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giovedì 26 luglio 2012

Rivolte e guerre da manuale


Di cosa può essere capace chi brama la guerra? L’immaginazione potrebbe sorprendersi di fronte all’inesistenza di limiti.
Ce l’hanno dimostrato in Libia, ce lo stanno facendo vedere in Siria, ci proveranno (e hanno già iniziato) con l’Iran.

Il terrorismo diventa salvaguardia dei diritti umani, eserciti più o meno mercenari sono spacciati per “la resistenza”, governi legittimamente eletti diventano feroci e sanguinari regimi, capi di stato (rispettati e riveriti) che amministrano da anni si trasformano nel giro di poche settimane in crudeli oppressori, scelte di politica interna (come l’approvvigionamento energetico) sono vendute come intollerabili minacce. Insomma, l’assurdità diventa ovvietà, gli oppressori si trasformano in liberatori e l’incredibile diventa realtà. Orwell si inchinerebbe ai guerrafondai moderni.

I geni del male contemporanei hanno avuto predecessori che hanno alimentato e strutturato forme di aggressione, occupazione e sterminio degne dei peggiori aguzzini o delle peggiori menti alberganti nei novelli dottori della morte. Queste canaglie bestemmiano definendosi ‘democratiche’ e coprono la loro malvagità con la cosiddetta ‘esportazione’ di ciò che non conoscono. Ci sono invece pratiche, tattiche e strategie ben note all’asse dei reali oppressori (da USraele ai loro ‘NATOriamente’ fedeli alleati europei), che datano addirittura all’inizio degli anni ’60. Cuba ha fatto scuola.

Scrive Jesse Ventura, ex governatore del Minnesota (già Navy Seal), nel libro 63 documents the US Government doesn’t want you to read (in Italia “Il libro che nessun governo ti farebbe mai leggere”, Newton Compton editori) che “alla fine dell’aprile 2001, poco più di quattro mesi prima dell’11 settembre, si è scoperto incredibilmente che l’esercito americano aveva pianificato un finto attacco terroristico contro i suoi stessi cittadini. (…) Si trattava dell’Operazione Northwoods contro Cuba, approvata nel 1962 da tutti gli Stati Maggiori Riuniti.” Nel libro si trova un memorandum per il segretario della Difesa e per il capo delle operazioni militari avente per oggetto la giustificazione per l’intervento militare degli Stati Uniti a Cuba. Vengono elencati i pretesti utili per poter giustificare l’intervento militare, attraverso la pianificazione e la concentrazione di una serie di “incidenti che andranno a combinarsi con altri eventi in apparenza non collegati, allo scopo di camuffare l’obiettivo ultimo e creare la necessaria impressione della pericolosità e irresponsabilità su larga scala” del nemico.

Nel memorandum, originariamente top secret, si legge nero su bianco che “il risultato voluto della realizzazione di questo piano sarà quello di mettere gli USA nell’apparente posizione di poter giustamente (…) diffondere l’idea nella comunità internazionale della minaccia portata da questo Paese (il nemico, NdA) alla pace dell’Occidente”. Dal 1962 a oggi, le istruzioni sono seguite alla perfezione. Nei documenti riportati da Ventura si legge che le menti del male auspicavano che “alla base di un intervento militare” ci fosse una provocazione e suggerivano come agire per metterla in atto: “Si potrebbe suscitare la reazione di quel governo con un piano segreto e fraudolento” e inoltre “andrebbero promosse azioni aggressive e ingannevoli per convincere” il nemico “di un’imminente invasione”.

Nell’appendice del memorandum c’è poi la lista di interventi utili per decidere un attacco credibile. Si va dalla diffusione di voci (disinformazione), all’azione di alleati nel paese nemico affinché si insceni un attacco; dal provocare disordini all’organizzare un attentato con relative cerimonie funebri. In particolare, ci sono due proposte che non lasciano spazio a dubbi o a complottismi di sorta (se non quelli degli ideatori): far esplodere una nave americana e dare la colpa al nemico che si vuole aggredire; far esplodere un proprio mezzo senza equipaggio umano in territorio nemico e attribuire la responsabilità al governo che si vuole combattere, avendo l’accuratezza di pubblicare la lista delle (inesistenti) vittime sui giornali statunitensi “in modo da sollevare un’utile ondata di sdegno nella nazione.” E, se non bastasse, il documento desecretato invita a “sviluppare una campagna terroristica.”

Correva l’anno 1962 quando questa strategia veniva elaborata e indicata come via maestra. Le guerre più recenti dimostrano l’efficacia delle operazioni ‘da manuale’ degli aggressori. Con alcune ‘migliorie’ come ad esempio l’intervento occulto attraverso quelli che vengono chiamati (e armati) ‘eserciti dei ribelli’ o ‘degli insorti’.

La realtà ci insegna che i killer professionisti agiscono in segreto, nascosti, vicini ma invisibili alla vittima. E non sono paghi finché non hanno portato a termine la missione. Norman Podhoretz, firmatario del Project for a New American Century (PNAC), nel numero di settembre del 2002 della sua rivista Commentary scrisse che i regimi “che meritano abbondantemente di essere rovesciati e sostituiti non si limitano ai tre membri identificati dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord, NdA). L’asse dovrebbe essere esteso almeno alla Siria, al Libano e alla Libia, ma anche ad ‘amici’ dell’America quali la famiglia reale saudita e l’Egitto di Mubarak, insieme all’Autorità Palestinese sia diretta da Arafat che da uno dei suoi scagnozzi.” L’agenda è in atto; la missione è in corso.

E per chi vuole la guerra (e il preziosissimo bottino di guerra) non c’è nulla di impossibile o impraticabile. I media e i governi alleati sapranno costruire la matrice da metterci davanti agli occhi per nascondere la verità.

di Monia Benini

mercoledì 25 luglio 2012

L’eurozona crolla. I “professori” tornino a casa

Per i distratti e/o i deviati dalla disinformazione di massa, non esiste connessione tra l’assalto, iniziato negli anni Novanta, alla Russia e agli Stati euroasiatici a questa federati e le guerre jugoslave, o in Somalia, Afghanistan, Iraq e Libia. Né esisterebbe un piano di rapina delle risorse energetiche vitali per mantenere il benessere nei Paesi-guida dell’Occidente: Usa, Uk, Israele; non esisterebbe, inoltre, una vergognosa strategia di indebolimento e parcellizzazione della parte occidentale dell’Europa, ritenuto un semplice “concorrente-alleato” cui sottrarre ricchezze e produzioni di eccellenza.

Per noi, al contrario, è chiaro che si muore in Siria come ci si suicida in Italia. E’ la stessa guerra. E’ lo stesso fronte.


Altro che “scudo”: lo “spread” drogato serve alla speculazione monetarista per lucrare ai danni dei popoli


Esistono delle “convergenze parallele” tra quanto accade all’Italia, alla Spagna, alla zona euro, all’Europa dei mercanti e dei mercati, e nella politica di devastazione terroristica di uno Stato nazionale come la Siria?


I soloni dell’informazione corretta, naturalmente, lo escludono. E invece per ‘Rinascita’ - e per chi vi si riconosce - esistono, eccome. Nel pianeta è in corso da due decenni una vasta opera di destabilizzazione programmata degli Stati nazionali e delle economie nazionali non ancora, o “non perfettamente” inquadrati nei ranghi del neocolonialismo liberista atlantico delegati alle cure di Fmi, Banca Mondiale, Nato e Onu.

E’ la morte - anche per suicidio - dell’Urss ad aver innescato tale spirale. Con una politica angloamericana di aggressione-omologazione del mondo al dominio della grande finanza speculatrice e allo sfruttamento intensivo di ogni ricchezza o ricchezza materiale attraverso le controllate multinazionali.

Per i distratti e/o i deviati dalla disinformazione di massa, non esiste connessione tra l’assalto, iniziato negli anni Novanta, alla Russia e agli Stati euroasiatici a questa federati e le guerre jugoslave, o in Somalia, Afghanistan, Iraq e Libia. Né esisterebbe un piano di rapina delle risorse energetiche vitali per mantenere il benessere nei Paesi-guida dell’Occidente: Usa, Uk, Israele; non esisterebbe, inoltre, una vergognosa strategia di indebolimento e parcellizzazione della parte occidentale dell’Europa, ritenuto un semplice “concorrente-alleato” cui sottrarre ricchezze e produzioni di eccellenza.

Per noi, al contrario, è chiaro che si muore in Siria come ci si suicida in Italia. E’ la stessa guerra. E’ lo stesso fronte.

di Ugo Gaudenzi


domenica 22 luglio 2012

L’Occidente scavalca l’Onu: “Supporteremo i ribelli siriani”

Rice: “Gli Usa intensificheranno il lavoro con una diversa serie di partner per portare al massimo la pressione che il regime di Assad può sopportare”


“I diplomatici occidentali hanno ostentato arroganza e inflessibilità durante le trattative. Dopo che la risoluzione è stata bocciata, si sono affrettati a puntare il dito contro Russia e Cina, ma debbono biasimare soltanto se stessi per aver cercato d’imporre al Consiglio di Sicurezza un testo così avventato”. Così ieri il governo cinese ha replicato, attraverso i media di Stato, alle accuse lanciate contro Mosca e Pechino da Stati Uniti e Gran Bretagna all’indomani del nuovo veto posto sull’ennesima risoluzione di parte riguardante la crisi siriana.

 I funzionari nordamericani e britannici, dopo il voto di giovedì, sono infatti tornati a scaricare la responsabilità dell’escalation di violenza nel Paese arabo sui due Stati rivali.

 “Ai politici di Londra e Washington interessa unicamente legare le mani a Damasco, mentre le operazioni sempre più violente delle forze anti-governative sono destinate a essere tollerate e, addirittura, incoraggiate”, ha incalzato ancora il governo di Pechino portando alla luce l’atteggiamento di un Occidente che si adopera per la pace soltanto a parole. Secondo il Quotidiano del Popolo, organo del partito comunista cinese, inoltre, il tentativo di far approvare quest’ultima risoluzione non era altro che “un modo per ottenere luce verde all’intervento militare”. Un’interpretazione condivisa anche dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin (foto), che ha anche accusato i suoi colleghi di oltre oceano di “cercare di montare tensioni all’interno” della Siria ad ogni occasione. Purtroppo, però, neppure la votazione di ieri sembra aver messo fine alle mire interventiste degli Stati Uniti e dei loro alleati, che ieri hanno annunciato l’intenzione di agire anche senza alcun mandato da parte del Palazzo di Vetro.

Il rappresentate nordamericano all’Onu, Susan Rice, ha affermato senza problemi che, dopo quello che ha definito come un “completo fallimento” del Consiglio di Sicurezza per colpa del doppio veto russo cinese, gli Usa “intensificheranno il lavoro con una diversa serie di partner per portare al massimo la pressione che il regime di Assad può sopportare”. Strategia che, stando alle dichiarazioni del ministro degli Esteri William Hague, adotterà anche la Gran Bretagna. “Agiremo tutti di più fuori dal Consiglio di sicurezza – ha detto il responsabile della diplomazia londinese - ci sono diverse cose che possiamo fare: innanzitutto garantire più sostegno logistico all’opposizione siriana, ma non armi”. Nulla di nuovo in realtà: da oltre un anno infatti i Paesi Nato provvedono al supporto logistico e all’equipaggiamento dei ribelli; mentre le armi, per ammissione della stessa Casa Bianca, sono fornite da alcuni Stati della regione, molto probabilmente dalle monarchie del Golfo persico, che da subito si sono schierati al fianco delle opposizioni islamiste e da sempre favorevoli all’invio di un contingente arabo in Siria. L’annuncio pubblico di un sostegno alle opposizioni armate per rovesciare il governo di Damasco da parte dell’Occidente è tuttavia allarmante, poiché potrebbe nascondere l’intenzione di agire ancor più direttamente al fianco delle milizie illegali all’interno del Paese arabo.

“Se dichiarazioni e intenzioni di questo tipo fanno parte della politica reale è un segnale abbastanza preoccupante per tutti noi”, ha commentato all’agenzia Interfax il portavoce del ministero degli esteri russo, Aleksandr Lukashevich. Le parole, seppur molto esplicite degli esponenti russi e cinesi, non possono però bastare a fermare l’attacco dell’Occidente a Damasco. E mentre Mosca rinvia la fornitura di elicotteri da battaglia alla Siria per evitare che finiscano nelle mani sbagliate, il fronte interventista continua a portare avanti la sua guerra per la conquista del Paese arabo incurante delle conseguenze e con ogni mezzo possibile, compreso quello mediatico. “Lo scenario è molto difficile: abbiamo visto che vi sono in campo forze della jihad islamica e che si stanno usando strumenti jihadisti.

Occorre un rafforzamento degli ‘Amici del popolo siriano’, puntando a un’aggregazione sempre più forte degli oltre 100 Paesi membri per far capire ad al Assad che è finito il suo tempo e deve lasciare il potere”, ha affermato il ministro degli esteri italiano, Giulio Terzi, intervistato da Sky Tg24. Parole dalle quali un ascoltatore disattento o poco informato potrebbe evincere che sia il governo siriano a utilizzare certi metodi, che comprendono anche atti terroristici. Eppure la realtà è un altra, una realtà che ieri ha visto morire il capo dell’intelligence siriana, Hisham Bakhtyar, rimasto ferito nel vile attentato di mercoledì rivendicato proprio dal braccio armato delle opposizioni estere che tanto piacciono all’Occidente.

 Il Consiglio di Sicurezza Onu ieri ha superato l’empasse per approvare una risoluzione che prevede il prolungamento di 30 giorni della missione degli osservatori internazionali nel Paese arabo. Una missione fin qui servita però veramente a poco, se non a fornire una facciata democratica al tentativo di conquista di Damasco di Usa e alleati.

di Matteo Bernabei

Il “fiscal compact” uccide la sovranità nazionale

Lasciano sgomenti le grida di gioia degli ultras “euromaniaci”: manovre lacrime e sangue per i prossimi vent’anni
Fa davvero male leggere sulle agenzie di stampa le dichiarazioni euforiche di chi si compiace per l’approvazione del cosiddetto “fiscal compact”.
Una danza macabra intorno ad una nuova legge che rischia di diventare epitaffio sulla lapide dalla Repubblica.

Il trattato sulla politica di bilancio costringerà l’Italia ad una lunga serie di manovre “lacrime e sangue”. Vorremmo tanto sapere da certi “figuri” di Pd e Pdl il motivo di cotanta felicità.
Di fatto è stata data una spallata definitiva alla sovranità popolare. I Governi non saranno più in grado di delineare una politica economica non in sintonia con il mantra liberista. Tutto dovrà essere ispirato a politiche di contenimento della spesa e austerità. Tradotto: tagli continui allo stato sociale e – almeno per il caso italiano – nuovo aumento della tassazione. L’articolato entrerà in vigore il 1 gennaio 2013 per tutti i Paesi che l’avranno ratificato, se in quel momento ve ne saranno almeno 12 che siano membri dell’Eurozona, o anche in anticipo se questa condizione sarà rispettata prima di quella data. Entro cinque anni dalla sua entrata in vigore, il fiscal compact dovrebbe essere incorporato nell’ordinamento giuridico dell’Ue.

Ci piacerebbe sapere dai deputati “europeisti” da dove saranno prelevati i 45 miliardi della prossima manovra finanziaria. La prima di una lunga serie. Se non si verificherà un forte aumento del prodotto interno lordo non ci saranno alternative. Il taglio lineare ed il prelievo su stipendi e pensioni rimarranno le uniche alternative percorribili. Nessuno degli Stati Ue potrà intervenire direttamente sulle dinamiche di mercato.

Con buona pace di studiosi e premi Nobel schierati a sostegno di una “exit strategy” dal profilo neokeynesiano. Colpisce poi il silenzio assordante degli osservatori e degli opinionisti. Tutti sembrano essere convinti della bontà di questa riforma. Come nel caso dell’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione non c’è stata traccia di un serio dibattito sulla vicenda. Meglio parlare d’altro piuttosto che informare seriamente i propri concittadini. Ci sarà però qualche costituzionalista “eretico” in grado di scorgere una patente contraddizione tra i nuovi vincoli di bilancio ed i principi fondamentali della Carta. Da oggi la sovranità popolare non si dovrà confrontare solo con “i limiti e le forme” previsti dal nostro ordinamento. A mettere un freno al volere delle Camere ci penseranno le Autorità economiche comunitarie. Le tecnocrazie di Bruxelles, Strasburgo e Francoforte. Entità non certo in sintonia con le varie declinazioni dei principi democratici. Le nuove norme prevedono – ovviamente – anche della sanzioni. Il documento fa proprio il meccanismo semiautomatico per le sanzioni e aggiunge una sorta di “obbligo morale” per gli Stati dell’Eurozona, che “si impegnano a sostenere le proposte o le raccomandazioni presentate dalla Commissione europea”. Ci sarà davvero poco margine di manovra per chi oserà disattendere vincoli e direttive comunitarie. La finanza – per l’ennesima volta – ha vinto sulle giuste rivendicazioni dei popoli. Nessuno sembra preoccuparsi di questo fatto. I complici della speculazione internazionale sono gli stessi che si strappano le vesti assumendo di essere difensori dei “diritti fondamentali” e dell’uguaglianza. Un teatrino ormai privo di ogni significato. I fedelissimi dei diktat liberista sembrano non aver ancora compreso le proprie colpe. La finanza non è più un mezzo ed è diventata il fine.

Il board della Banca centrale europea vale più di qualsiasi parlamento eletto dal popolo. I cittadini devono limitarsi a creare reddito per far aumentare gli zeri ai ricavi dei grandi gruppi bancari. Non resta che ricordarci di quel contadino che esclamo: “Ci sarà pure un giudice a Berlino!”.
La Corte costituzionale tedesca potrebbe infatti ritenere una indebita ingerenza il meccanismo previsto dal cosiddetto “fondo salvastati”. Una decisione in grado di scombinare i piani di chi lucra sulle sorti del Vecchio Continente.

Qualche decisione potrebbe arrivare anche dalla Corte di giustizia europea, deliberatamente aggirata durante l’istruttoria del fiscal compact. Comunque vadano le cose possiamo considerare archiviata l’Europa dei popoli.

L’Ue è diventata una organizzazione basata sul mero monetarismo. Chi fa finta di non capirlo ha scelto di esserne complice.

di Matteo Mascia

venerdì 20 luglio 2012

E' macelleria sociale: approvato il Fiscal Compact


Poche ore fa, l’Assemblea ha approvato la ratifica del cosiddetto fiscal compact, ossia il trattato che introduce i meccanismi di stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, e che mira – così si dice – «a salvaguardare la stabilità di tutta la zona Euro».

 In realtà, dubbi ed incertezze sulla bontà del “fiscal compact” sono stati espressi in tutta Europa: la Germania per prima ha rinviato l’approvazione del trattato, e sarà la Corte Costituzionale a decidere, il prossimo 12 settembre, se il fondo di salvataggio (ndr: il trattato Mes) ed il patto fiscale europeo potranno entrare in vigore. In Italia, invece, si è assistito ad un “allineamento” non solo degli organi di stampa – che evitano quasi di dare notizia dell’avvenuta approvazione – ma dello stesso Parlamento, il quale ha ratificato, senza discussione, senza neppure che sia stato necessario al Governo porre la questione di fiducia, il Trattato: maggioranza bulgara oggi alla Camera, 368 sì contro 65 no. In Italia tutto accade ormai in un’atmosfera grigia e silenziosa, quasi spettrale.

Ma cosa significa l’approvazione del “fiscal compact”? Il “patto” prevede che i Paesi che detengono un debito pubblico superiore al 60% del PIL di rientrare entro tale soglia nell'arco di 20 anni, ad un ritmo pari ad un ventesimo dell'eccedenza in ciascuna annualità. Gli Stati si obbligano a mantenere il deficit pubblico sempre sotto al 3% del PIL, a pena di sanzioni. Tutto ciò significa né più né meno la semplice rinuncia ad ogni possibilità di intraprendere una politica fiscale capace di stimolare la domanda. Significa condannarsi ad una rigidità ulteriore di politica economica che va ad aggiungersi a quella del cambio fisso dettato dalla moneta unica. L’Italia, la nazione prima al mondo per pressione fiscale, si impegna oggi a sostenere 50 miliardi di Euro all’anno di tasse e tagli per 20 anni. Rispettare parametri fiscali sempre più rigidi e stringenti, rinunziando ad ogni spazio possibile di manovra, vorrà dire dover imporre agli italiani, per i prossimi vent’anni, un regime di austerità radicale: si colpiranno ancora salari, stipendi e prestazioni del Welfare, si aggraveranno le condizioni di vita delle classi sociale medio-basse, si assisterà a nuove tasse. Gli italiani devono sapere che il prezzo imposto dall’Europa è una macelleria sociale: tagli dappertutto, dalla sanità alla scuola, dall’università ai trasporti.

Tutto questo avviene, ed avverrà, senza alcuna consultazione diretta o indiretta del popolo italiano, ma unicamente per rispettare decisioni prese al di fuori del Paese. Siamo passati senza accorgercene da un sistema politico democratico ad un sistema oligarchico, in cui il Governo è nelle mani di un gruppo di “tecnici” che rappresentano interessi esterni. Il Parlamento obbedisce, senza neppure un minimo accenno di protesta. Il Paese è stato “pacificato”: niente più aspri scontri politici, disinteresse diffuso per la politica, tensione sociale apparentemente sotto controllo. Eppure si annuncia, per i prossimi vent’anni, una sanguinosa e violenta “economia di guerra”: la guerra senza guerra, ossia la più terrificante delle possibilità.

di Paolo Becchi
Tratto da: http://www.byoblu.com/post/2012/07/19/E-macelleria-sociale-approvato-il-Fiscal-Compact.aspx

Abbandonare subito l'euro

La situazione italiana è ormai patologica. Governanti e politici non possiedono più la capacità psichica indispensabile per fermarsi sulla strada intrapresa perché l’affermazione della moneta unica (“l’euro è irreversibile”) è diventata la scommessa in cui è in gioco la superiorità del loro Io. Si tratta di una patologia che ogni psichiatra è in grado di diagnosticare, sapendo bene che è quasi impossibile curarla e che può portare a gesti estremi di distruttività. Quando però tale morbo aggredisce gli esponenti del massimo potere quale il governo di Stati e di Popoli, la storia, anche recente, ci prova che nessuno si azzarda a indicare la presenza di una patologia psichica se non dopo l’estrema rovina, quando è ormai troppo tardi. Vogliamo provare almeno una volta a guardare in faccia questa realtà?

La creazione dell’euro è stata un gesto irrazionale, dettato dalla volontà di potenza dei banchieri che, convinti che fosse ormai possibile per loro diventare i padroni d’Europa sottomettendo qualsiasi altro potere, hanno assolutizzato il proprio strumento - la moneta - trasformandolo nell’unica arma di governo e di dominio. L’euro è nato così, privo di tutto: senza uno Stato, senza un Popolo, senza una Storia, senza un Politica, senza un Futuro. Insomma: privo di realtà. Il che significa frutto di delirio, di allucinazione o, se si vuole, del Super-Io dei banchieri.

Anche se nessuno ha accennato in questi anni a una patologia, sono state molte però le voci di economisti e di banchieri che hanno indicato l’impossibilità di vita dell’euro a causa del suo difetto d’origine: la mancanza di sovranità. Questa è, infatti, l’assurda situazione nella quale ci siamo trovati fino dall’inizio e che è andata fatalmente aggravandosi con il passare del tempo: l’euro non è una moneta “sovrana” perché è fabbricata e messa in circolazione da una banca (la Bce) che non appartiene a nessuno Stato. I debiti degli Stati, a loro volta, non sono debiti “sovrani” perché gli Stati, non battendo più moneta, non sono più “sovrani”. Il potere fondamentale della macroeconomia di uno Stato, infatti, è l’Ability to pay, la capacità di onorare sempre il proprio debito emettendo la propria moneta sovrana. Si è creato, dunque, un circolo vizioso dal quale è impossibile uscire e che fa aumentare il debito all’infinito quali che siano le misure di austerità, di risparmio, di privazioni che i banchieri d’Europa incitano a prendere e che i governi mettono in atto.

Né si pensi di poter proseguire sulla strada dei “rattoppi”, togliendo ulteriori pezzi di sovranità agli Stati. Si tratta di decisioni autoritarie e illegittime (si vuol forse sostenere che, come recita l’articolo 11 della Costituzione, servono a non farsi la guerra?) e che pertanto aumentano la debolezza democratica degli Stati, esponendoli ancora di più all’aggressività dei mercati, come appare ben chiaro dalla situazione quotidiana dell’Italia. Sono decisioni che non incidono minimamente sulla mancanza di sovranità dell’euro perché, come è evidente, non esiste nessuna possibilità di realizzare davvero, a forza di “rattoppi” e senza le finzioni messe in atto fino ad oggi, uno Stato unico europeo. E comunque per l’Italia non c’è tempo; la situazione finanziaria è troppo grave. Il Parlamento si scuota dalla patologia, si renda conto di avere ancora nelle mani il destino dell’Italia e di coloro che l’hanno eletto e torni subito a un governo politico normale che prepari l'abbandono dell'euro.


di Ida Magli

Uscire dall'euro? Si che possiamo ( ... e dobbiamo n.d.r.)

Il livello di democrazia si vede anche dalle piccole cose... Per esempio dal diritto di cittadinanza concesso sia alle idee favorevoli che a quelle contrarie rispetto a una tesi. Un fulgido esempio? L'uscita dall'euro. I sondaggi sono chiari: gli italiani un tempo super europeisti stanno diventando i piu' euroscettici dell'area euro. Alla base di questo radicale cambiamento di opinione ci sono solidi motivi economici, ottimamente spiegati in questo articolo di Emiliano Brancaccio.

Dai dati impietosi emersi da un sondaggio Pew Research Center in otto paesi dell'Unione Europea emerge che il 40% degli italiani vorrebbe che si tornasse alla lira e per il 44% l'euro e' una cosa negativa, contro il 30% che la considera positiva. E che pensano i cittadini delle nazioni che non hanno l'euro? Piangono e si disperano? Niente affatto. Gli Inglesi, a larghissima maggioranza (73%) sono contenti di non essere entrati nel club, contro un 7% di contrari. I Cechi, per il 62% gioiscono di starne fuori, contro un 15% di contrari. I Polacchi, al 54% stanno bene fuori dall'euro, contro un 23% di contrari. Sulla base di questi dati ci dovremmo aspettare un largo dibattito sui giornali e mass media sull'opportunita' di uscire dall'euro.

Se i mass media fossero al servizio del popolo e non cinghia di trasmissione della volonta' delle Elite. Invece quei pochi spazi in cui capita che venga dibattuta la questione vengono usati per fare propaganda a una tesi sola, vedi ad esempio: Il 52% degli italiani contro l'euro e Ballaro' li terrorizza

Cosi' penso che questo bel video sia davvero utile a coprire un vuoto di informazione. Ecco che cosa avresti avuto diritto di sapere, e non ti hanno spiegato, su cosa succede se usciamo dall'euro. Ps chiediti perche' non vogliono che tu sappia, in modo da rendere il rimanere nell'euro l'unica possibilita'.
 
 

L'Italia farà la medesima fine della Grecia. È solo una questione di tempo


La popolazione greca urla sicura:”Non vogliamo aiuti dalla Troika”. A confermarlo è anche Monia Benini, autrice del libro “La guerra D’Europa” e conoscitrice della realtà ellenica. Intervistata nel pomeriggio da Sky tg24, Benini conferma ciò che diversi organi di stampa greci avevano già ribadito: il popolo ellenico non vuole alcun “aiuto” dalla Troika (BCE, FMI e Commissione europea). Nessun prestito che inesorabilmente si tramuterebbe in un debito futuro, l’ennesimo, che le presenti e future generazioni dovranno ripagare. Il tutto senza contare che, realtà come Deutsche Bank, hanno praticamente scommesso sul fallimento della Grecia ed hanno quindi tutto l’interesse ad affossare l’economia dello Stato ellenico subito dopo essersi assicurate l’ennesima operazione di indebitamento. In altri termini: i greci devono fallire ma, prima, devono accettare i prestiti europei per poter essere legati a doppio filo alla finanza speculativa.

AD ATENE I BAMBINI SVENGONO NELLE SCUOLE La situazione nella sola Atene, dove abitano 5 milioni di persone, è drammatica: lo scorso inverno, come ricorda Benini, erano ben 20.000 i cittadini che dormivano per strada. Gli studenti svengono nelle scuole per troppa fame, gli ospedali chiudono e, gli ammalati, sono sempre più spesso costretti a comprare di tasca propria le medicine necessarie per curarsi. Molti genitori, inoltre, non mandano può a scuola i propri figli perché non hanno soldi per libri e mezzi di trasporto. Come ciliegina sulla torta, il dato sulla disoccupazione: più di un giovane (tra i 15 ed i 24 anni) è senza lavoro. Gli anziani senza pensione, i ragazzi senza futuro. E’ questa la Grecia di oggi e nulla di ciò che leggete è frutto di enfasi.

L’ITALIA SULLA STESSA STRADA MA CI VORRÀ PIÙ TEMPO Certo se si guardano i dati demografici e soprattutto economici, si intuisce che per trascinare l’Italia nello stesso baratro greco ci vorranno più tempo e più fatica da parte dei "mercati". Di sicuro, però, il governicchio tecnico e sulla buona strada: già 9 milioni di persone hanno rinunciato alle cure sanitarie, i rimborsi per i libri scolastici stanno diventando tabù, la disoccupazione giovanile è al 50%, il divario tra Nord e Sud del paese cresce insieme alle tasse. Le università si svuotano perché non offrono più sbocchi professionali e ai 100 miliardi di risparmio previsti con i tagli e la svendita dei patrimoni pubblici, si allegano quei ridicoli 200.000 milioni di euro previsti per le manovre di “sviluppo”. Ora, visto che l’economia italiana è di gran lunga più vasta e forte di quella greca, non ci si aspetta il crollo totale del Bel Paese nel giro di poco. Di sicuro, però, continuando con austerity, incremento delle tasse e taglio a tutto ciò che non serve per ripagare il maledetto debito, non ci vorrà poi tanto per ridurre gli italiani sul lastrico.

CI HANNO CONVINTI CHE È GIUSTO COSÌ, CHE MERITIAMO L'AUSTERITY L’aspetto probabilmente più agghiacciante di tutta la terribile faccenda è che, alla fine, moltissime persone, convinte di essere “sveglie”, equilibrate nei giudizi e bene informate, si sono fatte convincere dalla propaganda della Troika: Greci, Italiani, Spagnoli e qualunque popolo colpito dalla speculazione finanziaria, meritano di subire ogni forma di purga economica e sociale. “Avete scialato negli scorsi anni? Avete osato godere di diritti per giovani, lavoratori e pensionati? Bene:ora pagate con gli interessi”. Si traduce così il messaggio arrogante ed odioso inviato giornalmente da un gruppo di ingordi obesi che hanno guadagnato più di quanto potranno spendere in 1000 vite grazie all'anoressia altrui. Intanto si continuano ad iniettare capitali ingenti nelle banche che poi li utilizzano non per investimenti nell’economia reale ma per ulteriori giochi speculativi.

Ci hanno convinti che è giusto così, che tutto sommato non possiamo più permetterci di sostenere disabili, studenti, ammalati e persone che vorrebbero avere una vita normale facendo onestamente il proprio lavoro.

Ci hanno quasi abituato a questo regime nazi-finanziario che non ha più spazio, tempo e pietà per chi non produce denaro.

Ci hanno convinti che non c’è più spazio per il welfare perché ora la priorità è il pagamento del debito. E noi, da bravi gonzi, ce la siamo anche bevuta ed abbiamo rampognato chi osava, anche solo osava, porre delle domande e dei dubbi sulla legittimità non di tutto ma di almeno parte di tale infinito debito. La barzelletta che non fa ridere in effetti è proprio questa: un popolino confuso e sciatto che si è auto-convinto di essere colpevole e di dover stringere la cinghia perché, improvvisamente, “non ci sono più soldi”.

Ma voi avete idea della mole scandalosa di soldi che vengono gestiti da chi governa il mondo? Lo sapete che ci sarebbe denaro a sufficienza per dare a tutti una vita meno grama? Ah già: questo è mero complottismo populista. Meglio fidarsi degli squali della finanza. Loro hanno “studiato” e quindi sanno come funziona il meccanismo. Povera Italia; povero mondo.

Attentato a Damasco: l’Occidente ribalta le responsabilità

Il ministro degli Esteri russo Lavrov si oppone a una nuova risoluzione: “L’Onu non può appoggiare una rivoluzione”


Quello che è ieri in Siria è costato la vita al ministro della Difesa Daoud Rajha (foto) e al suo vice, nonché vice capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Asif Shawkat, non è stato un atto di guerra ma un vero proprio attacco terroristico. I due ufficiali sono infatti stati uccisi durante un incontro fra diversi membri del governo di Bashar al Assad, che si teneva presso il quartier generale della Sicurezza Nazionale a Damasco, da un’esplosione provocata da un uomo molto probabilmente appartenente alle stesse forze armate siriane. Ipotesi avallata proprio dagli ingenti controlli che erano stati disposti per assicurare l’accesso all’edificio e che quindi solo qualche membro interno alle autorità del Paese arabo avrebbe potuto aggirare. Restano tuttavia ancora molti punti da chiarire, tuttora non è chiaro se si sia trattato di un attentato kamikaze o dell’esplosione di un ordigno lasciato in precedenza. Oltre alle due vittime l’attacco ha provocato diversi feriti, alcuni dei quali in modo grave e fra questi anche il ministro degli Interni, il generale Mohammad Ibrahim Shaar, che sarebbe invece deceduto secondo la tv qatariota al Jazeera.

L’attentato è stato rivendicato attraverso una telefonata all’agenzia di stampa Dpa dal colonnello Riad al Asaad, comandante del cosiddetto “Libero esercito siriano”, il braccio armato del Cns di Isranbul, l’organizzazione finanziata dall’Occidente e dalla monarchie del Golfo persico che riunisce le opposizioni estere al governo di Damasco. “Rivendichiamo la responsabilità dell’operazione - ha detto l’ufficiale nel corso della chiamata - sinora abbiamo informazioni confermate riguardo l’uccisione del ministro della Difesa, del suo vice e di tre alti comandanti”.


“Il comando del Les annuncia il successo dell’operazione di questa mattina che ha preso di mira la sede della Sicurezza nazionale a Damasco e ucciso diverse colonne della banda di Assad che sono responsabili di barbari massacri”, recita invece un comunicato emesso poco dopo dalle stesse milizie illegali che operano nel Paese arabo.


Un attacco volutamente diretto a spaccare le autorità locali e volto a rovesciare l’esecutivo guidato dal presidente Bashar al Assad, che per l’ennesima volta non ha trovato nessuna vera condanna da parte degli Stati Uniti e dei Paesi europei, i quali invece si sono nuovamente schierati al fianco degli insorti. “L’attentato di oggi a Damasco rende ancora più necessario e urgente che si trovi una transazione politica che permetta al popolo siriano di avere un governo che esprima le sue aspirazioni profonde”, ha affermato il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius (in foto con Hillary Clinton), che pure stigmatizzando il fatto si è guardato bene dal criticare il Cns e i militanti da questo stipendiati, non facendosi invece sfuggire l’occasione per tornare a chiedere la testa del capo di Stato siriano.


“La situazione in Siria sembra andare rapidamente fuori controllo: gli Stati Uniti sono molto preoccupati dall’aumento delle violenze nel Paese”, ha affermato invece il segretario alla Difesa Usa, Leon Panetta, il quale poi ha sfacciatamente ignorato i fatti e i loro responsabili tornando invece a chiedere di aumentare la pressione solo su al Assad.


Ancora più ipocrita la posizione presa dal governo britannico, il quale, pur rilevando che la Siria “è minacciata dal caos e dal collasso” nei quali rischia di precipitare data la situazione che è “persino peggiore di quella, terribile, prevalsa negli ultimi mesi”, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’approvazione di una risoluzione che possa “condurre alla soluzione del problema, all’avvicinamento verso un processo politico di natura pacifica, e all’avvento in di un governo transitorio”. Anche Londra dunque, omette di commentare l’accaduto, ma al tempo stesso cerca di sfruttare la tensione crescente per raggiungere i propri obiettivi: la rimozione di al Assad e l’insediamento di un esecutivo filo-occidentale. Stessa posizione espressa anche dalla Germania attraverso le vaghe dichiarazioni di Angela Merkel. “Questo dimostra che è tempo di adottare la nuova risoluzione e di cooperare a livello internazionale in modo da porre fine alle violazioni dei diritti umani”, ha dichiarato il cancelliere tedesco omettendo a sua volta ogni riferimento all’attentato e rivolgendo, invece, un appello ai membri del massimo organo del Palazzo di Vetro all’unità al fine di redigere e approvare un documento comune.


Ancora una volta, solo la Russia ha avuto l’onestà e il coraggio di condannare non solo il vile attentato di Damasco ma anche l’ennesima operazione mediatica dei Paesi occidentali. 


“In questo contesto l’adozione della risoluzione sarebbe un sostegno diretto al movimento rivoluzionario. Se è una questione di rivoluzione, l’Onu non può avere nulla a che fare con questa”, ha tuonato il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, il quale in vista del prossimo voto del Consiglio di Sicurezza ha inoltre ribadito che, alla luce di tutto questo, il Cremlino non può accettare alcun riferimento né al capitolo VII, né le sanzioni.


Un clima rovente, quindi, anche in ambito internazionale che ha spinto l’inviato delle Nazioni Unite e della Lega Araba per la crisi siriana, Kofi Annan, ha chiedere il rinvio del voto previsto inizialmente per ieri, così da evitare l’ennesimo imbarazzante stallo per un’organizzazione che non sembra più aver alcun ruolo rilevante e tantomeno indipendente nella politica mondiale.


E mentre tutti i leader occidentali si preoccupavano di nascondere la reale matrice e le vere vittime dell’attentato di ieri, in alcuni quartieri di Damasco gli scontri fra l’esercito regolare e le milizie ribelli sono andati avanti per tutto il giorno nella più totale indifferenza. Come se fosse del tutto normale che milizie armate da Paesi stranieri e zeppe di mercenari mettano a ferro e fuoco la capitale di uno Stato sovrano, salvo poi criticare quest’ultimo se cerca di difendere il proprio territorio e il proprio popolo. 


Anche l’Italia si schiera con il fronte interventista
Nel gruppo dei Paesi occidentali che ieri ha cercato di oscurare l’attentato contro alcuni ministri siriani, cercando sfruttare il caos da esso causato per tornare a chiedere al presidente al Assad e al suo governo di lasciare la scena politica del Paese arabo, non poteva mancare l’Italia, che come al solito è accodata alle posizioni senza senso di Usa, Gran Bretagna e Francia.


“I gravissimi attentati di oggi dimostrano come l’avvio concreto di una transizione politica a Damasco, a guida siriana e rispondente alle legittime aspirazioni democratiche del popolo sia ormai una necessita improrogabile”, ha affermato il titolare della Farnesina, Giulio Terzi (foto), commentando quanto accaduto ma senza condannare in alcun modo l’azione terroristica delle milizie del Cns. “L’Italia – ha proseguito il titolare della Farnesina - continua a sostenere pienamente l’azione di Kofi Annan ed il piano per il cessate il fuoco. Allo stesso tempo questo scenario da guerra civile impone un’urgente ed efficace assunzione di responsabilità da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Nonostante l’evidenza, dunque, anche il governo di Roma ignora volutamente i fatti per assecondare le mire di Washington. Terzi proprio oggi riceverà il presidente del Consiglio nazionale siriano, Abdulbaset Sieda, chissà se almeno in privato avrà il coraggio di condannare la strage di ieri o se al contrario si complimenterà con lui.
di Matteo Bernabei
Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=16073

Emirati Arabi: prima centrale nucleare, due pesi e due misure

Centrali nucleari, quali sono le differenze tra UAE e Iran? Poche, e a sfavore degli Emirati.


Merita appena un trafiletto dell'ANSA, la notizia della costruzione della prima centrale nucleare negli Emirati Arabi. Eppure, è una novità di tutto rispetto.

Specialmente perché ricorda la questione iraniana, dove la costruzione di una centrale nucleare è motivo di embargo internazionale e minacce di guerra. Perché non succede altrettanto con gli Emirati? Quali sono le differenze? Francamente, se ne riscontrano davvero poche: e quelle poche, tutte a sfavore dell'UAE.
- "Paese antidemocratico". L'Iran è una democrazia, dove si svolgono regolari elezioni ed esiste un Parlamento eletto dai cittadini. Gli Emirati sono una monarchia confederata di cinque monarchie assolute, insomma comandano gli sceicchi.
- "Leggi islamiche". In Iran esiste un organo supremo religioso, il Consiglio dei Guardiani. Negli Emirati vige la sharia.
- "Situazione della donna". In entrambi i Paesi le donne hanno l'obbligo del velo. In Iran le donne siedono in Parlamento, diventano Ministri, studiano all'Università, possono esercitare qualsiasi professione. Negli Emirati invece "possono guidare l'auto", punto e basta (grande modernità, perché in Arabia non possono fare neanche quello).

- "Nemici di Israele". Il Presidente dell'Iran ha fatto sì dichiarazioni contro Israele, ma gli Emirati Arabi ospitano una consistente comunità di rifugiati palestinesi e vietano l'ingresso nel Paese ai cittadini israeliani.

- "Pieni di petrolio, in realtà vogliono la bomba". Entrambi i Paesi sono tra i principali produttori di petrolio al mondo. Ma mentre l'Iran ha grossi problemi di consumo interno, che mettono a rischio le esportazioni petrolifere e i relativi introiti nell'immediato futuro, gli Emirati a causa della scarsa popolazione non hanno neppure questo problema. La costruzione di una centrale nucleare è quindi ancora più ingiustificata, se non per i mostruosi consumi elettrici delle lussuose città. (foto: NASA)

Appurato quindi che le motivazioni contro le centrali iraniane -che ascoltiamo tutti i giorni- valgono pari pari anche per gli Emirati Arabi, rimane il rebus: come mai la centrale UAE merita appena un trafiletto, mentre quella iraniana rischia di scatenare la terza guerra mondiale? Non sarà che queste motivazioni sono in realtà un cumulo di fesserie a cui noi sciocchi siamo invitati a credere, mentre i reali motivi sono ben altri?

di Debora Billi
Tratto da: http://petrolio.blogosfere.it/2012/07/emirati-arabi-prima-centrale-nucleare-due-pesi-e-due-misure.html

domenica 15 luglio 2012

Moody’s tira la volata all’amico Monti


La speculazione anglo-americana torna all’attacco contro i nostri titoli di Stato decennali (i Btp) e di riflesso contro l’euro.
L’agenzia di rating Usa, Moody’s, già famosa per aver garantito nel 2007 della solidità patrimoniale e finanziaria della banca d’affari statunitense, Lehman Brothers, poi fallita a causa delle proprie speculazioni, ha abbassato di due gradini, da A3 a Baa2 la valutazione sulla solvibilità futura dei Btp, quindi del nostro Paese.
Nere anche le prospettive della nostra economia che nel breve termine appaiono deteriorate.
Oltretutto, insiste Moody’s, è possibile un contagio che partendo dalla crisi del debito della Spagna e della Grecia si estenda anche all’Italia.

Una maniera elegante per ammettere che oltre Atlantico (e oltre Manica) si auspica un crollo dell’euro che per gli anglofoni rappresenta comunque una seria alternativa al dollaro (e alla sterlina) come moneta di riferimento da utilizzare nelle transazioni internazionali.

Quanto mai interessanti o inquietanti le giustificazioni del primo produttore di numeri a caso. Le riforme varate dal governo italiano, dice Moody’s, della quale Monti è stato consulente (!), vanno bene ma ci sono timori per il nuovo esecutivo che nascerà dalle elezioni politiche dell’anno prossimo. Chi sarà il nuovo capo del governo? Moody’s appare preoccupata dell’assenza di una figura politica in grado di imporre agli italiani la durissima politica di austerità di cui l’Italia avrebbe (?) bisogno. Già adesso sindacati e gli stessi politici frenano sull’attuazione delle riforme appena approvate e di quelle che si annunciano. In vista delle elezioni, insiste Moody’s, i partiti temono infatti di perdere i loro tradizionali serbatoi di voti ed essere ulteriormente penalizzati dai venti dell’anti politica. Nessuno, lamenta Moody’s, mostra il necessario coraggio per sostenere il programma di riforme. Questo, concede la società di rating, dipende anche da altri fattori come il peggioramento dell’economia, la recessione con un Pil in calo quest’anno del 2,4%, l’effetto delle riforme e il peso dell’austerità sulla popolazione italiana. Un gentile eufemismo per definire la crescente povertà nel nostro Paese e la progressiva proletarizzazione del ceto medio.

Eppure, osserva Moody’s, il programma di riforme ha davvero le potenzialità per migliorare notevolmente la crescita e le prospettive di bilancio. Una potenzialità che, per ora, è stata vanificata dalla recessione in corso. Di conseguenza raggiungere gli obiettivi di risanamento dei conti resta una enorme sfida, e il pareggio di bilancio fissato per la fine di quest’anno, dovrà slittare di due anni. Conseguenza logica di tutto questo ragionamento e del declassamento dei Btp, anche se Moody’s non la esplicita, è che Monti debba restare al governo fino alle elezioni del 2013 e poi candidarsi alla guida di una coalizione di impronta liberale che intruppi tutti gli esponenti della peggiore canaglia liberista, pronti a liquidare la sovranità italiana attraverso la svendita delle nostre aziende ancora a controllo pubblico, come Eni, Enel e Finmeccanica.

Non è un caso che, giorni fa, Monti aveva parlato del durissimo percorso di guerra che attende l’Italia. E non è un caso che la tirata di Moody’s sia arrivata il giorno dopo la dichiarazione ufficiale di Silvio Berlusconi di scendere in ogni caso in campo alle prossime politiche e di volersi candidare a capo del governo. Lo stesso Berlusconi del quale Monti, sempre pochi giorni fa, aveva ricordato, tra il polemico e l’ironico, che era stato “umiliato” al vertice di Nizza del G20 nel 2011. Questo con me, voleva dire Monti, non è successo né succederà. E allora, se pure il Professore ha dichiarato di non volersi candidare alle elezioni del 2013, è lecito sospettare che sia tutto il contrario e che, come già avevamo detto, il disegno di Monti sia quello di essere chiamato a salvare il Paese in nome dell’interesse nazionale e a rimanere a Palazzo Chigi finché i conti pubblici siano stati messi a posto, l’economia sia tornata a crescere. E soprattutto, fino a quando le aziende pubbliche siano state svendute.

Insomma, lontano dal doverlo considerare un attacco a Monti, quello di Moody’s è invece un vero e proprio sostegno ad una candidatura dell’ex consulente di Goldman Sachs (pure questa!) alla guida del governo per il dopo elezioni.
Il giudizio di Moody's è ingiustificato e fuorviante, ha osservato il ministro dello Sviluppo economico, l’ex banchiere Corrado Passera, mentre le Borse lo hanno pressoché ignorato. Il Tesoro ha infatti collocato titoli a 3 anni per 3,5 miliardi di euro i cui rendimenti sono scesi dal 5,30% di giugno al 4,65%. Pure i rendimenti dei Btp decennali che in apertura avevano risentito negativamente delle valutazioni di Moody’s, hanno finito poi per calare a livelli più accettabili.

Seccato pure il commento del commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, in quanto “l’Italia ha fatto sforzi senza precedenti per le riforme, per arrivare al pareggio di bilancio e per avviare la riduzione del debito pubblico”. Si tratta quindi, ha accusato Bruxelles, di “un giudizio inappropriato nei tempi”. Una maniera elegante per dire che si tratte di valutazioni non legate alla realtà e politicamente mirate a perseguire altri scopi che la Commissione non se la sente però di esplicitare.

Da parte sua, Monti ha giocato ieri in casa, intervenendo, da invitato, a Sun Valley, nell’Idaho, alla trentesima edizione del convegno di Allen & Co, una banca d’affari di Wall Street. Tra finanzieri vari e dirigenti di società come Facebook, Microsoft e Apple, Monti ha cercato di rassicurare i presenti dell’Allen Club (di cui si dice faccia parte) sulle sue buone intenzioni di distruggere lo Stato sociale in Italia, varare le privatizzazioni, rendere il lavoro sempre più precario e flessibile e attrarre in tal modo gli investimenti esteri.


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giovedì 12 luglio 2012

In Spagna arrivano i miliardi

SPERIAMO CHE DA NOI NON ARRIVINO MAI ...


In Spagna arrivano 30 miliardi di euro di "aiuti" europei, ma contrariamente a quanto viene lasciato intendere nell'immaginario collettivo, non sono destinati agli spagnoli, ma alle banche che ne hanno estrema necessità per calmierare temporaneamente la propria fame bulimica. I cittadini spagnoli in compenso stanno intascando anche loro i propri miliardi, ma purtroppo non si tratta di euro, bensì di bastonate, sia in senso metaforico che in quello letterale del termine.

Il senso metaforico alligna nella nuova manovra lacrime e sangue da 65 miliardi di euro, varata dal premier Rajoy per compiacere la BCE e le banche di cui sopra. Quello letterale nei pestaggi selvaggi (stile G8 di Genova e Val di Susa ) dispensati dalla polizia nei confronti dei minatori che protestano per i difendere i propri sacrosanti diritti....

La manovra imposta dalla BCE, prevede una lunga serie di "doni" per il popolo spagnolo, i più significativi dei quali saranno il taglio delle tredicesime e delle ferie dei dipendenti pubblici e l'aumento di 3 punti percentuali dell'IVA che dal 18% sale al 21%.

Le cariche, i pestaggi selvaggi e gli assalti , durante i quali la polizia non ha lesinato nell'uso dei proiettili di gomma, provocando il ferimento di oltre 50 manifestanti, hanno seguito un copione che in Italia conosciamo bene e si basa sul soffocare nel sangue qualsiasi accenno di protesta popolare, a prescindere dalle motivazioni che la sostengono.

La nuova Europa continua ad avanzare a grandi passi, con le sue parole d'ordine ormai divenute di una chiarezza adamantina. Smantellamento di qualsiasi sovranità nazionale, totale sudditanza al sistema bancario, progressiva eliminazione del welfare e dei servizi al cittadino, creazione di una sempre più ampia fascia di disoccupazione che possa contribuire ad aumentare il dumping sociale, eutanasia dei diritti e repressione feroce di ogni protesta che possa intralciare il cammino intrapreso.

Avanti così, greci, portoghesi, irlandesi, italiani, spagnoli, un futuro radioso vi attende tutti e nel caso le sorti progressive non risultino radiose come era nelle vostre aspettative, accontentatevi della prospettiva di avere un futuro, un giorno di questi qualche riforma potrebbe anche decidere che in fondo non ne avete diritto.

di Marco Cedolin

mercoledì 11 luglio 2012

Taci! Lo spread ti ascolta

Il teatrino dell'assurdo nel quale siamo immersi quotidianamente, ci offre momenti di parossismo in grado di trasportarci ai confini della realtà.

Di fronte alla manovra tagli e sangue conosciuta come spending review, che fra le altre cose eliminerà quasi 20mila posti letto negli ospedali e produrrà il licenziamento di qualche decina di migliaia di dipendenti della pubblica amministrazione, le critiche più dure arrivano da Squinzi, Presidente di Confindustria e non della Cgil. Proprio durante un faccia faccia con Susanna Camusso, Squinzi ha esternato le proprie perplessità riguardo alle ultime mosse del governo, sottolineando che "dobbiamo evitare la macelleria sociale". Spiazzando in primo luogo i vertici sindacali, dal momento che se Confindustria critica l'operazione del governo usando il loro stessi toni, significa in tutta evidenza che la "morbida" posizione tenuta fin qui non è più sufficiente a sotenere l'immagine d'integerrimi difensori dei diritti dei lavoratori ed occorre fare di più, con il rischio d'incorrere nell'ira dei banchieri....

L'ira di Mario Monti, colpito nel vivo dalle dichiarazioni, si è per ora indirizzata nei confronti di Squinzi, reo di avere esternato perplessità e critiche nei confronti di una manovra che i media mainstream ed il mondo politico stanno sforzandosi di presentare sotto le mentite spoglie di una medicina amara ma necessaria, che garantirà la guarigione del paziente. Dimenticando colpevolmente che il paziente ucciso da un farmaco potrebbe tornare in vita solamente in conseguenza di un miracolo e le virtù taumaturgiche dei banchieri sono estremamente scarse, dal momento che stanno fallendo anche nel tentativo di "salvare" gli istituti di credito da loro stessi creati.
Il banchiere di Goldman Sachs ha attaccato Squinzi affermando che "Dichiarazioni di questo tipo, come è avvenuto nei mesi scorsi, fanno aumentare lo spread e i tassi a carico non solo del debito ma anche delle imprese, e quindi invito a non fare danno alle imprese". Tutti zitti, insomma, altrimenti lo spread (che è sempre in ascolto) potrebbe indispettirsi e ricominciare a salire in maniera forsennata, perdendo la fiducia nell'operato del governo.

A rincarare la dose, in soccorso di Mario Monti, è arrivato anche l'immarcescibile Luca Cordero di Montezemolo, ex Presidente di Confindustria e novello "benefattore" in procinto di scendere nell'agone politico per difendere il futuro degli italiani. Il Presidente della Ferrari, di estrazione Fiat e da sempre campione nell'arte di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, ha testè affermato "Dichiarazioni come quelle di Squinzi, sia nel merito che nel linguaggio, non si addicono a un presidente di Confindustria, fanno male e sono certo che non esprimono la linea di una Confindustria civile e responsabile".

Insomma la Confindustria di Squinzi sta diventando un organismo "rivoluzionario" che si distacca da una linea civile e responsabile, per sposare l'acciottolato sconnesso della protesta. Ed i risultati non stanno tardando a manifestarsi, lo spread è già risalito oltre i 480 punti (Berlusconi fu "licenziato" per molto meno) e potrebbe continuare ad arrampicarsi con risultati disastrosi.

Tutta colpa di Squinzi, lo spread ci ascolta ed è indispensabile tacere, se proprio intendete sfogarvi fatelo in un bugigattolo nascosto dall'ombra, dopo esservi assicurati che il nemico non è in ascolto.

di Marco Cedolin

La speculazione finanziaria non premia Monti

Nonostante il DdL Lavoro, la Spending Review, lo scorporo della Snam dall’Eni, lo spread tra Btp e Bund sale a 480 punti
Con buona pace degli utili idioti che non mancano mai e dei cialtroni di destra, di centro e di sinistra, fautori del “Mario Monti non si discute si sostiene, altrimenti senza di lui l’Italia andrà a fondo”, lo spread tra i nostri Btp decennali e i più solidi Bund tedeschi è schizzato ieri sera in alto a quota 480 punti.
Allo scopo di tranquillizzare i mercati finanziari, quindi gli speculatori, sul fatto che l’Italia sarà sempre più “virtuosa” e liberista e che taglierà la spesa pubblica, non è nemmeno servito l’annuncio dell’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s sulla possibilità di una sua candidatura alle politiche del 2013 alla guida di una coalizione di salute pubblica che ingloberebbe i tanti potenziali servi di desta e di sinistra presenti in Parlamento, o quelli esterni ben desiderosi di entrarvi, pronti a svendere alla finanza anglo-Americana quello che resta delle industrie italiane strategiche, come Eni, Enel e Finmeccanica.

La nascita del governo Monti è stata infatti finalizzata non solo a realizzare le riforme liberiste ma a questo traguardo specifico e la buona disposizione della nomenklatura italiana verso la finanza anglo-americana è dimostrata dalla scelta fatta dalla Cassa Depositi e Prestiti (controllata al 70% dal Tesoro) di affidare alla Goldman Sachs (!) l’incarico di curare l’operazione di acquisto del 29,99% della Snam dall’Eni il cui 26,37% è di proprietà della stessa Cassa e il 3,93% è del Tesoro. Mentre la Snam è controllata per il 50,031% dall’Eni. Insomma per una operazione, che in buona sostanza è una partita di giro, è stata scelta una banca estera, una banca nemica dell’Italia, una banca che ha speculato massicciamente contro i nostri Btp per farne cadere la quotazione di mercato e al tempo stesso spingere in alto gli interessi sulle future emissione e quindi i rendimenti e il relativo differenziale (appunto lo spread) con i Bund tedeschi.
Se a questo poi aggiungiamo che Moody’s ha perseguito coscientemente il declassamento dei nostri Btp abbassandone il rating, anche quando, dal loro punto di vista, non ce ne era ragione, abbiamo la percezione chiara che c’è qualcosa che non funziona e che il nostro Paese è stato commissariato non già dall’Unione europea ma da quella stessa finanza anglofona che ha operato contro di noi per cancellare qualunque nostro spazio autonomo di manovra sullo scenario internazionale.

A tenere basso lo spread non è servito nemmeno l’accordo, i cui termini sono però ancora da definire, per interventi diretti del nuovo fondo europeo salva Stati (Esm) attraverso l’acquisto di titoli di Stato dei Paesi sottoposti a pressioni (ossia ad attacchi speculativi), calmierarne le oscillazioni ed offrire di riflesso un po’ di respiro all’intero sistema dell’euro.
E ancora: a tenere basso lo spread non è servita la riforma del lavoro che permetterà alle aziende di licenziare a piacimento e di ridurre dall’oggi al domani i costi. Come non è servito nemmeno il decreto sulla “spending review” che con la scusa di operare una revisione della spesa ed eliminare la burocrazia pubblica asfissiante e i centri di spesa inutili e doppioni di altri, servirà invece per smantellare lo Stato sociale e comprimere progressivamente i diritti dei cittadini e di chi lavora.

La spiegazione di questa anomalia tecnica, io Monti che taglio la spesa e tu mercato (o speculatore) che non mi premi, va ricercata allora nel fatto che gli anglofoni non hanno ancora ottenuto quello che veramente volevano. E cioè la vendita delle nostre imprese pubbliche.

Vanno quindi salutate con interesse le dichiarazioni del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi (Mapei) che dopo aver definito “una boiata” la riforma del lavoro della Fornero perché crea soltanto incertezza e non contribuisce a creare nuova occupazione, è tornato all’attacco definendo la spending review un’operazione di “macelleria sociale”, perché, in buona sostanza non farà altro che impoverire ulteriormente gli italiani, ridurrà drasticamente la domanda e non farà altro che aggravare la recessione in corso. Una presa di posizione che ha molto irritato l’ex Goldman Sachs che ha replicato osservando che “dichiarazioni di questo tipo da parte di figure istituzionali e personaggi, ritenuti responsabili, hanno effetti molto negativi nei mercati e nelle valutazioni delle organizzazioni internazionali. Fanno aumentare i tassi di interesse e lo spread”. Insomma, se i provvedimenti del governo fanno schifo, la colpa non è di Monti ma di coloro che non li apprezzano e non li esaltano. Significativo, nella reazione dell’ex consulente di Moody’s, è quel velenoso “ritenuti responsabili” che dà l’esatta idea di come ragiona l’inquilino di Palazzo Chigi e del come non sopporti le critiche. Una insofferenza che è stata recepita da Montezemolo (Ntv) ,Tronchetti (Pirelli) e Bernabé (Telecom), molto critici verso Squinzi (“sono posizioni personali”) e da un seccato editoriale del Corriere della Sera per il quale lo stesso Monti era stato editorialista. Per non parlare di Repubblica che con poco senso della misura ha parlato di “deficit di senso di responsabilità della borghesia italiana”.

A difendere la “spending review”, per quello che può valere, è stato pure Olli Rehn, commissario europeo all’Economia, che lo ha definito come “molto in linea con le raccomandazioni specifiche per Paese presentate dalla Commissione europea lo scorso 30 maggio”. Misure che Monti ha spiegato nei dettagli a Rehn poco prima delle riunioni dell’Ecofin e dell’Eurogruppo ieri a Bruxelles.

mercoledì 4 luglio 2012

GOVERNO TERRORISTA !!!

- Il buio alla fine del tunnel -
La cazzata del giorno: << Via il 10% degli statali >>.

I titoloni dei quotidiani di oggi dicono questo, non importa specificare in che modo e con quali tempi, perché questo non è importante ... l’importante è TERRORIZZARE !!!

Il 10% degli statali vuol dire circa 350 mila persone (poi ci devono spiegare come questo può aiutare la ripresa).

Questa è una misura inattuabile, ci vorrebbe un regime ben più dittatoriale di questo (!) pur autoritario governo tecnico, ci vorrebbero i militari già schierati nelle strade con l’arma carica e i blindati a difesa di governo e istituzioni … peccato che anche i militari (essendo statali) sono inclusi nel piano dei tagli (ovviamente quando parliamo di tagli ci riferiamo al personale non certo alle armi ed ai mezzi ... di quelli c’è ne sempre un gran bisogno specie se li acquistiamo dallo zio Sam).

Dunque la strada non sembra percorribile, e allora perché queste esternazioni?
A mio avviso i motivi possibili sono due :


1) Terrorismo psicologico preventivo a scopo di minaccia … seguiranno nuovi tagli e nuove tasse in nome e per salvare dal licenziamento 350 mila statali, un po’ come si sta facendo adesso con l’aumento dell’iva …. << Facciamo questa manovrina per evitare l’aumento dell’iva ….>>.

2) Terrorismo psicologico allo scopo di “indorare la pillola” … si proclama di voler licenziare 350 mila statali poi se ne licenziano la metà o un terzo e tutti (quelli non licenziati) sono grati al governo e magari i giornali potrebbero titolare salvati 200 mila statali anziché focalizzarsi sul licenziamento degli altri 150 mila.

Un altro scopo di questo terrorismo mediatico potrebbe essere quello, sempre utile, di innescare la guerra tra poveri (ricordate il video dell’esperimento sui topi) … I lavoratori non statali dicono "è giusto licenziarli", viceversa gli statali potrebbero gioire (?) di qualche ulteriore tassa o vessazione verso il settore dei lavoratori privati (vedi art. 18 etc ...) insomma un “dividi et impera” in piena regola.

Infine se mi permettete posso provare ad indovinare una delle prossime dichiarazioni di questo pseudo governo a giustificazione del taglio dei dipendenti pubblici:
<< Stiamo provvedendo a privatizzare e liberalizzare tutto: aziende, industrie strategiche e magari qualche ente statale (sanità, prigioni ….) tutti quelli licenziati dalla P.A. potranno presto trovare lavoro nel florido ramo privato … magari con metà stipendio e senza diritti … >>.


… Come mi vengono queste assurde idee? Be, non è farina del mio sacco, mi ispiro solo al copione che sta seguendo questo governo … infatti chi ha letto “Shock Economy” ricorderà queste stesse argomentazioni nel Cile di Pinochet il quale si faceva consigliare dai “brillanti” economisti della Scuola di Chicago ...

Buon Terrorismo Mediatico a tutti.

John Infotricks