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giovedì 19 agosto 2010

Pearl Harbor


“ …e mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera... potete quindi definire qualsiasi discorso sull’invio di eserciti in Europa come pura menzogna”.


F.D. Roosevelt (Presidente USA 1933-1945)



Riguardo allo storico attacco di Pearl Harbor, i libri di scuola, i film, i documentari e tutti i reportage storici allineati alle versioni ufficiali ci hanno raccontato solo una verità di comodo. Attraverso i canali d’informazione istituzionali è stato ripetuto fino alla nausea che nel 1941 un brutale attacco aereo giapponese a sorpresa annientò la flotta americana del pacifico, lasciando sul campo migliaia di vittime innocenti. Tale versione dei fatti venne diramata dalla Casa Bianca allo scopo di scatenare l’indignazione del popolo americano. Da qui, a legittimare la sua chiamata al fronte come un dovere morale, il passo è stato molto breve.
Sono passati molti anni da quel drammatico 7 dicembre 1941, ma la storia continua a riemergere inquietante, come il cadavere di un omicidio che non vuole affondare. Le numerose inchieste pubbliche e private condotte su Pearl Harbor sembrano infatti avere raccolto ormai sufficiente materiale probatorio per ricostruire una volta per tutte, il vero corso degli eventi in questione.

La censura della storia

Il Giappone, contrariamente a quanto viene convenzionalmente accettato nella letteratura istituzionale didattica mondiale, venne deliberatamente provocato a reagire militarmente da F. D. Roosevelt in tutti i modi possibili. Tale strategia d’azione fu definita nero su bianco nel riservatissimo piano McCollum [34], uno scottante documento che alcuni ricercatori storici sono riusciti a rendere di pubblico dominio.

Nel corso del tempo, sono infatti emerse numerose prove che dimostrano come i servizi dell’intelligence americana riuscirono a decriptare tempestivamente tutti i piani dell’imminente attacco giapponese. La strage di Pearl Harbor quindi, poteva essere evitata e con essa naturalmente, anche la partecipazione dell’America alla guerra. A confermarlo, ci sono persino le testimonianze rese da alti ufficiali della marina americana (come ad es. quella dell’ammiraglio Husband Kimmel o del tenente generale Richardson).

Ed è proprio da questi ultimi infatti che è partita la “prima pietra dello scandalo”. Le loro versioni sulla vicenda, sono oggi disponibili in molte dettagliatissime pubblicazioni, a cominciare, da “Il giorno dell'inganno” di Robert B. Stinnet (pluridecorato USA per il valore militare 42'- 46').

Pertanto, le fonti delle informazioni che sono alla base delle accuse contro Roosevelt, non sono costituite (come qualcuno potrebbe pensare) dalle malsane elucubrazioni di estremisti anti-americani, ma come anzidetto, provengono direttamente dagli archivi militari USA e/o dagli stessi ufficiali della marina che prestarono servizio durante la guerra del Pacifico.



Omissis



La flotta USA, avrebbe potuto tranquillamente essere messa in salvo, ma si fece l’esatto opposto, affinché migliaia di soldati americani trovassero la morte sotto le bombe giapponesi. Perché? La risposta è tanto chiara quanto scandalosa. Il vero obiettivo di Roosevelt era quello di creare il roboante casus belli di cui avevano bisogno i poteri forti per coinvolgere la nazione americana nel conflitto.

E dallo stesso momento in cui venne deciso che le navi da guerra USA, con tutto il loro carico umano sarebbero serviti da esca, la base di Pearl Harbor venne deputata a questa funzione sacrificale. Quello che accadde dopo fu solo la cronaca di una strage annunciata.....

Il Giappone quindi non solo si trovò a dover sopportare le gravi azioni di provocazione messe in atto con il piano McCollum, ma venne anche “indotto in tentazione” dallo stesso Roosevelt che “suggeriva” ai generali nipponici la soluzione della crisi con un colpo di mano. Come? Semplicemente “porgendo il fianco” della sua flotta al nemico. Le navi da guerra americane infatti vennero costantemente mantenute in zona di pericolo per ordine diretto del Presidente. Il comando giapponese fu così spinto a credere di dover approfittare di un occasione irripetibile per cercare di vincere una guerra ormai inevitabile contro il gigante americano. Ma cadde solo nella trappola…

Una regia occulta

Come verrà illustrato nel prosieguo, dietro le dinamiche degli eventi bellici è sempre possibile intravedere l'ombra cupa dei poteri forti, una realtà che emerge sconcertante tutte le volte che si effettuano dei reali approfondimenti. In pochi ne parlano apertamente, ma sono solo questi a manipolare tanto il corso della storia quanto il mondo dell’informazione. Sono talmente potenti che possono permettersi il lusso di insabbiare tutti i loro crimini senza mai apparire come primi attori. E le grandi inchieste ufficiali troppo spesso servono solo a manipolare l’opinione pubblica, mentre al contempo, le fonti d’informazione non controllate (come le piccole case editrici o i siti internet) vengono demonizzate e messe alla berlina nel circolo mediatico di più larga diffusione.

Come è cambiata l’America dopo Pearl Harbor

Prima del fatidico 7 dicembre 1941, l’88% della popolazione americana (sondaggio realizzato in America nel settembre 1940) era contraria a mandare i propri figli a morire per una guerra lontana [31] e il signor F. D. Roosevelt, proprio come il signor W. Wilson, venne eletto Presidente grazie alla promessa che non avrebbe mai trascinato la nazione in un conflitto.

Ecco infatti, cosa dichiarò pubblicamente ai suoi elettori F.D. Roosevelt: “… e mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera...[1]

Ma nonostante queste buone dichiarazioni d’intenti volte solo ad accattivarsi il consenso di un America pacifista, il procurato attacco giapponese e il conseguente bagno di sangue di Pearl Harbor, provocarono una ondata emotiva tale che l’opinione pubblica americana mutò repentinamente atteggiamento, optando, come cinicamente previsto, a favore dell’intervento militare. In sostanza, senza un episodio come quello di Pearl Harbor, l’amministrazione americana non avrebbe mai potuto trascinare il paese in guerra e il Presidente Roosevelt avrebbe dovuto, “suo malgrado”, mantenere le promesse fatte alla nazione.

Il piano McCollum
Grazie al Freedom of Information Act promosso dal parlamentare USA John Moss, molti ricercatori indipendenti hanno potuto trovare accesso ad uno straordinario numero di documenti sulla guerra del Pacifico. Dallo studio accurato di questi è poi emersa tutta la verità sconcertante;

Si viene così a sapere che già il 7 ottobre del 1940, nel quartier generale della Marina di Washington, circolò un bollettino destinato a compromettere per sempre l’amministrazione Roosevelt nella premeditazione della guerra. Il dispaccio proveniva dall’ufficio dei servizi informativi ed era indirizzato a due dei più fidati consiglieri del Presidente, i capitani della Marina Walter S. Anderson e Dudley W. Knox. Al suo interno recava la sottoscrizione in calce del capitano di corvetta Arthur H. McCollum, un militare esperto dei costumi del “sol levante”. Quest’ultimo infatti, aveva trascorso diversi anni della sua vita in Giappone e ne conosceva perfettamente la cultura. Si poneva quindi come l’uomo adatto per studiare una strategia di provocazione.

McCollum elaborò così un piano che prevedeva otto diverse modalità d’azione per ingaggiare una guerra con il Giappone. Il documento si componeva di cinque pagine e in esso si faceva esplicito riferimento alla creazione di quelle condizioni che avrebbero costretto i giapponesi ad una reazione armata contro gli USA.

Una volta che questa si fosse verificata, la nazione americana si sarebbe ritrovata automaticamente impelagata nell’intero conflitto mondiale. Proprio ciò che volevano gli oscuri signori della guerra in doppiopetto e bombetta. La stipula del famoso patto tripartito (siglato a Berlino il 27 Settembre 1940), garantiva infatti alle forze dell’asse (Germania, Italia, Giappone) mutuo soccorso reciproco durante tutto il conflitto.

Le operazioni da seguire per raggiungere questo obiettivo sono qui di seguito sinteticamente elencate:

 Accordarsi con la Gran Bretagna per l’utilizzo delle basi inglesi nel Pacifico, soprattutto Singapore.

 Accordarsi con l’Olanda per utilizzare le attrezzature della base e poter ottenere provviste nelle Indie orientali olandesi (l’attuale Indonesia).

 Fornire tutto l’aiuto possibile al governo cinese di Chiang Kai-Shek.

 Inviare in Oriente, nelle Filippine o Singapore, una divisione di incrociatori pesanti a lungo raggio.

 Spostare le due divisioni di sottomarini in Oriente.

 Tenere la flotta principale degli Stati Uniti, attualmente nel Pacifico, nei pressi delle isole Hawaii.

 Insistere con gli olandesi affinché rifiutino di garantire al Giappone le richieste per concessioni economiche non dovute, soprattutto riguardo al petrolio.

 Dichiarare l’embargo per tutti i commerci con il Giappone, parallelamente all’embargo dell’impero Britannico.

- Il bollettino McCollum delle otto azioni è stato scoperto da Robert B. Stinnet t il 24 gennaio 1995 nella scatola n.6 di una speciale raccolta della Marina degli Stati Uniti, RG 38, Modern Military Record Branch degli Archives II. - [34]



Omissis

….

Un accenno alla regia occulta

Dietro i protagonisti ufficiali della storia che abbiamo studiato nelle c.d. “scuole” dell’obbligo, operano senza mai apparire, i membri e i programmi della vera casta di comando, i c.d. “poteri forti”. Una elite di persone che gestisce il potere da padre in figlio e che da secoli tiene letteralmente sotto controllo l’economia (e quindi anche la politica) delle nazioni. Sono i proprietari esclusivi delle banche centrali, delle assicurazioni, dei monopoli energetici, dell’industria e dei grandi canali d’informazione. I suoi rappresentanti non si riconoscono realmente in alcuna specifica nazionalità poiché si ritengono al di sopra di qualunque di essa, considerandosi a tutti gli effetti i veri signori del mondo. Ed ecco a tal proposito cosa ebbe a dichiarare già nel lontano 1733, un illustre esponente dei grandi casati finanziari che oggi possiedono letteralmente le banche centrali, il finanziere Amschel Mayer Bauer Rothschild (capostipite dell’impero Rothschild): “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo conferenze di pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre più sotto il nostro potere” [14].

Dal quel remoto 1733 però, il tempo non sembra essere passato invano e gli strumenti dei manipolatori sono stati affinati. Nella storia contemporanea sono sorte infatti vere e proprie istituzioni paragovernative che lavorano a porte chiuse per realizzare i programmi di dominio dell’alta finanza. E come intuito da Curtis Dall, una di queste moderne organizzazioni che maggiormente diresse l’operato di Roosevelt è il CFR (Council on Foreign Relations). Una sedicente organizzazione “filantropica” fondata nel 1921, con il finanziamento della famiglia Rockefeller. Alla costituzione del CFR parteciparono 650 “eletti”, “il Gotha del mondo degli affari" [15] e suoi membri di spicco furono sempre all’ombra del Presidente americano di turno. Ed è quindi proprio a costoro che si deve attribuire la vera paternità del protocollo McCollum. In qualità di ministro della guerra di Roosevelt ad esempio, agiva in “prima linea” Henry Stymson, un personaggio che “guarda caso” era anche uno dei membri fondatori del CFR. Il suo coinvolgimento nel piano di provocazione, emerge chiaramente dalle righe del suo stesso diario: “Affrontiamo la delicata questione di come realizzare una schermaglia diplomatica che faccia apparire il Giappone dalla parte del torto e gli faccia compiere, scopertamente, il primo passo falso” [16]. E sempre a tal proposito, lo scrittore George Morgenstern, ha pubblicato il libro “Pearl Harbor, The Story Of The Secret War” in cui è stato esaustivamente documentato come il Giappone venne trascinato in guerra dalla strategia d'azione dei membri del CFR.

Poiché come noto, a molte guerre corrispondono molti soldi e infinito potere per gli oscuri signori dell'alta finanza. Una volta conclusi i conflitti, saranno infatti sempre loro a decidere le condizioni di riparazione della nazione di turno che è stata messa in ginocchio. Ai popoli di entrambe le parti belligeranti invece, non resterà che l’amaro compito di leccarsi le ferite tra un camposanto e l'altro, aspettando di sapere quanto dovranno pagare per le spese di guerra (“vinta” o persa che sia). Con l’ingresso dell’America nel secondo conflitto mondiale avvenne infatti un colossale trasferimento di ricchezza dalla casse pubbliche a quelle private; Il bilancio federale USA a cavallo del decennio 1930-1939 era di “appena” 8 miliardi di dollari l’anno, nel 1945 invece, il debito per sostenere la guerra fece impennare i grafici contabili fino 303 miliardi di quota. Il costo globale del conflitto (nei soli termini economici) sostenuto dagli americani, fu ufficialmente di 321 miliardi di dollari, più del doppio di quanto il governo federale aveva “scucito” ai contribuenti nei 152 anni di storia che vanno dal 1789 al 1941 [17]. Gli eventi bellici peraltro, non rappresentano solo il grande business dei banchieri, ma sono anche un subdolo ed efficacissimo strumento di azione politica. Vengono infatti concepiti a tavolino come formidabile pretesto per instaurare a guerra finita, gli assetti politici e sociali a loro più congeniali. Si muovono a piccoli passi per realizzare il progetto secolare del “nuovo ordine mondiale”. Uno scopo che del resto trapela esaustivamente dalle stesse parole pronunciate da James Warburg (insigne esponente dei poteri forti) solo pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale:

"Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza".[18]

Tra gli altri invisibili personaggi della storia che “suggerirono” a Roosevelt gli obiettivi da raggiungere durante la sua presidenza, compare il nome eccellente di Bernard M. Baruch. Un illustre membro dell’alta finanza e del CFR che presiedette al Comitato delle industrie belliche durante la Prima guerra mondiale e che poi negoziò anche le condizioni delle riparazioni tedesche nel trattato di Versailles [19]. La sua autorevolissima voce venne sempre e perentoriamente ascoltata dai presidenti americani.

Nato in Texas nel 1870 da un agiatissimo esponente del Ku Klux Klan, l'ultra miliardario Bernard Mannes Baruch divenne il “consigliere” di ben sei presidenti USA. Dal massone [20] Woodrow Wilson (1912) al massone Eisenhower (1950), fu sempre lui ad esempio a “persuadere” il Presidente Wilson circa la necessità di coinvolgere l’America nella prima guerra mondiale. E persino la creazione di un organo governativo volto esclusivamente a sostenere lo sforzo bellico americano fu una sua idea. Nulla di strano quindi se al nuovo ente vennero conferiti ampi poteri speciali nella pianificazione della produzione industriale. Come del resto è naturale, che a capo di esso finì per essere nominato proprio lui, Bernard Baruch, il mentore del Presidente.
Una volta al comando del “War Industry Board”, tutte le commesse relative al materiale bellico e logistico passarono nelle sue mani, dagli stivali ai mezzi corazzati. Affari d’oro che non si limitarono agli approvvigionamenti americani ma che si estesero in buona misura anche agli ordinativi degli altri eserciti alleati. E come denunciò nel 1919 dalla Commissione Investigativa del Congresso (guidata dal senatore W. J. Graham) che indagò sui profitti che quell’organo rese possibili, si trattò di: “un governo segreto…sette uomini scelti dal Presidente hanno concepito l’intero sistema di acquisti militari, programmato la censura sulla stampa, creato un sistema di controllo alimentare…dietro porte chiuse, mesi prima che la guerra fosse dichiarata” [21].

In seguito, fu possibile ripetere tale collaudato “modus operandi” grazie ai “consigli” che Baruch diede al presidente F. D. Roosevelt, nella guerra contro Hitler: questa volta però l’organo pianificatore si chiamò War Production Board. A dirigerlo venne nominato Harry Hopkins, un uomo di fiducia del signor Baruch, (ibidem).

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Omissis

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In oltre tra i vantaggi derivati dalla vittoria della seconda guerra mondiale citerei anche la dipendenza economica dagli USA di tutte le nazioni europee coinvolte per la ricostruzione e la conseguente installazione di basi USA nei punti più strategici…


Riferimenti

[1] Boston, 30 Ottobre 1940. Public Papers and address of Franklin D. Roosevelt, Macmillan, New York, volume del 1940, p.517
[2] Citaz. dal libro “Casebook On alternative 3” di Jim Keith, ediz. Il saggiatore, Milano 2001 p.26
[3] R. Stinnet “Il giorno dell’inganno”, p.26
[4] citaz. “Secret Societies” p.210 – Il testo originale del cablogramma originale di Grew che il ministro degli esteri ricevette alle 6.38 di lunedì 27 gennaio 1941 –ora dell’est degli USA- in PHPT 14, pag. 1042
[5] “Il giorno dell’inganno”, p.50
[6] Cfr. Richardson, James O., On The Treadmill To Pearl Harbor, Naval History Division, Department of the Navy, Washington DC 1973, p.435
[7] Secondo l’ammiraglio Stark, F.D.R. le definì “missioni a sorpresa, cfr Simpson, B. Mitchell III, Admiral Harold R. Stark, University of South Carolina Press, 1989, p.101-2
[8] L’ammiraglio H. Kimmel il 18 febbraio 1941 scrisse a Stark affermando che l’invio degli incrociatori “era il peggior consiglio” possibile, PHPT 33-1199
[9] La prima ebbe inizio nei giorni tra il 15 e il 21 marzo 1941 e comportò l’invio delle navi americane nelle acque adiacenti a quelle giapponesi. Cfr. Il viceammiraglio John H. Newton riferì in sede d’indagine che gli ordini ricevuti erano estremamente riservati e diretti a lui a voce, PHPT 26-340. In realtà il segreto riguardò solo la stampa americana in quanto diversi rotocalchi australiani pubblicarono la notizia irritando maggiormente i giapponesi. La seconda missione condusse le navi da guerra USA nella regione del Pacifico meridionale e centrale adiacente ai territori orientali controllati dal Giappone: cfr RG 24, giornali di bordo delle navi americane Salt Lake City e Northampton, luglio e agosto 1941, Archives II.3. Il terzo passaggio riguardò lo stretto di Bungo - cfr. Serial 220230 cit. ottenuta su concessione del gennaio 1995, Archives II.
[10] “Il giorno dell’inganno”, p.38
[11] Ddal rapporto del Consolato giapponese di San Francisco, 16 settembre 1940; cfr. appendice D
[12] Citaz. A.H. M. Ramsey in The Nameless War p.75
[13] “Casebook On Alternative 3", p.25
[14] Antonella Randazzo “Dittature, la storia occulta”, p.168, ediz. Nuovo Mondo, Padova, 2007
[15] Maurizio Blondet, Complotti - I fili invisibili del mondo - I. Stati Uniti, Gran Bretagna, Il Minotauro, Milano, II ediz., 1995, pag. 98
[16] “Casebook On Alternative 3", p.25
[17] Mollenhoff Clark R., “Il Pentagono”, Gherardo casini editore, Roma 1968, pp.80-81
[18] James Warburg, banchiere, alla Commissione Esteri del Senato, 17 febbraio del 1950
[19] da “Schiavi delle banche”, M. Blondet, Effedieffe
[20] “La faccia nascosta della storia”, Piero Mantero, Edizioni segno, 1997, p.17
[21] da: “Schiavi delle banche”, ediz. Effedieffe, Maurizio Blondet, 2004
[22] “Il giorno dell’inganno”, p.39
[23] cfr. RG 38, CNO Secret Serial 081420 del 4 ottobre 1940, SRH (special research history) 355, vol. I pagg. 395-397
[24] “Il giorno dell’inganno” p.65
[25] sulla prima spedizione di Yamamoto, cfr. Wallin, capitano Trapnell, F.M., capitano Russel, J.S. E capitano di corvetta Field, J.A. A cura di “The campaignh of Pacific War”, United States Strategic Bombing Survey, Naval Analysis Division, USGPO, Washington, 1946, pag.50
[26] cifrato PHPT 4, p.1792
[27] “Il giorno dell’inganno” p.58
[28] I tredici messaggi radio mancanti di Yamamoto possono essere recuperati utilizzando il numero del messaggio SMS (Secret Message Series) dal file di intercettazione della stazione H in RG 45, MMRB, Archives II
[29] “Il giorno dell’inganno”, p.68
[30] “La verità vi renderà liberi”, D. Icke, p.139
[31] "Il giorno dell'inganno", p.33
[32] per le strutture commerciali cfr. Commandant, 11 distretto navale, serie segreta C-76 del 4 aprile 1940, RG 181, scatola 196741, National Archives, Laguna Niguel, California
[33] "Il giorno dell'inganno", p.40
[34] Le copie integrali del protocollo McCollum sono disponibili su http://en.wikipedia.org/wiki/McCollum_memo

(Fonte WEB : http://giochidipotere.wordpress.com/2009/08/20/il-caso-pearl-harbor/)

mercoledì 18 agosto 2010

“Operazione Cianuro”

Storia & cultura : Il caso della USS Liberty e il terzo livello di verità di Massimo Mazzucco.

Capita spesso, nelle questioni di portata internazionale, che esistano molteplici livelli di “verità”. C’è quella “alla luce del sole”, ovvero la verità apparente, che viene riportata dai media ed è destinata a diventare la versione ufficiale dei fatti. C’è poi quasi sempre un secondo strato, che nasconde una verità molto meno piacevole, ma anche molto più logica e più realistica. E’ un tipo di verità che di solito si arriva solo ad intuire, senza poterla dimostrare, ma è sempre molto sensata. Ci sono però anche casi in cui questa “verità nascosta” viene lasciata trapelare intenzionalmente, per dare l’illusione di aver scoperto un grande segreto, mentre in realtà si vuole coprire un terzo livello di verità, molto più imbarazzante ed inammissibile dei precedenti.
Un buon indizio per capire che siamo in presenza di questo terzo livello è la improvvisa disponibilità dei diretti interessati ad ammettere errori che normalmente non ammetterebbero nemmeno sotto tortura. Se FBI e CIA diventano improvvisamente disponibili ad ammettere che sull’11 settembre “non siamo stati in grado di connettere le informazioni”, vuol dire che questo gli serve per coprire qualcosa di molto più grave, come ad esempio un loro diretto coinvolgimento negli attentati di quel giorno. (Un indizio aggiuntivo sull’esistenza di questo terzo livello è il fatto che, mentre si cospargono il capo di cenere, queste organizzazioni si dimenticano regolarmente di punire i responsabili dei presunti errori).


Veniamo ora al caso in questione: il bombardamento, o mancato affondamento, della USS Liberty in acque internazionali, avvenuto nel Mediterraneo nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni. Si tratta di un caso già poco conosciuto in sè, che sembra nascondere a sua volta molteplici livelli di verità.
Nel mese di maggio del 1967 la tensione in Medio Oriente era arrivata a toccare livelli estremi, …
… e si era letteralmente sull’orlo di una guerra atomica a tutto campo. L’Egitto di Nasser, sostenuto apertamente dai sovietici, stava baldanzosamente trasferendo soldati e mezzi militari nella penisola del Sinai, in preparazione di un probabile attacco ad Israele. A sua volta l’esercito israeliano, appoggiato dagli americani, si preparava a contrattaccare al primo segno di ostilità.
Ai primi di giugno il capo dei servizi israeliani, Meir Amit, si recò a Washington per incontrarsi con l’allora ministro della difesa americano, Robert McNamara. Voleva sapere – racconta Amit – se gli americani avrebbero appoggiato militarmente Israele, nel caso che questi avesse attaccato l’Egitto per primo. Secondo Amit McNamara gli diede luce verde, mentre l’ex-ministro della difesa americano ha raccontato di aver negato quell’appoggio, perchè – disse – un intervento accanto ad Israele, che avrebbe probabilmente causato l’entrata in guerra dei russi, sarebbe stato giustificabile di fronte all’opinione pubblica solo se fosse stato l’Egitto ad attaccare per primo.
Sta di fatto che alcuni giorni dopo, senza alcun preavviso, l’aviazione israeliana attaccò e distrusse in poche ore quasi tutta l’aviazione militare egiziana, parcheggiata in gran parte a cielo aperto. Iniziava così la famosa “guerra lampo” di Moshe Dayan, che avrebbe portato Israele alla conquista del Sinai, di Gerusalemme e delle alture del Golan.
Due giorni dopo l’inizio delle ostilità la USS Liberty, una nave-spia americana equipaggiata per l’ascolto segreto delle radiofrequenze – sia amiche che nemiche – si trovava in acque internazionali, al largo del Sinai. Era il 7 di giugno.
Dopo che i caccia israeliani l’ebbero sorvolata più di una volta, i marinai della USS Liberty si sentirono al sicuro – dissero – sapendo che si trattava di aerei alleati. Con loro grande sorpresa invece videro, alla decima o dodicesima incursione, dei lampi rossi sotto le ali dei caccia, che avevano appena lanciato dei razzi in direzione della nave.
Questa volta però i caccia non portavano segni di alcun tipo, mentre mitragliavano e bombardavano con insistenza il ponte, distruggendo prima di tutto le apparecchiature di trasmissione radio. Subito dopo ritornarono, per coprire da prua a poppa il ponte con bombe al napalm, nel chiaro intento di impedire a chiunque di tornare in coperta per riparare le antenne trasmittenti.
Talmente rapido e sorprendente era stato l’attacco, infatti, che la USS Liberty non aveva fatto nemmeno in tempo a lanciare l’S.O.S. Priva di scorta militare, galleggiava ora come un bersaglio immobile, isolata dal mondo, alla completa mercè dei caccia che la mitragliavano e bombardavano impietosamente. La nave americana più vicina era la portaerei USS America, che si trovava in quel momento con la VI Flotta a circa 500 miglia di distanza, nelle vicinanze di Cipro.
Mentre i marinai della Liberty cercavano di capire chi e perchè li stesse attaccando, alcuni di loro avevano coraggiosamente sfidato le mitragliatrici e il napalm, ed erano riusciti a riparare una delle antenne trasmittenti, permettendo così al marconista di lanciare finalmente l’ S.O.S, che fu raccolto dalla VI Flotta.
Nel frattempo erano morti 8 marinai, e 75 erano rimasti feriti. Ma il peggio doveva ancora iniziare: dopo un breve periodo di calma apparente, fu diffuso via altoparlante l’annuncio che cinque siluri erano stati lanciati contro la nave da alcune motovedette in avvicinamento.
Tutti quelli che si trovavano ai livelli più bassi della nave si prepararono a morire. I primi quattro siluri passarono senza colpire la Liberty, ma il quinto penetrò la fiancata proprio al livello di galleggiamento, uccidendo sul colpo 26 marinai che si trovavano nelle vicinanze. Con uno squarcio di circa 12 metri, la nave iniziò a imbarcare molta acqua, e prese in pochi minuti oltre dieci gradi di inclinazione.
I marinai sani trascinarono sul ponte i feriti, preparandosi ad abbandonare la nave per salire sulle scialuppe di salvataggio, ma si accorsero che non appena le mettevano in acqua queste venivano mitragliate e rese inservibili dalle motovedette.
Era chiaro che l’intento fosse quello di affondare la nave e di non lasciare nessun superstite.

Nel frattempo il mondo, ignaro, stava andando incontro alla guerra atomica: appena ricevuto notizia dell’attacco alla Liberty, il Comandante della VI Flotta, William Martin, aveva lanciato verso il Cairo 4 caccia in “Condition November”, che significa armati di bombe atomiche. Pensando che la Liberty fosse stata attaccata dagli egiziani, Martin aveva attuato la procedura automatica di risposta, mentre attendeva da Washington la conferma dell’ordine di distruggere la capitale egiziana.
Il console americano al Cairo veniva informato che la città stava per essere polverizzata, ma da Washington giungeva invece l’ordine di McNamara di richiamare immediatamente i caccia. Incredulo, il Comandante della VI Flotta li faceva rientrare, ma ne rilanciava subito il doppio, in normale assetto da bombardamento.
Nuovamente interveniva McNamara, ordinandogli di richiamare anche quelli. Ma William Martin non ne voleva sapere: una sua nave era stata attaccata, e ora lui aveva il diritto di distruggere il mondo. Dovette venire al telefono Johnson in persona, per ordinargli di far rientrare anche i normali bombardieri.
Nonostante i danni subiti, la USS Liberty riuscì a rimanere a galla. Fu raggiunta il mattino dopo dalle navi della VI Flotta e fu trainata fino a Malta, dove fu rimessa in sesto e rimandata a casa.
Una volta sbarcati negli Stati Uniti, i superstiti della USS Liberty pensavano di raccontare al mondo intero la loro incredibile avventura. Ricevettoro invece l’ordine tassativo di non parlare mai con nessuno di quello che era successo a bordo, nemmeno con le loro mogli. Il pesante velo di silenzio che ha coperto il bombardamento della Liberty dura ufficialmente ancora oggi.
Ma volta lasciato l’esercito, gli ex-marinai della Liberty hanno cominciato a parlare. Uno di loro ha anche scritto un libro, che pur non trovando nessun editore importante, circola ora liberamente in Internet. Nel frattempo sono stati anche prodotti alcuni documentari sull’episodio, che raccolgono le testimonianze di molti dei superstiti. Fra questi il più completo è sicuramente il documentario della BBC intitolato “Dead in the Water”.
Da tutto questo materiale si desume con certezza quanto segue:
- I caccia che hanno attaccato la Liberty erano israeliani (non solo avevano l’ala a delta, come i Mirage francesi in dotazione di Israele, ma a quel punto della guerra l’Egitto non aveva più assolutamente nulla che fosse in grado di volare).
- I piloti israeliani sapevano bene che la nave che bombardavano fosse americana. Una stazione di ascolto volante registrò diverse conversazioni, fra i piloti israeliani ed il comando a terra, da cui questo si evince con chiarezza.
- Anche le motovedette che prima lanciarono i siluri e poi mitragliarono le scialuppe messe in acqua erano israeliane.
Messi di fronte al questa serie di fatti accertati Israele ha finito per riconoscere, anche se non ufficialmente, che si trattò di un errore.
Gli americani, sempre in via non ufficiale, sostengono a loro volta di non aver denunciato pubblicamente l’attacco “per non mettere in imbarazzo i loro alleati”.
Nel corso degli anni Israele ha pagato quasi 7 milioni di dollari di ricompensa ai familiari delle vittime, riconoscendo così, almeno implicitamente, la propria colpevolezza.
La maggior parte delle persone ha quindi dedotto che la Liberty stesse spiando le radiocomunicazioni israeliane, e che Israele “li abbia puniti” bombardandogli la nave. E’ chiaro infatti che i primi non riconoscerebbero mai ufficialmente di aver spiato un alleato, mentre il secondo non riconoscerebbe mai ufficialmente di averli puniti in modo così severo per averlo fatto.
Da qui la necessità di fingere un banale “errore” da un lato, e di non volerli imbarazzare per quell’errore dall’altro.
La facilità con cui americani e israeliani sono parsi disposti ad avallare la tesi dell’errore sembra però nascondere il famoso “terzo strato” di cui parlavamo all’inizio.
Quale sarebbe, in questo caso, la “verità vera”, quella indicibile, impensabile ed impronunciabile di fronte a chiunque?
Si chiama “Operation Cyanide”, cioè Operazione Cianuro, un nome che è già tutto un programma.
Secondo Peter Hounam, autore dell’omonimo libro, e secondo gli stessi autori del documentario della BBC, l’ “Operazione Cianuro” prevedeva l’affondamento della Liberty, da attribuire naturalmente agli egiziani, per offrire una scusa agli Stati Uniti di entrare in guerra accanto ad Israele.
Per chi conosce certe abitudini degli americani, che da oltre 100 anni riescono solo a farsi affondare navi per entrare nelle varie guerre a cui hanno partecipato, questa risulta addirittura una ovvietà che non necessita di ulteriori dimostrazioni: il solito “giorno dell’infamia” da denunciare al mondo, la solita “indignazione nazionale”, portata dai media al giusto punto di cottura, ed il Congresso americano è pronto a firmare per il presidente l’autorizzazione all’ “uso della forza”, che gli serve per difendere i propri connazionali.
In fondo, erano passati solo tre anni dal “mancato affondamento” della USS Maddox nel Golfo del Tonchino, proprio da parte di alcune motovedette nordvietnamite, in seguito al quale gli Stati Uniti si erano trovati a "dover entrare in guerra" contro il Viet-Nam del Nord.
Si sarebbe quindi trattato di un facile remake del Tonchino, che questa volta però finì male: una volta accortisi che la Liberty non era affondata, e che quindi i suoi marinai avrebbero potuto raccontare chi e come li avesse attaccati, Tel Aviv avrebbe ripiegato sulla versione del semplice errore, e Washington l’avrebbe prontamente accettata.
Curiosamente, gli israeliani si sono completamente dimenticati di punire anche un solo responsabile per la “clamorosa serie di errori” che portò, secondo loro, al bombardamento della USS Liberty. Come da manuale.
Resta da chiarire a questo punto chi e quali livelli, fra le alte gerarchie dei due paesi, fossero al corrente fin dall’inizio dell’Operazione Cianuro, e chi invece fosse destinato a restarne vittima, venendone semplicemente usato. L’ipotesi più diffusa è che si sia trattato di una operazione concepita dagli israeliani – erano loro ad avere il maggiore interesse nel coinvolgere gli americani nella guerra – di cui erano al corrente solo alcuni personaggi isolati della CIA e del Pentagono.
Insomma, saremmo di fronte al solito intreccio trasversale fra sionisti sfegatati e guerrafondai incurabili, che abbiamo visto nuovamente in azione – con risultati questa volta molto più clamorosi – anche nel nuovo millennio.


(fonte WEB: http://www.nexusedizioni.it/apri/Argomenti/Storia-e-cultura/Il-caso-della-USS-Liberty-e-il-terzo-livello-di-verita---di-Massimo-Mazzucco/)

11 Settembre ... la storia che si ripete ...

Come si è visto la versione ufficiale del tragico attacco al World Trade Center presenta numerose lacune ... quindi visto tutti gli eventi che ha generato (massicci investimenti nella Difesa USA, occupazione di territori strategici etc...) è lecito avere qualche dubbio su chi ci abbia effettivamente guadagnato da un evento così eclatante e tragico...
La ricerca di motivazioni per muovere guerra non è comunque una novità dei nostri giorni ...
Ad esempio nel 1859 con gli Accordi di Plombières, la Francia si impegnava ad intervenire a fianco del Regno di Sardegna nell'eventualità di attacco austriaco citando testualmente Napoleone III «... Sono risoluto a sostenere la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l’Austria, a patto che la guerra avvenisse per una causa non rivoluzionaria e potesse trovare giustificazione dinanzi alla diplomazia e più ancora all’opinione pubblica di Francia e d’Europa».
Così il governo piemontese adottò da subito un comportamento smaccatamente provocatorio nei confronti dell'Impero Austriaco, operando una politica di forte riarmo e, quindi, contravvenendo agli impegni assunti il trattato di pace del 6 agosto 1849.
Il 26 aprile l'Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna: così la Francia, non senza resistenze interne, intervenne onorando l'accordo.

Nella Storia + recente invece si sono verificati episodi più somiglianti all' 11 Settembre sia per i soggetti coinvolti che per le modalità ...

mercoledì 11 agosto 2010

INGANNO GLOBALE

11 SETTEMBRE 2001

IMMAGINI ELOQUENTI
CHE MOSTRANO LA FALSITA' DELLA VERSIONE UFFICIALE DEI FATTI



"... la verità si dice, mille Michael Moore, ma in questa matrice scelgono tutti le pillole blu ... " (J AX)

Questo video si commenta da solo ...


venerdì 6 agosto 2010

“A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca.” (Giulio Andreotti)

La storia è costellata di episodi di disinformazione per i più  svariati
fini geopolitici ed economici. Ieri come oggi si è utilizzata la
disinformazione per rovesciare governi, far crollare borse, occupare territori
ricchi e strategici etc…

Per disinformazione intendo anche non dare il giusto peso ad eventi di
grande rilevanza o viceversa dare un’importanza spropositata ad eventi
marginali, il tutto sempre con la complicità (più o meno consapevole) dei
mass-media.

Con questo blog non voglio di certo imporre le mie convinzioni, ma è mia
intenzione condividere informazioni su eventi cruciali del passato e del
presente, di portata nazionale ed internazionale, informazioni troppo spesso trascurate
o taciute . Spero che questo blog possa essere un punto di partenza che
“incuriosisca” e insinui dubbi in chi legge.

Le informazioni quando possibile saranno accompagnate dalle fonti  da cui
sono attinte, questo non darà la certezza della veridicità, ma di certo rappresenterà
un punto di  partenza (più o meno autorevole a seconda della fonte) sulla
strada della Verità, perché troppo spesso quella che ci viene propinata per
“verità” è soltanto una bugia che non è ancora stata svelata…

Concludo questo post introduttivo con una citazione di un film che credo
si addica molto a questa pagina e vuole essere un invito per  chi legge:

“Non chiederti se sei paranoico, chiediti se lo sei abbastanza”.