Pagine

sabato 29 settembre 2012

Il Dollaro non è più moneta primaria

Il Dollaro non è più moneta primaria primaria per gli scambi di petrolio, la Cina comincia a commerciare il petrolio usando Yuan.
 
" ... Il mondo è cambiato la settimana scorsa e neppure una parola è stata detta da Wall Street o dai politici che si dilettavano nella loro magnificenza mentre questo evento ha avuto luogo nel corso dei convegni di partito. Un duro colpo è stato inflitto il 6 settembre all’impero americano e al potere del dollaro come valuta di riserva mondiale. E la Cina, insieme alla Russia puntano ora a diventare i controllori dell’energia e, quindi, titolari di una nuova petrol-valuta."


Notizia bomba che segna un duro colpo per la Federal Reserve e apre il campo a nuove sorprese nel mondo della finanza internazionale; vedremo come andrà a finire ma le premesse fanno presagire qualcosa di veramente grosso.
 
L’11 settembre, il pastore Lindsey Williams, ex ministro per le compagnie petrolifere globali durante la costruzione del gasdotto in Alaska, ha annunciato l’evento più significativo riguardo al dollaro fin dalla sua nascita come moneta. Per la prima volta dal 1970, quando Henry Kissinger ha forgiato un accordo commerciale con la casa reale dei Saud per vendere il petrolio utilizzando solo dollari, la Cina ha annunciato la sua intenzione di bypassare il dollaro per la compravendita mondiale di petrolio e ha iniziato a vendere la merce usando la loro propria moneta.
Lindsey Williams: “L’avvenimento più importante nella storia del dollaro americano, fin dalla sua nascita, ha avuto luogo Giovedi 6 settembre. In quel giorno, qualcosa è successo che influenzerà la vostra vita, la vostra famiglia, il vostro tavolo da pranzo più di quanto possiate immaginare. “
“Giovedi’ 6 Settembre … solo pochi giorni fa, la Cina ha dato l’annuncio ufficiale. Quel giorno la Cina ha detto: il nostro sistema bancario è pronto, tutti i nostri sistemi di comunicazione sono a vostra disposizione, tutti i sistemi di trasferimento sono pronti per partire e da Giovedi 6 settembre ogni nazione del mondo che, d’ora in poi, vorrà comprare o vendere greggio lo potrà fare utilizzando la valuta cinese e non il dollaro americano. – Intervista radiofonica a Natty Bumpo dell’11 settembre

L’annuncio da parte della Cina è uno dei cambiamenti più significativi nel sistema economico e monetario globale, ma è stato appena riportato tra gli annunci durante la convention democratica della scorsa settimana. Le conseguenze di questa nuova azione possono essere enormi e potrebbe benissimo essere il catalizzatore che porterà giù il dollaro come valuta di riserva globale e cambierà l’intero scenario di come il mondo acquisti energia.
 
Ironia della sorte, dal 6 settembre, il dollaro USA è sceso da 81,467 all’indice di prezzo di oggi, a 79,73. Mentre gli analisti si concentravano su azioni che si svolgevano nella zona euro e sugli attesi segnali di andamento della Federal Reserve, giovedì non a caso il dollaro ha cominciato a perdere forza, il giorno stesso dell’annuncio da parte della Cina.
 
Dal momento che la Cina non è una nazione produttrice di petrolio, la questione che la maggior parte delle persone chiederà è: come potrà la potenza economica asiatica ottenere olio sufficiente per influenzare l’egemonia del dollaro? Tale questione è stata anche analizzata da Lindsey Williams quando ha sottolineato che un nuovo accordo commerciale è stato firmato il 7 settembre tra la Cina e la Russia, in cui la Federazione russa ha accettato di vendere petrolio alla Cina in grandi quantità: quanto ne desiderano.
 
Lindsey Williams: “Questo non è mai successo nella storia del greggio. Dal momento che il greggio è diventato la forza motivante dietro la nostra intera economia (statunitense) e tutto nella nostra vita ruota intorno al petrolio greggio. Dal momento che il greggio è diventato il fattore motivante della nostra economia … mai e poi mai il petrolio greggio stato venduto, comprato, scambiato, in qualsiasi paese del mondo, senza usare il dollaro americano “.
 
“Il petrolio greggio è la valuta standard del mondo. Non lo yen, non la sterlina, non il dollaro. Viene scambiato più denaro in tutto il mondo con petrolio greggio che con qualsiasi altro prodotto. “
“Venerdì, 7 settembre la Russia ha annunciato che, a partire da oggi, fornirà alla Cina tutto il petrolio greggio di cui essa ha bisogno, non importa quanto ne vogliono … non ci sono limiti. La Russia non venderà il greggio alla Cina usando il dollaro americano.”
 
Intervista a Natty Bumpo alla radio Just Measueres Radio Network dell’11 settembre:
Con queste azioni combinate due avversari tra i più potenti dell’economia degli Stati Uniti si sono ora uniti per fare una mossa per attaccare la roccaforte economico primaria che mantiene l’America sul podio come superpotenza economica. Una volta che la maggior parte del mondo comincerà a bypassare il dollaro e acquisterà il petrolio in altre valute, allora tutto il peso del nostro debito e la diminuita struttura produttiva crollerà sulle teste del popolo americano.
 
Questo nuovo accordo tra la Russia e la Cina ha anche ramificazioni gravi per quanto riguarda l’Iran e il resto del Medio Oriente. Le sanzioni degli Stati Uniti contro l’Iran non avranno più un effetto misurabile perché le “nazioni canaglia” potranno semplicemente scegliere di vendere il proprio petrolio alla Cina e ricevere yuan in cambio e usare quella valuta per commercializzare le risorse necessarie di cui hanno bisogno per sostenere la loro economia e i loro programmi nucleari.
 
Il mondo è cambiato la settimana scorsa e neppure una parola è stata detta da Wall Street o dai politici che si dilettavano nella loro magnificenza mentre questo evento ha avuto luogo nel corso dei convegni di partito. Un duro colpo è stato inflitto il 6 settembre all’impero americano e al potere del dollaro come valuta di riserva mondiale. E la Cina, insieme alla Russia puntano ora a diventare i controllori dell’energia e, quindi, titolari di una nuova petrol-valuta.
 

lunedì 24 settembre 2012

La guerra quasi segreta dei droni


Giovedì scorso tre giudici federali degli Stati Uniti hanno chiesto al governo alcuni documenti sul programma dei droni, robot volanti che da circa otto anni la CIA invia in giro per il mondo ad uccidere persone. Quando si è sentito rispondere che il programma non esiste, uno dei giudici ha dichiarato che stando al governo il re non è nudo neanche quando è il re stesso a dire di essere nudo.

La battuta del giudice si spiega con il fatto che nei media il governo parla abbondantemente del programma dei droni, ma in tribunale nega la sua esistenza.

Nonostante l'insistenza dei giudici, persino quando sono stati citati numerosi esempi di discorsi pubblici in cui si parla apertamente dell'assegnazione del programma droni alla CIA, gli avvocati del governo hanno continuato a sostenere che ufficialmente alla CIA non è stato assegnato nulla del genere.

Le ragioni dell'incongruenza sono molteplici. Un primo motivo è che si vuole mantenere il segreto su alcune informazioni, del resto si tratta di una guerra non convenzionale assegnata alla CIA apposta per non rendere conto a nessuno, nemmeno al parlamento, sebbene per molti questo sia anticostituzionale. Una seconda ragione pare essere nella causa legale intentata contro il presidente Obama e Leon Panetta (segretario alla difesa) da alcuni parenti delle vittime, con il supporto della ACLU, un'associazione per i diritti umani. La richiesta della ACLU di accedere ai documenti parte da vari attacchi con droni nello Yemen - paese alleato non in guerra - che hanno portato alla morte di tre cittadini americani accusati (ma mai processati) di terrorismo e di 22 bambini.

Stando ai dati raccolti dalla ACLU mettendo insieme varie inchieste giornalistiche, solo in Pakistan – altro paese alleato - la guerra dei droni avrebbe fatto più di 3mila morti accertati, di cui 474 erano civili e 176 bambini. Dato che non esistono dati ufficiali sulle vittime, le stime si basano soprattutto sulle informazioni raccolte da giornalisti inviati sul posto.

La ragione delle numerose vittime tra i civili è legata almeno in parte alle modalità tattiche che puntano a colpire i funerali, i matrimoni e, dopo il primo colpo, i soccorritori, nei casi cioè in cui è più facile che gli obiettivi escano allo scoperto.

Uno dei casi accertati è quello del tentato omicidio di Baitullah Mehsud, uno dei capi talebani in Pakistan, citato nel libro The Triple Agent di Joby Warrick, corrispondente del Washington Post. Si attese che l'obiettivo partecipasse al funerale di un amico, al quale parteciparono circa 5mila persone. Il drone uccise 83 persone, compresi 45 civili, 10 bambini e 4 capi tribali, ma l'obiettivo dichiarato dell'attacco, Baitullah Mehsud, ne uscì illeso.

Il premio nobel per la pace Barak Obama, intervistato sull'argomento, ha risposto che la campagna dei droni è focalizzata su obiettivi mirati e che has not caused a huge number of civilian casualties ovvero non avrebbe causato un alto numero di vittime civili. I pakistani però non sono tanto d'accordo e le proteste si stanno facendo sempre più vivaci, tanto che alcuni analisti iniziano a preoccuparsi dei rischi relativi ai crescenti sentimenti anti-americani, in un paese che possiede 200 bombe atomiche.

Dal punto di vista legale, comunque, iniziano ad emergere alcuni problemi. Secondo Naz Modirzadeh dell'Univeristà di Harvard, uccidere in assenza di un conflitto armato equivale a un omicidio, quindi tutte le uccisioni effettuate con i droni in Pakistan, Yemen e Somalia sarebbero illegali e da perseguire come omicidi in territorio extra-giurisdizionale. In aggiunta, anche la pratica di sparare sui soccorritori è considerata illegale, perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

Secondo l'amministrazione americana, invece, la guerra dei droni sarebbe legale. John Brennan, consigliere a capo dell'anti-terrorismo, ha pubblicamente dichiarato che gli Stati Uniti hanno il diritto di attaccare unilateralmente i terroristi in qualunque parte del mondo, non solo nei campi di battaglia. Questa posizione, tuttavia, inizia a suscitare qualche perplessità, per il fatto che anche Russia e Cina hanno i droni, per cui c'è il rischio che il mondo diventi un grande terreno di caccia all'uomo, in una guerra mondiale più o meno segreta e senza regole.

di Davide Zaccaria

Fonte: http://www.testelibere.it/article/la-guerra-quasi-segreta-dei-droni

venerdì 21 settembre 2012

Guerra e debito, pilastri della politica di Washington

Da decenni l’economia degli Stati Uniti è di gran lunga la più indebitata del mondo. Nel settembre 2012 è stata superata la soglia dei 16.000 miliardi di debito federale, cifra superiore all’intero Prodotto Interno Lordo statunitense, mentre il saldo della bilancia dei pagamenti è regolarmente in negativo fin dagli anni ‘90. Nonostante la pesantissima posizione debitoria e malgrado la produzione nazionale sia nettamente inferiore rispetto alle importazioni, gli Stati Uniti riescono a far fronte alla più che allarmante situazione grazie al flusso costante di investimenti – sotto forma di acquisto di titoli di Stato, obbligazioni erogate da enti pubblici e aziende private, ecc. – provenienti dal resto del mondo. E’ questo afflusso di capitali stranieri a ciclo continuo a sorreggere l’altrimenti disastrosa economia statunitense che, grazie al ruolo centrale di cui è titolare il dollaro, riesce a mantenersi a galla alimentando la domanda internazionale della moneta americana sui mercati valutari e mantenendo contemporaneamente elevata la quotazione della divisa statunitense.
 
Tale posizione di privilegio di cui gode l’economia statunitense grazie alla funzione dominante del dollaro contribuisce in maniera fondamentale a limitare gli squilibri provocati dalla soverchiante tendenza al ribasso determinata dal fatto che gli Stati Uniti, per pagare le importazioni, iniettano sui mercati internazionali una quantità di massa valutaria nettamente superiore rispetto a quella richiesta dagli altri paesi interessati ad importare merci e servizi statunitensi.
La capacità di attrarre gli investimenti di cui sono dotati gli Stati Uniti non è dettata soltanto dalla prospettiva dei lauti profitti su cui si sorregge il sistema produttivo americano, ma è determinata soprattutto dal fatto che Washington è in grado di tutelare gli interessi del capitale proiettando la propria potenza militare su scala globale. Per questa ragione l’economia statunitense – di cui il complesso militar-industriale rappresenta l’architrave – è strettamente dipendente dalla guerra, di cui Washington può servirsi non solo per frenare l’ascesa delle varie potenze regionali che minacciano di intaccare lo strapotere nordamericano, ma anche per assumere il controllo diretto delle fondamentali aree geostrategiche del pianeta. Ogni qualvolta si presenti una potenza dotata della forza sufficiente ad insidiare il primato statunitense, Washington potrà sempre far affidamento sull’incommensurabile vantaggio militare di cui dispone allo scopo di puntellare la propria supremazia e riaffermare la credibilità degli Stati Uniti, in modo da incrementare l’afflusso di capitali destinati a finanziare il gigantesco deficit statunitense, anche se tale pratica è suscettibile di innescare un pericolosissimo ed inarrestabile avvitamento. «Il progressivo passaggio dell’America – scrive l’economista Joseph Halevi – a una posizione debitoria ha ridotto la credibilità internazionale del paese e spinge a un crescente ricorso all’esercizio dell’impero formale. Questo processo è circolare: tanto più si fa ricorso all’impero formale, tanto più cresce la spesa militare, tanto più peggiora la posizione netta sull’estero, tanto più crolla la credibilità internazionale»(1).

Il declino strategico degli Stati Uniti ha tuttavia restretto il ventaglio delle possibilità a disposizione di Washington, che non ha esitato a far ricorso a questa particolare arma soprattutto nei periodi di crisi, come quella che ha investito gli Stati Uniti verso la fine degli anni ’90. All’epoca, la conversione all’economia di mercato dei paesi ex sovietici assicurò una ripresa dei profitti alle imprese europee e statunitensi, che ebbero modo sia di conquistare nuovi mercati sia di delocalizzare la produzione sfruttando la massiccia offerta di manodopera a basso costo presente all’interno delle nuove repubbliche indipendenti. Ciononostante gli investimenti nei settori industriali e i tassi occupazionali proseguirono nel loro costante declino riflettendo la tendenza, da parte del capitale, all’accantonamento dei settori tradizionali in favore della speculazione nell’ambito del processo di finanziarizzazione generale – determinata dall’incapacità di suddetti settori tradizionali a valorizzare sufficientemente il capitale investito. Successivamente, la deflagrazione della bolla finanziaria che inchiodò il Giappone a un lungo periodo di stagnazione (che perdura ancora oggi), la crisi delle “tigri asiatiche” (Thailandia, Malesia, Singapore, Filippine, Indonesia, Corea del Sud) e il dissesto russo causato dalla shock therapy prescritta dall’economista Jeffrey Sachs e somministrata dal presidente Boris El’cin provocarono un colossale afflusso di capitali a Wall Street, alimentando una gigantesca bolla speculativa legata ai titoli tecnologici. Nel 1999, l’indice Nasdaq registrò un aumento superiore all’85% per poi crollare fragorosamente nel marzo 2000, trascinando gran parte dei titoli tecnologici e producendo forti ripercussioni sul sistema produttivo statunitense. A circa un anno dall’esplosione della bolla della New Economy gli Stati Uniti entrarono ufficialmente in recessione, registrando il peggior andamento della produzione industriale dal 1960. I profitti delle 500 imprese dell’indice Standard & Poor’s segnarono invece un calo medio superiore al 50%, mentre i licenziamenti, soprattutto nei settori tecnologicamente avanzati, sfiorarono quota 800.000. Ciò produsse una rilevante flessione dei flussi di investimenti in entrata negli Stati Uniti, che passarono dal 35% al 28%, mentre quelli nell’Unione Europea salirono dal 56% al 61,5%. Emersero, in altre parole, dubbi relativi alla solidità degli Stati Uniti che determinarono un calo degli investimenti internazionali nell’economia nordamericana, provocando una diminuzione della capacità statunitense di finanziare il proprio disavanzo attraverso i capitali esteri. La contrazione del flusso di investimenti segnalava un pericoloso calo della competitività economica degli Stati Uniti nei confronti dei propri concorrenti, europei soprattutto.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 irruppero clamorosamente nella situazione, fornendo all’amministrazione guidata dal presidente George W. Bush il pretesto perfetto per varare un piano a lunghissimo termine teso a rilanciare l’economia statunitense, modellato in base alle indicazioni contenute in un documento di analisi pubblicato la mattina dell’11 settembre 2001 dalla Morgan Stanley sul proprio sito, in cui si legge che: «Che cosa può ridurre drasticamente il deficit delle partite correnti americane, e per questa via eliminare i rischi più significativi per l’economia degli Stati Uniti e per il dollaro? La risposta è un atto di guerra. L’ultima volta in cui gli USA hanno registrato un surplus delle partite correnti è stato nel 1991, quando il concorso dei paesi esteri ai costi sostenuti dall’America per la Guerra del Golfo ha contribuito a generare un avanzo di 3,7 milioni di dollari»(2). La Guerra del Golfo fu effettivamente condotta con grande dispiegamento di mezzi proprio allo scopo di porre fine al fenomeno recessivo manifestatosi nei mesi precedenti – che si concluse il mese successivo rispetto al termine del conflitto – e, come sottolinea la Morgan Stanley all’interno del documento, non a caso il 1991 fu l’ultimo anno in cui gli Stati Uniti poterono registrare un avanzo delle partite correnti, dopodiché l’indebitamento del paese verso il resto del mondo è andato costantemente irrobustendosi, facendo vacillare la posizione di privilegio occupata dal dollaro. Lo stesso New Deal varato dal presidente Franklin Delano Roosevelt diede i suoi frutti soltanto grazie all’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale. Malgrado l’implementazione di questo piano abbia provocato un aumento della spesa pubblica dai 10 miliardi di dollari del 1929 agli oltre 17 nel 1939, il Prodotto Interno Lordo degli Stati Uniti crollò ugualmente da 104 a 91 miliardi di dollari, con un parallelo incremento del tasso di disoccupazione dal 3 al 17%. Furono l’invasione della Polonia da parte della Wehrmacht e la successiva penetrazione delle truppe tedesche in territorio francese in seguito all’aggiramento della linea Maginot a ridisegnare completamente lo scenario. Con la vendita di armi a Gran Bretagna e Francia e con la successiva entrata nel conflitto, gli Stati Uniti ebbero modo di conseguire il molteplice risultato di stimolare la ripresa industriale (che aumentò del 50%), di incrementare il Prodotto Interno Lordo (che raddoppiò), di imprimere una forte spinta occupazionale al sistema economico (il tasso di disoccupazione crollò nell’arco di pochi mesi) e di acquisire una fortissima capacità d’influenza sulla politica europea. In altre parole, «Si può – scrisse l’economista Marcello De Cecco alla vigilia dell’aggressione statunitense all’Afghanistan –, e certamente sarà fatto, dar lavoro all’industria della difesa e spazio con grandi commesse statali, ma si tratta di un settore specializzato, che solo in parte coinvolge anche i produttori di beni civili, come le automobili. Se si trattasse di una grande mobilitazione bellica, tutti i settori industriali sarebbero coinvolti, e la General Motors produrrebbe navi, come ha fatto nella seconda guerra mondiale, o grandi missili, come durante la guerra fredda. Ma non stiamo parlando di questo tipo di mobilitazione, per fortuna dal punto di vista politico, ma sfortunatamente da quello economico»(3). Letta sotto quest’ottica la “guerra al terrorismo” dichiarata da George W. Bush e portata avanti da Barack Obama assume quindi un significato molto preciso, che porta l’economista Vladimiro Giacché a scrive che «A una mobilitazione bellica totale quale quella della Seconda Guerra Mondiale, estesa nello spazio ma limitata nel tempo, si sostituisce una guerra permanente, infinita nel tempo ma limitata nello spazio – limitata, cioè, agli obiettivi di volta in volta prescelti (l’Afghanistan, poi l’Iraq, poi la Siria, poi l’Iran…)»(4).

Ma il tentativo di procrastinare l’inevitabile tramonto della parassitaria egemonia statunitense – garantita (soprattutto) dalla potenza militare nordamericana e da un’economia internazionale incardinata sul dollaro – attraverso lo scatenamento della “guerra al terrorismo” è apparso quanto mai fallimentare. «Per mantenere il nostro strandard di vita – sostiene l’economista James Kenneth Galbraith – siamo divenuti dipendenti dalla disponibilità del resto del mondo ad accettare pagamenti in dollari in cambio di beni e servizi reali: il frutto del duro lavoro di gente assai più povera di noi in cambio di banconote che non necessitano di alcuno sforzo per essere fabbricate. Per decenni, il mondo occidentale ha tollerato questo “esorbitante privilegio” di un’economia imperniata sul dollaro come riserva mondiale perché gli Stati Uniti costituivano un baluardo capace di garantire la sicurezza dai rischi rappresentati dal comunismo e dalla rivolta sociale (…). Queste condizioni sono svanite (…) e la “guerra al terrorismo” non rappresenta un degno sostituto. Ciò che un tempo era considerato da molti come un baratto accettato a malincuore con la nazione egemone viene ora interpretato come il finanziamento ininterrotto ad uno Stato predatore»(5).

Gli Stati Uniti appaiono sempre più come uno Stato predatore anche a causa del deterioramento delle condizioni di vita dei cittadini nordamericani, a fronte del massiccio arricchimento dei colossi privati operanti nel settore della difesa. La perdita della centralità del settore industriale a favore del comparto finanziario nell’ambito dell’economia statunitense, la privatizzazione totale della difesa promossa da Washington e il vastissimo processo di delocalizzazione della produzione attuato dalle multinazionali statunitensi nel contesto della globalizzazione hanno infatti compromesso la classica spinta occupazionale connessa alla guerra.

Con lo scatenamento della “guerra infinita”, Lockheed Martin, Raytheon, Boeing, Northrop Grumman e General Dynamics (i cinque principali colossi militari) hanno registrato nel 2010 un fatturato complessivo pari a ben 386 miliardi di dollari, a fronte dei 217 miliardi del 2001 (con profitti che sono passati dai 6,7 miliardi di allora ai circa 25 del 2010), mentre i bilanci della difesa statunitense sono passati dai 316 miliardi annui del 2001 ai 708 del 2011. La spesa militare nel corso dell’amministrazione Bush è raddoppiata mentre durante quella di Barack Obama è aumentata dai 621 miliardi di dollari del 2008 agli oltre 711 del 2011. Al netto dell’inflazione (al valore costante del dollaro 2010), è cresciuta dell’80% dal 2001 al 2011. Il Pentagono usufruisce di un budget pressoché illimitato, che consente a Washington di assegnare ricche commesse alle grandi compagnie della difesa. Le operazioni militari collegate all’11 settembre 2001 hanno assorbito quasi 1.500 miliardi di dollari da sommare ai bilanci ordinari che hanno toccato quota 4.000 miliardi di dollari.
Tutto ciò ha naturalmente prodotto devastanti ripercussioni all’interno degli stessi Stati Uniti. Il Dipartimento dell’Agricoltura rivela che oltre 50 milioni di cittadini statunitensi – tra cui 17 milioni di bambini – vivono in condizioni di «Insicurezza alimentare»(6) a causa di mancanza di denaro o di altre risorse. Sotto l’amministrazione di George W. Bush (2001-2008), i cittadini statunitensi impossibilitati a sfamarsi adeguatamente e costretti a ricorrere ai food stamps (buoni cibo) e alle organizzazioni caritatevoli per sfuggire all’indigenza sono saliti da 33 a 49 milioni. Durante l’amministrazione Obama è stato sforato il tetto dei 50 milioni, equivalente al 16,4% della popolazione, rispetto al 12,2% del 2001. Di questi 49 milioni di cittadini, circa 17 vivono in condizioni di «Bassissima sicurezza alimentare»(7).

Nel lontano 1961 il presidente Dwight Eisenhower, conscio dei rischi che la nazione avrebbe corso assecondando gli interessi dell’apparato militare, pronunciò un celeberrimo discorso di addio in cui denunciava i pericoli connessi all’ascesa dalla lobby militare ed esortava il popolo americano a «Vigilare contro l’acquisizione di ingiustificata influenza, voluta o non richiesta, del complesso militar-industriale»(8). Ciò che Eisenhower si astenne dal rilevare fu tuttavia che il comparto militar-industriale costituisce il cuore pulsante dell’economia statunitense che, pur arricchendosi attraverso l’emanazione della “guerra infinita”, rappresenta la più solida garanzia della supremazia geopolitica statunitense. «Guerra e globalizzazione – osserva Michel Chossudovsky – avanzano di pari passo, e alle loro spalle troviamo schierati i poteri dell’establishment di Wall Street, i giganti petroliferi e i contrattisti anglo-americani della difesa. In sostanza, lo scopo della “nuova guerra americana” è estendere le frontiere del sistema del mercato globale, trasformare nazioni sovrane in territori aperti (o in “aree di libero scambio”), sia con mezzi militari sia con l’imposizione delle micidiali riforme del “libero mercato”»(9).


Note:
1. Cit. in Luciano Vasapollo, Il piano inclinato del capitale, Jaca Book , Milano 2003.
2. “Borsa & Finanza”, 15 settembre 2001.
3. “La Repubblica”, 5 ottobre 2001.
4. Alberto Burgio, Manlio Dinucci, Vladimiro Giacché, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive/Approdi, Roma 2005.
5. James K. Galbraith, Apocalypse not yet, www.tompaine.com/print/apocalypse-not-yet.php.
6. “Il Manifesto”, 11 settembre 2012.
7. Ibidem.
8. Dwight Eisenhower, Farewell Adress, http://www.h-net.org/~hst306/documents/indust.html.
9. Michel Chossudovsky, Guerra e globalizzazione. La verità dietro l’11 settembre e la nuova politica americana, Gruppo Abele, Torino 2002.


 

giovedì 20 settembre 2012

La vera arma di distruzione di massa é la democrazia


Uno dei tratti salienti che hanno caratterizzato l'ultimo decennio é senza dubbio l'esportazione della democrazia occidentale, omologata secondo il modello americano e veicolata ovunque sia stato possibile, spesso in maniera coatta e con l'ausilio delle bombe.

Dopo la "democraticizzazione" dell'Europa dell'Est, intervenuta come corollario del crollo dell'Unione Sovietica e del mito del comunismo, per realizzare la quale é stata necessaria solamente qualche "spinta" data al momento giusto nel luogo più consono (da Ceausescu a Milosevic sarebbero molte le storie da raccontare e sulle quali riflettere) da parte dell'amministrazione USA, dei suoi padroni e dei suoi servi é maturato il convincimento che si dovesse proseguire sulla strada intrapresa raddoppiando gli sforzi e sostituendo le spintarelle con veri e propri schiaffoni.

Prima é toccato all'Afghanistan di Bin Ladin, reo di essere stato scelto come caprio espiatorio degli auto attentati dell'11 settembre, assaporare il dolce gusto delle bombe e della democrazia....

Poi all'Iraq di Saddam Hussein, reo di possedere armi di distruzione di massa tanto ferali quanto inesistenti, venire investito da una tale dose di democrazia quale era sufficiente a riportare indietro il paese di almeo un secolo.

Poi alla Libia di Gheddafi, accusato di sterminare il proprio popolo, come accuratamente documentato nei filmati girati ad Hollyvood e nel Qatar, subire una democratica caccia all'uomo, portata con l'ausilio dei missili Tomahawk che hanno distribuito la democrazia in maniera equanime radendo al suolo buona parte del paese.

Infine alla Siria di Assad, dove fortunatamente la democrazia fatica ad affermarsi e per ora alligna solamente fra le orde di mercenari che massacrano donne e bambini, aiutati nel proprio lavoro dagli uomini dei corpi speciali dei paesi occidentali e dall'arsenale di armi di distruzione di massa che l'Occidente distribuisce loro in maniera più o meno ufficiale.

Mentre nel frattempo la democrazia sbocciava anche nella Tunisia di Ben Ali e nell'Egitto di Mubarak, fortuntamente in maniera meno impetuosa, grazie alla disponibilità dimostrata dai due "dittatori" a lasciarsi deporre senza combattere, nell'ambito di quelle che sono state veicolate nell'immaginario collettivo come rivolte popolari.

Oggi nell'Afghanistan democratico si vota come negli USA (e come negli USA occorre qualche mese per portare a termine lo spoglio delle schede), ma le donne, sia quelle che non hanno più il burka sia quelle che ancora lo portano, vengono regolarmente sterminate dai droni statunitensi mentre vanno a fare la legna o quando partecipano ad un matrimonio o quando devono recarsi all'ospedale a partorire. In Afghanistan la democrazia si specchia quotidianamente nella guerra permanente, nelle stragi di civili, in un paese ancora più devastato di quanto non lo fosse prima, dove l'unica novità sono i centri commerciali nuovi fiammanti dedicati agli operatori occidentali e all'elitè al servizio degli USA ed il rifiorire delle coltivazioni di oppio che gli anti democratici talebani avevano eliminato.

Oggi nell'Iraq democratico, che si é ormai lasciato alle spalle gli "anni bui" di Saddam Hussein, quando il paese era all'avanguardia nella regione, sia sotto il profilo tecnologico ed economico, sia sotto quello dei diritti umani e delle donne, come testimoniato dagli stessi rapporti dell'ONU, si vive in una sorta di polveriera senza senso nè costrutto. Composta da città stato dominate da bande tribali e da un governo fantoccio eletto dall'amministrazione a stelle e strisce. Senza che esistano più un tessuto industriale e una capacità produttiva degne di questo nome. Senza che il paese abbia più un qualche peso economico, con la popolazione costretta a vivere fra le macerie di un tempo che fu ed a morire alla disperata ricerca di cibo all'interno di qualche mercato dove quotidiamente deflagrano autobomba prive di pietà ma sempre molto ricche di democrazia.

Nella Libia democratica e libera non c'é più il petrolio "di Gheddafi" a sostenere una politica socialista attraverso la quale garantire una vita dignitosa alla gran parte dei cittadini. Ci sono solo macerie condite con l'uranio impoverito, intorno alle quali aggirarsi con la speranza di riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena, lotte intestine, morti ammazzati ed un futuro da declinare nel segno della miseria.

Come si può evincere da una semplice osservazione della realtà, depurata dalla mistificazione dei media mainstream che inseriscono ogni paese "liberato" all'interno di una bolla di oblio mediatico dalla quale nulla filtra più, la democrazia é allo stato attuale delle cose l'unica vera arma di distruzione di massa, della quale l'Occidente fa un uso smodato, ben conoscendone le devastanti potenzialità.

di Marco Cedolin
Tratto da: http://ilcorrosivo.blogspot.it/2012/09/la-vera-arma-di-distruzione-di-massa-e.html

sabato 8 settembre 2012

La manipolazione dell'opinione pubblica nei Tg italiani

 
I giornalisti dei nostri telegiornali sono diventati presentatori e pubblicitari. Altre competenze, ben diverse dall'informazione obiettiva e "sul campo". I servizi giornalistici sembrano creati ad arte per mostrare alcune cose e nasconderne altre. In un paese in cui sempre meno persone leggono i giornali, l'informazione televisiva rappresenta per la maggior parte della popolazione l'unica fonte d'informazione. Molte di queste persone credono che i telegiornali li informino su ciò che accade nel mondo, e si troverebbero increduli di fronte al solo pensiero che i Tg possano essere utilizzati per manipolare le loro opinioni. Eppure ciò appare sempre più evidente, dall'omissione di elementi indispensabili per capire i fatti, dall'alterazione di alcune notizie e dall'assenza di altre.
L'opinione pubblica è fondamentale per la stabilità di un sistema, e nel nostro sistema viene formata attraverso il bombardamento mediatico. Per mantenere la stabilità, nell'attuale assetto politico-economico, occorre che l'opinione pubblica sia piegata a ciò che è funzionale al sistema e non apprenda alcune verità. Ciò rende il potere mediatico notevolmente importante. Il controllo da parte del potere avviene oggi all'interno delle nostre case, attraverso la Tv. La manipolazione dell'informazione è sempre più sistematica, progettata per essere efficace e per rimanere nascosta agli occhi dei cittadini. Le agenzie internazionali (americane, europee o giapponesi) che forniscono le informazioni, sono supportate da agenzie di propaganda, soprattutto americane, che pianificano non soltanto cosa rendere noto ma soprattutto "come" dare informazione. La quantità di notizie viene sfoltita e ridotta al 5/10% del totale.
La verifica delle fonti e l'utilizzo del senso critico sono ormai capacità atrofizzate dall'assumere passivamente il punto di vista delle poche agenzie che informano centinaia di paesi, come la Adnkronos e l'Ansa. Considerando come assolute alcune fonti e ignorandone altre, l'informazione è già alterata in origine, derivando da un unico punto di vista, che nel contesto appare oggettivo. Di tanto in tanto, nei nostri Tg, appare qualche debole critica, ad esempio contro il governo statunitense. Si tratta delle cosiddette “fessure controllate”, cioè critiche fatte ad oc per generare fiducia nel Tg, ma che risultano vaghe e discordanti.
 
Alcune notizie assumono nei Tg un certo rilievo, soprattutto quelle che evocano emozioni. Suscitare associazioni emotive e commozione è diventato uno degli scopi principali dei Tg. I fatti di cronaca, specie se si tratta di delitti contro bambini, si prestano a questo scopo, e quindi talvolta occupano uno spazio ampio dei telegiornali. Si tratta di un modo per distrarre l’attenzione pubblica da altri fatti assai più importanti per la vita dei cittadini. In altre parole, vengono amplificate notizie (di solito di cronaca o relative ad uno specifico problema) che non mettono in pericolo il sistema, per evitare di trattare altri argomenti "scottanti" e pericolosi per l'assetto che i politici hanno il compito di proteggere. Ad esempio, siamo stati indotti a parlare a lungo dei Pacs (una legge che sarebbe stato ovvio approvare senza tanti problemi), mentre si occultavano, tra le altre cose, le spese ingenti per la "difesa". Nessun telegiornale ha detto che parte del Tfr dei lavoratori andrà per spese belliche.
In questi ultimi tempi, un altro argomento, che viene utilizzato dai Tg per dirottare l'attenzione su fatti non pericolosi per il sistema, è quello dei malati gravi che chiedono l'eutanasia. Invece di approvare una legge che ponga fine al problema, il nostro sistema utilizza questi casi disperati (ieri quello di Welby, oggi quello di Nuvoli), per riempire spazi e suscitare angoscia e commozione. Si stimola la parte emotiva dei telespettatori, per coinvolgere in una questione umana drammatica, senza far capire che il potere di risolvere il problema è nelle mani proprio di chi sta strumentalizzando cinicamente il fatto.
 
Spesso alcune notizie sono oggetto di "sovrinformazione", cioè se ne parla in molti programmi e abbondantemente. Ciò avviene o per focalizzare l'attenzione soltanto su alcuni aspetti e fare in modo che i cittadini si sentano abbastanza informati e non vadano ad informarsi altrove (come nel caso della finanziaria o del Tfr), oppure per dare l'impressione che ci sia un'abbondante informazione. Ma si tratta di informazioni ripetitive, che non spiegano davvero la questione e talvolta la manipolano. Paradossalmente, il cittadino viene sommerso di "informazione" per fare in modo che rimanga disinformato. La sovrinformazionze può riguardare anche temi banali, come la separazione di una coppia nota, o l'uso di droga da parte di un personaggio famoso. In questi casi si tratta di distogliere l'attenzione da decisioni o eventi politici che stanno accadendo nel paese, e di cui occorrerebbe parlare, ma non risulta conveniente al sistema.
 
Si sta affermando sempre più il metodo americano di creare trasmissioni giornalistiche o televisive organizzate da agenzie di Pubbliche Relazioni, per manipolare l'opinione pubblica su un determinato argomento. L'argomento di solito è emerso all'attenzione pubblica senza che il sistema potesse impedirlo (ad esempio, la Tv spazzatura o la violenza giovanile). A queste trasmissioni partecipano personaggi accuratamente selezionati, che in apparenza sembrano avere opinioni diverse, ma in realtà esprimono tutti un unico punto di vista, che si vuole far apparire come unica verità. Talvolta è l'assunto di base della conversazione ad essere errato, ma viene acquisito come vero da tutti i partecipanti. Spesso si utilizza la figura dell'"esperto" che è abbastanza persuasiva, rappresentando il mondo della "scienza", che si intende come fonte di verità oggettiva.
 
L'informazione dei Tg viene falsata in maniera sempre più sottile e manipolatoria. Quando vengono sollevate smentite, soltanto in pochi casi viene reso pubblico. Lo spazio e l'ordine dato ad un'informazione sono molto importanti per valorizzare la notizia o sminuirla. Alcune notizie passano inosservate perché vengono dette per ultime e frettolosamente, mentre ad altre si dedica molto tempo all'inizio del Tg. Si stabilisce quindi una gerarchia in ordine all'importanza e al rilievo che si vuole dare alla notizia. Si privilegiano alcune notizie, altre vengono emarginate e altre ancora occultate. 
 
L'informazione obiettiva è quella contestualizzata, verificata alla fonte e commentata da opinionisti di diverse tendenze. Sentire le opinioni dei politici di entrambi gli schieramenti serve a dare l'idea che si stanno sentendo più punti di vista, ma ciò spesso non è vero, perché la maggior parte dei politici non attua una vera critica al sistema, e si limita a spiegare le divergenze rispetto all'altro schieramento. Il sistema politico-economico attuale è sempre più intoccabile, e coloro che lo criticano appaiono sempre meno in televisione. Nei Tg, le notizie vengono date come fatti isolati dal contesto, per impedire una comprensione approfondita. Si tende ad esagerarne un aspetto, che è sempre quello più emotivo. Lo stesso titolo talvolta è già gran parte della mistificazione, perché da esso si inferisce se si tratta di una cosa giusta o sbagliata, da approvare o da disapprovare. Ad esempio, quando si danno notizie sull'Iran si tende a far apparire questo paese colpevole di qualcosa, e i titoli sono "L'Iran sfida la comunità internazionale", oppure "L'Iran si ostina sul programma nucleare". I paesi indicati dalle autorità Usa come nemici diventano automaticamente nemici anche per le nostre autorità, che li criminalizzano in modo impietoso, evitando di menzionare le continue minacce e la preparazione alla guerra contro l'Iran da parte degli Stati Uniti. Si manipola l'opinione pubblica italiana a pensarla come le autorità americane, e a ritenere che alcuni paesi debbano essere colpiti perché "pericolosi". Non si danno notizie sui numerosi crimini e attentati terroristici attuati dalle autorità Usa nel mondo, se non quando ciò risulta inevitabile. I nostri telegiornali si limitano a parlare di "attentati terroristici" in Iraq, Afghanistan o in altri paesi, senza raccontare la situazione vera. Ad esempio, non parlano mai della resistenza irachena e afghana, anche se ormai molti sanno che questi paesi sono occupati e che la popolazione cerca in tutti i modi di resistere (anche con metodi pacifici) all'invasore.
 
Difficilmente le notizie su paesi in guerra vengono spiegate in maniera approfondita, fornendo gli antecedenti politici, economici, internazionali, ecc. che possano far capire i fatti e le situazioni attuali. La decontestualizzazione è quindi uno dei modi per disinformare dando l'impressione opposta. Il fatto viene slegato da altri fatti che lo renderebbero più comprensibile. Ad esempio la violenza negli stadi viene slegata dal fenomeno della violenza nei giovani e dalle pressioni mediatiche che incitano alla violenza.
 
Il tono e il tipo di linguaggio utilizzato influiscono su come l'informazione viene percepita. Il tono può essere dispregiativo, di condanna, oppure enfatico ed entusiasta. Il tono dà un significato positivo o negativo alla notizia. La scelta delle parole è molto importante nel lavoro propagandistico, perché ogni parola è evocativa di significati o di emozioni e quindi deve essere scelta accuratamente per ottenere gli effetti voluti. Ad esempio, per trasmettere un senso di negatività, i gruppi considerati pericolosi per il sistema, come gli ambientalisti, i no-global o i comunisti, vengono definiti come "radicali", "fanatici" o "estremisti". La polizia viene chiamata "forza dell'ordine" anche quando reprime. Coloro che sono repressi vengono chiamati "ribelli" o "giovani estremisti". La violenza di Stato, anche quando uccide brutalmente, viene definita "sicurezza" o "difesa". I violenti sono sempre coloro che protestano contro il sistema e mai le autorità dello Stato, anche quando comandano una dura repressione, com'è accaduto al G8 di Genova. 
 
Anche le immagini utilizzate hanno scopo manipolativo. Le immagini servono a dare un'impronta negativa o positiva a luoghi, situazioni o concetti. Ad esempio, quando si parla di cultura araba si mostrano le donne con il burqa oppure immagini di fanatismo e violenza, per indurre un'associazione negativa.


Un altro mezzo efficace per manipolare l'informazione è l'uso di cifre. Le analisi statistiche sono relative al campione scelto e al modello utilizzato. Le statistiche possono essere utilizzate come un dato inoppugnabile e incontestabile. Ma basta selezionare un determinato campione che possa alterare i risultati, per dare l'informazione che si vuole.
Le notizie sono spiegate dallo stesso punto di vista in tutti i telegiornali. I poteri al vertice del sistema, cioè le banche e le corporation, appaiono sempre più raramente, e soltanto nei casi in cui si annuncia una fusione, l'acquisto di un'azienda o la nomina di un direttore amministrativo. Quando una corporation viene denunciata per gravi reati come l'uccisione di sindacalisti, la schiavizzazione dei bambini o altri crimini contro i diritti umani, non viene quasi mai notificato dai nostri telegiornali.


 
Fino all'inizio degli anni Ottanta esisteva l'inchiesta televisiva obiettiva, che mostrava la società nella sua verità e complessità. Oggi, invece, la mistificazione mediatica riguarda anche la società stessa. Non appaiono quasi più i lavoratori mentre stanno faticando. Lo spazio dedicato alle proteste sindacali è ridotto al minimo. Alcune manifestazioni di protesta non vengono documentate. Si manipola persino l'immagine della società civile, che deve apparire accondiscendente anche quando non lo è. Non si va mai alla radice delle questioni lavorative o sindacali e non si fa comprendere abbastanza per poter giungere alla soluzione (che richiederebbe cambiamenti al sistema) del problema.
Le notizie sul dissenso alla politica di governo sono pregne di accenti nefasti. Spesso vengono utilizzate categorie stereotipate o etichette per puntare il dito contro chi mette in dubbio l'operato politico del governo.
 
I telegiornali fanno in modo che gli oppositori appaiano come poche persone che non vogliono la "modernizzazione", il "progresso" oppure come persone emarginate, fanatiche e "antiamericane". Ciò è accaduto nel caso della Tav in Val di Susa e della Base americana a Vicenza. Nei telegiornali si mostravano singole persone intervistate che esprimevano pareri contrapposti, per far capire che c'erano pareri discordanti e occultare che la stragrande maggioranza dei cittadini era contraria alle decisioni di governo. Si vuole nascondere che il potere dei cittadini è continuamente svilito dal sistema. E che quest'ultimo è distante da ciò che la gente vuole. Le questioni che stanno a cuore alla cittadinanza, come l'ambiente, la pace e la libertà di decidere sul proprio territorio, vengono denigrate dall'informazione tendenziosa e manipolatoria dei Tg. Ad esempio, i cittadini della Val di Susa che protestavano venivano mostrati come un gruppo sparuto di persone che avevano paura di avere il "treno che gli passa sotto casa". La verità che si cercava di occultare era che sotto al Musinè c'è l'amianto. Inoltre, nella Val di Susa esiste già una linea ferroviaria Torino-Lione, attualmente sottoutilizzata, in grado di poter reggere il traffico.
 
Un'altra tecnica, utilizzata dai Tg, per deviare l'attenzione sulla questione del dissenso e per semplificare i fatti (per non far emergere altri aspetti), è di connotare ideologicamente il problema con "destra" e "sinistra". Quando i cittadini si oppongono ad una questione lo fanno per motivi razionali, ma il telegiornale tende a far credere che siano motivi ideologici, oppure irrazionali e non accettabili.
Nelle questioni in cui gli Usa impongono un severo diktat, come nel caso delle truppe in Afghanistan e della base militare a Vicenza, i giornalisti assumono un tono allarmato verso il dissenso. In particolare, nel caso di Vicenza, mettevano in evidenza che anche all'interno della maggioranza c'erano coloro che avversavano la scelta del governo. Il sistema dei due schieramenti è stato creato per impedire un vero esercizio di sovranità. I giornalisti reggono questo gioco e si mostrano stupiti che lo schieramento al potere possa avere persone che ragionano con la propria testa e non eseguono passivamente "l'ordine". I Tg colpevolizzano queste persone facendole sentire responsabili di "indebolire il governo" o di metterne in pericolo la stabilità. Ciò nasconde che i nostri politici non prendono scelte sulla base del benessere dei cittadini, ma per tutelare e rafforzare il sistema stesso. I nostri giornalisti hanno dimenticato che l'essenza della democrazia è proprio il pluralismo. Si sono allineati al sistema in cui tutti gli schieramenti politici sono obbligati ad obbedire ai veri padroni del paese: l'élite economico-finanziaria.
 
In questi giorni i Tg gridavano "allarme" per la manifestazione di protesta organizzata per il 17 febbraio contro la nuova base militare di Vicenza. Ma in quale democrazia i giornalisti mettono in allarme i cittadini per una manifestazione che esprime la volontà di quasi tutta la cittadinanza?
Il 16 febbraio, annunciando la manifestazione di protesta del giorno successivo, i telegiornali dicevano "si temono violenze", come se chi protesta contro il militarismo è violento. Siamo al paradosso di definire violento chi è contro la guerra e il militarismo, e non chi vuole nuove basi per meglio fare la guerra.
 
Un modo manipolatorio di dare notizie relative a proteste o a sgomberi violenti è quello di mettere vicina una notizia di criminalità, in modo da indurre l'associazione fra "delinquente" e chi protesta contro il sistema. Il 17 febbraio i telegiornali annunciavano: "Manifestazione di Vicenza... Imponenti misure di sicurezza". Trasmettevano anche un appello di Prodi: "Le manifestazioni sono il sale della democrazia ma siate pacifici". Il tono era quello del buon padre di famiglia, e non traspariva affatto che la realtà era esattamente l'opposto. Cioè coloro che stavano manifestando erano contro la violenza e il bellicismo americano, mentre Prodi era il politico che, lungi dall'avere a cuore il bene dei cittadini, stava sostenendo gli interessi bellici americani contro la volontà della maggior parte dei cittadini di Vicenza. Quindi, si trattava di scelte politiche non democratiche prese dal governo, ma i Tg facevano in modo da creare allarme attorno a coloro che stavano pacificamente, e giustamente, protestando. Qualche telegiornale osava un "Si temono infiltrazioni", ma non spiegava che soltanto il sistema difeso dai politici ha interesse ad infiltrare falsi manifestanti che creino disordine e violenza (com'è accaduto nel G8 di Genova), per poterli far apparire violenti ed estremisti, come cercavano di descriverli i Tg attraverso messaggi allarmanti. Il Tg3 precisava che le forze dell'ordine erano "a difesa del centro storico della città", come se i manifestanti fossero pericolosi e distruttivi. Poi aggiungeva: "c'è anche chi è preoccupato" e si intervistava una persona anziana che appariva confusa per le tante persone arrivate in città. Il porre l'accento sul "pericolo di violenze" serviva anche a distogliere l'attenzione dal valore che la protesta avrebbe avuto sulle scelte del governo, e a nascondere che la volontà dei cittadini non conta nulla di fronte alle imposizioni americane. Non essendoci state violenze, il giornalista del Tg2 ha messo in evidenza uno striscione che definiva di "solidarietà con i terroristi arrestati". Un altro modo per dirottare l'attenzione e per criminalizzare il dissenso.
 
Impegnati com'erano a colpevolizzare chi protestava contro la nuova base americana, i giornalisti dei Tg hanno omesso la notizia che la nuova base sarà pagata da noi per il 41% delle spese di mantenimento (anche per le altre basi paghiamo parte delle spese).
Chi è contrario alla guerra è diventato un "estremista radicale". Chi denuncia i crimini come la tortura è un "antiamericano". Viene messo sotto processo chi avversa le guerre, e non chi le organizza.


Nello stesso telegiornale (Tg2, ma anche gli altri erano pressoché uguali) del 17 febbraio appariva Prodi in posa accanto al presidente afghano Hamid Karzai, come se quest'ultimo fosse un vero rappresentante politico del popolo afghano e non un personaggio foraggiato da Washington.


 
Quando i telegiornali notificano gli attentati terroristici in Iraq, in Afghanistan, in Pakistan, in Turchia o in altri paesi, danno soltanto la stima dei morti e il luogo dov'è avvenuto lo scoppio, e non spiegano la situazione del paese. Talvolta menzionano al Qaeda associandola all'attentato, senza indicare le prove a sostegno di ciò.


Le notizie dall'Africa, dall'Asia o dal Sud America arrivano soltanto se c'è un problema che riguarda i nostri connazionali (rapimenti, uccisioni ecc.), oppure quando ci sono le elezioni politiche, che ormai nel nostro sistema sono diventate il simbolo stesso della "democrazia". Come a dire che se non documentassimo le elezioni (che si svolgono ovunque, persino in Iraq e in Afghanistan), non troveremmo altro modo per provare che la "democrazia" esista.
Quelle poche volte che i telegiornali parlano delle guerre in Africa, lo fanno in modo confuso e impreciso, parlando di "conflitti etnici", e senza precisare chi organizza i gruppi in lotta e chi li arma. Non viene detto che nella maggior parte dei casi si tratta dei governi e dei servizi segreti europei e americani, che organizzano le guerre per controllare il territorio e saccheggiarne le risorse.  


Le grandi metropoli e periferie del sud Italia appaiono nei Tg nel loro degrado ambientale, appare anche la microcriminalità e la disperazione dei giovani disoccupati. Tutto questo è descritto in modo fatalistico, come se i governi si trovassero impotenti di fronte a questi problemi. Quando a Napoli c'era il problema dei rifiuti, i telegiornali mostravano la città sommersa dalla sporcizia e dall'immondizia, ma non dicevano che questo stava accadendo perché il servizio era stato privatizzato e si impediva ai vecchi impiegati di operare, negando loro i mezzi idonei alla raccolta dei rifiuti. Per avvantaggiare i privati si stava organizzando il servizio diversamente. I cittadini apparivano "colpevoli" di qualcosa, ma in realtà ricevevano le bollette da pagare senza ottenere alcun servizio. Nessun telegiornale trasmise la manifestazione degli operatori ecologici napoletani che protestavano perché non erano messi in grado di lavorare. I cartelli che essi mostravano avrebbero potuto far capire la vera situazione, mentre i telegiornali rendevano impossibile capirla alla radice.
C'è una serie di argomenti "riservati", di cui i telegiornali non parlano. Ad esempio, delle stragi che l'Agip attua in Nigeria, oppure della produzione di armi (ad esempio le cluster bomb), in diverse fabbriche italiane. Armi che vengono esportate in molti paesi, compresi quelli in cui c'è guerra. I Tg non parlano mai di Signoraggio, che è il metodo utilizzato dalle banche per saccheggiare i paesi. Non si parla nemmeno degli statuti delle banche e del sistema bancario della Banca Europea, che ha sottratto all'Italia ben il 38% della finanziaria, impedendo al paese una crescita economica significativa. Sono state tagliate le spese per la scuola e la sanità ed è stata aumentata la pressione fiscale, per pagare le banche e sostenere gli Usa nelle guerre. Quando si è parlato della finanziaria, nonostante lo spazio dedicato a quest'argomento, i telegiornali hanno accuratamente evitato di notificare le ingenti risorse che le banche sottraggono al paese. La trasmissione Ballarò è stata l'unica a rivelare il fatto (ma senza metterlo in evidenza). Un altro argomento tabù è quello delle regole e dell'operato delle istituzioni come il Wto, la Banca mondiale (Bm) e Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Nessun telegiornale ha mai spiegato che a causa di queste organizzazioni, negli ultimi venti anni, la miseria e la fame sono aumentate, e che il collasso economico di molti paesi, compresa l'Argentina, è stato causato dalle misure imposte proprio dalla Bm e dal Fmi. Moltissimi altri argomenti non vengono trattati, ad esempio, la situazione di disuguaglianza degli immigrati, le gravi discriminazioni che essi subiscono, le persecuzioni di cittadini africani da parte dei governi fantoccio al soldo degli Usa, i massacri in Somalia, in Etiopia, in Nigeria, ad Haiti e in molti altri luoghi. Un altro argomento tabù è il denaro che lo Stato dà alle grandi aziende, somme spesso molto elevate.
 
Il telegiornale parla di droga soltanto quando comunica la notizia che le forze dell'ordine sono riuscite a sequestrare quantitativi di stupefacenti. Ma non parla mai delle implicazioni e connivenze delle corporation e dei governi nei commerci internazionali di droga.
Si parla di mafia quando si arresta qualche presunto mafioso o quando avvengono delitti, ma non si spiega cos'è davvero la mafia, e come essa sia in espansione grazie alle liberalizzazioni finanziarie, che hanno spianato la strada al riciclaggio facile.


I minuti di politica interna, nei Tg, si risolvono nelle brevi interviste ad esponenti di destra e sinistra, per mostrare come ci sia una questione, una disputa, e come i duellanti siano decisi e forti. Le differenti opinioni sembrano battute teatrali, in uno scenario sempre più avvilente e assurdo. Le questioni sono trattate sempre in modo marginale e superficiale, anche quando si tratta di questioni serie, come l'invio di soldati in Afghanistan. L'informazione si riduce all'opinione dei politici, la maggior parte dei quali non oserebbe sfidare il sistema nemmeno nelle questioni minime.


Alcune questioni interne non sono divulgate. Ad esempio, nel 2002, il Parlamento, quasi all'unanimità, approvò una legge che permette di abolire il tetto massimo di spesa per il "rimborso ai partiti". I cittadini italiani avevano espresso la loro volontà di non dare denaro pubblico ai partiti, attraverso il referendum del 1993, in cui oltre il 90% degli elettori votò contro. La gente crede che oggi questa volontà venga rispettata e non è stata informata quando, nel 1999 è stata approvata una legge che di fatto reintroduceva il finanziamento pubblico ai partiti chiamandolo "rimborso elettorale". Nel 2002 tutti gli schieramenti, ad eccezione dei radicali, votarono a favore di una nuova legge, la n. 156 del 26 luglio 2002, che titolava "Disposizioni in materia di Rimborsi Elettorali". La legge abbassava il quorum di accesso al rimborso dal 4% all'1% e aboliva il tetto di spesa, permettendo a quasi tutti i partiti di ricevere somme molto alte di denaro pubblico. Ad esempio, Berlusconi ha incassato, l'anno scorso, 41 milioni di euro per Forza Italia, la Margherita ne ha presi 20 milioni, l'Udc 15 milioni, i Ds 35 milioni, An 23 milioni, Rifondazione 10 milioni,[1] ecc. Dato l'ingente costo pubblico che ci sarebbe stato, l'approvazione della legge era una questione molto importante per l'opinione pubblica, ma non è stata sottoposta all'attenzione di tutti noi. I Tg non ne hanno nemmeno fatto cenno.
Le questioni spinose
, come la malasanità o il costo pubblico di aziende privatizzate (come le ferrovie e le autostrade) vengono trattate come se il problema non fosse risolvibile e senza una sufficiente documentazione. Ad esempio, si parla superficialmente dei tagli alla sanità che stanno causando gravissimi problemi nella gestione delle strutture, oppure dei contratti truffaldini che importanti imprenditori (come Benetton) hanno stipulato con lo Stato. Questi contratti potrebbero essere rescissi se il governo volesse. Molti cittadini se lo aspettavano, dato che in precedenza erano stati duramente criticati dall'attuale maggioranza.
La povertà o la precarietà lavorativa sono diventate nei telegiornali o nelle rubriche di approfondimento una specie di calamità naturale. I poveri ragazzi trentenni vengono intervistati per sapere quanto guadagnano e che tipo di contratto hanno nei call center, nelle fabbriche o addirittura negli uffici pubblici. Si mette in evidenza che queste persone sono spesso laureate e molto preparate, e alcune di esse svolgono funzioni essenziali nel settore pubblico. Ma non si parla delle leggi che permettono il lavoro precario. Di quando sono state approvate e da chi, e di come sono state peggiorate nel tempo.
 
Poi ci sono i servizi giornalistici che hanno il compito di prepararci ad accettare il peggio. Ad esempio, quelli che ci allarmano sulla "crisi energetica" (per prepararci all'aumento della bolletta), quelli che ci mostrano i giovani delle gang di Londra, o quelli che documentano gli strani fenomeni atmosferici. Anche in questi casi non si va alla radice e non si spiega come è stato creato il problema e da chi. In un servizio del 17 febbraio, il Tg3 informava sull'omicidio di un ragazzo ad opera delle gang giovanili dei sobborghi di Londra. Il giornalista diceva: "Il problema sono le condizioni sociali... le famiglie non sono in grado, a causa della povertà, di fronteggiare il problema, allora c'è l'alcol, la droga o le armi da fuoco". Nessun cenno alla situazione politico-economica, e al bombardamento mediatico che esalta sempre più la violenza.
Anche l'allarme Sars rientrava nelle notizie che avevano l'obiettivo di preoccupare. Per alcuni mesi siamo stati bombardati da notizie allarmanti su presunti casi di questa malattia. Quello che non si diceva era che la Sars è nata da un esperimento avvenuto nell'aprile del 2003 a Toronto, ad opera di associazioni governative statunitensi e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, sostenuti finanziariamente dalla famiglia Rockefeller, dalla Carnegie Foundation, e da importanti produttori di farmaci. L'obiettivo era quello di ridurre la popolazione e far acquistare nuovi farmaci, come spiega il Dott. Leonard Horowitz:
La SARS e l'attuale timore per l'influenza aviaria ricevono l'approvazione dei capitani delle industrie militar-medico-farmaceutico-petrolchimiche, che parimenti in molti casi documentati operano al di sopra delle leggi... consideriamo il fatto che il flusso delle informazioni date dai mezzi di comunicazione di massa è stato pesantemente influenzato, se non interamente controllato, dai garanti delle imprese multinazionali, che hanno protetto e fatto avanzare gli interessi di un gruppo relativamente ristretto di imprese globali... Avendo testimoniato di fronte al Congresso USA, ho personalmente verificato come le prime donne dell'industria farmaceutica dirigono dal punto di vista economico e politico i nostri rappresentanti al governo. Le malattie che stanno emergendo sono di complemento alla politica della "Guerra contro il Terrorismo" e alla nostra cultura influenzata dal bioterrorismo. Questa agenda serve per due obiettivi principali: il profitto e la riduzione della popolazione. Realtà politica contro i miti mass-mediologici.[2]

Quando è emerso che l'allarme aviaria in Europa aveva lo scopo di indurre ad acquistare il farmaco Tamiflu, e che la sicurezza e l'efficacia del farmaco non erano mai state provate, le notizie allarmanti sono sparite. In questi ultimi giorni stanno ritornando altre notizie sulla variante H5N1 dell'aviaria. Probabilmente è stato prodotto un nuovo farmaco.
Nei nostri Tg, dopo pochi minuti di notizie di politica interna ed estera, arriva la parte più lunga della cronaca e dell'attualità. La scelta spesso cade su notizie riguardanti nuovi prodotti per la calvizie, la bellezza o tecnologici. Giuseppe Altamore, nel suo libro I padroni delle notizie, spiega che sempre più spesso i giornalisti televisivi presentano pubbliredazionali come fossero semplici notizie. Si tratta di presentare in modo enfatico prodotti che vanno dal nuovo tipo di telefonino a nuovi cosmetici, capi di abbigliamento e addirittura farmaci. Dopo l'impiccagione di Saddam, il Tg2 annunciò la creazione negli Stati Uniti di un nuovo giocattolo: il pupazzo Saddam corredato da cappio. Il giornalista si curò di precisare anche il prezzo e la possibilità di acquistarlo via Internet. 
 
La cronaca rosa ha il suo spazio nei Tg, sempre più ampio: matrimoni o divorzi fra vip, se Madonna adotta un nuovo bimbo, oppure se un'attrice si è gonfiata di silicone o si droga. I servizi sulla moda, sull'elezione di Miss Italia o di Miss Universo non mancano. Talvolta i Tg riempiono spazio raccontando la storia di un animale o spiegando l'esecuzione di una ricetta. Viene documentato persino il "Raduno internazionale delle Mongolfiere", e ci informano anche sugli ultimi modelli dei vestitini per cani e gatti. Si tratta di modi per confondere su ciò che dovrebbe essere veramente la comunicazione giornalistica, che negli ultimi venti anni è stata declassata e fuorviata nel modo stesso di intenderla.
 
L'informazione dei Tg segue ormai il "pensiero unico" e anche la regia è unica. Si tratta delle grandi agenzie di propaganda americane, come la Heritage Foundation , l'American Enterprise Institute e il Manhattan Institute. Le agenzie di propaganda americane provvedono affinché l'opinione pubblica subisca pesanti manipolazioni, che rendano difficile una vera consapevolezza di quello che sta accadendo nel mondo di oggi. Per riuscire a capire occorre utilizzare Internet e leggere le notizie dal mondo. E' una cosa che soltanto pochi si possono permettere di fare; e di solito non si tratta di anziani, casalinghe o persone che lavorano per molte ore al giorno, e che non hanno tempo materiale di informarsi se non attraverso la Tv. Per queste persone c'è soltanto quell'infomazione "emotiva" e distorta che serve a renderli docili e incapaci di difendere i propri diritti. Come osserva Sartori: "Sostenere che la cittadinanza dell'era elettronica è caratterizzata dalla possibilità di accedere a infinite informazioni... sarebbe come dire che la cittadinanza nel capitalismo consente a tutti di diventare capitalisti… È vero che un'immagine può valere più di mille parole. Ma è ancor più vero che un milione di immagini non danno un solo concetto".[3]
 
I telegiornali sono ormai rotocalchi di una realtà che non è quella in cui viviamo. Sono sempre più orientati allo spettacolo, all'appiattimento e alla banalità. Come in un circo, ognuno fa il suo numero, con l'obiettivo di emozionare, catturare l'attenzione, intrattenere e persino fare divertire. Mentre gli eventi occultati diventano sempre più inaccettabili: quei due terzi del mondo ridotti in estrema miseria, quei milioni di bambini che per mangiare devono cercare nella spazzatura, le nostre regioni soggette al potere mafioso implacabile e crudele, le guerre contro i popoli, le dure persecuzioni contro chi lotta per la giustizia e i diritti umani...

Finché il potere mediatico sarà quasi completamente nelle mani di chi vuole un sistema politico-economico basato sulla legge del più forte e sul controllo dei popoli, è ingenuo credere che le risorse umane, spirituali e culturali degli individui stiano ricevendo impulso alla loro libera realizzazione. Le sottili tecniche di coercizione, di diseducazione e di appiattimento culturale sono dirette contro ognuno di noi, come un ulteriore affronto alle nostre menti e alla nostra dignità di cittadini.

 
di Antonella Randazzo*

*ha scritto Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa, 1870-1943, (Kaos Edizioni, 2006); La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell'era dell'egemonia Usa (Zambon Editore 2007) e Dittatore. La Storia Occulta (Edizione Il Nuovo Mondo, 2007).
 
[1] Report, 1 ottobre 2006.
[2] Horowitz Leonard, Death in the Air: Globalism, Terrorism and Toxic Warfare, Tetrahedron Publishing Group, Idaho, U.S.A., 2001.
[3] Sartori Giovanni, Homo videns, Laterza, Bari 1997.
 

venerdì 7 settembre 2012

Plutone riemerge dagli inferi

 
«Site Pluto» (sito Plutone) era, durante la guerra fredda, il maggiore deposito di armi nucleari dello U.S. Army in Italia. Nei suoi sotterranei, all’interno di una collina a Longare (Vicenza), si tenevano oltre 200 ordigni nucleari «tattici»: missili a corto raggio, proiettili di artiglieria e mine da demolizione. Pronti a scatenare l’inferno nucleare sul territorio italiano. Dismesso ufficialmente nel 1992 come deposito, il sito è stato in parte adibito a comunicazioni satellitari. È andato, cioè, quasi in letargo. Ora però Plutone si sta risvegliando, pronto a riassumere la sua piena funzione bellica. Sono in corso lavori all’interno del suo perimetro recintato e presidiato. Il progetto prevede la costruzione di un edificio di 5mila m2, in cui saranno addestrati con tecnologie d’avanguardia i soldati Usa, soprattutto quelli della 173a brigata di stanza a Vicenza.
 
Nessuno sa però quali reali attività si svolgeranno dietro il suo muro di «protezione», alto 6 metri. Né, tantomeno, a quale uso saranno adibiti i sotterranei del sito.

Continuano così i misteri di Plutone, sotto la cappa del segreto militare, garantito al Pentagono dagli accordi segreti tra i due governi. Nessun mistero, invece, sul fatto che la riattivazione del sito rientra nel rafforzamento dell’intera rete di basi militari Usa nel territorio di Vicenza: qui si è insediato lo U.S. Army Africa e la potenziata 173a brigata è stata autorizzata nel 2007 dal governo Prodi a costruire una nuova base nell’area del Dal Molin. Si apre a questo punto uno scenario ancora più inquietante: come dichiarato da Francesco Cossiga il 28 febbraio 2007 al senato, la 173a brigata è «strumento del piano di dissuasione e di ritorsione, anche nucleare, denominato Punta di diamante». Gli Usa – conferma la Federazione degli scienziati americani in un rapporto del maggio 2012 – mantengono 50 bombe nucleari per aereo ad Aviano (Pordenone) e 20 a Ghedi Torre (Brescia). Non sono residuati bellici della guerra fredda, ma efficienti bombe B-61, oltre dieci volte più potenti di quella di Hiroshima, che a lotti verranno sostituite da una nuova bomba nucleare, la B61-12, molto più potente. Le bombe sono tenute in speciali hangar insieme ai caccia pronti per l’attacco nucleare: F-16 statunitensi ad Aviano e Tornado italiani a Ghedi Torre.

L’aeronautica italiana ha partecipato all’esercitazione Usa di guerra nucleare «Steadfast Noon», nel maggio 2010 ad Aviano e nel settembre 2011 a Volkel AB in Olanda. Non è quindi escluso che il riesumato «Site Pluto» servirà anche a esercitazioni di guerra nucleare ed eventualmente, di nuovo, come deposito e centro di manutenzione di armi nucleari. Soprattutto quando gli F-16 e i Tornado verranno sostituiti dai caccia F-35 di quinta generazione, per i quali è stata progettata la nuova bomba nucleare B61-12. Al cui lancio si prepareranno anche gli F-35 italiani. L’Italia continuerà così a violare il Trattato di non-proliferazione che ha sottoscritto, impegnandosi solennemente a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». Questo e altro si cela nei sotterranei di «Site Pluto», sulla cui superficie verrà costruito un edificio che, si garantisce, sarà a basso impatto ambientale, dotato di pannelli fotovoltaici per non inquinare.
di Manlio Dinucci
 
 

giovedì 6 settembre 2012

Una lacrima da Marte

 
Quando si ascoltano le esternazioni dei ministri del governo Monti, molto spesso si ha la sensazione che le loro parole non provengano dallo stesso luogo in cui tutti noi con alterne fortune trasciniamo le nostre esistenze, ma da qualche lontano angolo della galassia o da uno dei milioni di mondi alternativi che popolano il transfinito.
Il ministro Elsa Fornero in particolare non manca occasione per dimostrare di vivere in un mondo tutto suo, evidentemente alieno a noi comuni mortali, popolato da creature mitologiche che neppure ci è dato immaginare.
Già da un paio di settimane, con l'evidente proposito di arricchire la propria saga, lacrima Fornero sta sommessamente proponendo a più riprese il ripensamento delle curve salariali, in funzione dell'età dei lavoratori......

Sostenendo d'ispirarsi al modello tedesco (anche in questo caso un universo che ci è alieno) la Fornero ritiene che i salari dovrebbero essere commisurati alla produttività del lavoratore e pertanto seguire una curva che raggiunge il proprio acme fra i 35 ed i 45 anni, per poi scendere gradualmente fino al momento della pensione, ormai collocata da ella stessa al limite della terza età.
In parole povere, prendendo ad esempio una creatura estinta da tempo, se una persona iniziasse a lavorare a 20 anni, per concludere la propria carriera a 65 (o 70?) la propria retribuzione sarebbe bassa all'inizio, in quanto l'inesperienza è indice di scarsa produttività, per poi salire gradualmente fino a raggiungere un tetto massimo intorno ai 40 anni, quando la produttività è al massimo, e poi ridiscendere di pari passo con l'età, fino a ritornare ad un pugno di euro quando la senescenza avrà intaccato in profondità le capacità produttive.
Lasciando perdere qualsiasi parallelismo con la Germania, dal momento che sarebbe esercizio privo di costrutto estrapolare e comparare singoli elementi di due sistemi lavoro assolutamente non assimilabili fra loro, quello che più colpisce in una proposta di questo genere è il pressapochismo che sta alla base del ragionamento e il non sense costituito dal ragionare in termini di ordinata matematica, all'interno di un mondo del lavoro che si è voluto trasformare in un caos privo di cordinate e di qualsivoglia ordine.
Il pressapochismo appare evidente nella presunzione di disegnare con fare meccanicistico presunte curve di produttività, senza tenere conto del fatto che si sta dissertando di esseri umani (con tutte le proprie peculiarità) e non di automobili e di un'infinità di mestieri, nell'ambito di ciascuno dei quali i lavoratori "renderanno" per forza di cose in maniera differente in funzione dell'età.
Un calciatore a 36 anni è alla fine della propria carriera, perché ha ormai perso l'agilità dei 20 anni, ma un avvocato di 60 anni spesso è all'apice della propria carriera, grazie all'esperienza maturata. Così tutti coloro che svolgono lavori dove è indispensabile la prestanza fisica potranno perdere qualche colpo con l'avanzare dell'età (in parte compensato dall'esperienza acquisita), al contrario di chi è impiegato in un mestiere dove l'esperienza ed il pelo sullo stomaco costituiscono un valore aggiunto assolutamente determinante.
Ammesso e non concesso che esista una curva standard di produttività per gli uomini, così come per le macchine, questa sarebbe insomma giocoforza differente a seconda del mestiere preso in considerazione. Ipotizzare una curva di produzione generalista ed adeguare ad essa le retribuzioni, oltre che un esercizio dissennato, rappresenterebbe la fonte di sperequazioni che non avrebbero assolutamente senso di essere
Il non sense si può apprezzare facilmente soltanto dando uno sguardo a quello che oggi in Italia è il mondo del lavoro.
Se escludiamo le generazioni del posto fisso, destinate ad estinguersi di pari passo con il loro pensionamento, oggi ipotizzare un percorso di lavoro continuativo per 45 anni sarebbe esercizio di pura follia. Il giovane generalmente esce dall'università quando già è vicino ai 30 anni (e la sua produttività dovrebbe essere in piena fase d'incremento) e privo di qualsiasi esperienza inizia a cimentarsi con lavori precari di vario genere, ciascuno dei quali con retribuzioni che certo non dipendono dalle disposizioni del governo, bensì dal fatto che viene ritenuto un incapace e lavoro non ce n'è. Superati i 30 anni (quando la sua produttività dovrebbe giungere al massimo) continua a confrontarsi con occupazioni a singhiozzo che non gli permettono di costruirsi una famiglia e neppure di accumulare esperienza di rilievo in un campo di competenza specifico. Arrivati a 50 anni continueranno ad inseguire qualche lavoretto a termine, sgrufolando a fatica fra le pieghe del precariato, senza neppure la prospettiva di godere un giorno della pensione, dal momento che il ministro Fornero l'ha eliminata, subordinandola a 45 anni di lavoro continuativo.
E le curve? E la produttività? Tutte ad albergare all'interno di quella lacrima di cui la Fornero ci ha fatto dono, stropicciandosi gli occhi su Marte, là dove vive, insieme alla famiglia ed al governo di suoi pari.
 
di Marco Cedolin