STRAGI, TERRORISMO E INTRIGHI INTERNAZIONALI.
Nel giugno scorso, per i tipi della Chiarelettere Editore è uscito un importantissimo e fondamentale libro che nell’affrontare la storia della strategia della tensione, delle stragi e del terrorismo rosso o presunto “nero”, esce fuori dai soliti schemi stereotipati e falsi per i quali dietro questi avvenimenti ci sarebbero stati “servizi deviati” e “massonerie deviate” e altre stupidaggini simili.
Con “Intrigo internazionale”, infatti, dell’ex magistrato Rosario Priore, per oltre trent’anni al centro di inchieste ed istruttorie giudiziarie su questi versanti, e del giornalista scrittore Giovanni Fasanella, già autore di alcuni lavori in merito ai segreti di Stato, ecc., si è finalmente affrontato il problema di anni di stragismo con un ottica interpretativa più consona e veritiera, ovvero quella che lo vede dipendere e scaturire, per lo più da intrighi ed interessi internazionali, nei quali l’Italia, paese situato in un delicato contesto geopolitico (area mediterranea e attigua a quella mediorientale, interessi petroliferi, ecc.) e in una difficile situazione storica (gli accordi di Jalta con la subordinazione del nostro paese agli Stati Uniti, i rapporti con l’Unione Sovietica e altri paesi d’oltre cortina, le mire anglo francesi su la nostra penisola, ecc.), ha dovuto subire trame e strategie disegnate fuori dei nostri confini.
Come vedremo, però, se da una parte le tesi e le interpretazioni avanzate dal giudice Priore sono importanti e decisamente di un livello più veritiero rispetto alle solite tiritere su le Stragi di Stato, i Servizi deviati, e così via, tutte interpretazioni queste, più che altro di comodo e di convenienza politica che, come è noto, non hanno mai portato a scoprire la verità e mandare in galera mandanti ed esecutori di inaudite stragi, da un altra parte rischiano di deviare dall’interpretazione esatta di quegli eventi per sconfinare in una confusione di responsabilità internazionali che, invece, non sono, non possono essere poste tutte su lo stesso piano.
In “Intrigo internazionale”, un libro scritto sotto forma di domande – intervista poste dal giornalista Fasanella e relative risposte del magistrato, semplificando, possiamo dire che si viene giustamente a sostenere che il nostro paese, collocato in una posizione geografica e strategica geocentrica e delicatissima è stato per molti anni vittima di una “guerra non dichiarata” in conseguenza degli interessi per l’egemonia nel mediterraneo, per il controllo delle fonti energetiche nel settore nord africano e mediorientale e per i riflessi delle guerre arabo – israeliane e israelo – palestinesi nel medioriente. Ipotesi questa da condividere totalmente.
Per il magistrato l’esito giudiziario delle stragi: “è stato condizionato da certe interpretazioni che hanno nuociuto moltissimo al lavoro investigativo di polizia e magistratura. Si tratta di stragi dalla matrice ancora incerta. E la stessa cosa mi sentirei di dirla, andando avanti negli anni, per la strage alla stazione di Bologna dell’agosto 1980 e per la tragedia di Ustica”.
E ancora, proprio su la cosiddetta tesi dei “Servizi deviati”, il giudice Priore viene a fare un altra importante precisazione:
“Occorre una volta per tutte prendere le distanze anche da questa categoria interpretativa. Un servizio ‘totalmente’ deviato, come pure hanno sostenuto diverse inchieste costituirebbe una ‘patologia gravissima nell’organizzazione di uno Stato democratico… Perchè se fosse stato vero, avrebbe comportato una scissione totale tra potere politico e apparati, con un servizio completamente distaccato dalla linea del governo se non addirittura operante contro lo stesso governo. E non era così”.
Parole queste di un ex “addetto ai lavori” che affossano per sempre le vecchie e strumentali interpretazioni sullo stragismo.
Secondo il magistrato, invece, proprio gli aspetti strategici nell’aerea mediterranea e il problema del petrolio, avrebbero messo l’Italia in rotta di collisione con gli interessi anglo francesi, soprattutto in conseguenza del colpo di stato del settembre 1969 in Libia del colonnello Gheddafi, un golpe che rovesciò la monarchia filo britannica di Re Idris ed estromise gli inglesi dall’ex “scatolone di sabbia”. A quanto pare il colonnello libico era salito al potere con un colpo di stato progettato, nei mesi precedenti, proprio in Italia e con un non indifferente aiuto del nostro paese che ebbe poi a sostenerlo, dietro le quinte, nei periodi successivi.
Considerando le date in cui si svolsero questi avvenimenti e considerato il fatto che il Golpe di Gheddafi ebbe la conseguenza di rafforzare, di fatto, la posizione italiana nel mediterraneo, il giudice Priore adombra il sospetto e qualcosa di più, che ci fu una reazione britannica.
A suo parere quindi si potrebbe ipotizzare, ma purtroppo non provare, che la strage di Piazza Fontana, la strategia della tensione ad essa collegata (termine, al tempo, non a caso coniato dalla stampa inglese), e forse anche i tentativi di colpo di stato in Italia attorno al 1976 per fermare l’ascesa al governo del Pci, furono la conseguenza di quegli avvenimenti.
Insomma gli anglo francesi, soprattutto i primi con i loro servizi M15 e M16, geopoliticamente nostri nemici storici fin dai tempi precedenti il secolo scorso, furono il “terzo giocatore” che si inserì nella cruenta partita che si giocava sul nostro territorio e che già vedeva in atto gli interessi della Nato in concorrenza con quelli sovietici e dei paesi del patto di Varsavia, sopratutto la Cecoslovacchia e la Germania est con il suo servizio segreto della Stasi.
Interessante l’excursus storico ricostruito dal magistrato che indirettamente conferma come la geopolitica euro asiatica di Mussolini, sostanzialmente antibritannica, in definitiva rispondeva ai nostri immutabili interessi geopolitici, tanto che anche nel dopoguerra, i regimi successivi, furono influenzati da quei progetti e costretti a ripercorre quelle stesse strade geopolitiche anche se con tattiche, metodi e strategie, più soft e completamente diverse.
Si immagini quindi quali poterono essere i risultati di questa “partita” giocata a più mani sul nostro suolo. Per Priore, infatti, esistono più contesti sul piano internazionale che hanno influito sulle nostre vicende interne e quindi, in definitiva, egli dice:
“Le grandi stragi compiute in Italia non sono opera di bande di ragazzi, ma grandi operazioni progettate nelle capitali di paesi che avevano interessi a tenerci sotto scacco”.
Ed ancora: “Da Piazza Fontana in poi nessuna delle grandi stragi compiute in Italia è mai stata rivendicata, nemmeno quelle dei primi anni novanta attribuite alla mafia. Quindi c’è una nuova categoria interpretativa da introdurre è, semmai, proprio quella delle ‘stragi silenti’. Episodi la cui comprensione sfugge a chiunque. Tranne, ovviamente, agli autori e i destinatari del messaggio”
Il magistrato, nelle sue risposte a Fasanella, illustra quindi una miriade di particolari, di riscontri come egli dice, spesso purtroppo non provabili sul piano giudiziario, di ipotesi e di esperienze personali, ai quali si può sostanzialmente dare credito, ma a nostro avviso occorre integrarli con una analisi più esaustiva del problema, un analisi che faccia emergere con evidenza quelli che furono i veri ispiratori dello stragismo e del terrorismo, da quelli che, più che altro, ne furono invece dei comprimari o comunque elementi di secondo piano.
Se non si procede in questo modo si rischia di annacquare l’interpretazione di quegli avvenimenti in una confusione e in una spartizione di responsabilità tra Cia, Mossad, Kgb, Stasi, servizi anglo francesi, ecc., che invece non sono tutte su lo stesso piano.
Ed è qui che ci permettiamo, sia pure modestamente, di abbozzare alcune “correzioni” o forse sarebbe meglio dire integrazioni al libro di Fasanella e Priori.
Intanto, a nostro avviso, bisogna dire che in Italia il lungo periodo stragista non è certamente uniforme ovvero non risponde ad una sola ed unica strategia di grande portata.
Come già ebbe ad intuire, pur senza poterlo dimostrare, Pier Paolo Pasolini :
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In sintesi nel nostro paese, collocato in una posizione geocentrica estremamente delicata, di fatto una vera portaerei naturale nel mediterraneo, si dispiegò una strategia via via sempre più cruenta che parte dalle prime forme di violenza e contestazione che presero corpo agli inizi della seconda metà degli anni ’60 e sfociò nelle bombe del 12 dicembre 1969.
Una strategia tipica della “guerra non ortodossa” di matrice atlantica e statunitense, non inglese, che negli anni ‘60, nel nostro paese, venne fatta camminare, dietro il paravento dell’anticomunismo e con le gambe di ambienti reazionari e conservatori legati e gestiti in qualche modo dai nostri Servizi, a loro volta subordinati, per diktat, accordi segreti e protocolli aggiuntivi, alle centrali di Intelligence occidentali e della Nato.
In seguito, una volta avviata, sparso il sangue, la “politica delle stragi e del terrorismo” camminò anche con altre “gambe” e le stesse organizzazioni di destra vennero buttate a mare (Usa & getta) se non in galera.
Ma oltretutto, a parte le strutture segrete della Gladio in mano statunitense, in base agli accordi Nato, il nostro servizio di sicurezza e di Intelligence era tenuto a passare notizie e ricevere istruzioni da una centrale apposita della Cia alle dirette dipendenze del Presidente degli Stati Uniti. Inoltre gli accordi segreti della Nato prevedevano l’istituzione degli Uspa (Uffici Sicurezza Patto Atlantico) alle dipendenze del capo servizio segreto militare presso il nostro Ministero Difesa, preposti anche a rilasciare i Nos (nulla osta di sicurezza) in accordo con la Nato. Figurarsi se gli americani lasciavano terreno libero agli inglesi in Italia.
Certamente la strage di Piazza Fontana, che può definirsi la madre di tutte le stragi, da quel momento cambiò radicalmente il modo di fare politica e di praticare la violenza sul nostro territorio, oramai divenuto terreno di scontro di vari ed opposti interessi internazionali.
E’ ovvio quindi che da Piazza Fontana in poi in tanti parteciparono al ballo degli attentati, e ogni paese che aveva qualche interesse rispetto al nostro ci mise il suo zampino
Ma a nostro avviso, da un certo punto in poi, a lato di questi interessi geopolitici, vi fu anche una sottile strategia “ideologica”, intesa a spostare il nostro paese dalla sua cultura borghese e cattolica e le sue strutture statali, di sicurezza e sociali che ancora vedevano in auge personaggi con vecchie mentalità conservatrici, quindi una strategia che mirava a cambiamenti “modernisti”, neoradicali e progressisti onde adeguare l’Italia alle grandi democrazie occidentali.
Era evidente, infatti, che le bombe, da quel certo punto in poi, pur tinteggiate di matrice “nera”, in realtà erano utili proprio a quello spostamento progressista di tutta la società italiana. Al contempo il terrorismo brigatista, Ustica e Bologna nel 1980, ecc., potevano invece rientrare in quegli scenari di guerra internazionale, tratteggiati anche dal giudice Priore.
Dunque l’interpretazione di quegli eventi e di quel periodo storico è alquanto complessa e abbisogna di chiavi di lettura particolarmente attente.
A nostro avviso, a differenza della tesi principale del magistrato, tutto questo non nasce dai soli interessi petroliferi e quindi dalla situazione creatasi nel nord Africa con il golpe di Gheddafi.
Tra l’altro, esponendo l’ipotesi che il colpo di stato di Gheddafi a Tripoli forse determinò l’intervento inglese contro l’Italia, fino ad arrivare a Piazza Fontana, il magistrato puntella questa ipotesi con un altro sospetto: il principe Junio Valerio Borghese, chiamato in causa per l’organizzazione della strage, viene ritenuto (ricorda Priore) dalla storiografia di destra (?), come un uomo legato ai servizi britannici.
Questa supposizione, però, ci sembra completamente errata. Borghese, infatti, venne tratto in salvo, nel dopo liberazione, dall’Oss di J. Jesus Angleton e furono gli americani a gestirlo in qualche modo fin dal suo periodo di prigionia, tanto è vero che nel 1947 si riscontrano uomini di Borghese in Sicilia ad operare a pro degli statunitensi e quindi in concorrenza degli inglesi a cui proprio in quegli anni venne definitivamente sottratto dagli Usa il controllo del nostro paese. A quei tempi poi, ex ufficiali della X Mas collaborarono anche con il nascente stato di Israele. Infine se ci proiettiamo agli anni che stiamo prendendo in esame, troviamo che nelle trame del subdolo “Golpe Borghese” del dicembre 1970, c’era la Cia, non i servizi inglesi.
Comunque sia, non siamo certo noi a ridimensionare i contrasti e i dispetti che fin dalla fine della guerra si crearono a seguito del passaggio dell’Italia dall’egemonia inglese a quella statunitense, oppure della enorme importanza del controllo delle fonti energetiche, che già condannò a morte Enrico Mattei, ma questi semmai possono essere degli elementi per una analisi di geopolitica generale proiettata nel tempo e sul piano storico dove si riscontra come la posizione geografica dell’Italia e il petrolio sono la costante che ha determinato e condizionato la storia del nostro paese.
Il riscontro delle trame e dei servizi inglesi, come di quelli dei paesi del Patto di Varsavia, possono anche essere degli elementi “aggiuntivi” nel calderone esplosivo della strategia della tensione ovvero la classica benzina gettata su fuoco.
Ma nello specifico di quella “strategia”, invece, tutto nasce dalla delicata situazione che venne a crearsi nel
sud Europa e nel mediterraneo in conseguenza della guerra arabo israeliana ovvero l’aggressione sionista all’Egitto e alla Siria che dal 5 giugno 1967 diede vita alla famosa guerra dei “sei giorni”. Una aggressione da tempo progettata a Washington e Tel Aviv e che doveva consentire ad Israele di rapinare territori altrui da sempre agognati e di raggiungere uno stato strategico di definitiva sicurezza nei propri confini.
Il periodo antecedente e susseguente alla “guerra dei sei giorni” è la chiave di volta interpretativa del perchè nel nostro paese si ritenne opportuno applicare le strategie, made Cia, della “guerra non ortodossa”.
Fu proprio in prospettiva di quella guerra, infatti, con la relativa situazione esplosiva che si sarebbe inevitabilmente creata nel mediterraneo (con il pericolo che i sovietici potessero in qualche modo approfittarne per insinuarsi nell’area) che gli Stati Uniti, supporto neppure troppo nascosto alle mire belliche sioniste, intesero premunirsi, soprattutto in virtù del fatto che dal 1966 la Francia di De Gaulle era uscita dalla struttura militare della Nato.
In Italia, più o meno già dal 1965, si era iniziato a gettare le basi per la guerra non ortodossa, uno stato di tensione estrema continuo fatto di infiltrazioni e gestione di movimenti cosiddetti eversivi (altra strategia americana detta Chaos), incrudimento delle violenze studentesche e sociali in atto nel paese e dal 1967 anche un crescendo di attentati sempre più cruenti.
Tutti questi riferimenti si riscontrano facilmente quando si va a considerare che ad aprile del 1967, gli americani pilotarono il famoso golpe dei colonnelli in Grecia, un intervento necessario per avere la certezza che quel paese, molto importante per la Nato e con una situazione politica in ebollizione (si prevedeva una vittoria delle sinistre alle prossime elezioni), potesse garantire, nell’imminente situazione di emergenza, il ruolo che gli era stato assegnato nella Nato.
Lo stesso pericolo di scollamenti dalla collocazione atlantica lo si poteva paventare in Italia a seguito della cronica crisi dei governi di centro sinistra, della presenza del più forte partito comunista europeo, e di un agguerrito fronte sindacale che in quegli anni post boom economico rendevano caotica ed esplosiva anche la situazione sociale.
Insomma, in vista e poi in conseguenza della crisi aperta dalla “guerra dei sei giorni”, occorreva assolutamente evitare che in Italia potessero sorgere iniziative governative che mostrassero una certa autonomia sul piano internazionale (come già era accaduto con quelle di Mattei) e che invece, a tutti i costi, il nostro paese rimanesse ingessato e ancorato indissolubilmente ai suoi impegni Nato. Non essendo possibile in Italia, paese molto più evoluto della Grecia, un golpe risolutivo, la strategia della guerra non ortodossa doveva creare quello stato di insicurezza e di terrore con il fine di “destabilizzare per stabilizzare” la situazione del paese, ovvero ricattare, terrorizzare e tenere sotto pressione i governi e le iniziative politiche affinché non ci fossero “sorprese” e l’ingessamento italiano nella Nato restasse stabile e sicuro.
Le origini e le cause della “strategia della tensione” vanno ricercate in questo contesto internazionale, politico e militare e tutto il resto che pur prese successivamente o contestualmente ad aggiungersi (petrolio, Libia, ecc.) passa in secondo piano. Come di secondaria importanza, sono i dispetti e le ritorsioni dei britannici, evidentemente indispettiti, le cui centrali di Intelligence attraverso la stampa (l‘Obeserver), a cavallo della strage di Piazza Fontana, presero a indicare nel “partito americano”, cioè nel presidente Saragat in particolare, smanioso di gestire uno “stato di emergenza”, come gli artefici della strategia della tensione e a sua volta Saragat rispose insinuando invece uno zampino inglese.
Superata, infatti, questa crisi strategica della Nato nel mediterraneo, più o meno dopo quella strana guerra detta del Kippur del 1973, nella quale Israele oramai poteva dirsi strategicamente al sicuro, morto De Gaulle e successivamente con il Watergate del 1974 in America, cambiati i rapporti di forza dell’amministrazione americana, cambiarono anche le strategie e venne, seppure in parte, ma non del tutto, accantonata la “guerra non ortodossa”.
Ora però in Italia, non solo presero a scontrarsi molteplici ed eterogenei interessi di ordine internazionale, contrapposizioni di Servizi di ogni colore, ma come accennato, tendenzialmente si cercò di perpetuare un “terrorismo” che potesse modificare, come in effetti modificò, tutta la struttura sociale e culturale del paese in senso progressista.
Da Brescia in poi, bomba dietro bomba, strage dietro strage, dietro le etichette di un fantomatico “terrorismo nero” l’Italia venne radicalmente sconvolta nelle sue culture e lo stesso Pci ne ottenne evidenti benefici tanto da arrivare a sfiorare la maggioranza elettorale.
La prospettiva di un Compromesso storico Dc – Pci, infine, palesatasi dal 1975 in avanti, determinò altri e diversi pericoli per la stabilità degli accordi di Jalta, ma anche il “pericolo” per chi aveva interesse a mantenere insicuro il nostro paese, che l’incontro di grandi masse contadine e operaie organizzate nel Pci e nei sindacati, e altrettante masse e realtà industriali con riferimenti nella Democrazia Cristiana, raggiungendo un accordo di governo, potessero dar vita ad una stabilità di potere che a tutti i costi in Italia, interessi straneri volevano evitare.
Un ricercatore storico impegnato a decifrare il periodo stragista, riscontra sicuramente la presenza di interessi e volontà straniere ed il fatto che tutto nasce fuori dai nostri confini, ma al contempo non può che osservare anche alcune evidenze alquanto inquietanti.
Tra le tante ne citiamo due: chi progettò di far esplodere le bombe del 12 dicembre 1969 a Roma e Milano, precedute da tutto un gran daffare di infiltrazioni, provocazioni e criminalizzazioni degli ambienti anarchici e dal forte stato di tensione di un precedente autunno caldo nei rinnovi contrattuali, sapeva benissimo che i morti e i feriti che ne scaturivano sarebbero stati addebitati ai “rossi”, agli anarchici appunto. E questo diciamo che è oramai dato per scontato un po’ da tutti.
Ma analogamente chi ideò di porre una bomba a Brescia il 24 maggio 1974 ad un comizio sindacale antifascista, era ben conscio che morti e feriti sarebbero stati addebitati alla destra neofascista, visto che oramai da tempo erano in corso tutta una serie di inchieste, procedimenti giudiziari, arresti e così via nell’ambito dell’estremismo di destra da più parti ritenuto responsabile per Piazza Fontana, e soprattutto dopo che pochi giorni prima un ragazzo della destra neofascista Silvio Ferrari, proprio a Brescia, era saltato per aria a causa dell’esplosivo che trasportava.
Quindi dietro allo stragismo c’era “anche” un disegno ideologico ben preciso e ci sarebbe piaciuto che Rosario Priore, oltre a cogliere gli “intrighi internazionali” avesse colto anche questo importante aspetto di quel triste periodo storico.
E’ quindi evidente, al di là dei singoli avvenimenti più o meno spontanei o provocati o fatto in modo che degenerassero, delle bombe che presero a esplodere, dapprima dimostrative poi assassine, del crescendo degli episodi di violenza del 1967 /’68, a seguire con le bombe della primavera estate del 1969, dette “della fiera campionaria” e “sui treni”, per arrivare a Piazza Fontana, Brescia, l’Italicus, ecc., che dietro tutto questo c’era una strategia sottile, una “mano” che tirava certi fili, che cercava di conseguire determinati risultati o nel migliore dei casi, di sfruttare e incanalare per i suoi scopi certi avvenimenti.
E che questa “mano” fosse straniera non ci sono dubbi, visto che oltretutto Piazza Fontana, dai cui morti si innescherà poi tutto il resto, è conseguenza di una crisi internazionale nel mediterraneo e vista la collocazione coloniale del nostro paese che, come già accennato, a seguito del diktat impostoci con la fine della guerra, e per tutta una serie di accordi, protocolli e intese successive, vede i suoi più alti vertici militari e quelli delle strutture di intelligence, di fatto subordinati nel sistema Nato.
Se un alto esponente del Sid, quale il generale Gianadelio Maletti, che durante il suo operato da numero due del Sid, era ritenuto tra l’altro “amico” del Mossad israeliano, nel corso di una intervista rilasciata il 4 agosto del 2000 da Johannesburg (ripresa anche in un importante libro – intervista della Aliberti Editore “Piazza Fontana Noi sapevamo”), affermò esplicitamente che la CIA, attraverso la strumentalizzazione di ambienti di destra, aveva giocato un certo ruolo nello stragismo, tanto che il giornale La Repubblica, sottotitolò quell’intervista “La Cia dietro quelle bombe”, e se questo viene messo in relazione a tanti altri elementi emersi nel corso delle inchieste giudiziarie, tra cui soprattutto quelli del giudice Guido Salvini, nelle quali emersero certi collegamenti e certi traffici che risalivano alle basi americane in Veneto ed elementi di destra, la genesi della strategia della tensione comincia a ricomporsi.
Possiamo quindi dire che si può sottoscrivere in pieno quanto fece capire, nei suo ultimi anni Francesco Cossiga, un uomo che ha ricoperto quasi tutte le più alte cariche dello Stato e molti lo hanno anche visto come uno degli uomini politici più addentro ai “Servizi” e persino intento a pilotare, in sintonia con Andreotti, in “un certo modo” le insulse e inefficaci indagini sul rapimento di Aldo Moro. In pratica Cossiga, chissà forse per scaricarsi la coscienza, ha fatto capire che la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 è attribuibile agli americani; che la strage di Ustica del 27 giugno 1980, fu provocata da un aereo militare francese; che il nostro aereo “Argo”, nel novembre del 1973, a Porto Marghera, fu fatto esplodere in volo dagli israeliani (ritorsione con l’Italia per la liberazione dei palestinesi di Fiumicino).
Niente di “clamoroso”, visto che tutto questo lo si evince da più parti e dimostra che interessi internazionali e contingenti e altri di natura “ideologica” perpetuarono per anni lo stragismo in Italia, ma dimostra anche che al centro delle strategie che portarono a questi avvenimenti c’erano principalmente le centrali di Intelligence occidentali.
Successivamente, con gli anni ’70, il terrorismo brigatista, volente o nolente, rispose pienamente a queste esigenze “straniere” e su questo aspetto il libro del giudice Priore ne tratteggia i molti intrecci, con i servizi segreti dell’Est, le forniture di armi dai palestinesi e soprattutto la famosa scuola di lingue Hyperion con il suo Superclan (influente sulle brigate rosse morettiane) a Parigi, protetto dai servizi francesi.
Anche qui però, en passant, vorremmo far notare come i francesi, sia i governi di Giscard d’Estaing che soprattutto quelli ancor più massonici di Mitterand, mai avrebbero appoggiato per lungo tempo strutture para terroriste, in contatto anche con ambienti della guerriglia palestinese e mediorientali e dato protezione alla latitanza di tanti terroristi di sinistra, se non fossero stati più che certi che queste attività non avrebbero nuociuto ad Israele, anzi…
Il magistrato, passando a considerare gli “anni di piombo, periodo a cui dedica quasi tutte le sue risposte a Fasanella e che poi è proprio quello che conosce meglio avendoci lavorato come magistrato, nel cogliere gli innumerevoli nessi che legavano il terrorismo rosso alla Raf, quindi ai servizi della Stasi della Germania orientale, le forniture di armi che costoro si procuravano dalla Cecoslovacchia e dai palestinesi, ecc., indirettamente da l’impressione di tendere invece a minimizzare il ruolo del Mossad israeliano (e anche quello della Cia).
Eppure almeno una piccola osservazione dubitativa poteva essere formulata nel considerare che il fondatore e per anni direttore della Stasi era stato quel Markus Wolf, figlio del fisico scrittore ebreo Friedrich Wolf e fratello del regista Konrad Wolf. Non vogliamo fare del razzismo, ma in base a tante altre coincidenze ed evidenze storiche la domanda se questo super agente segreto sia sempre stato fedele al comunismo e basta oppure era anche un poco “sensibile” alle sorti dell’ebraismo e di Israele, non è poi così tanto peregrina e potrebbe cambiare i veri scopi per i quali la Stasi manteneva contatti con le organizzazioni della guerriglia palestinese e con il terrorismo di sinistra.
Considerando, infatti, gli “agganci” del servizio segreto israeliano verso il terrorismo rosso (sappiamo per certo che già nei primi anni ’70 gli israeliani contattarono le prime Br di Curcio e Franceschini proponendo aiuti), Priore nel considerare gli scopi di queste “attività” dei sionisti, pone la questione sul dubitativo, ma a suo avviso l’ingerenza israeliana forse era più che altro di tipo “informativo” e di convenienza e semmai il Mossad apparirebbe tutto al più interessato a che si perpetuassero certe attività brigatiste, per destabilizzare l’Italia ed avere, secondo il magistrato, dagli Usa la palma di nazione affidabile nell’area mediterranea – mediorientale.
In questo non siamo completamente d’accordo con lui, intanto perchè dobbiamo dire che l’interesse israeliano ad essere privilegiato dagli USA quale partner principale in quest’area, era del tutto secondario, essendo pressoché scontati e mai posti in dubbio gli stretti rapporti e interessi Usa – Israele.
Se poi invece andiamo a considerare molti particolari, che qui non abbiamo lo spazio per elencare tutti, ma per esempio: dai sospetti di una presenza del Mossad nell’operazione Moro, così come a quelli di sostegno alla Raf tedesca (condizionata quindi non solo dalla Stasi), dal fatto che dietro l’Hyperion agiva un Superclan a livello europeo che apparentemente strumentalizzava il terrorismo eversivo in mezza Europa, ma in realtà, con l’ispirazione di certe insensate attività eversive e attentati, fungeva da elemento stabilizzatore di Jalta, ci accorgiamo che il ruolo del Mossad andrebbe quantomeno meglio riconsiderato.
Non a caso, nel Superclan all’ombra della scuola di lingue di Parigi, a cui il magistrato dà giustamente la dovuta importanza rispetto al suo elaborare strategie del terrore e condizionare l’area della sinistra antagonista e quella armata, si riscontra la mano dei servizi contrapposti dell’est e dell’ovest e persino l’ombra del servizio segreto del Vaticano: tutte intelligence, impegnate in attività di varia natura, ma sostanzialmente finalizzate a operare e vigilare che la spartizione dell’Europa stabilita a Jalta non venisse messa in discussione.
A prima vista, per fare un esempio, potrebbe sembrare assurdo che il potente e planetario servizio segreto statunitense, la Cia, fosse dietro una struttura preposta a progettare e ispirare attentati soprattutto contro persone, uffici e caserme americane o della Nato o di paesi alleati.
Ed invece, se solo applichiamo il classico cui prodest, ci accorgiamo che anche queste strategie, per così dire “autolesioniste”, potevano essere indirettamente funzionali al controllo geopolitico del continente. Intanto questi servizi segreti occidentali sapevano benissimo che, per quanto vasti e cruenti potessero essere gli attentati anti americani e anti Nato, militarmente erano pressoché insignificanti, ma sapevano anche che indirettamente potevano contribuire a mantenere le nazioni e i governi europei in un clima di continua tensione e spesso di caos interno, favorendo così quella instabilità politica utile ad impedire ai governanti europei di intraprendere politiche o iniziative tendenzialmente autonome e divergenti dalla loro sottomissione stabilità a Jalta. Una sottomissione imposta a tutto il continente nel 1945, ma che con il passare degli anni, per le naturali e inevitabili dinamiche storiche si sarebbe potuta in qualche modo allentare. Ed infine, dietro la facciata di queste azioni terroristiche, non a caso venivano ad essere spesso eliminati personaggi affatto scomodi proprio per la stabilità di Jalta (vedi Moro) o per certi interessi dell’Alta Finanza (vedi Schleyer).
Per ragionare in quest’ottica bisogna avere una profonda esperienza di relazioni internazionali e di realtà geopolitiche, oltre che ad una certa elasticità mentale. Occorre, infatti, partire dal presupposto vero e sacrosanto che gli accordi di Jalta avevano una funzione strategica (sia pure temporale, perdurarono infatti quasi 45 anni), mentre tutti i dissidi, anche cruenti causati dalla divisione del mondo in due blocchi apparentemente contrapposti e sfociati in anni di guerra fredda e guerre di servizi segreti, avevano una caratteristica sostanzialmente “tattica”, ovvero quella di reagire, anticipare o prevenire a ogni tentativo del blocco opposto di allargare la sua influenza rispetto a quanto stabilito da quegli accordi o in conseguenza dei cambiamenti scaturiti dalla naturale dinamica geopolitica degli avvenimenti storici.
Quindi il vero substrato di Jalta era la “coesistenza pacifica”, lo scambio segreto di “piaceri” e informazioni ad alto livello che garantiva agli Usa e all’Urss il mantenimento dello status quo.
Lo stesso giudice Priore osserva giustamente, che i paesi del Patto di Varsavia sapevano bene che gli assetti e la spartizione geografico – politica stabilita a Jalta era immutabile ed infatti mai si è verificato che un paese di uno schieramento sia poi passato dall’altra parte, però poi il magistrato non ne trae la giusta conseguenza quella ovvero che le attività e le rivalità dei servizi segreti dei paesi comunisti contrapposti a quelli occidentali avevano altri scopi e interessi che non quelli di conquistare al proprio blocco un paese dell’altro schieramento.
Questo ovviamente non toglie che al contempo le due superpotenze fossero anche obbligatoriamente costrette a farsi le scarpe a vicenda, a farsi la guerra per interposta persona o a praticare la guerra delle spie.
Quando, tanto per fare un esempio, andiamo a riscontrare, come il testo del giudice Priore spesso ci ricorda, che nell’operazione Moro, ma non solo, partendo dalle Br vi troviamo tracce della Raf, quindi della Stasi, quindi del Kgb (per esempio la presenza del famoso “studente russo” Sergheij Sokolov che gironzolò attorno a Moro fin al giorno precedente il rapimento del presidente democristiano), non dobbiamo arrivare alla affrettata deduzione che Moro venne rapito e quindi eliminato dietro direttive dei sovietici perchè il suo “Compromesso storico” rischiava di mettere in crisi la politica di Mosca sulla “sovranità limitata” e il suo ruolo guida nei paesi oltrecortina.
In realtà, più semplicemente, accadeva che “anche” i sovietici, che avevano un occhio e forse una mano, dentro le Br, vi giocarono una loro parte ed avevano un loro interesse (anche perchè altrimenti vi si sarebbero opposti), alla eliminazione di Moro, ma tutta quell’operazione, costruita e consumata in un paese della Nato, era principalmente funzionale alle strategie occidentali e quindi si deve dedurne che l’ispirazione e il controllo definitivo di quella operazione nasceva dalle strategie occidentali, rispondeva principalmente ai loro interessi. Che poi per attuarsi e dispiegarsi materialmente doveva passare dalle Br, una organizzazione comunista armata che attingeva armi ed altro anche e soprattutto, direttamente o indirettamente che sia, da intelligence dei paesi dell’Est ed aveva per tramite un “centro” particolare come il Superclan dell’Hyperion è un altro discorso.
Per tornare all’Hyperion si riscontra anche il fatto che, tanto per fare un esempio, in quel superlan come disse Alberto Francescini, uno dei capi storici della BR, vi operava anche Duccio Berio, ovvero:
“…il braccio destro di Simioni, suo padre era un famoso medico ebreo milanese a suo dire legato ai servizi segreti israeliani. Berio, tra l’altro, era anche il genero di Alberto Malagugini esponente di primo piano del vecchio PCI. Ho quasi la certezza che il canale attraverso cui fummo contattati (le Br, dagli israeliani, n.d.r.) passava per questa persona”.
Ma oltretutto, come pur osserva lo stesso magistrato, il Mossad poteva all’occorrenza servirsi dell’apporto di molti correligionari della diaspora, e nei movimenti di sinistra, aggiungiamo noi e del resto lo dice anche Priore, attivisti e leader ebrei abbondavano assai.
In definitiva poi, particolare decisivo, se consideriamo che tutto questo trafficare e operare, con il tempo, non ha portato affatto all’indebolimento di Israele, ma alla sua abnorme crescita politica e militare, tanto dal diventare oggi una superpotenza dotata persino di arsenale nucleare, dobbiamo dedurne che, alla fin fine, tutto andava a vantaggio degli interessi dei sionisti e statunitensi, mentre gli altri paesi interessati (quelli dell’Est), ebbero certamente un loro ruolo, finalizzato ai propri scopi, certo non indifferente, ma sicuramente secondario.
La ricostruzione del terrorismo brigatista e delle sue possibili strumentalizzazioni, così come tratteggiata dal magistrato, invece, dà più che altro l’impressione di ingigantire il ruolo dei servizi segreti dei paesi dell’Est, interessati a far fallire i progetti di Compromesso storico di Berlinguer (e Moro) esiziali per la politica sovietica.
Se questo è pur vero, a nostro avviso però, non ha la stessa incidenza degli interessi occidentali affinchè il Compromesso storico abbia a fallire (Kissinger), che in Italia non nasca un governo forte e duraturo, che la politica di Moro, una politica di equidistanza e prudenza rispetto allo scontro che stava divampando anche sul territorio europeo tra israeliani e palestinesi, era particolarmente indigesta allo stato ebraico, e così via. A questo proposito sarebbe anche stato il caso di accennare all’infame attentato del novembre 1973 contro l’aereo Argo 16 utilizzato dai nostri Servizi e fatto esplodere sul cielo di Porto Marghera e da tutti messo in relazione ad una forma di ritorsione per la liberazione dei palestinesi arrestati per l’attentato di Fiumicino alle linee aeree israeliane.
Il giudice Priore sottolinea i rapporti tra Br e Raf tedesca, e sostiene che dietro la Raf come altri gruppi simili per esempio il “movimento 2 giugno”, vi era la Stasi. I riscontri che la sua attività di magistrato gli ha fatto scoprire non presentano dubbi.
Ma è pur ero che da tempo è stato rilevato come la Raf, dicesi molto più delle Br, era anche influenzata dalla intelligence israeliana e se poi andiamo a vedere bene a chi poteva giovare il terrorismo di queste organizzazioni tedesche troviamo che forse era più funzionale alle strategie occidentali e solo in parte a quelle dei paesi dell’Est. Per lo stesso rapimento dell’industriale Martin Schleyer, molto simile per le oscure finalità che lo determinarono, per la tecnica usata nel rapimento e per la fine cruenta dell’ostaggio, non pochi osservatori hanno fatto notare che se c’era qualcuno che ne veniva forse avvantaggiato questo era un certo circuito d’alta finanza in Germania.
Potremmo sbagliarci, ma avvertiamo nel testo un (involontario?) “ridimensionamento”, circa il ruolo e la presenza della Cia e del Mossad negli anni di piombo. Strutture di Intelligence queste che sono state le “vere” vincitrici negli avvenimenti storici successivi che portarono alla “caduta del muro” (1989) e all’implosione e disintegrazione di tutti gli stati dell’Est Europa, Russia compresa.
Chi legge il libro di Fasanella e Priore, invece, e non è bene informato su tutto il resto, potrebbe trarne la errata considerazione che in questi “intrighi internazionali” Cia, Mossad, M16, Kgb, Stasi, Palestinesi, ecc., ebbero più o meno le stesse responsabilità nella strategia della tensione e nel terrorismo, quando è vero invece che tutti erano presenti e inzupparono il loro “biscotto”, ma alcuni tirarono i fili dei loro burattini più degli altri e soprattutto ne colsero i frutti molto più degli altri.
Il Fasanella, per fare un esempio, nella introduzione al libro ricorda quando il giudice Priore con il collega Ferdinando Imposimato fecero dei sopraluoghi notturni ed in incognito nei pressi di via Caetani dove era stato ritrovato il cadavere di Moro. Il giorno dopo, ricorda il giornalista, i magistrati trovarono le foto di quella loro ricognizione nelle proprie cassette delle lettere. Una evidente minaccia e un avvertimento a non proseguire in quelle indagini.
Ma il giornalista omette di specificare o comunque di dire chiaramente, che quelle ricognizioni avvennero nel ghetto ebraico, alla ricerca di covi brigatisti, di cui uno si era già trovato in via Sant’Elena e quindi, se di intimidazione trattavasi, non poteva che ipotizzarsi che era finalizzata a tenere nascosta l’ubicazione dell’ultima prigione di Moro e di altre basi brigatiste, sospettate nel ghetto, una zona ben controllata dal Mossad.
Ma anche il giudice Priore fa una affermazione infelice, che lascia trasparire come egli quando esprime osservazioni verso Israele tenda ad andarci con i piedi di piombo.
Ad un certo punto, infatti, egli afferma quanto segue: “Il dato dal quale non si può prescindere è la particolare situazione di quello stato (Israele, n.d.r.), circondato da nazioni arabe ostili, che vogliono distruggerlo fisicamente…”.
Una affermazione questa apparentemente realistica, ma fuorviante perchè dimentica letteralmente il particolare che “quello stato”, circondato da nazioni arabe ostili, fin dalla sua nascita nel 1948, già segnata da sconfinamenti e stragi, espulsioni di residenti e villaggi conquistati a fil di spada e nel corso di altre innumerevoli guerre e aggressioni, ha allargato a dismisura i suoi confini, più che quadruplicando la sua estensione geografica e provocato l’espulsione di popolazioni scacciate dalle proprie abitazioni con operazioni (vedi anche oggi quanto accada a Gaza) da vera e propria “pulizia etnica”.
Semmai il magistrato avesse voluto sottolineare che Israele era costretto a vivere in condizioni di costante vigilanza armata, avrebbe dovuto almeno aggiungere che tutto questo era in conseguenza della sua politica guerrafondaia e di rapina. Anzi, visto che “quelle nazioni arabe confinanti e ostili” (vedi il Libano) erano loro a dover temere aggressioni, Israele doveva considerarsi più carnefice che vittima.
Articolo di Maurizio Barozzi
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