scorsa settimana ha riunito il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il leader palestinese Abu Mazen e il ministro degli Esteri saudita Saud Al Faisal, accompagnato da Muqrin bin Abdul Aziz, capo dell'intelligence di Riad. Nell’incontro, fortemente voluto da Putin, si è discusso della situazione mediorientale e della preoccupazione d’Israele e dell’Arabia Saudita del crescente e minaccioso potere iraniano, perseguito dagli avatar come Hamas e Hezbollah.

I sauditi sono seriamente preoccupati dei progetti atomici degli ayatollah e della loro influenza nella regione, tanto quanto Israele, e la Russia ha assicurato entrambi i governi di impegnarsi a mediare con l’Iran, visto che il Cremlino è direttamente coinvolto nel programma nucleare di Teheran. Così, Mosca si pone come garante della futura stabilità della Regione mediorientale sorpassando Washington anche nella mediazione dei colloqui di pace tra Israele e Palestina, per cui è stata spesa una parte del briefing russo.

Abu Mazen, infatti, una volta tornato in patria, seguendo il consiglio del Primo ministro Medvedv, si è subito preoccupato di chiedere ad Hamas di essere ricevuto a Gaza, cosa che non succedeva dal 2007, e che negli ultimi mesi è stato il motivo, quello del riavvicinamento tra Al Fath e Hamas, che ha spinto a manifestare migliaia di giovani palestinesi. Ma è stata una scelta piuttosto infelice dal momento che Hamas prima di qualsiasi incontro pretende il rilascio delle centinaia di prigionieri rinchiusi nelle carceri dell'Anp e la fine del bando sulle proprie attività in Cisgiordania.

Inoltre, Hamas è sempre più interessato al Cairo dei Fratelli Musulmani che alla Ramallah di Al Fath, e il fallito attentato per far esplodere il gasdotto fra Egitto, Israele e Giordania di pochi giorni è un forte campanello d’allarme soprattutto perché sono trascorsi meno di due mesi dall’esplosione che aveva procurato al condotto una sospensione del flusso di gas. Pochi giorni dal lancio di tre razzi Grad che hanno raggiunto una zona mai colpita prima, nei pressi di Rishon-le-Tzion, a soli quindici chilometri dalla parte sud di Tel Aviv.

Netanyahu, dal canto suo, ha immediatamente chiesto ad Abu Mazen di scegliere tra i “colloqui con Israele o quelli con Hamas” visto che il partito della Striscia di Gaza ha nella propria Costituzione il non riconoscimento dello Stato ebraico e l’annientamento di tutti i discendenti di David. Solo una settimana fa, per esempio, alla proposta dell’Onu di un programma per insegnare nelle scuole di Gaza la storia della Shoah, Hamas ha risposto di “bloccare a qualunque costo ogni tentativo di insegnare l’Olocausto ai bambini palestinesi”.

Ad Abu Mazen, comunque, laureato con una tesi su "La connessione tra nazismo e sionismo”, non piangerà certo il cuore e si è dichiarato disposto anche a rinunciare agli aiuti finanziari Usa -circa quattrocento settanta milioni di dollari l’anno- se questo può portare a un accordo con Hamas per ricreare l'unità territoriale palestinese tra Cisgiordania e Gaza. Ma i dollari, forse, sono stati già convertiti in rubli.

Tratto da: http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=31682&Itemid=28

martedì 29 marzo 2011

Scudo antimissili in Eurasia: La nuova cortina di ferro

L’ Europa Occidentale, attraverso la NATO e l’UE, è il principale punto di collegamento degli Stati Uniti in Eurasia. Secondo Brzezinski: “(La NATO e l’UE costituiscono) la più importante relazione globale degli Stati Uniti. E’ il punto di partenza per la partecipazione globale statunitense, che consente agli Stati Uniti di giocare il decisivo ruolo di arbitro in Eurasia - arena centrale del potere mondiale - e creare una coalizione che domina globalmente tutte le dimensioni chiave di potere ed influenza” (1).
di Mahdi Darius Nazemroaya
Globalresearch.ca

Le teste di ponte secondarie degli Stati Uniti in Eurasia sono: 1-Giappone e Corea del Sud, 2-La penisola Arabica e 3- le forze militari statunitensi e della NATO nelle zone occupate dell’Iraq e dell’Afghanistan.

Questo è il motivo per il quale l’estensione dello scudo antimissili statunitense, da un progetto USA a un progetto NATO, non dovrebbe essere una sorpresa. La globalizzazione della NATO è parte di questo processo. L’inclusione del progetto di scudi antimissili sotto il comando della NATO era già in fase di preparazione negli anni 90. In realtà, le dichiarazioni che la NATO ha appena adottato il progetto di scudi antimissili (nel 2010) sono bugie molto chiare.

Proliferazione dei Missili USA e della NATO

I registri della proliferazione di sistemi missilistici della NATO risalgono al 2006, con il programma Active Layered Theatre Ballistic Missile Defence (ALTBMD). Nell'ambito della NATO, gli USA, Gran Bretagna, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Rep. Ceca, hanno lavorato insieme per anni nella realizzazione di un sistema missilistico di difesa. Mentre Israele, India, Australia, Taiwan, Giappone e Ucraina- sotto il loro vecchio governo arancione- sono stati tutti soci.

La NATO ha anche elaborato una politica di coordinamento di missili nello stesso anno dell'invasione anglo-americana dell'Iraq nel 2003. Il progetto è stato approvato dalla NATO l'anno successivo, nel 2004.Anche la Francia statava lavorando ad un proprio sistema di missili balistici (SAMP-T), mentre olandesi, tedeschi e americani stavano sviluppando un insieme di sistemi missilistici aria-terra attraverso il Project Optic Windmill.

“L’anello di Fuoco” e la Nuova Cortina di Ferro: I tre Teatri del Progetto di Scudi Antimissili Inter-Continentale.

Lo scudo antimissile proposto è in realtà una triade di tre scudi missilistici che formano un sistema globale di difesa antimissilI che circonda l'Eurasia. I tre teatri dello scudo antimissili sono situati in Europa, Medio Oriente e Asia Orientale. L’Asia Orientale comprende sia il nord-est che il sud-est asiatico. Dall’altra parte, vi è una sovrapposizione di aree che collegano la triade di scudi antimissili. Esse sono: 1- il Mediterraneo, che unisce l’Europa e il Medio Oriente, 2- L’Oceano Indiano, che unisce il Medio Oriente e l’Asia Orientale e 3- America del Nord.

L’America del Nord funge da supporto strategico per questi sistemi di armi ed è in realtà il suo centro di comando. Il sistema è legato alle difese balistiche nordamericane negli USA, Canada e Groenlandia. L’America del Nord serve anche a rafforzare i sistemi antimissili sia in Asia Orientale che in Europa.

Anche se l'Iran è stato presentato come giustificazione per uno scudo antimissile in Europa, l'ubicazione degli impianti militari in Groenlandia dice altro. Geograficamente, la Groenlandia non è una posizione adatta per monitorare qualunque possibile minaccia missilistica della Corea del Nord né si trova nel miglior posto per controllare qualsiasi possibile minaccia missilistica iraniana. La Groenlandia è ideale per il monitoraggio di missili russi che viaggiano per il circolo Polare Artico come percorso più logico.

Il progetto antimissili in Europa punta principalmente alla Russia, mentre il progetto antimissili dell’Asia Orientale punta alla Cina con il pretesto della difesa contro la Corea del Nord. La sezione in Medio Oriente del progetto antimissili in Israele e il Golfo del Persico è presente in paesi come l’Arabia Saudita, e punta all’Iran e alla Siria. L’installazione di uno scudo antimissili in Turchia è principalmente diretto contro l’Iran e la Siria e servirebbe anche per garantire ad israeliano la possibilità di attaccare l'Iran. In questo contesto, molte voci in Turchia hanno manifestato la loro opposizione alla partecipazione della stessa al progetto antimissili della NATO. Anche il leader del Partito della Voce Popolare della Turchia ha sottolineato che il progetto di scudi antimissili potrebbe portare alla Terza Guerra Mondiale. (2).


Dalla nuova cortina di ferro a Star Wars: La militarizzazione dello Spazio.

Per quanto riguarda il progetto di missili asiatici, anche l’Australia ha lavorato con gli Stati Uniti ed il Giappone. Esiste anche una campagna per costruire uno scudo antimissili nell’Asia Meridionale insieme all’India. Questo significherebbe effettivamente che l’Eurasia sarebbe circondata da un anello di sistemi antimissili.

Questo è il motivo per cui la Russia sta lavorando a stretto contatto con gli alleati in Kazakistan, Bielorussia e Cina sulla difesa missilistica e la Cina ha sviluppato un missile in grado di distruggere satelliti USA e della NATO.

Il sistema globale multilivello dello scudo missilistico degli Stati Uniti e della NATO è legato alla militarizzazione dello spazio.

Note:
[1] Zbigniew Brzezinski, The Geostrategic Triad: Living with China, Europe, and Russia (Washington, D.C.: Center for Strategic and International Studies Press, 3 novembre 2000), 29.
[2] Serkan Demirtaş, “NATO shield could cause World War III, Turkish party leader says”, Hürriyet Daily News and Economic Review, 24 novembre 2010.

Tradotto e segnalato da VANESA

Iran: fondamentale sia per Russia che USA. Sara' questo il punto di rottura?


(...)
Vi segnalo questa notizia: http://www.debka.com/article/8968/ Putin nei giorni scorsi (agosto 2010 n.d.r.) aveva annunciato il dispiegamento dei missili in Abkhazia per difendere le repubbliche separatiste caucasiche di Abkhazia e Ossezia del Sud, e cio' aveva sollevato le preoccupazioni, oltre che della vicina Georgia anche degli USA.
Nell'articolo c'è la vera ragione per cui ha messo ora i missili la' e cioe' per difendere l'Iran da possibili attacchi da parte di USA e Israele.

Con l'Iran la Russia si gioca tutto.
Se perde gli americani entrano in Iran e da li' destabilizzano gli stati dell'Asia centrale e le zone periferiche della Russia che finirebbero per separarsi quanto prima facendo scoppiare guerre civili e distruggendo di fatto la Russia come entita'. Secondo me questo e' l'obiettivo dei falchi dell'Amministrazione USA, distruggere la Russia ed appropriarsi delle sue materie prime. Sara' una mia impressione ma Obama non appoggia per niente questa visione ma sta aiutando la Russia e l'Iran solo che trovandosi in minoranza all’interno dell’amministrazione USA non lo puo' mostrare apertamente. Ci sono stati molti piccoli segnali che mi fanno pensare questo. Un esempio, l'altro giorno Obama ha appoggiato pubblicamente la costruzione della Moschea a ground zero ed ha deciso di cenare per tutto il periodo del ramadan dopo il tramonto. Perche' se non per dare un implicito appoggio alla Russia? Sembra quasi che dica: Io sono con voi ma non posso agire, ma neanche mi schierero' contro.

Un altro segnale e' quando c'è stata la crisi valutaria in Europa. Obama e' intervenuto ad aiutare l'Europa telefonando alla Merkel e, anche se la notizia e' passata sotto traccia, di fatto facendo si che la Federal reserve con degli Swap desse in quei giorni liquidita' alla BCE (ed il Congresso USA, irritato da cio', subito dopo e' intervenuto con una legge per vietare che cio' si possa ripetere in futuro). Perche’? L’obiettivo dei falchi Usa era destabilizzare ed indebolire l’area Euro per dividere la Germania dall’Italia e quindi far abortire il progetto di una UE vicina alla Russia.

Tornando al Medio Oriente prova a dare un occhio alla cartina: la Russia NON puo' perdere l'Iran. Si sta giocando tutto con questa battaglia.

Speriamo non arrivino alla guerra ma potrebbe anche essere perche' senza tale Stato la Russia si disgregherebbe mentre gli USA perderebbero di fatto tutta l'Asia (da una parte avrebbe la Cina dall'altra la Russia). Quindi e’ fondamentale per entrambi.

Per di piu' in Europa la Germania e l'Italia (od almeno Berlusconi) sono dalla parte di Russia, Turchia ed Iran. Quindi anche il dollaro crollerebbe e con esso la predominanza mondiale USA nel mondo. oltre al fatto che le materie prime mondiali sono in centro Asia e Russia. Chi le ha potra' controllare il mondo nel prossimo futuro avra’ il controllo dell’economia mondiale. Si stanno ridelineando gli equilibri del dopo guerra fredda, da una parte USA, UK, Israele ed Arabia e dall'altra Russia, Turchia, Iran, Germania ed Italia. La Cina ad oggi e' molto piu' vicina agli USA pur essendo un battitore libero, La UE invece sta decisamente virando verso est abbandonando gli USA.
 
Tratto da: Flip side of the economy

Gli USA stanno ricattando Putin e la Russia

 Joseph Biden e Vladimir Putin

RICATTO: IL VICE-PRESIDENTE AMERICANO MINACCIA UNA RIVOLUZIONE SE PUTIN SI RIPRESENTERA’ ALLE ELEZIONI.

Sui media emergono nuovi e interessanti dettagli sulla recente visita del vicepresidente americano Joseph Biden a Mosca, nel corso della quale egli si è incontrato con il presidente russo Dmitri Medvedev, con il Primo Ministro Vladimir Putin e con i leader dell’opposizione russa.

Il rappresentante di questi ultimi, il campione di scacchi Garry Kasparov, sul blog [http://garry-kasparov.livejournal.com/25189.html] che tiene presso il sito dell’emittente radiofonica russa “Eco di Mosca”, ha rivelato, in un articolo intitolato “Parlar chiaro nella Sacra Patria”, ciò che Biden ha detto agli oppositori russi durante l’incontro:

“E’ significativo il fatto che Biden, nonostante dovesse recarsi ad una conferenza presso l’Università di Mosca, abbia continuato a rivolgerci domande e alla fine ci abbia detto con molta franchezza di aver detto a Putin, durante un incontro, di non considerare opportuna una sua candidatura per un nuovo mandato. Secondo il vicepresidente americano, la Russia è stanca di Putin e questa stanchezza diventerà sempre più forte e condurrà inevitabilmente ad eventi simili a quelli che stanno scuotendo il mondo arabo. E’ evidente che la dinamica di questi eventi costringe gli USA a rivedere le proprie relazioni con tutti i regimi autoritari, Russia compresa. La permanenza di Putin non rappresenta più una costante imprescindibile per la politica estera americana”, ha detto Kasparov nel suo blog. (Tratto dal blog http://blogghete.altervista.org/)

Perche' queste minacce? Putin e' l'uomo forte della Russia molto amato dalla popolazione e molto autonomo rispetto agli USA. Per lui l'importante e' il benessere del popolo russo NON di quello inglese, israeliano od USA. E questo agli USA da' molto fastidio. Essi sono riusciti a circuire Medvedev e quindi stanno facendo di tutto per far cadere Putin. Qualora non ci riuscissero passerebbero al piano B creando rivolte e destabilizzazione nel suolo russo attraverso i soliti integralisti arabi....

Si stanno gia' muovendo in questo senso infatti proprio l'altro mese si sono riavvicinati al presidente del Uzbekistan Karimov con il quale hanno siglato degli importanti contratti e per essere piu' sicuri di controllare lo Stato stanno massicciamamente finanziando gli integralisti attraverso la mano amica saudito-israeliana, lo scorso anno invece attraverso la guerra civile farsa in Kyrgistan si sono insediati anche in questo Stato. E' da ricordare che la Russia nei sui confini meridionali e' scarsamente popolata e quindi e' molto facile destabilizzarla, soprattutto ricordando come in caucaso lo sia gia' da tempo, anche qui grazie alle fondamentali forze esterne che lavorano a questo obiettivo. Io comunque ritengo che nel caso Putin si ricandidi l'asse USA-UK_Israele_Arabia Saudita cerchera' prima di destabilizzare il centro asia, poi l'Iran dopodiche' lo Stato persiano verra' invaso e da qui ridurranno a miti consigli anche un duro come Putin.

Ci riusciranno? Non lo so, anzi penso di no essendo gli USA sempre piu' indebitati ed essendo la Cina sempre piu' insofferente verso di loro, E' da dire pero' che gli USA potrebbero reagire alla crisi economica cercando di provocare una guerra mondiale...che volente o nolente dovra' passare attraverso un attacco a Teheran.

Per Putin e la Russia quindi si profileranno anni difficili con attacchi dall'esterno (USA-UK) e dall'interno (Medvedev, Israele, terroristi arabi finanziati da Israele-USA e Sauditi) e con ben pochi amici (Berlusconi, l'Iran).

Speriamo bene. Una Russia potente e' la migliore garanzia ad un futuro di pace.

Tratto da: Flip side of the economy

lunedì 28 marzo 2011

Terza Guerra Mondiale? Benvenuti nell’incubo

Quando ci sveglieremo potrebbe essere tardi: saremo prigionieri di un incubo. All’inizio sembrerà un’operazione militare come tante altre, un semplice raid aereo punitivo sull’Iran ribelle. Sarà invece l’inizio della Terza Guerra Mondiale. Non ci credete? Meglio dare un’occhiata, allora, all’ultimo sconvolgente studio prodotto dall’istituto canadese “Global Research” diretto da Michel Chossudovsky, professore emerito di economia all’università di Ottawa, autore di saggi come “La globalizzazione della povertà e il nuovo ordine mondiale”. L’umanità è a un bivio pericoloso, avverte Choussudovsky: dall’atomica di Hiroshima, mai s’era visto un simile dispiegamento mondiale di armi pronte all’uso.


Uno scenario da fine del mondo: prima mossa, l’Iran. Poi, le reazioni a catena e i veri obiettivi: fermare la Cina neutralizzando la Russia. Il capitalismo imperiale, in crisi, pensa di non avere più altri mezzi per garantirsi l’accesso privilegiato alle risorse vitali: acqua, petrolio e gas naturale. Se fallisse la politica non resterebbe che la guerra, il conflitto totale su scala mondiale. E anche se nessuno se n’è accorto, avvertono gli osservatori canadesi, l’opzione militare è «in stato di avanzata preparazione». Sistemi di armi hi-tech, tra cui testate nucleari, sono già completamente schierati: gli “obiettivi” sono pressoché accerchiati. «Questa avventura militare», spiega Choussudovsky, «è sul tavolo da disegno del Pentagono» addirittura dal 1990. «Prima l’Iraq, poi l’Iran», stando a un documento del comando centrale Usa del 1995.

L’escalation è già parte dell’agenda militare: mentre l’Iran è il prossimo obiettivo, insieme con Siria e Libano, il nuovo dispiegamento militare strategico minaccia anche Corea del Nord, Cina e Russia. Segnali inequivocabili: a giugno, l’Egitto ha autorizzato il transito di navi da guerra israeliane e statunitensi nel canale di Suez (evidente “segnale” rivolto a Teheran), mentre l’Arabia Saudita ha concesso a Israele il diritto di sorvolo e, nel Mar della Cina, le manovre congiunte con la Corea del Sud hanno irritato Pechino. «Gli Stati Uniti ed i loro alleati stanno “battendo i tamburi di guerra” – scrive Choussudovsky – al culmine di una depressione economica in tutto il mondo», per non parlare della più grave catastrofe ambientale nella storia, il collasso della piattaforma Bp nel Golfo del Messico.

Media completamente accecati, depistati quando non disinformatori: «La “crisi reale” che minaccia l’umanità, secondo i media e i governi, non è la guerra ma il riscaldamento globale». Il vero pericolo non viene percepito: «Nessuno sembra temere una guerra nucleare sponsorizzata dall’America. La guerra contro l’Iran è presentata all’opinione pubblica come un problema tra gli altri», da vivere con l’indifferenza alla quale ormai si è abituati. Del resto, «la macchina di uccisione globale è sostenuta anche da un culto insito di morte e distruzione che pervade i film di Hollywood, per non parlare delle serie Tv di guerra e criminalità in prime time sulle reti televisive». Culto di morte «approvato dalla Cia e dal Pentagono, che supportano anche finanziariamente le produzioni di Hollywood come strumento di propaganda di guerra».


Se l’Iran dovesse essere oggetto di un attacco aereo “preventivo” da parte delle forze alleate, l’intera regione – dal Mediterraneo orientale alla frontiera occidentale della Cina con l’Afghanistan e il Pakistan – si infiammerebbe, conducendoci potenzialmente in uno scenario da Terza Guerra Mondiale, sostiene Choussudovsky. Il conflitto si estenderebbe subito a Libano e Siria ed è «altamente improbabile» che gli eventuali bombardamenti sull’Iran sarebbero circoscritti agli impianti nucleari: pressoché scontato, invece, «un attacco aereo su infrastrutture militari e civili, sistemi di trasporto, fabbriche, edifici pubblici».

Perché proprio l’Iran? Presto detto: col suo 10% di riserve mondiali di petrolio e gas, il paese degli ayatollah si colloca al terzo posto dopo l’Arabia Saudita (25%) e l’Iraq (11%) per la dimensione delle sue scorte. In confronto, gli Stati Uniti possiedono meno del 2,8% delle riserve di petrolio a livello mondiale. Mentre le scorte petrolifere Usa non raggiungono i 20 miliardi di barili, la vasta regione che va dal Medio Oriente all’Asia centrale dispone di riserve enormi, più di 30 volte quelle degli Stati Uniti, pari ad oltre il 60% della riserva totale del mondo. «Colpire l’Iran – sottolinea Choussudovsky – significa non solo recuperare il controllo anglo-americano sull’economia di petrolio e gas iraniani, compresi i percorsi delle condutture, ma anche contestare la presenza e l’influenza della Cina e della Russia nella regione».


Il previsto attacco contro Teheran fa parte di una coordinata “road map” militare globale. E’ la cosiddetta “guerra lunga” del Pentagono: un conflitto senza frontiere guidato dal profitto, un progetto di dominazione mondiale, una sequenza di operazioni militari. I pianificatori militari della Nato, aggiunge Choussudovsky, hanno previsto vari scenari di escalation militare, con relative implicazioni geopolitiche: mentre Iran, Siria e Libano sono gli obiettivi immediati, Cina, Russia e Corea del Nord, per non parlare di Venezuela e Cuba, sono anch’esse oggetto di minacce da parte degli Stati Uniti. Obiettivo strategico nella corsa alle risorse: sconfiggere il gigantesco competitor cinese e annullare la capacità militare della difesa russa.

Uno sguardo all’attualità recente non fa che moltiplicare timori e sospetti: le manovre navali al largo della Corea del Nord, la distribuzione di missili Patriot in Polonia, il centro di allarme missilissico anti-Russia installato nella Repubblica Ceca, dispiegamenti navali in Bulgaria, Romania e Mar Nero sempre in chiave anti-Mosca così come il dispiegamento di truppe Usa e Nato in Georgia e il formidabile dispiegamento navale nel Golfo Persico, compresi sottomarini israeliani pronti a colpire l’Iran. Contemporaneamente, sono ormai «aree in corso di militarizzazione» il Mediterraneo orientale, l’intero Mar Nero, la regione andina del Sudamerica, i Caraibi e l’America centrale, dove le minacce sono dirette contro Cuba e Venezuela.

Una escalation silenziosa e costante, protetta dalla formula dell’aiuto militare: trasferimenti di armi su larga scala, di proporzioni inaudite come l’affare da 5 miliardi di dollari con l’India, che mira a rafforzare gli indiani in funzione anti-cinese. Stessa tecnica in Medio Oriente, in vista del possibile attacco all’Iran: gli Stati Uniti, spiega il “Global Research Institute”, stanno armando gli Stati del Golfo (Bahrain, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti) con missili intercettori a terra, missili Patriot ad avanzata funzionalità, sistemi speciali per la difesa ad alta quota e missili intercettori Standard-3 sul mare, installati su navi da guerra già ora dispiegate nel Golfo Persico.

«Un disegno militare globale attentamente coordinato e controllato dal Pentagono», rileva Choussudovsky, che coinvolge le forze armate unite di più di 40 paesi. «Questo dispiegamento militare globale multinazionale è di gran lunga la più grande esibizione di sistemi avanzati di armi nella storia del mondo». La struttura di comando unificato, suddivisa in comandi combattenti geografici, si basa su una strategia di militarizzazione a livello globale. L’esercito degli Stati Uniti ha basi in 63 paesi. Nuovissime basi militari sono state costruite dopo l’11 settembre 2001, in sette paesi. In totale, ci sono 255.065 unità di personale militare statunitense distribuite nel mondo.

Una geografia militare, quella del Pentagono, che rivela il vero obiettivo finale dell’opzione bellica del terzo millennio: la conquista del mondo. «Ad eccezione di Hiroshima e Nagasaki, la seconda guerra mondiale è stata caratterizzata dall’uso di armi convenzionali», mentre ora la pianificazione di una guerra globale «si basa sulla militarizzazione dello spazio». Se fosse avviata una guerra contro l’Iran, aggiunge Choussudovsky, non verrebbero impiegate solo armi nucleari, ma sarebbe utilizzata «anche l’intera gamma di nuovi sistemi di armi avanzate, tra cui armi elettrometriche e tecniche di modificazione dell’ambiente», le famose “armi climatiche” per il cambiamento forzato del clima: secondo alcuni analisti, il sistema Haarp installato in Alaska sarebbe in grado di provocare a distanza cataclismi come siccità, terremoti e inondazioni.


Il pericolo, avverte Choussudovsky, è tanto più reale se si considera l’assoluta indifferenza dei mezzi di informazione: «In coro, i media occidentali hanno bollato l’Iran come una minaccia alla sicurezza globale in vista del suo programma di presunte armi nucleari (inesistente). Riecheggiando dichiarazioni ufficiali, i media ora chiedono l’attuazione di bombardamenti punitivi nei confronti dell’Iran in modo da salvaguardare la sicurezza di Israele». Anziché constatare che l’unica, vera minaccia alla pace nel mondo proviene dall’asse che collega Stati Uniti, Nato e Israele, secondo Choussudovsky si preferisce «instillare tacitamente», nell’inconscio popolare, «la nozione che la minaccia iraniana è reale e che la Repubblica islamica dovrebbe essere “conquistata”».

La costruzione del consenso di massa, aggiunge lo studioso canadese, ricorda i metodi della famigerata Inquisizione spagnola: si esige «l’accettazione dell’idea che la guerra è un impegno umanitario». E così, anche se è a tutti noto che sono Washington e Tel Aviv a mettere in pericolo la pace nel mondo, «in un ambiente inquisitorio la realtà viene capovolta: i guerrafondai sono impegnati per la pace, le vittime sono presentate come i protagonisti della guerra». Una mistificazione che ha successo, ora che negli Usa il movimento pacifista si è indebolito: con l’ascesa di Obama, gli americani contro la guerra si concentrano su Afghanistan e Iraq, trascurando «le guerre che sono in preparazione, già sul tavolo del Pentagono».

Niente è ancora deciso, ma tutto è pronto: al momento opportuno, se prevarrà l’opzione bellica, il più colossale dispiegamento di armi iper-tecnologiche della storia dell’umanità potrebbe far saltare in aria mezzo pianeta. «Questa guerra è pura follia», protesta il professor Choussudovsky, concludendo il suo report con un appello drammatico: «Ci rivolgiamo alle persone su tutta la terra, in America, Europa, Israele, Turchia e in tutto il mondo perchè si ribellino contro questo progetto militare, contro i loro governi che sono a favore di un’azione militare contro l’Iran e contro i mass media che servono a camuffare le conseguenze devastanti di una guerra contro l’Iran».

Michel Chossudovsky

Se la guerra è un crimine, l’assassino in questo caso ha un movente formidabile: il denaro. «L’agenda militare – spiega il direttore del “Global Research Insitute – supporta un profitto guidato da un distruttivo sistema economico globale che impoverisce ampi settori della popolazione mondiale». Doppia follia, dunque, visto che la Terza Guerra Mondiale sarebbe una catastrofe «terminale». Albert Einstein aveva intuito i pericoli dell’ecatombe nucleare e dell’estinzione della vita sulla terra: «Non so con quali armi sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale – disse – ma la Quarta sarà combattuta con clave e pietre». Oggi, purtroppo, gli arsenenali dell’ipotetico terzo conflitto mondiale cominciamo a conoscerli.

Secondo Choussudovsky, i colpevoli sono tantissimi: media, intellettuali, scienziati e politici che, in coro, «offuscano la verità indicibile», quella di Einstein: la guerra nucleare distrugge l’umanità e il processo graduale di distruzione è già cominciato. «Quando la menzogna diventa verità non c’è più modo di tornare indietro», insiste Choussudovsky: «Quando la guerra viene accolta come un impegno umanitario, la giustizia e l’intero sistema giuridico internazionale sono stravolti: il pacifismo e il movimento anti-guerra vengono criminalizzati. Essere contro la guerra diventa un atto criminale».

Guardiamola in faccia, la guerra: sanziona l’abbattimento indiscriminato di uomini, donne e bambini, distrugge le famiglie e le persone, annienta l’impegno delle persone verso gli altri esseri umani, impedisce alle persone di essere vicine a chi soffre. La grande menzogna, dice Choussudovsky, sostiene la guerra e lo stato di polizia come l’unica linea di approccio, distrugge nazioni e solidarietà internazionali. «Rompere la menzogna significa rompere un progetto criminale di distruzione globale, in cui la ricerca del profitto è la forza prevalente. Questo profitto guidato dall’agenda militare distrugge i valori umani e trasforma le persone in zombie inconscienti».

(...)  il conto alla rovescia è già cominciato: siamo circondati. Il potere che vuole la guerra è fortissimo, racconta ogni giorno il contrario della verità, pretende per sé le risorse vitali del mondo. Ed è armato fino ai denti.

(L’intervento di Michel Chossudovsky, “Scenario di Terza Guerra Mondiale”, è stato tradotto e diffuso da “Megachip”, www.megachipdue.info).

La Siria vuole dire tutti gli equilibri del Levante


La signora Busseina Chaabane, portavoce del governo siriano ha parlato alla stampa di un piano per seminare la discordia tra i siriani. “L’obbiettivo è colpire l’unità del paese perché questo resiste e si oppone a Israele”. La signora ha poi rincarato la dose accusando i media di “ raccontare solo verità parziali e non tutta la verità”. Questa è, però, anche la prima parziale ammissione siriana che qualcosa sta succedendo. A Deraa i media parlano di cento morti. Probabilmente saranno trenta.

I morti di Latakia sono quasi certamente da addebitare a cecchini dell’opposizione, perché è una zona Alaoutita come lo è il regime e pertanto ogni persona di buon senso non può che nutrire dubbi sul fatto che gli alaoutiti sparino ai correligionari o che questi non capiscano che alla caduta del regime avranno problemi anche ad aprire un chiosco di granite.
E’ più verosimile che servissero un po’ di morti delocalizzati rispetto alla solita Deraa per dare respiro nazionale alla operazione.
Alla manovalanza contribuiscono certamente i fratelli mussulmani ( “già alleati democratici e progressisti” in Egitto) ansiosi di vendicarsi della strage di Hama del 1982 fatta da Assad padre, che rase al suolo la città di dodicimila abitanti e tra le più antiche dell’area.

Nel caso della Libia, ricorderemo come Obama in persona annunziò che gli USA non avrebbero attaccato. Nel caso della Siria questa dichiarazione l’ha fatta la segretaria di Stato Clinton, per evidenti ragioni di perduta credibilità del Presidente. Ma con effetti nulli, data la duplicità mostrata verso Mubarak e Ben Alì. Se hanno fregato dei vecchi alleati, nessuno pensa che vorranno essere leali con il nemico più detestato. Delle dichiarazioni dell’ambasciatore USA Robert Ford, nessun cenno.

Una destabilizzazione dell’area giordana e siriana, non può non riguardare Israele che con re Abdallah II perderebbe l’unico alleato “sicuro” rimasto dopo la dipartita di Mubarak. Che Israele sia al corrente di tutto, ormai non può essere dubbio, visto che dopo un minimo tentennamento iniziale e ufficioso, ha taciuto e continua a tacere evitando accuratamente di farsi coinvolgere, anche solo a parole, come fece nel 1991 a richiesta di Bush padre, incassando stoicamente una gragnuola di missili Irakeni a medio raggio, senza un lamento.

Se Israele entra in ballo, il mondo arabo reagisce compattandosi. Se la Siria cade o cede, Hamas e Hezbollah avrebbero le ore contate lontane come sono dall’Iran. Questo sarebbe un indubbio vantaggio politico e strategico per Benjamin Netanyahu e per Israele, che varrebbe ogni silenzio.

Ma se la Siria venisse attaccata, i suoi satelliti si scatenerebbero per difendere la loro linea di rifornimento, non certo in una battaglia navale con gli USA. Attaccherebbero Israele all’interno e destabilizzerebbero sia l’Egitto che l’alleanza coi fratelli mussulmani pazientemente tessuta dagli inglesi. Inoltre la probabilità di attentati in occidente aumenterebbe esponenzialmente.

Nel 91 la situazione era chiara: l’Irak aveva assalito il Kuwait e c’era una coalizione ben guidata, ampia (partecipò anche la Siria di Assad padre con un battaglione), chiara e non rissosa.

Oggi il diritto internazionale è, paradossalmente dalla parte dei vari dittatori che si vedono assaliti in casa e c’ é mezzo mondo che non ne vuole sapere di usare la forza. I ribelli, appoggiati dall’aeronautica alleata, non parlano più di libertà, ma di petrolio.

La Siria crea una problematica aggiuntiva: dopo l’eventuale sostituzione della setta alaouita al potere, ci sarà giocoforza un regime maggioritario ( 80%) sunnita, che prima o poi cercherà di aiutare i “fratelli sunniti” irakeni defenestrati dagli sciiti – che in Irak sono il 70% – con l’appoggio degli americani. Gli USA si sentono così sicuri dei loro alleati sunniti nell’area? Bloccherebbero la solidarietà sunnita sul nascere?

Un secondo paese destabilizzabile in pochi minuti se la Siria venisse attaccata, sarebbe il vicino Libano dove la TV di Hezbollah, Al Manar (il faro) ha fino ad oggi ignorato tutte le notizie dell’“unrest” siriano ed enfatizzato quelle di Bahrain (dove i rivoltosi sono sciiti come loro e filo iraniani). Una forma di coinvolgimento libanese è già evidenziata dal fatto che i rivoltosi hanno dato alle fiamme la sede della compagnia telefonica di proprietà di Mikati (il premier libanese designato) e del cugino di Assad. Altro coinvolgimento: voci raccolte a Beirut dicono che la repressione a Deraa è stata affidata ad elementi dell’ Hezbollah libanese, per evitare disobbedienze spiacevoli. Evidentemente i miliziani Hezbollah, se ci sono andati, sono filati sotto il naso degli italiani del nostro contingente che sorvegliano il confine con la Siria….

Ma il dubbio più grande che plana in tutto il Mondo arabo e specialmente nei suk di Damasco e di Aleppo è: si limiteranno gli USA alla lezione impartita a Gheddafi o vorranno dare una “mazziata” anche ad Assad?

E cosa garantisce ai sauditi che gli americani non decidano di risolvere il problema una volta per tutte aiutando anche chi vuole far saltare la dinastia Wahabita-saudita, magari rimettendo come custode della Mecca il discendente di Maometto Abdallah II, discendente anche di quel Faisal che aiutò gli inglesi nella prima guerra mondiale ( Lawrence, remember?) e che si vide togliere il trono dai wahabiti nel 1928?

Con un ragionamento tutto levantino, i suk siriani suggeriscono che defenestrata la dinastia, gli USA non avrebbero difficoltà a impadronirsi della lampada di Aladino costituita dai ricavi di 36 anni di royalties petrolifere gonfiate dalle crisi petrolifere ricorrenti che possiamo stimare (anche grazie agli interessi sugli investimenti) in un milione di miliardi di dollari. Di che rifarsi degli ultimi esborsi della crisi.

(...)
Intanto il momento è scelto bene: la Siria stava aumentando il PIL significativamente da anni, attirava investimenti stranieri oltre ai capitali del vicino Irak e il regime stava liberalizzandosi in maniera riluttante, ma costante. Bashar, non voleva governare e molti ritengono che potrebbe riuscire con un discorso ben calibrato ad ottenere un’apertura di credito popolare, a meno che la rivolta non sia eterodiretta e ormai inarrestabile.

Prova ne sia che l’intervista TV data a un giornalista inglese e che ho messo in onda su questo blog due settimane fa ( “la Siria questa sconosciuta”), è stata tolta da You tube tre ore dopo che l’avevo messa on line.

di Antonio de Martini

Tratto da: http://corrieredellacollera.com/2011/03/27/la-siria-vuole-dire-tutti-gli-equilibri-del-levante-di-antonio-de-martini/#more-2755

Siria. La guerra dei media.

Latakia è una grande città portuale della Siria che si affaccia sul Mediterraneo. Da lì viene il clan degli Assad, che da quarant'anni governa il paese, prima col capostipite Hafez, "il leone di Damasco", ed ora, dal 2000, con suo figlio Bashar. Latakia è anche la culla degli Alauiti, una minoranza confessionale islamica da cui provengono praticamente tutti i comandanti delle Forze armate siriane.

Hanno destato dunque non poco clamore le notizie di questi giorni che indicavano in Latakia, la roccaforte degli Assad e degli Alauiti, come uno degli epicentri delle proteste anti-regime che stanno scuotendo paese. L'onda lunga della ribellione nel mondo arabo ha investito anche la Siria.

I primi moti sono avvenuti a Daraa, un centro agricolo nell'estremo sud, al confine con la Giordania. Da lì le proteste, dopo aver infranto il "muro del terrore", si sarebbero propagate ben presto a tutto il resto della nazione, coinvolgendo le maggiori città. Questo almeno secondo i servizi dei telegiornali italiani e della maggiore stampa nostrana, che nella migliore delle ipotesi riportano sostanzialmente le notizie delle agenzie internazionali o le corrispondenze di Al-Jazeera, in altri casi fanno da cassa di risonanza a voci incontrollabili.

Un esempio. "Gli scontri più duri di ieri sono stati però a Latakia, sulla costa, la città-porto vicina alle montagne Alauite. «Le Guardie repubblicane, i loro sgherri e i cecchini, al comando del cugino di Bashar, Nmer, hanno attaccato cinque quartieri sunniti, ucciso venti persone - dice un attivista che non vuole essere citato - Il loro piano è creare tensioni confessionali e provocare un attacco sunnita contro gli Alauiti che sarebbe un'ottima scusa per nuove repressioni. Si dice poi che il regime stia preparando un attentato da attribuire ai rivoltosi». In serata, fonti indipendenti segnalavano l'arrivo dell'esercito a circondare e poi entrare a Latakia" (Cecilia Zecchinelli, Siria, assalto ai palazzi del potere - L'esercito dispiegato nelle città, Corriere della Sera, 27 marzo 2011).

L'agenzia di stampa ufficiale siriana, SANA, riporta le stesse notizie con un'ottica completamente diversa, anzi, opposta. "Una fonte ufficiale ha dichiarato che le aggressioni innescate da elementi armati contro i cittadini e i quartieri della città di Latakia, durante questi ultimi due giorni, hanno provocato dieci vittime tra le forze di sicurezza e la gente, e la morte di due elementi armati che avevano percorso le strade e occupato i tetti di alcuni edifici. La fonte riferisce ancora che circa duecento persone, in gran parte membri delle forze armate, sono rimaste ferite, sottolineando che gli elementi armati hanno aggredito installazioni e luoghi pubblici, stazioni di servizio e negozi, preso d'assalto alcune abitazioni e terrorizzato la cittadinanza. Gli elementi armati hanno inoltre attaccato l'ospedale nazionale, le ambulanze, e aggredito il personale medico che si trovava a bordo" (Raghda Bittar, Dieci martiri tra forze di sicurezza e cittadini, bilancio dell'aggressione di elementi armati contro Latakia, SANA, 27 marzo 2011).

A qualunque delle due versioni si voglia prestare maggiormente fede, una cosa è certa. A Latakia non è accaduto nulla che assomigli a manifestazioni e proteste della cittadinanza contro il regime, nulla a che vedere con il vento della democrazia che secondo i media nostrani sta invadendo anche la Siria. Si è trattato con tutta chiarezza di un episodio di classica strategia della tensione. Resta solo da comprendere chi ha sparato contro chi, e perché, con quali profonde motivazioni politiche.

Secondo i dissidenti è il regime che agisce per provocare una reazione su cui scatenare la repressione; secondo il governo, come rilanciato dalla portavoce del presidente Assad, la signora Bouthayna Chaabane, si tratta di infiltrazioni "dall'esterno" che tentano di sabotare la convivenza tra le componenti confessionali/tribali e provocarne la fitna, la divisione.

Un'altra cosa è certa. Finché i corrispondenti dei nostri media non si troveranno sul posto per verificare le notizie, o quantomeno sentire gli umori e le sensazioni della popolazione, non sarà facile per loro riportare una versione che non sia stereotipata, addomesticata, nel solco della vulgata dominante. Basti pensare che le prime corrispondenze dei telegiornali Rai sono state realizzate - si noti bene: da Gerusalemme - da Claudio Pagliara (il giornalista che impugna il microfono come un Uzi) e dal valente Marc Innaro, ma da Il Cairo.

Si fossero trovati in Siria, forse avrebbero potuto dare conto delle interviste trasmesse dalla tv siriana agli agenti feriti sui loro letti di ospedale e che ricostruivano gli attacchi, o chiedere di intervistare i responsabili dei nosocomi di Lakatia che hanno dichiarato aver ricoverato rispettivamente, 150 feriti (Ospedale nazionale), di cui in maggioranza agenti, e 60 feriti (Ospedale universitario), di cui 50 appartenenti alle forze di sicurezza. Dati gonfiati? Molto probabile. Ma non lo si può certo sostenere da Gerusalemme (la fonte dei dati è sempre l'agenzia SANA del 26 marzo).

Altri esempi. Ancora Cecilia Zecchinelli sul Corriere. "Ovunque la rabbia contro la dittatura è esplosa come mai era accaduto da anni. Impossibile il conto dei morti in un Paese blindato da una collaudata censura, ma le testimonianze che filtrano ne segnalano decine, moltissimi i feriti, tanti gli arresti. Tutti tra la popolazione civile. [...] Cambiare un regime non è cosa da poco. Ma è vero che se ieri sono successe cose mai viste - l'aver dato alle fiamme la statua di bronzo di Hafez nel centro di Deraa o l'attacco delle forze speciali contro i manifestanti dentro la sala della preghiera nella storica moschea degli Omaiadi nella capitale - è anche un fatto che per la prima volta il mondo preme adesso esplicitamente su Damasco perché conceda democrazia" (Cecilia Zecchinelli, Siria, spari sulla folla in numerose città - I morti sono decine, Corriere della Sera, 26 marzo 2011).

Di converso, la collega Antonella Appiano, tra i pochi giornalisti italiani che, a quanto ne sappiamo, si trovi effettivamente a Damasco, riferisce, quanto meno nella capitale in questi giorni, di un clima piuttosto diverso (maggiori info su http://www.conbagaglioleggero.com/ ).

Tra i blog e le note su facebook possiamo leggere: "Sentita l'insalata mista delle informazioni sulle tv italiane, vorrei ribadire che qui ogni informazione è venduta in doppia versione. [...] Quanto a Damasco ho assistito solo alla coda di una manifestazione (mi hanno detto circa 200 dimostranti) dispersa dalle forze di polizia ma senza spari. Almeno quando sono arrivata io. [...] A Damasco si respira un'aria tranquilla. Ieri, weekend, sole splendido, quanti ragazzi a spasso, mano nella mano, quante risate e musica... e allegria".

di Simone Santini

Tratto da: http://www.clarissa.it/esteri_int.php?id=1480

SEGRETO: La Repubblica Cirenaica, il nuovo Stato di Total e BP

L'esercito franco-britannico, i nuovi conferenzieri di pace, non si fermerà dinanzi al comando della NATO, e premerà per gestire l'operazione in libia in prima linea e in via diretta. L'obiettivo di Francia e Inghilterra - secondo analisi dell'Osservatorio Italiano - è quello di dividere la Libia e creare un nuovo Stato con la Repubblica Cirenaica, dietro il via libera della Casa Bianca. Il futuro dell'insurrezione della Libia sarà deciso nei prossimi giorni, non appena gli aerei della Coalizione comincerà ad attaccare le colonne dei carro armati dell'esercito libico. I ribelli, intanto, non marciano su Tripoli, ma sono completamente intenti a prendere il controllo della Cirenaica e ad istituire un governo alternativo, che abbia Bengasi come capitale e si affacci sul Mediterraneo. E' questa la regione in cui viene prodotto l'80 per cento della ricchezza della Libia, e che detiene il 50% delle riserve di gas. La Libia produce 1,6 milioni di barili e solo 1,2 venivano estratti in Cirenaica, commercializzati da un gran numero di compagnie petrolifere, ma l'ENI è senz'altro il maggior produttore e ha contratti fino al 2042, oltre ad avere un gasdotto diretto con il Greenstream.

Ecco quindi gli ingredienti di un'altra guerra per il petrolio, e così anche dell'ostilità tra Italia e Francia. A parte il fatto che gli italiani si son visti passare davanti i Rafale, e si sono accorti troppo tardi che i francesi erano pronti a bombardare Tripoli, ma questa è un'altra storia. L'obiettivo della Francia e dell'Inghiterra era sin dall'inizio quello di dare un nuovo Stato alla Total e alla BP, e per far questo hanno incendiato tutto il Nord Africa. Il problema è che, una volta innescato, questo meccanismo infernale non si fermerà, e nuove rivolte si preparano in Siria, ma se si arriva alla Giordania non si torna più indietro. D'altro canto, occorre tenersi pronto al contraccolpo, che si traduce nella reazione dei Governi aggrediti con il terrorismo. Sono molte le reti create dalle intelligence occidentali nei Paesi difficili da stabilizzare e da controllare, e una volta che vengono spezzate e 'abbandonate' diventano armi micidiali e imprevedibili. E' ovvio che questa nuova guerra può essere un passo falso per l'alleanza franco-britannica, perchè questa politica della Regionalizzazione - una sorta di evoluzione della balcanizzazione che porta alla scomparsa degli Stati Nazione - può essere un'arma a doppio taglio, portando la guerra sino in Europa. Infatti non esistono solo Palestina, Cisgiordania, Kurdistan, Sangiaccato, ma anche Corsica, Scozia, Paesi Baschi, Fiandre.

All'Italia ora non resta che tamponare una crisi che è solo agli inizi, e diventerà sempre peggiore ed esasperata. Se Frattini vuole fermare l'immigrazione e stanziare 1500 euro per ogni rimpatrio allora deve andare a battare cassa da Total e BP, che vogliono riversare il peso del piano di pace sulle tasche dei cittadini europei. In alternativa, possiamo continuare a fare da tappabuchi e riparare ai danni di altri, oppure è ora che le nostre intelligence - quelle da 10 mila euro al mese - si muovano, smettano di fare conferenze e scrivere libri e comincino a lavorare. L'Italia deve reagire con forza e determinazione, creando un sistema suo di informazioni, e non copiare e incollare cosa dice il Times, Reuters o l'AFP , che non sono altro che dei comitati d'Affari. La coalizione di Francia e Inghilterra, con l'Ok dell'America, ha ingannato l'Italia, e per questo ora occorre diffidare e cominciare a dare un "Niet!" alle richieste della NATO: l'Alleanza Atlantica o vale per tutti oppure non vale per nessuno.

Tratto da: http://etleboro.blogspot.com/2011/03/segreto-la-repubblica-cirenaica-il.html

Russia vs Open Society: la lotta per l'energia e la moneta

Dopo i casi di Montenegro e Croazia, è sempre più evidente che la rete della Open Society di Soros ha investito molto nei Balcani, mentre continua a mantenere alta l'attenzione su questa regione. Lo scandalo sollevato dal Sunday Times nei confronti dei tre europarlamentari - l'ex Vicepremier rumeno Adrian Severin, l'ex Ministro degli Esteri della Slovenia Zoran Thaler, e l'ex Ministro degli interni austriaco Ernst Strasser - è destinato a non rimanere nel silenzio. Dietro l'attacco del quotidiano britannico, si nascondono le pressioni del Club della 'società aperta' , che ha fatto dei media e dell'informazione un campo di battaglia. E' infatti qui che si gioca la guerra per il controllo e il ricatto dei Governi, nella quale vengono utilizzate ogni tipo di arma, dalle riforme della legge sulla libertà di stampa, alle petizioni per la privatizzazione e la liberalizzazione dei media.

L' Italia è un esempio eclatante di come la Open Democracy si sia duramente scontrata per abbattere il potere mediatico di Berlusconi, grazie ad una fruttuosa collaborazione con il quotidiano Repubblica, ed in generale con il Gruppo De Benedetti. Una guerra che è stata persa da Soros sul piano legale, e per questo è continuata su Facebook con la creazione del cosiddetto 'popolo viola', con il finanziamento di media e organizzazioni della lotta alla mafia e alla corruzione. In gioco c'è molto di più che la 'banale alternanza' dei Governi, bensì il controllo del mercato e degli investimenti energetici, dal gas all'energia elettrica, dai gasdotti alle reti di trasmissione e di interconnessione. Se da un lato, quindi, abbiamo i gruppi di potere anglo-americane - di cui Soros è un autorevole esponente nonchè un reale braccio armato - dall'altro vi è la Russia, che porta avanti la sua politica estera facendo leva sul gas e sulla sua immensa rete che si espande nella regione euroasiatica e post-sovietica.


Nei fatti, la guerra alla corruzione non è altro che un sistema per scandinare i legami russi con i governi locali, proponendo un modello di 'cooperazione' che è legale sulla carta, ma in sostanza corruttiva alla stessa maniera. Sotto questo punto di vista, i Balcani rappresentano un laboratorio per le tecniche di comunicazione di massa volte a propagandare la strategia della tensione e la destabilizzazione dei governi. Questa regione, trovandosi in un particolare momento storico-congiunturale ( paesi di transizione tra due sistemi politici, economie in via di sviluppo e stati rivolti all'integrazione europea ) è terreno fertile per ogni pratica di corruzione, più o meno legale. Le piccole economie post-socialiste di questa regione sono in maniera vitale legate al clientelismo politico, e così le imprese vivono del budget pubblico. Per cui la classe politica si barcamena tra l'uno e l'altro offerente, che sia l'Unione Europea con i fondi di pre-adesione, gli Stati Uniti con i fondi USAID oppure Soros con la sua Open Society, o infine la Russia con il gigante Gazprom. Non esiste altra economia alternativa a quella del bilancio di Stato e dei partiti, oltre ovviamente alla criminalità organizzata e ai traffici.

Per cui, i fronti che si scontrano sono quelli della cosiddetta Green Energy (dal nucleare alle fonti di energia rinnovabili) e del South Stream. L'Unione Europea e gli stessi Stati Uniti stanno infatti imponendo alla Russia un embargo , per impedirle così di entrare nel business della vendita dell'energia, nel tentativo di riservare alle proprie società l'esclusività sui settori finanziari e meramente speculativi. Non dimentichiamo, infatti, che l'energia rappresenta una delle garanzie più solide per l'emissione di moneta sia per i Governi che per le Banche, in un sistema ormai completamente fondato sulla cosiddetta monetica (moneta elettronica). Pian piano la guerra per il petrolio, per il gas e per il nucleare, si trasformerà nella guerra per tracciare i nuovi confini dell'interscambio monetario. La zona euro si potrebbe sfaldare da un momento all'altro, per cui una soluzione sarebbe quella di creare un'area cuscinetto - sul modello inglese - che avrà al suo interno tutti gli Stati membri europei che non sono in grado di adottare la moneta comune nei prossimi dieci o vent'anni, come Romania, Bulgaria, Polonia e Balcani. Questa zona traccerà i confini monetari ( in parallelo ai confini terrestri ) con la regione del CSI, o meglio con l'area di intescambio euroasiatica promossa da Mosca, che ha il rublo come moneta di riferimento. Al momento la Russia si prepara a creare una zona di libero scambio dietro la sottoscrizione di un accordo tra Bielorussia, Kazakhstan e Russia, ma che vedrà in futuro la sua estensione nelle ex Repubbliche Sovietiche e probabilmente anche in Serbia. Questi elementi bastano a far capire quali e quanti sono gli interessi in gioco in questa regione, in cui i piccoli politici locali diventano 'ignari superstar' di un disegno geopolitico molto più grande di loro.

Tratto da: http://etleboro.blogspot.com/2011/03/russia-vs-open-society-la-lotta-per.html