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martedì 26 aprile 2011

Marines rossi - E la sinistra pacifista ora si mette l'elmetto

Marines rossi, Quando c'era Bush in piazza contro la guerra.
Ora, con Obama, anche le bombe vanno bene.

Convincerli non è stato difficile. È bastato che alla Casa Bianca ci fosse un afroamericano democratico invece di un bianco repubblicano, due paroline interventiste dette al momento giusto dall’ex compagno che sta al Quirinale e loro, sull’attenti, hanno battuto i tacchi e si sono calati l’elmetto. Pronti a partire. L’articolo 11 della Costituzione, quello che dice «L’Italia ripudia la guerra» e altre belle cose, è diventato all’improvviso aggirabilissimo. Gli stessi che pochi anni fa sventolavano fieri le bandierine arcobaleno, al punto da metterle sui simboli elettorali e sulle prime pagine dei loro giornali, e accusavano gli Stati Uniti di ogni nefandezza imperialista, adesso scoprono i diritti delle minoranze oppresse nei Paesi arabi e l’urgenza di ricorrere alle portaerei americane e ai caccia francesi per esportare la democrazia, o almeno qualcosa che le assomigli. E lo fanno senza nemmeno avere l’alibi di dover neutralizzare un arsenale come quello di cui disponeva in Iraq Saddam Hussein. Già che ci sono, i neofiti dei Cruise e degli F-16 fanno pure la ramanzina alla Lega perché non manifesta il necessario afflato bellico. Non ci fossero le bombe e i morti, l’effetto comico sarebbe garantito.

Loro però non sembrano rendersene conto. Concita De Gregorio era serissima mentre vergava la chiamata alle armi pubblicata ieri sull’Unità. Eppure vi si leggevano cose tipo: «Non si possono lasciare soli gli eroi del “nuovo risorgimento del mondo arabo”, per usare le parole di Napolitano. Non si possono celebrare i nostri ventenni di centocinquant’anni fa e ignorare i loro ventenni oggi». Chi non vuole l’impresa di Libia e fa come la Lega, spiega la direttrice del quotidiano ex pacifista, non è «dalla parte del Paese». Più o meno quello che scrisse cent’anni fa, con stile di sicuro più sobrio, Gabriele D’Annunzio celebrando in versi la guerra di Libia.

Che per loro sia complicato affrontare l’argomento lo si capisce quando la direttrice dell’Unità scrive che «da 66 anni a questa parte non siamo mai stati così vicini dall’essere un paese in guerra». Segno che la loro coscienza collettiva ha provveduto a rimuovere l’intervento militare in Kosovo del 1999, avviato dal governo D’Alema senza l’autorizzazione del Parlamento e senza il mandato delle Nazioni Unite. Comprensibile.

Il parallelismo con la maggioranza stavolta non regge. Il PdL è sempre stato interventista e in questa occasione, come nelle precedenti, ha fatto aderire il governo alla coalizione dei volenterosi, composta dai soliti alleati. Quanto alla Lega, di certe operazioni militari se ne fregava prima e se ne frega adesso: interessano solo per motivi tattici. Ogni volta che le elezioni amministrative sono alle porte, Umberto Bossi se le inventa tutte per smarcarsi dall’alleato, stando attento a farlo senza che la tenuta della coalizione e del governo ne risenta più di tanto. Il Carroccio, insomma, si è rifiutato di appoggiare l’intervento sapendo benissimo che tale gesto gli avrebbe portato qualche voto in più al Nord e non avrebbe provocato danni a Roma. Anche qui, nulla di nuovo.

Ma se a destra gli elettori sono abituati a ragionare sulle missioni militari con criteri realistici, ponendosi cioè la domanda «ci conviene intervenire?», e proprio per questo tanti sostenitori del PdL contestano la decisione di partecipare alle operazioni, a sinistra lo scontro è molto più acceso, perché il criterio che comanda è quello idealistico: «È giusto intervenire»? Bella domanda. Mica è facile spiegare a gente che durante tutta la seconda guerra del Golfo è stata illusa con slogan contro la guerra «senza se e senza ma» che stavolta è giusto bombardare in nome della democrazia. (Di commesse per il petrolio libico, per carità, è vietato parlare).

La foglia di fico con cui il Pd prova a coprire l’avallo all’operazione “Odissey Dawn” sono le solite Nazioni Unite. Ma a parte il fatto che sotto l’egida del Palazzo di vetro si sono svolte alcune delle peggiori porcherie del dopoguerra, il dubbio su quale sia la differenza tra le bombe marchiate Onu e quelle con il logo della Nato qualcuno se lo sta ponendo, anche ad alta voce. Quando il deputato del Pd Enrico Gasbarra dice di non essere convinto dalla missione militare perché «sicuramente l’Onu è dalla parte giusta, ma il sangue che scorre e scorrerà sarà tanto», dice una cosa che pensano in tanti, tra gli eletti e soprattutto tra gli elettori. Alcuni di loro sono andati a bussare sulla pagina Facebook di Pier Luigi Bersani: «Scusa, segretario, dove sono finite le bandiere della pace?».

È solo l’inizio. Ai sedicenti bombardamenti chirurgici, destinati a proteggere gli insorti ma già responsabili delle prime vittime civili, se Gheddafi non sloggia dovrà fare seguito la campagna di terra. Che renderà la guerra ancora più brutta, sporca e cattiva. L’ultimo posto in cui le anime belle della sinistra vorranno trovarsi.
(...)

Le bugie di un usciere neoliberista



“Si faccia curare e non mi importuni più, che ho cose più serie di cui occuparmi”. Marco Travaglio così risponde a un lettore che criticava il suo lavoro sulla base di quanto io ho documentato a fondo. L’usuale arroganza cafona di questo uomo sarebbe solo una sua piaga privata che non ha pubblica rilevanza, non fosse che costui ha “cose più importanti di cui occuparsi”.

Ecco di cosa si occupa Marco Travaglio:

Ingannare incessantemente gli italiani in prima serata e sulla stampa per abbattere il governo del politico che non obbedisce alla finanza speculativa internazionale e per riportare in Italia gli uomini del modello Neoliberista anglosassone nel pugno d’acciaio di Wall Street, della City e del Trattato di Lisbona: Il Vero Potere. Riportare cioè a Palazzo Chigi gli affiliati italiani alla Mafia di coloro che hanno “distrutto il 40% della ricchezza planetaria con una frode criminale” (Matt Taibbi, Democracy Now) e che sono autori di “un colpo di Stato finanziario in piena regola” (Michael Hudson, New Economic Perspectives), cioè Mario Draghi e i notori ‘tecnici’.

Questo fa Marco Travaglio, oltre a tacere il motivo per cui lui, Genchi e De Magistris hanno abbandonato di colpo il giudice Clementina Forleo, quella dell’altrettanto abbandonato slogan “Clementinafaccisognare”, la protagonista di un intero capitolo scomparso misteriosamente dalle bozze del noto libro di Genchi, quella soprattutto che aveva messo le mani sul centrosinistra interamente manovrato dal Vero Potere. Non ci è dato sapere se egli esegua ordini discussi con gli uomini che ho elencato nel precedente Aggiornamento, o se semplicemente le sue idee coincidano con le loro.

Il risultato è il medesimo, egli funge da loro usciere mediatico in Italia.

Chi mi legge sa bene quali crimini contro la democrazia e contro i salari quel modello ha commesso, li ho documentati con fonti autorevoli. Ha svuotato del tutto la democrazia stessa e sta portando il più feroce attacco ai redditi della Storia moderna. Marco Travaglio lo ammira. Fin dalla storica intervista da Daniele Luttazzi, ha martellato gli italiani con bugie sulla probità di quel modello criminale.

Va smentito, lui più di altri come lui, per via dell’enorme potere di persuasione che è riuscito ad ottenere, infatti egli è oggi il più potente infiltrato neoliberista e filo sionista del Vero Potere nelle fila dell’alternativa in Italia (e questo la dice lunga sull’acume della sinistra italiana che ne ha fatto un eroe, troppa pena per commentare oltre).

Altrimenti, credetemi, non passerei queste ore a scrivere di un Vip cafone.

Dunque ecco le sue falsità di usciere del Vero Potere, con l’evidenza del contrario.

1) La Gran Bretagna è “un Paese serio”. I conservatori inglesi cacciarono in galera il ministro Jonathan Aitken perché aveva mentito in un’ aula di giustizia su chi pagò la camera d’hotel della figlia in ferie.


Se ne uscì con questa falsità durante la sopraccitata intervista a Luttazzi in Tv. Al tempo rimasi stupito, e non compresi subito il significato di quell’esaltazione della destra britannica, cioè di Thatcher allieva di Milton Friedman. Disse Travaglio che il ministro inglese Jonathan Aitken era stato ammanettato per quella pur minima violazione di etica politica.

Applausi dal pubblico adorante, ma tonto.

Vi sembra possibile che si finisca in carcere per una cosa simile, pur anche in Gran Bretagna?

La realtà: Aitken era ministro per gli appalti bellici del governo Major 1992, e fu beccato a dirigere un traffico illegale di armi in una triangolazione col trafficante libanese Said Ayas e con un principe saudita, in un mare di mazzette milionarie che coinvolgevano grandi aziende inglesi come VSEL, GEC, Westland, cioè una Tangentopoli in piena regola. Mentì non sulla ridicola storia dell’hotel della figlia, ma su un incontro coi malfattori in un hotel di lusso a Parigi, pagato dal trafficante Ayas. Mentì su uno scandalo criminale di proporzioni storiche, e finì in galera, anche per aver costretto la povera figlia a mentire in tribunale. Fu sfortunato, perché questo è il Paese dove c’è un intero governo che ha mentito alla nazione sull’entrata nella Guerra al Terrorismo, che è costata la vita a 541 suoi concittadini e a circa 2 milioni fra iracheni e afghani, in un intreccio sordido con i servizi dell’odiato Berlusconi; che precedentemente aveva violato ogni norma di legalità internazionale bombardando in Kosovo 372 fabbriche pubbliche e solo 14 carri armati serbi, per poi vendere il Kosovo per intero ai privati attraverso la Kosovo Trust Agency; che ha armato i torturatori indonesiani a Timor e quelli turchi in Kurdistan.

Il leader di questa banda di criminali è oggi libero e persino ammirato: l’esimio Tony Blair.

E’ lo stesso Paese dove una massa di parlamentari sono stati beccati nel maggio 2009 a rubare soldi pubblici per decine di milioni di sterline falsificando fatture su ogni sorta di finta spesa; implicato fu l’intero parlamento eletto nel 2005, in galera sono finiti in 3 su 650 e per pochi mesi. Il Paese dove “lo scarico sui poveri contribuenti delle perdite delle banche d’affari ha lasciato la maggioranza delle famiglia schiacciata da tagli nel loro reddito paragonabili a quelli degli anni ‘20” (Philip Stephens, Financial Times), cioè un trasferimento truffa di immensi capitali dalla gente a chi delinque coi loro risparmi, e dove nessuno dei criminali è oggi in carcere, roba da far impallidire Tangentopoli e Craxi 200 volte. Dove i tagli all’istruzione lasciano la nostra Gelmini a sembrar compassionevole, infatti una ricerca della Ipsos Mori in Gran Bretagna ha rivelato che il vertiginoso aumento dei costi universitari pianificato dal presente governo taglierà fuori dagli atenei fino ai 2/3 (sic) degli studenti meno ricchi.

Ma nelle menzogne di Travaglio questo è il “Paese serio”, quello che mette in galera i politici per aver mentito sulle vacanze di una figlia. E’ anche, incidentalmente, la culla storica del modello Neoliberista e di una delle due sedi dalla Mafia internazionale: la City.

2) Nel sistema americano non c’è conflitto d’interessi.


Per Travaglio questo fenomeno è la vergogna di Berlusconi, negli USA, cioè “nei Paesi seri” non s’è mai visto nulla del genere. Più falso di così si muore. E’ vero che negli Stati Uniti non vi è un politico preminente con un conflitto d’interessi, ma questo solo perché il conflitto d’interessi in America è la politica tutta. Come dire: sulla loro maglia non c’è una macchia nera, perché è la maglia tutta a essere nera.

Esempio:

2001-2008, tutta l’industria petrolifera e militare USA è alla casa Bianca in blocco, letteralmente. E cosa fa? Incendia il mondo intero per far fluire profitti immani nelle sue casse. Gli attori sono il vicepresidente Dick Cheney, il Segretario di Stato Condoleezza Rice, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, l’ex Segretario di Stato di Bush sr. James Baker III, il ministro della Giustizia Alberto Gonzales, il consigliere Carl Rove, il capo del Carlyle Group Frank Carlucci (CIA), e i funzionari governativi Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neill, Zalmay Khalilzad, William Winkenwerder, Mark Weinberger, Kathleen Cooper, Eugene Hickock, Larry Lindsay; tutti personaggi che escono dal business petrol-militare, entrano al governo, e finito il mandato rientrano nello stesso business dopo averlo ingrassato a dismisura, cioè rientrano in Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, Enron ecc. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana. Dick Cheney: 1991 al governo incendia l’Iraq letteralmente – esce dal governo e torna in Halliburton – ricostruzione Iraq, appalti a pioggia ad Halliburton – 2000 esce da Halliburton e torna al governo, Halliburton gli finanzia la campagna elettorale a suon di milioni di dollari – 2003 re-incendia l’Iraq – Halliburton riemerge in un mare di appalti – oggi Cheney prende un bonus da Halliburton di 1 milione di dollari all’anno.

2008-2011: Wall Street entra a palazzo con Obama, in blocco, con Larry Summers (Citigroup), Bob Rubin (Goldman Sachs), Tim Geithner (FED di New York), Henry Paulson (Goldman Sachs), William Daley (JPMorgan Chase), Gene Sperling (Goldman Sachs), Paul Volcker (Rothschild, Rockefeller), Mark Patterson (Goldman Sachs). Daley addirittura ha mantenuto 8 milioni di dollari d’interessi in JP Morgan e nessuno ha fiatato. Obama ha come maggior finanziatore della sua campagna elettorale Goldman Sachs, e infatti mentre 60 milioni di americani con figlie e mogli tremavano a rischio di sfratto e rovina finanziaria per causa delle truffe di Wall Street, Obama ha sborsato 11 mila miliardi di dollari per salvare solo i suoi amici banchieri, per primi Goldman Sachs con subito 14 miliardi di dollari. Sono prestiti scandalosi che funzionano così: Washington ci mette l’85% del denaro per ripianare i buchi delle banche, queste ci mettono il 15%. Se le cose gli andranno bene, le banche s’intascano i profitti; se invece andranno male perdono solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo. L’economista Warren Mosler ha calcolato che quello che oggi negli USA è chiamato ‘Government Sachs’ ha diretto il più colossale trasferimento di ricchezza dal basso all’1% degli americani nell’intera storia degli Stati Uniti. Conflitto d’interessi di Berlusconi = 7,5 miliardi di dollari - Conflitto d’interessi di ‘Government Sachs’ = 11 mila miliardi di dollari. Fate le proporzioni. Qui è il Cavaliere a impallidire 200 volte.

Alcune altre chicche:

Bill Clinton e Al Gore sono stati fra i principali elargitori dei contratti No-bid Cost-plus, dove l’appalto è assegnato dallo Stato senza gara, mentre i costi sono rimborsati alla ditta prescelta semplicemente in base alle sue dichiarazioni di spesa, e senza che alcuna Authority statale possa controllare alcunché. I fondi così sperperati da Washington hanno raggiunto le decine di miliardi di dollari di denaro pubblico a favore dei soliti amici dentro e fuori, fuori e dentro il governo. Poi c’è la saga dei coniugi Phil e Wendy Gramm, inzuppata nel conflitto d’interessi a tal punto da essere grottesca. Nel 1992 la Enron ricevette favori dalla US Commodity Futures Trading Commission sotto la direzione di Wendy Gramm. Fatto il favore, la signora Wendy lasciò la commissione e divenne membro del consiglio di amministrazione della stessa Enron. Indisturbato, suo marito Phil, finanziato in politica da Enron, sedette al Senato degli Stati Uniti fino al novembre del 2002 dove sfacciatamente coprì Enron fino all’inevitabile crack. Berlusconi sembra la bottega del calzolaio della Fantuzza di Medicina confronto a questi. Travaglio lo sa benissimo, mai che s’intacchi il “Paese serio” governato da ‘Government Sachs’.


3) Tangentopoli, vergogna italiana


Idem come sopra, ma peggio. Negli USA le mazzette sono state molto più immorali di quanto Craxi abbia mai saputo fare. La più recente Tangentopoli americana ha trionfato sul sangue di oltre un milione di iracheni e oltre 4.600 americani, e su una nazione ridotta in macerie. Guerra in Iraq, Cheney dirige le operazioni ed è un uomo della Halliburton (si legga sopra). Halliburton importava in Iraq del petrolio sotto la supervisione USA, e lo metteva in vendita ai civili iracheni. Fu scoperto che frodavano gente ridotta alla disperazione facendosi pagare il greggio 2,64 dollari al gallone, quando l’esercito americano lo poteva importare per soli 1,57 dollari. Una tangente più ignobile di questa è difficile da ricordare. La consociata della Halliburton, Kellog Brown & Root (KBR), si face pagare 73 milioni di dollari dal governo di Bush jr. per le roulotte destinate alle truppe statunitensi; si scoprì che il preventivo per delle caserme in muratura costruite da altri era della metà esatta, Halliburton aveva amici alla Casa Bianca. KBR intascò poi 88 milioni di dollari per tre milioni di pasti destinati alle truppe che in realtà non furono mai forniti. La stessa ditta ottenne dai soliti noti l’appalto per le riparazioni radio dell’esercito statunitense in Iraq, un’attività espropriata ai tecnici militari americani e pagata alla KBR sei volte di più del preventivo dell’esercito USA. Halliburton organizzò in Iraq i cosiddetti Burn Pits, e cioè degli immensi roghi dove gettava equipaggiamento nuovo ma solo leggermente difettoso, oppure camion e jeep perfettamente funzionanti ma con un semplice pneumatico forato. Ogni pezzo di equipaggiamento così sprecato veniva poi rimborsato da Washington a prezzo di nuovo. La Tangentopoli USA ha anche visto cifre da capogiro passare dal governo a grandi aziende come Carlyle, DRS Technologies, Engineered Support Systems, United Defence Industries, e da queste aziende tornare in parte ai sopraccitati politici in contributi elettorali e, una volta usciti dai loro mandati, in consulenze milionarie. Travaglio è silente su tutto ciò.

4) In America Obama è stato eletto coi soldi della gente. In Italia i politici si fanno leggi e trucchi per finanziarsi i partiti.


Nel Paese col più colossale conflitto d’interessi al mondo non occorrono leggicole per trovar soldi, perché i soldi sono il governo e il parlamento, punto. I ‘ladroni’ italiani sono solo rimasti indietro, e devono rubacchiare per stare in politica. Negli USA le corporations e le lobby finanziarie semplicemente dividono elargizioni da capogiro fra i due massimi partiti a seconda di chi gli promette più favori. Un’occhiata alla documentazione della Federal Election Commission americana toglie ogni dubbio su quanto ho appena affermato. Per venire a Obama, nel 2008 egli ha preso un totale di 116 milioni di dollari dal comparto Wall Street, Farmaceutici, Assicurazioni Salute, Avvocatura, Computers, e i cosiddetti soldi della gente sono in realtà suddivisi in un pool di spiccioli da parte dei cittadini comuni, e un mare di milioni di dollari in donazioni di singoli capitalisti e investitori. Il modello Neoliberale che Travaglio esalta è proprio quello che si fregia di aver introdotto la corsa al Libero Mercato nel finanziamento alla politica, con i risultati di cui la maggioranza degli americani si vergogna.

5) Freedom House


E’ l’organizzazione che per qualche tempo è sembrata tutt’uno con Marco Travaglio, anzi, sembrava l’avesse fondata lui, ne parlava sempre. E’ quella che stila ogni anno le classifiche della libertà d’informazione negli Stati. E poiché aveva riservato all’Italia del Cavaliere un piazzamento pessimo, allora apriti cielo… la Freedom House qui, la Freedom House là, la Freedom House su, la Freedom House giù… tutti gli adoranti seguaci del cronista a citarla, strombazzarla, gridarla, conviti tutti, a centinaia di migliaia in Italia, che si tratti di un’autorevole bastione della democrazia dove belle anime dedite ai diritti civili studiano per svelare al mondo i despoti massmediatici come Berlusconi. Una balla olimpionica, e naturalmente pedalata a tutta forza da Travaglio, perché si tratta invece di un bastione di canaglie di destra e neoliberali con un pedigree da far vomitare. Ecco la Freedom House:

Fondata nel 1941, giudica il lascito storico americano in Asia come “straordinariamente valido”, chissenefrega delle fosse comuni di oltre 2 milioni di filippini e di indonesiani trucidati direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti. E’ contigua alle maggiori lobby ebraico-americane pro Israele, come l’AIPAC o il B'nai B'rith, con loro uomini del consiglio d’amministrazione. Con Reagan promuove i ‘valori’ americani nel Centro America, cioè le squadre della morte del Salvador e i Contras del Nicaragua, responsabili dell’annientamento della società civile di quei Paesi (gli USA condannati nel 1986 alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja per “terrorismo”). Giudica le elezioni salvadoregne di quell’epoca come “ammirevoli”, mentre gli Stati Uniti e il battaglione Atlacatl massacravano migliaia di contadini civili. Giudica le elezioni razziste della Rodesia di Ian Smith come “libere” (sic). Vi ha lavorato Otto Reich, lobbista per l’industria di armamenti Lockheed-Martin coinvolto nello scandalo Iran-Contras. Nella Board of Trustees della Freedom House hanno militato i più noti neoconservatori del club di George W. Bush, come Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, Jeane Kirkpatrick, Samuel Huntington, Zbigniew Brzezinski, l’ex capo della CIA James Woolsey. Zbigniew Brzezinski era a busta paga della Amoco, che nel 1997 aveva interessi petroliferi in Azerbaijan. Ma l’ Azerbaijan di Geidar Aliyev era un incubo dei diritti umani e questo non figurava benissimo, per cui che fare? Brzezinski si piazzò alla Freedom House ed ecco che nel suo rapporto sulla libertà nel mondo l’Azerbaijan di colpo salì di merito: via ai contratti del petrolio. Ha criticato il governo tedesco nel 2001 per aver messo fuori legge la propaganda nazista su Internet (sic). Il fondo del grottesco si tocca nei voti al Sudafrica dell’Apartheid, anch’esso “quasi libero”. Travaglio sa questo, non è un ignorante, e di nuovo usa una cloaca di destra neoliberista e neoconservatrice come arma per attaccare il nostro ‘regime’ (quel ‘regime’ fra parentesi che gli permette di stare in prima serata Tv da 5 anni).

6) In America chi froda lo Stato va in galera.


Falsificare la realtà oltre il livello di quest’affermazione richiede genio. Se Marco Travaglio pronunciasse questa menzogna in un bar della Middle America sarebbe linciato, meglio che ste oscenità le dica al sicuro alla RAI dei suoi patron. Ecco chi va in galera negli Stati Uniti per aver frodato lo Stato: una ragazza madre nera dell’Ohio con due bimbi che ha mentito sulla residenza per ottenere fondi pubblici per mandare i suoi figli in una scuola migliore. L’hanno processata e il giudice ha insistito su una condanna modello di 5 anni di carcere (commutata dopo rivolta popolare). Ecco chi NON va in galera negli Stati Uniti: gli autori della più scandalosa frode finanziaria della storia dell’umanità, quella che è costata il lavoro a 30 milioni di esseri umani, che ha messo in ginocchio l’economia mondiale, e che sarà pagata da due generazioni di nostri figli almeno. Sto parlando dell’amministratore delegato di Goldman Sachs Lloyd Blankfein e di John Paulson, proprietario dell’omonimo Hedge Fund, che da una parte vendevano a cittadini, pensionati, Comuni e banche miliardi di dollari in prodotti finanziari che i loro tecnici in telefonate intercettate chiamavano “merda” “fogne”, ma che i loro complici della agenzie di rating garantivano come eccellenti, mentre dall’altra scommettevano miliardi che gli stessi prodotti sarebbero falliti (trascinandosi dietro milioni di risparmiatori e famiglie). Non va in galera Joseph Cassano della AIG, che con una frode da 500 miliardi di dollari ha messo in ginocchio il sistema creditizio del pianeta, con conseguenze così drammatiche da essere già scritte nei libri di Storia. Non è in galera Dick ‘il gorilla’ Fuld, il boss di Lehman Brothers, che ha compiuto pressoché tutti i reati di falso in bilancio esistenti nella giurisprudenza americana, che ha evaso 250 milioni di dollari, che ha mentito sotto giuramento al Congresso USA. Non sono in galera, e sapete dove sono? A contare i milioni su milioni che hanno invece guadagnato dai loro reati: Goldman incassa dalla crisi che ha alimentato con immensi inganni 15 mila milioni di dollari di bonus per i suoi manager– John Paulson incassa dalla medesima truffa 12 mila milioni di dollari – Joseph Cassano 315 milioni di dollari – Dick Fuld 485 milioni di dollari, e i suoi 5 top managers mille miliardi di dollari. E questi sono solo la punta dell’iceberg, ce ne sono centinaia di impuniti così in America. Mi si dirà che uno in galera c’è, si chiama Bernard Madoff. Prima cosa Madoff ha frodato per cifre ridicole confronto ai sopraccitati, secondo non era coinvolto nel grande crimine di Wall Street, e infine costui sta dentro per un solo motivo: perché le sue vittime erano miliardari di New York, e non pensionati, insegnanti, camionisti, o coppie di semplici impiegati freschi di nozze. Questa è la realtà del “Paese serio” che Travaglio propaganda incessantemente, descritta da quelli che questo usciere nostrano non citerà mai, come il senatore Carl Levin, che ha detto: “Questa è la storia di un assalto finanziario che è costato a milioni di americani i loro lavori e le loro case, mentre ha spazzato via chi investiva, le aziende sane e i mercati... E’ una lurida storia di conflitti d’interesse e di estrema cupidigia”.

E c’è molto di peggio, perché nel “Paese serio” di Travaglio, il sistema giudiziario è forse ancora più corruttibile del nostro. Domanda: perché la magistratura americana non è riuscita a fermare quei banditi prima del crollo? Risponde il giornalista investigativo Matt Taibbi, da sempre alle calcagna di Wall Street: “Perché nella magistratura americana ci sono conflitti d’interesse e pressioni politiche sconcertanti. Tutti i più autorevoli magistrati o funzionari incaricati di sorvegliare Wall Street si erano venduti a Wall Street, nei nomi di Mary Jo White, Linda Thompson, Gary Lynche, Paul Berger, cioè hanno lasciato i pubblici uffici e sono diventati consulenti delle grandi banche, con stipendi da tre o quattro milioni di dollari all’anno. Il segnale per i colleghi è preciso: non disturbare le banche, se no a fine mandato addio alle consulenze milionarie. I pochi che invece hanno tenuto fede al mandato di giustizia sono finiti malissimo. Due brevi esempi: uno è Gary Aguirre della Security Exchange Commission, indagava sul banchiere John Mac, amico di Bush jr. e di Hilary Clinton e coinvolto nell’insider trading. La SEC gli dice “non continuare”, Aguirre insiste, è licenziato su due piedi. Poi Oliver Budde, avvocato, prima cacciato dalla Lehman per essersi rifiutato di truffare, poi ignorato dai magistrati quando si rivolse a loro per denunciare Lehman. Oggi è un uomo bruciato”. Nel “Paese serio” di Travaglio, quando uno degli impuniti della Mafia finanziaria è sotto il mirino dei pochi magistrati ancora integri, ci pensa il sistema stesso a garantirgli l’impunità. Sempre Taibbi: “L’attuale capo del braccio investigativo della SEC, Robert Khuzami, incontra gli avvocati di Wall Street e gli dice: abbiamo una nuova politica, per cui se i vostri clienti sono indagati o già sotto accusa, potete venire da noi e noi vi diciamo se i magistrati vi stanno incriminando. Se sì, potete patteggiare con noi un condono, e non avrete più problemi”. Immaginate una legge del genere proposta da Berlusconi. Ma gli strali di Travaglio viaggiano solo nella direzione del Paese non serio, e mai verso i lidi di ‘Government Sachs’. Eppure queste realtà sono davanti agli occhi di chi di mestiere fa (farebbe) il cronista.


Che i lettori sappiano cosa accade inoltre nei “Paesi seri” del Neoliberismo anglosassone sdoganati da questo usciere del Vero Potere: ci sono 40 milioni di persone che mangiano una sola volta al giorno (USA, dati Dipartimento dell’Agricultura); ci sono 45 milioni senza assistenza sanitaria (USA) con Obama che ha fatto una riforma che ha regalato per legge 70 miliardi di dollari alle assicurazioni private; c’è il sistema scolastico più iniquo del Pianeta (USA); c’è un ministro del lavoro che si chiama Jeffrey Immelt, che era l’AD di General Electric con metà della sua forza lavoro delocalizzata in Cina… è ministro del lavoro! (USA); ci sono le menzogne dell’ammirato Obama (da Travaglio) che parla di iniquità sociale e ha appena varato tagli al budget che “per ogni dollaro preso dalle tasse dei ricchi ne ruba 2 da istruzione, sanità, e benefit alle famiglie” (USA, da The Nation); c’è una situazione di Stato Sociale talmente disastrosa che Medicines du Monde ha dovuto aprire delle tende per fornire assistenza sanitaria ai poveri del quartiere di Hackney a Londra (GB); c’è un abbandono industriale che, secondo il The Guardian, “ha riportato i livelli di povertà nel nord industriale ai livelli Vittoriani della fine ottocento” (GB). Fa venire la nausea quando il falsario Marco Travaglio, uno degli uomini più informati d’Italia, infarcisce le sue prediche ad Annozero con parole come “i poveri operai italiani… il futuro dei precari”, lui che incessantemente nasconde tutti i sopraccitati disastri sociali ma esalta i loro potenti esecutori nei “Paesi seri”.

Questo usciere del Neoliberismo finanziario è celebre per la sua lotta a un politico italiano che nella scala dei pericoli per la democrazia e per la Costituzione del nostro Paese sta al ventesimo posto e forse più sotto. Chi ha letto Il Più Grande Crimine sa benissimo di cosa parlo e come l’ho documentato. I veri crimini che Travaglio deve far espiare a Berlusconi non sono affatto le leggi ad personam o la sua possibile contiguità con la Mafia regionale, ma il fatto che “Berlusconi vuole evitare le urgenti riforme strutturali del mondo del lavoro e delle pensioni”, come confessa al New York Times l’opinionista del Fatto Quotidiano Fabio Scacciavillani, uomo di Goldman Sachs e degli Hedge Funds dentro il giornale del buon Marco; e il fatto che “Berlusconi è un nemico dichiarato del Libero Mercato che non fa ciò che è necessario”, scritto in prima pagina dal Wall Street Journal nel marzo 2008. E’ per questo che Travaglio lavora forsennatamente per sdoganare alla sinistra italiana degli elettori PD e IDV, ma anche oltre, il modello Neoliberista anglosassone responsabile della morte della democrazia e del più feroce attacco ai salari della Storia moderna. E lo fa ingannando in prima serata Tv. Ora lo sapete.



di Paolo Barnard

Siria: attenti al copia/incolla


Secondo i media internazionali, quelli che non hanno corrispondenti sul posto ma influenzano migliaia di media locali in tutto il pianeta, ieri in Siria ci sarebbero stati decine, se non centinaia di morti. Il canale ‘all news’ Rai News, questa mattina apre i suoi notiziari affermando che “ieri a Damasco ci sono stati 112 morti nella repressione governativa delle manifestazioni, compresi inevitabilmente alcuni bambini. Lo affermano fonti dell’opposizione”. E poi? C’è qualche conferma da parte di fonti indipendenti locali? C’è qualche giornalista occidentale che si trova in Siria che possa testimoniare delle stragi di ieri? Non è dato sapere.

Come per i primi giorni della rivolta di Bengasi contro Gheddafi, a trasformarsi in titoli da prima pagina sono i brevi e incontrollabili post su Facebook e su Twitter di qualche ‘blogger’ locale. Che poi, magari, vive a Londra o a Washington o a Dubai.....

E che scrive non quello che sa o che ha visto, ma quello che qualcuno gli ha raccontato o più semplicemente quello che va detto affinché i media del mondo possano avviare una campagna univoca fatta di ‘si dice’, ‘sembra che’ ecc. Le forze dell’opposizione, è ovvio, hanno tutto l’interesse ad amplificare i numeri della repressione. E’ nell’ordine delle cose. Ma dovrebbe essere anche nell’ordine delle cose che un giornalista controlli una notizia prima di spararla da una tv, da un sito internet, da una radio o da un quotidiano.

Come dicevamo sono pochissimi i media che hanno voluto o sono riusciti a mandare un corrispondente a Damasco. Perché quello siriano è un regime poliziesco e autoritario e non ama i ficcanaso. Ma anche perché per i giornali o influenti catene televisive come Al Arabiya, Al Jazeera o la Cnn non importa molto il reperimento diretto e incrociato delle notizie da divulgare.

Anche molti media schierati a sinistra non stanno facendo eccezione, e come già avvenuto per la Libia, anche per la Siria si parla di stragi, di manifestazioni pacifiche, di opposizione e di repressione, senza preoccuparsi molto di analizzare la veridicità delle diverse fonti e di mettere insieme elementi storici, politici e geopolitici che comporrebbero altrimenti un quadro assai meno schematico e semplicistico rispetto a quello binario ‘dittatore vs opposizione democratica’. Che quello siriano sia un regime, lo ripetiamo, è certo. Che abbia fatto ricorso spesso alla repressione, agli arresti arbitrati, alla tortura dei dissidenti è altrettanto certo. Ma è certo anche che da anni le amministrazioni di Washington, Tel Aviv e Riyad si stiano adoperando, con tutti i mezzi a loro disposizione, per far saltare un regime – quello di Damasco – poco incline a piegarsi ai loro interessi. Così come è certo che le cosiddette ‘opposizioni democratiche’ che scendono in piazza da settimane in Siria spesso fanno riferimento a forze dell’estremismo islamico a volte anche legate ai Salafiti quando non a lobby di stanza a Londra e Washington o addirittura a pezzi del regime stesso caduti in disgrazia dopo faide interne finite per loro male.

E’ possibile che una notizia bomba diffusa da Wikileaks – gli ingenti finanziamenti dell’amministrazione Bush prima e di quella Obama dopo all’opposizione siriana – sia stata presto accantonata dai media?

Grazie a delle comunicazioni tra pezzi dell’amministrazione USA (segrete, ma pubblicate dal sito di Assange e poi riprese dal Washington Post) è emerso come finanziamenti per almeno 6 milioni di dollari, se non di più, siano stati autorizzati da Washington per sostenere gruppi politici e attività antigovernative in Siria. Tra le altre, anche quelle di Barada Tv, una televisione di esiliati siriani basata a Londra.

I principali beneficiari dei finanziamenti USA sarebbero i ‘dissidenti’ riuniti nel Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo, anche questo con sede a Londra. Uno sparuto gruppo che però, grazie ai biglietti verdi ottenuti da Washinton, ha potuto mettere su una tv satellitare, Barada Tv, tramite la quale aizzare e disinformare la già scontenta popolazione siriana. Una popolazione scontenta per la crisi economica e per la disoccupazione, causate in qualche modo proprio da quelle aperture all’economia di mercato e alle liberalizzazioni che il regime siriano ha adottato per venire incontro alle pressioni della cosiddetta ‘comunità internazionale’ e che ha impoverito i settori più deboli della società siriana. Un malcontento che, come spesso avviene nel mondo arabo, ha assunto la forma di una disputa religiosa, con i gruppi della cosiddetta opposizione che soffiano sul fuoco in un paese che, nel bene e nel male, ha sempre assicurato la pace e la convivenza tra le varie comunità: sunniti, cattolici, ortodossi, maroniti ecc.

E così, aizzati dai gruppi estremisti foraggiati dalle petromonarchie del Golfo o dai gruppi dell’esilio dorato di Londra, alcuni settori della popolazione siriana hanno cominciato a denunciare quella che viene descritta come la dittatura laicista degli alauiti di Assad sostenuti dai cristiani. Strano paradosso quello di chi in Italia addossa la colpa del degrado della nostra società al monopolio televisivo berlusconiano e poi non riconosce gli stessi meccanismi manipolatori nell’opera quotidiana di disinformazione delle più potenti tv del Qatar o dell’Arabia Saudita…

Anche un sito solitamente ben informato come Peacereporter cade nella trappola dello schema binario, secondo il quale se Assad è un dittatore chi gli si oppone non può che essere democratico. Di seguito riportiamo la spigolosa corrispondenza di ieri di Peacereporter scritta da Noemi Deledda (che comunque ha almeno il pregio di essere stata scritta da Damasco)

(...)

Il pezzo della Deledda liquida in poche righe le pressioni e le interferenze straniere di vari regimi - Arabia Saudita, USA e Israele - contro Damasco e ribalta contro alawiti e cristiani l’accusa di farsi strumentalizzare dal regime attraverso la classica carta della denuncia del ‘complotto esterno’. E accusa la comunità internazionale di non intervenire, chiedendo quasi, implicitamente, un intervento duro contro Damasco. Lo stesso appello sta venendo in questi giorni dal Tg3. A quale intervento si allude? Alle sanzioni, o anche ai bombardamenti?

Più equilibrata la corrispondenza di Martina Iannizzotto pubblicata da NenaNews, anche questa scritta da Damasco. Anche se i ‘si dice’ e i ‘sembra che’ anche qui abbondano...:

“Migliaia di partecipanti sono scesi in strada oggi a Daraa, Bania, Homs, Hama, Deir Al Zoor, Ain al Arab, Qameishi, Aleppo, in numerosi villaggi e nei sobborghi di Damasco (Duma, Harasta, Mohamaya, Darraya). Le forze di sicurezza hanno disperso le proteste con lacrimogeni, cannoni ad acqua ed in alcune situazioni hanno aperto il fuoco. Le agenzie internazionali parlano di vittime a Duma (sobborgo di Damasco), a Izraa (villaggio vicino Daraa), a Mohamadiya (altro sobborgo di Damasco), a Barzeh (sobborgo di Damasco), ad Homs. Secondo gli attivisti il numero delle vittime, fissato stasera ad almeno 60, é destinato a crescere. Inoltre molti feriti non si recano presso gli ospedali per le medicazioni per paura di essere identificati ed arrestati dalle forze di sicurezza.

Da parte sua il sito dell’agenzia ufficiale SANA non riporta vittime, afferma che la popolazione non ha seguito i consigli del Ministro dell’Interno che aveva chiesto di non partecipare a manifestazioni e che le forze dell’ordine sono dovute intervenire con lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere le proteste al fine di proteggere i cittadini e la proprietà privata. Le notizie giungono ancora da filmati di manifestanti e testimoni oculari.

Ieri, con la firma del presidente Bashar al Assad, é stata ufficialmente adottata la legge che cancella lo stato d’emergenza. Allo stesso tempo é stato approvata la norma che regolamenta le manifestazioni pacifiche, per cui é necessario ottenere un’autorizzazione dal Ministero dell’interno 5 giorni prima, specificare il luogo, l’oggetto ed anche gli slogans delle manifestazioni.

La tensione in previsione della giornata di oggi era salita da giorni. Teatro principale delle proteste (20 vittime) é dalla scorsa settimana Homs, terza città della Siria, importante centro industriale, dove lunedì si era tenuto un sit-in nella centrale piazza dell’orologio che i manifestanti avevano rinominato “Tahrir square” in omaggio alla piazza della rivoluzione egiziana, piantando delle tende, disperso dalle forze dell’ordine.

Da lunedì sera l’esercito circonda Homs e da ieri carri armati sono appostati nel centro della città. L’esercito é presente anche a Banias e Daraa, le altre due città teatro delle proteste. Anche a Damasco ieri era aumentata visibilmente la presenza di forze di sicurezza. Nei dintorni della capitale, nei sobborghi dove nelle scorse settimane si sono registrati disordini come Duma, Harasta, Barzeh, la polizia hanno allestito posti di blocco.

Oggi il centro di Damasco era letteralmente deserto, con gran parte della popolazione chiusa in casa. Nelle vie adiacenti a piazza degli Abbasseen, grande rotonda vicina al centro, dove lo scorso venerdi’ le forze di sicurezza hanno disperso un corteo proveniente dai sobborghi di Damasco, si vedevano appostati ad ogni angolo bande di uomini in borghese con manganelli, bastoni elettrici e qualche fucile.

Damasco, con oltre quattro milioni di abitanti su una popolazione di 22 milioni di siriani, non ha visto scendere in piazza numeri significativi. Sono nei sobborghi della capitale, come Darayya e Mohamaya, si sono registrate proteste. Secondo un giovane, Munir: “molti degli abitanti di Damasco sono commercianti, parteggiano per lo status quo per non rovinare gli affari. Nel corso della storia Damasco non e’ mai stata conquistata e distrutta, ne’ dagli ommaiadi, né dagli ottomani. Scenderanno in piazza quando sara’ chiaro chi sara’ il vincitore”.

Con il passare delle settimane, gli slogan dei manifestanti si stanno trasformando da richieste di liberta’ e riforme alla domanda di un cambiamento di regime. Il fronte delle proteste appare variegato, molto legato al contesto delle varie localita’, ma con il tempo cresce la capacita’ organizzativa ed il numero dei partecipanti. Le concessioni del governo, anche se significative, non sembrano più in grado di soddisfare quella domanda di cambiamento radicale che sta emergendo, anche se a tratti confusamente.”

La collaboratrice di Lettera 43 Antonella Appiano, sempre da Damasco, si fa qualche domanda in più su quanto sta accadendo, e soprattutto si preoccupa di dar voce a quei settori della società siriana che forse non amano più di tanto gli Assad, ma che si chiedono se l’alternativa proposta dalle opposizioni non sia peggiore rispetto all’attuale status quo:

“La minoranza cristiana di Damasco e la parte moderata della città continuano a esprimere quindi il timore che la situazione possa precipitare e portare il Paese nel caos dell’Iraq o in una suddivisione simile a quella del Libano. Nella capitale, ora si parla con insistenza della presenza di gruppi armati salafiti, un ramo radicale dell’Islam sunnita. E della mancanza di leader e piani precisi nell’opposizione. Una tesi sotenuta anche da Bassam al-Kadi, che avevo intervistato all’inizio delle manifestazioni in Siria. «I gruppi su Facebook operano dall’estero», dice ancora Najar. «Dall’America. Dalla Gran Bretagna. Ma chi gestirà la transizione nel caso di un rovesciamento del governo? E come? No, non ho fiducia nei fuoriusciti. Seguo le dichiarazioni che fanno in Rete, dal loro mondo dorato all’estero».

E cita Ammar Abdulhamid, oppositore esiliato nel 2005, che oggi vive nel Maryland, negli Stati Uniti. «Lui, come gli altri, ingenui, minimizza il pericolo. Tante parole. Nessun piano concreto. La legge di emergenza non c’è più. Questo è un risultato concreto invece».

Ma sulle ultime decisioni delle autorità (la revoca dello stato di emergenza, l’abolizione dei tribunali di sicurezza dello Stato e l'autorizzazione a manifestare pacificamente) i pareri sono discordanti.

La città ancora una volta è divisa tra chi ritiene che «un passo importante sia stato fatto nella direzione di un cambiamento che porterà alla democrazia» e chi invece interpreta l’annuncio solo come un atto formale. Un giovane attivista che chiede di rimanere anonimo, dichiara: «Vogliamo la democrazia. Ora. Le riforme non bastano più»”.

Noi, da Roma, non siamo naturalmente in grado di offrire una versione sufficientemente esatta di quanto sta avvenendo in Siria. Però ci poniamo molte domande. Che servono a comprendere la realtà sicuramente di più rispetto al copia e incolla dalle veline dei media finanziati dalle petromonarchie feudali del Qatar o dell’Arabia Saudita…


di Marco Santopadre
tratto da: http://ariachetira.blogspot.com/2011/04/siria-attenti-al-copiaincolla.html

"Il presidente che è diventato un attore" : E l'Oscar di quest'anno va a ... Barack Obama


Se Ronald Reagan era conosciuto come l'attore che è diventato un presidente, forse Barack Obama dovrebbe diventare noto come il presidente che è diventato un attore.

Ogni movimento del viso manifestato, ogni gesto della mano, ogni parola pronunciata dal 44° presidente, si rivela essere una farsa completa.

Questo è il tizio che correva per la presidenza, presentandosi davanti alla nazione degli Stati Uniti, la mano sul cuore, come il candidato che avrebbe posto fine alla guerra in Iraq e Afghanistan; all'uccisione di civili in questi paesi, e all'abbrutimento dei giovani americani. Due anni dopo, Obama ha indossato il costume del comandante in capo americano con zelo sempre più spaventoso. Lungi dal mettere fine alle guerre, Obama non solo ha aumentato le guerre di aggressione straniera, le ha estese in nuovi territori, compreso Pakistan, Libia e Africa Orientale, aggiungendo innumerevoli vite innocenti in più al numero delle vittime di Washington a livello mondiale.

Questo è il tizio che aveva promesso di chiudere il gulag americano di Guantanamo Bay, dove centinaia di uomini provenienti da rapimenti in varie parti del mondo, sono torturati e detenuti senza processo, non uno di loro condannato. Due anni dopo, la promessa non è stata mantenuta. Le consegne speciali e la tortura degli Stati Uniti sono ancora prassi normale, un fatto sul quale il soldato americano Bradley Manning può testimoniare, semplicemente perché ha mostrato il coraggio morale di dire la verità su questi crimini degli Stati Uniti contro l'umanità.

Questo è il tizio che ha promesso con ipocrita sincerità di dare un nuovo inizio alla politica estera degli Stati Uniti, per rispettare i diritti umani universali. "I diritti umani universali iniziano con la vita di ogni individuo", intonò con la solennità della sua voce e del suo viso ormai diventati un clichè. Due anni dopo, la politica estera degli Stati Uniti ha perfino meno riguardo per i diritti umani sia all'estero che in patria. A Gaza, il più grande campo di concentramento all'aperto del mondo, assediato dalla macchina da guerra israeliana finanziata dagli USA, la retorica di Obama sul rispetto dei diritti degli esseri umani rappresenta una beffa grottesca. Altrove nel mondo musulmano, questo tizio è visto come il geniale pacificatore che ha lasciato scivolare la sua maschera rivelando una brutta faccia guerrafondaia, come tutti gli altri suoi predecessori.

Questo è il tizio che finge di fare la migliore offerta al pubblico degli Stati Uniti sul deficit di bilancio ,difendendosi con eleganza dai repubblicani con l'accetta. "Io non voglio fare tagli per 6.000 miliardi di dollari, voglio tagliare solo 4000 miliardi di dollari", per parafrasare la sua falsa logica. Come se si trattasse di un'alternativa benevola che il popolo americano proprio non può rifiutare. Così il tizio che un tempo, apparentemente, ha pianto sui poveri del centro di Chicago ora scatena una massiccia austerità su molti più poveri americani e sull'oppressa classe lavoratrice, tagliando 4.000 miliardi di dollari a danno di Medicaid e Medicare, l'istruzione pubblica, il benessere sociale e i posti di lavoro. In nessun punto il nostro presunto cavalleresco ed intellettuale eroe Obama sembra essere in grado o disposto a pensare fuori dagli schemi, entro i quali l'aristocrazia delle corporazioni ha sepolto i suoi vampiri politici di Capitol Hill. Che ne direbbe di mettere fine alle guerre da migliaia di miliardi di dollari che avrebbero dovuto finire? O di ri-appropriarsi dei trilioni di dollari che ha profuso sui banksters? O di invertire le agevolazioni fiscali per quelli che sono già oscenamente ricchi.

Queste alternative potrebbero dare molto più senso all'economia, alla giustizia e alla pace che non l'attacco di Obama a quelle stesse persone che lo hanno votato per fare un cambiamento.

Ma soprattutto, questo è il tizio che ha dimostrato di poter mentire con una faccia ipocrita, sorridere dolcemente quando riferisce di aver ucciso persone innocenti con droni aerei, e portare quasi una lacrima agli occhi quando parla di "non poter ignorare i valori umanitari in Libia "[per poi procedere a sorvegliare il bombardamento dei civili in quel paese e nello stesso tempo, senza interrompere il massacro di civili da parte di un alleato degli Stati Uniti in Bahrain].

Così, alla prossima cerimonia Oscar, deve essere aperta una categoria speciale per Barack Obama, in qualità di presidente degli Stati Uniti. Egli potrà quindi esporlo insieme al suo premio Nobel per la pace - e, a pensarci bene, potrebbe anche essere nominato per "la sceneggiatura più divertente".

di Cunningham Finian (Global Research)
Tratto da: http://ilupidieinstein.blogspot.com/2011/04/presidente-che-e-diventato-un-attore-e.html

Una orribile decisione


L'Italia, dopo tanti tira e molla di Berlusconi e Frattini, ha deciso di partecipare al massacro della popolazione e delle città della Libia leali a Gheddafi dopo il golpe dei gruppi cirenaici sostenuto dalla Francia ed ora da tutto l'Occidente. La Francia, invidiosa della intensità delle relazioni commerciali ed industriali tra Libia e Italia che dura da quaranta anni e che produce un esport-import di oltre venti miliardi di euro l'anno e dà lavoro in Libia a diecine di migliaia di ingegneri tecnici imprenditori italiani, è stata la più baldanzosa della Triade con USA e Gran Bretagna nell'assalto a Gheddafi. Il Capo della Libia è stato ricevuto poco tempo fa in Eliseo e niente lasciava presagire l'odio di Sarcozy che sarebbe da li a poco traboccato. Gheddafi è stato corteggiato da tutto l'Occidente per le enormi disponibilità finanziarie della Libia alle quali attinge per aiuti fin dai tempi di Agnelli e della sua partecipazione al capitale della Fiat. La guerra contro la Libia ha consentito all'Europa ed all'USA di sequestrare i fondi sovrani e questo è servito assai probabilmente a mettere una pezza alla crisi finanziaria dell'Occidente. Una vera e propria rapina a mano armata.

Nel quarantennio di governo di Gheddafi la Libia ha conosciuto il più lungo periodo di prosperità della sua storia. Si è affrancata dal colonialismo italiano iniziato dal 1911 con Giolitti e proseguito fino a tutto il periodo fascista. Ha saputo costruire con l'Italia un rapporto positivo e quasi di vicinanza che ha voltato pagina sul terribile passato di atrocità e sofferenze inflitte alla sua popolazione. Questo rapporto positivo è continuato nel tempo ed ha impegnato tutti i governi da Andreotti in poi. Soltanto nell'ultimo decennio sono stati firmati dall'Italia tre trattati da Giuliano Amato nel 2002, da Prodi nel 2007 e da Berlusconi nel 2009. L'Italia ha ricavato grandi frutti da questa politica di pace che l'ha caratterizzata suscitando molte simpatie nel mondo arabo. Ora si scopre improvvisamente che Gheddafi è un sanguinario tiranno che massacra il suo popolo. L'aggressione alla Libia é stata concepita in Francia, in Inghilterra ed in Usa per colpire assieme alla Libia anche l'Italia mostratasi indisciplinata nella politica energetica con gli accordi triangolari Libia-Italia-Russia.

Sgomenta la decisione del PD di aderire ai bombardamenti. Perchè lo fa? Perchè è preminente nel PD il problema del ritorno al governo rispetto agli interessi della pace e dell'Italia. Il PD fa da sponda agli USA e preclude a Berlusconi di fare una politica diversa dai diktat che arrivano da Washington. La Lega, che non ha mai avuto il problema della legittimazione oltreatlantica del suo gruppo dirigente, si schiera decisamente contro la guerra. Ma anche i suoi spazi sono limitati dallo sbarramento guerrafondaio del PD ed alla fine dovrà acconciarsi.

Questa decisione dell'Italia è orribile se pensiamo che l'interesse nazionale era ed è non solo di non partecipare alla guerra, ma addirittura di impedirla. Ma non c'è niente da fare. Siamo una colonia con 113 basi militari USA nel nostro territorio che servono assai più contro di noi che contro ipotetici nemici che non esistono dopo la caduta dell'URSS avvenuta venti anni orsono.

Con i bombardamenti l'Italia interrompe il quarantennio e ritorna al colonialismo feroce del fascismo che usava gli aerei del generale Magliocco per gasare la popolazione. Ora i nostri aerei lanceranno bombe all'uranio che faranno morire diversamente la popolazione che subito non viene uccisa con le radiazioni ed infine con le nascite di bambini deformi.

L'Italia stiracchia quanto più è possibile la decisione dell'ONU che prevedeva soltanto la fly zone. Ma l'ONU, massimo ruffiano degli USA, chiuderà un occhio e semmai si prepara ad assecondare lo sporco gioco in corso contro la Siria.

Il PD con la decisione di bombardare chiude con il pacifismo e diventa organico alla ideologia militarista del liberismo neocon. Purtroppo anche l' ANPI, la gloriosa associazione dei partigiani recentemente colonizzata dal PD, si è pronunziata e sostiene la guerra. Questo nella giornata anniversario della guerra di Liberazione e della Resistenza.

La soddisfazione mostrata dai rivoltosi per la decisione dell'Italia è la conferma del suo errore. L'errore di giocare alla roulette della morte in una avventuristica e rischiosa decisione che cambia il destino del Mediterraneo.
(...)

di Pietro Ancona
tratto da: http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/2011/04/una-orribile-decisione.html

lunedì 25 aprile 2011

Conoscete l’Aspen Institute Italia?

In questo Aspen Institute riconosco molti tratti caratteristici della Massoneria ... Leggete e ditemi se sbaglio...
Info Tricks

Conoscete l’Aspen Institute? La maggior parte di voi, sono sicuro, non ne ha mai sentito parlare. Ma non c’è da meravigliarsi, adesso vi spiegherò e capirete da voi la vostra “ignoranza”.

L’Aspen Institute è un’organizzazione internazionale non profit, fondata nel 1950 da un gruppo di intellettuali e uomin d’affari americani convinti della necessità di rilanciare il dialogo, la conoscenza e i valori umanistici in una realtà geopolitica complessa e in continua evoluzione. Il fine ultimo è incoraggiare le leadership illuminate, le idee e i valori senza tempo e il dialogo sui problemi contemporanei. L’istituto e i suoi partner internazionali perseguono la creazione di un terreno comune di comprensione approfondita in uno scenario non ideologizzato attraverso seminari, programmi culturali, conferenze e iniziative di promozione della leadership.

La sede centrale ufficiale è a Washington D.C., ma vi sono dei campus di riferimento ad Aspen, nel Colorado, e a Chesapeake Bay, nel Maryland. Negli anni si è formata una rete internazionale che ha visto la rapida ramificazione dell’istituto in giro per il mondo: Berlino, Roma, Lione, Tokyo, Nuova Delhi e Bucarest etc.

L’Aspen Institute è finanziato da fondazioni come la Carnegie Corporation, la Rockefeller Brothers Fund e la Ford Foundation, attraverso quote di iscrizione a seminari e donazioni individuali. Tra i suoi affiliati ci sono leader della politica, dell’economia e intellettuali. Attualmente Walter Isaacson è il suo presidente mondiale e CEO. Vi domanderete: chi è costui? E’ l’ex presidente della CNN*, il canale televisivo statunitense più potente e conosciuto al mondo. Pensate che quest’uomo ha rinunciato ad una delle poltrone più ambite del pianeta pur di sedere in cima all’Aspen Institute. Da un episodio del genere possiamo dedurre la planetaria importanza di questa organizzazione.

Quello che interessa noi, in questo delicato momento socio-politico che sta attraversando l’Italia, è la sede italiana di questo indefinibile istituto di origine statunitense. Scavando tra i meandri del potere e risalendo i fili dei burattini, forse, avremo una possibilità di scovare la matrice dell’inganno democratico in cui siamo stati imprigionati.

Aspen Institute in Italia.

L’organizzazione, ufficialmente inzia ad operare sul territorio italiano nel 1984. Di forte caratterizzazione transatlantica, del resto la storia parla da sè, l’Aspen Institute Italia ha due sedi: a Roma in Via SS. Apostoli 49 e a Milano in Via Vincenzo Monti 12. L’attuale presidente della sezione italiana è Giulio Tremonti, Ministro dell’Economia e della Finanza dell’attuale Governo italiano.

L’Aspen Institute Italia riunisce il meglio dell’industria italiana, delle banche e delle assicurazioni, della cultura e della politica, non c’è settore che manchi all’appello: Generali, Fincantieri, Confindustria, la Rai, Mediaset, Pirelli, Poste Italiane, società Autostrade, Enel, Fiat etc. E’ un elenco incredibile, tutti i capitali italiani, di ogni settore, convergono nell’Aspen Institute come Soci sostenitori. I loro (nostri?) danari, versati ufficialmente tramite una somma annuale uguale per tutti, finanziano le attività dell’organizzazione.

Chi sono i soci sostenitori? Sono quelli che mettono i soldi e vengono ammessi a far parte dell’associazione dal Comitato Esecutivo e sono rappresentati nel Consiglio Generale dell’Istituto dai propri Presidenti, Amministratori Delegati o Direttori Generali. Inoltre ci sono anche i cosidetti Soci ordinari, personalità italiane e internazionali provenienti dal mondo accademico, politico, culturale e dei media, che sono chiamati a far parte dell’associazione dal Comitato Esecutivo, ufficialmente, per la loro fama accademica ed eccellenza professionale. Si legge sul sito italiano che essi “mettono a disposizione dell’Istituto la loro competenza e contribuiscono così alla qualità intellettuale e al patrimonio di idee dei programmi di Aspen, collaborando in forma gratuita alle diverse iniziative. Partecipano, tra l’altro, a gruppi di lavoro e task force che affrontano specifici problemi del panorama politico ed economico internazionale”.

Insomma questi soci non solo portano avanti le loro idee, ma si rendono disponibili ad appoggiare eventi specifici “su tematiche di rilevante interesse strategico“. Ma che significa? Che hanno il potere di veicolare le politiche del paese? Dando un’occhiata ai nomi dei soci ordinari (Enrico Letta, Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Fedele Confalonieri, Lucia Annunziata, Paolo Mieli, Francesco Caltagirone, Cesare Geronzi, Franco Frattini, Gianfranco Fini, Gianni Letta, Luca Montezemolo, Sergio Marchionne, Emma Mercegaglia, Tommaso Padoa Schioppa, Giuliano Amato, John Elkann, Lucio Stanca etc.), più che una fantasiosa supposizione, è la palese oggettività. Non sono certo le “allegre comari di Widsor! Ciò che dico è manifesto, ogni frase presente sul sito ha un che di vago, di generalizzato, di palesemente fuorviante, sembra un “doppio sogno”, con la sola differenza che non è un romanzo di Schnitzler ma la realtà.

Il portale dell’organizzazione è ben strutturato e le fondamente della Comunità Aspen sono esaltate e messe in bella mostra.

Ecco come presentano la loro “identità” e la loro “missione“:

“Aspen Institute Italia è un’associazione privata, indipendente, internazionale, apartitica e senza fini di lucro caratterizzata dall’approfondimento, la discussione, lo scambio di conoscenze, informazioni e valori.

Una congregazione di supereroi che lottano per un mondo migliore. Persone sensibili e lungimiranti che, lontani dalle tentazioni del dio denaro, dirigono il pianeta verso la fratellanza e l’ugualinza sociale. Un gruppo di illuminati che si scambiano preziose nozioni con l’obiettivo rispettabilissimo di sconfiggere i mali che affliggono questa martoriata terra.

La comunità Aspen è composta di Soci Sostenitori, Soci Ordinari, Amici di Aspen e, dal 2001, dagli Aspen Junior Fellows. Dai loro contributi l’Istituto trae le risorse necessarie per il proprio funzionamento. Il network internazionale Aspen è composto da altri centri di attività – indipendenti ma coordinati – con sede negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Giappone, India e Romania“.

….

“La missione di Aspen Institute Italia è l’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese attraverso un libero confronto tra idee e provenienze diverse per identificare e promuovere valori, conoscenze e interessi comuni. L’Istituto concentra la propria attenzione verso i problemi e le sfide più attuali della politica, dell’economia, della cultura e della società, con un’attenzione particolare alla business community italiana e internazionale“.

Riuniti liberamente e senza condizionamenti, qui, le persone possono dar sfogo al loro libero pensiero e scatenare la forza creatrice dell’ingegnosa menta umana. Ora mi volete far credere che tutta questa marmaglia di uomini politici, alta finanza e chi più ne ha più ne metta, non discuta minimamente della politica nostrana? A me sembra inevitabile, anzi ad essere cattivo mi verrebbe da dire che sia lo scopo principale di quest’organizzazione. Dirigere nelle retrovie del clamaore mediatico le sorti economiche e sociali del paese, imponendo politiche ad hoc per tutelare il potere dei veri padroni, a discapito della popolazione, che ricordiamolo è all’oscuro di tutto.

Ergo, immagino che queste armoniose discussioni possano facilmente condizionare o quanto meno influenzare la politica dell’esecutivo, di qualunque schieramento esso sia.

Hanno anche un metodo con cui applicano la loro “mission“, da loro stessi identificato come “metodo Aspen“. Questo “privilegia il confronto ed il dibattito ‘a porte chiuse’, favorisce le relazioni interpersonali e consente un effettivo aggiornamento dei temi in discussione. Attorno al tavolo Aspen discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva“.

Il dibattito a porte chiuse è noto come uno dei migliori metodi per curare le piaghe di questo mondo crudele. Libertà di pensiero a porte chiuse, bel modo di perpetrare il bene comune. Se solo ci avessimo pensato prima! Loro sono gli illuminati e ci hanno pensato molto tempo fa, pochi anni dopo la fine della Grande guerra, e così sono stati in grado di dirigere le sorti di nazioni intere. Alcuni complottisti lo definiscono Nuovo Ordine Mondiale. Bene, credo che l’Aspen sia una delle organizzazioni che fanno capo al progetto citato.

“Lo scopo non è quello di trovare risposte unanimi o semplicemente rassicuranti, ma di evidenziare la complessità dei fenomeni del mondo contemporaneo e incoraggiare quell’approfondimento culturale da cui emergano valori ed ideali universali capaci di ispirare una leadership moderna e consapevole“.

La leadership che intendono loro è la dittatura totalitaria del Nuovo Ordine Mondiale, controllo tramite la paura, una sola neolingua, una sola moneta, un’umanità di automi ubbidienti e servili, oltre lo schiavismo. Uomini-robot, uomini macchine, nati per produrre e consumare, carne da macello per l’incremento del Pil.

Miguel Martinez ha definito l’Aspen Institute, per questa sua aleatorità comunicativa, come una fabbrica di tritanuvole. Questo evidente e premeditato abuso di vacuità e la sua neanche tanto occulta organizzazione piramidale, mi insospettisce, e non poco.

Non ho mai sentito parlare nessun alfiere della libera informazione dell’Aspen Institute, ne ho letto libri rivoluzionari che illustrassero agli italiani beoti come si muovono i burattinai nelle retrovie. Credo che mai e poi mai nei vari “vieni via con me” sentiremo un’arringa che possa risvegliare minimamente il cervello dell’italiano medio. Dormite gente, e sognate con i vostri Travaglio, Saviano, Santoro etc.

Insomma questo Aspen sembra un bel minestrone all’Italiana, un inciucio elevato alla vaghezza. Il punto è che Aspen non è propriamente un’associazione umanitaria, non fa beneficenza ed è lecito pensare che persone del calibro dei suoi membri non si riuniscano soltanto per scambiare quattro chiacchiere sui massimi sistemi o per ricercare la panacea di tutti i mali. C’è dell’altro, lo si intuisce, ma è difficile penetrare la discreta cortina che protegge quel salotto buono dagli sguardi indiscreti e dai sorrisi bipartisan. Nel contempo non è un’associazione segreta, i suoi membri sono conosciuti e chiunque voglia avere informazione sull’Aspen Institute non ha che da andare sul sito internet. Non è la massoneria ma le somiglia molto, mancano capucci e compassi ma il livello di segretezza al di là della formale apparenza è da veri professionisti del potere.

Come si diventa membri dell’Aspen Institute?

E’ una domanda lecita, che dopo aver letto un pò di roba, dovrebbe sorgere spontanea. Allora ancora una volta sono ricorso al sito web italiano dell’organizzazione, per la serie se vuoi nascondere qualcosa mettila in bella mostra, davanti agli occhi di tutti, tanto, vista l’ottusità generale, passerà tranquillamente inosservata. Parto dal gradino più basso dell’organigramma piramidale, dalle new entrioes, cioè i giovani, chiamati “Junior Fellows”. Sul sito vi è scritto che: “Gli Aspen Junior Fellows sono un network internazionale di giovani ad alto potenziale formato dai ragazzi che hanno preso parte ai progetti “Aspen per la Nuova Leadership” nel 1999 e nel 2001, a cui sono aggiunti 22 nuovi membri nel 2004”. Come abbiano fatto questi fortunati ragazzi a partecipare a questi progetti non è spiegato. I requisiti richiesti sono basilari, ma se non sei segnalato da un socio dell’Aspen Institute la possibilità di entrare a far parte della famiglia sono pressochè nulle. E’ chiaro che l’Aspen non è roba per tutti. Come pure è evidente che non si tratta di corsi di formazione regionali a cui noi comuni mortali possiamo prendere parte. Non ho letto di bandi del genere, non mi sarebbe sfuggito. Qui, forgiano e plasmano la classe dirigente del futuro, allevano con dosi massicce di “pappa reale” veri e propri rampolli, predestinati, di “sangue puro” che erediteranno, come le dinastie di un tempo, le sorti del mondo. Poco democratico direi! Non vorrei risultare allarmate ma qui le cose quadrano sempre meno.

Conclusioni

Ho consultato svariato materiale sull’Aspen Institute, c’è tanto da leggere ed è tutto molto inquietante: Bilderberg, Commissione Trilaterale, Club of Rome, CFR etc. Affiorano sempre gli stessi nomi. Saranno coincidenze, preferisco passare per paranoico, ma io non ho mai creduto alle coincidenze. La verità è che siamo stati ingannati, ed oggi ci sono le prove. Ci hanno fatto credere che potevamo essere padroni del nostro destino delegando ad altri le nostre speranze, chiudendoci in una cabina a scegliare prima fantocci e poi simboli senza significato. Ci hanno incantato per anni, con dibattiti, liti, parapiglia mediatici e comizi deliranti, ci hanno mostrato due facce della stessa medaglia, e gli hanno dato nomi, faccie e ideologie. L’alfa e l’omega, la destra e la sinistra, solo fandonie! Ci hanno dato l’apparenza democratica tramite la messa in scena di due finti schieramenti, in eterna lotta tra loro. Ci hanno fatto credere di essere liberi perchè potevamo sciegliere tra il burattino rosso e il burattino nero. CAZZATE!

Mentre noi eravamo impegnati a dividerci e scannarci in nome di una illusione. Mentre eravamo intenti a sputarci merda l’un l’altro sulle grandi astrazioni, questi personaggi hanno complottato nei retroscena nazionali le loro politiche contro il bene comune. Ci hanno prosciugato di tutto e ci hanno reso un popolo schiavo, servile e peggio ancora fiero di esserlo. La metamorfosi subita della società italiota (e non solo) è stata lenta ma inesorabile. Siamo dei salvaggi, ignoranti, vuoti, arroganti, e meschini. E anche ora che la verità è sotto i nostri occhi, non ce ne rendiamo conto, troppo indaffarati nell’inutilità, nell’apparenza, nel consumo sfrenato di questa finta civiltà progredita.

Hanno già deciso il nostro futuro: rifiuti, nucleare, energie rinnovabili, scuola, lavoro etc. Noi siamo spettatori inermi e paganti. La nostra unica forma di rivalsa non violenta, sarebbe l’astensione in massa dalle urne e il boicottaggio di questa insulsa farsa. Mi chiedo dove sono i paladini dell’informazione, quelli che ci raccontano le storielle magiche, quelli che ci parlano dell’orco cattivo, dell’uomo nero, dove sono quelli che fanno la “televisione alternativa”, spacciandola come cultura, con i soldi della casa prodruttice (Endemol**) del tanto odiato nemico (Silvio Berlusconi)? Sono maschere, commedianti che hanno esaurito il loro canovaccio, si mostrano cavalieri ma sono giullari nell’animo.

Le riuscite a sentire le sbarre intorno a voi? Sono prigioni immaginarie, erette nelle nostre deboli menti, con il solo scopo di manovrarci e renderci docili. Questa democrazia è il regime dell’Aspen Institute, qualsiasi burattino scegliamo, esso farà gli interessi dell’organizzazione e attuerà le linea guida, anzi, il programma politico dettato dalla Comunità Aspen. Plasmerà l’opinione pubblica convincendola che queste nuove politiche siano le migliori possibili per la felicità e la ricchezza dell’intera popolazione. Che la favola continui…

Sapete quel’è il motto dell’Aspen Institute? Appare anche sul logo dell’organizzazione: “Timeless values, enlightened leadership” ovvero “Valori senza tempo e leadership illuminata“. Certo è che non lascia nessuno spazio all’immaginazione. Traete le vostre conclusioni, però ora non potete dire di non sapere…avete visto quant’è profonda la tana del bianconiglio!

NOTE:
*Ha una sede anche in Italia, dove si appoggia al gruppo editoriale L’Espresso S.p.a., cui azionista di maggioranza è De Benedetti, che controlla una parte non indifferente del potere mediatico italiano. A proposito di media, sapete chi è uno dei giornalisti di matrice CNN in Italia? Alessio Vinci, il tipo che ha preso il posto di Mentana nella conduzione della tramissione Matrix (in effetti quel “thank you, good night and see you soon” che recita alla fine di ogni puntata, doveva averlo sentito da qualche parte?!?!).
**Endemol è una società produttrici di format televisivi controllata di Mediaset, ergo dalla famiglia Berlusconi. In questi giorni infuria la polemica tra l’attuale Governo in carica di Re Silvio e la trasmissione condotta da Fazio e Saviano “Vieni via con me” rea di essere aperamente schierata con l’opposizione. Tanto clamore solo per fare pubblicità al format e omettera, ancora una volta, la verità. E’ tutto finto. I vostri condottieri della libera informazione e della cultura italiota sono nel libro paga del regime.

Linkografia :

di Italo Romano (Oltre la Coltre)
Tratto da: http://www.stampalibera.com/?p=25543

domenica 24 aprile 2011

LA LIBIA DI FRONTE ALL’IMPERIALISMO UMANITARIO

INTERVISTA A JEAN BRICMOND

di Grégoire Lalieu
dal sito Counterpunch
traduzione di Gianluca Freda

Jean Bricmont insegna fisica in Belgio ed è membro del Tribunale di Bruxelles. Il suo libro, Imperialismo Umanitario, è pubblicato da Monthly Review Press.

Può ricordarci in cosa consiste l’Imperialismo Umanitario?

Jean Bricmont: E’ un’ideologia mirante a giustificare gli interventi militari contro nazioni sovrane in nome della democrazia e dei Diritti Umani. Il motivo è sempre lo stesso: un popolo è vittima di un dittatore, perciò dobbiamo agire. Poi si tirano fuori tutti i riferimenti consueti: la Seconda Guerra Mondiale, la guerra con la Spagna, e così via. Lo scopo è quello di vendere la tesi secondo la quale un intervento armato è indispensabile. E’ quello che è accaduto per il Kosovo, l’Iraq e l’Afghanistan.

E adesso è il turno della Libia.

Qui c’è una differenza, perché è stata una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a rendere possibile la guerra. Ma tale risoluzione è stata approvata contro i principi della stessa Carta delle Nazioni Unite. Infatti, io non vedo alcuna minaccia esterna rappresentata dal conflitto in Libia. Benché si sia evocato il concetto della “responsabilità di protezione” verso le popolazioni, si è ricorsi a molte scorciatoie. D’altronde, non vi è alcuna prova che Gheddafi stia massacrando il suo popolo per il solo gusto di macellarlo. La questione è un po’ più complessa: si tratta di un’insurrezione armata, e io non conosco nessun governo che non reprimerebbe un’insurrezione di questo tipo. Certo, ci sono stati danni collaterali e vittime civili. Ma se gli Stati Uniti conoscono un modo per evitare tali danni, allora dovrebbero parlarne agli israeliani e applicarlo loro per primi in Iraq e in Afghanistan. Oltretutto, non vi è alcun dubbio che anche i bombardamenti della coalizione abbiano provocato vittime civili.

Da un punto di vista strettamente giuridico, io penso che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sia discutibile. Infatti, essa è il risultato di anni di pressioni lobbystiche miranti ad ottenere il diritto all’interferenza, che qui è stato legittimato.

Eppure molte persone – perfino tra i partiti della sinistra – hanno ritenuto necessario intervenire in Libia per fermare il massacro. Crede si sia trattato di un errore di valutazione?

Sì, e per molte ragioni. Prima di tutto, questa campagna militare inaugura il regno dell’arbitrio. Infatti, il conflitto libico non è affatto eccezionale. Ci sono molti altri conflitti simili in ogni parte del mondo, che si tratti di Gaza, del Bahrein o del Congo, in cui vi è stata una guerra simile alcuni anni fa. In quest’ultimo caso, la guerra scoppiò nel contesto di un’invasione straniera da parte di Ruanda e Burundi. L’intervento delle forze del diritto internazionale avrebbe potuto salvare milioni di vite, ma non venne attuato. Come mai?

D’altronde, se applicassimo a livello generale i princìpi di interferenza che stanno alla base dell’aggressione alla Libia, ciò vorrebbe dire che chiunque può intervenire dovunque ne abbia voglia. Immaginiamo che i russi intervengano in Bahrein o i cinesi nello Yemen: il mondo cadrebbe in preda ad una guerra generalizzata e incessante. Pertanto, la principale caratteristica del diritto d’interferenza è la rottura degli standard del diritto internazionale. E se dovessimo cambiare il diritto internazionale, per sostituirlo con nuove regole che giustifichino il diritto d’interferenza, il risultato sarebbe una guerra di tutti contro tutti. Si tratta di un problema al quale i sostenitori del diritto d’interferenza non hanno mai dato una risposta.

Infine, interventi del genere rafforzano quello che io chiamo “effetto barricata”: tutti i paesi nel mirino degli Stati Uniti inizieranno a sentirsi minacciati e cercheranno di incrementare i propri armamenti. Tutti ricordiamo ciò che successe a Saddam. A quell’epoca, Gheddafi aveva detto alla Lega Araba: “Abbiamo appena perduto uno stato membro della Lega e nessuno di voi ha fatto nulla. Ma la stessa cosa può succedere anche a voi, perché, anche se siete tutti alleati degli USA, anche Saddam lo era stato, in passato”. Ora la stessa cosa si sta ripetendo con Gheddafi e la minaccia che pende sul capo di molti stati finirà probabilmente per rilanciare la corsa agli armamenti. E potrebbe andare anche peggio: se la Libia avesse avuto armi nucleari, non sarebbe mai stata aggredita. In effetti, è proprio per questo che la Corea del Nord è intoccabile. Perciò, la sinistra che appoggia l’intervento in Libia farebbe bene a rendersi conto che l’interferenza umanitaria finirà inevitabilmente per rilanciare la corsa agli armamenti e porterà a guerre di lungo periodo.

Nonostante questo, un intervento armato contro Gheddafi non può essere visto come un male minore?

Bisogna considerarne le conseguenze. Ora che le forze occidentali si sono impegnate, ovviamente dovranno andare fino in fondo, rovesciare Gheddafi e portare al potere i ribelli. E poi cosa succederà? La Libia sembra divisa. L’Occidente occuperà forse il paese e si imbarcherà in una guerra infinita come quelle in Iraq e in Afghanistan?

Ammettendo che sia così, supponiamo che tutto vada per il meglio: i membri della coalizione rimuovono Gheddafi in pochi giorni, i ribelli prendono il potere e il popolo libico è unito. Tutti sono felici. Ma poi? Non penso che l’Occidente dirà: “Bene, lo abbiamo fatto perché siamo gente buona e amante dei diritti umani. Ora potete fare tutto quello che volete”. Cosa accadrà se il nuovo governo libico sarà troppo musulmano o non limiterà in modo appropriato i flussi migratori? Lei pensa che l’Occidente li lascerà fare? E’ ovvio che dopo l’intervento il nuovo governo libico sarà legato mani e piedi agli interessi occidentali.

Se l’intervento militare non è una soluzione, allora la soluzione qual è?

Sarebbe stato meglio se avessimo sperimentato con onestà tutte le opzioni pacifiche. Magari poi non avrebbero funzionato, ma qui c’è stata l’intenzione lampante di rifiutare soluzioni di questo tipo. E a proposito, anche questa è una caratteristica tipica delle guerre umanitarie. All’epoca del Kosovo, c’erano state da parte della Serbia proposte minuziose per arrivare ad una soluzione pacifica, ma furono tutte respinte. Addirittura l’Occidente impose condizioni che rendevano impossibile qualunque negoziato, come quelle di far occupare la Serbia dalle truppe NATO. In Afghanistan, i Talebani avevano proposto di far processare Bin Laden da un tribunale internazionale, se fosse stata loro fornita la prova del suo coinvolgimento negli attacchi al WTC. Ma gli USA rifiutarono la proposta e bombardarono il paese. In Iraq, Saddam aveva accettato il ritorno degli ispettori delle Nazioni Unite e altre condizioni estremamente restrittive. Ma non era mai abbastanza. In Libia, Gheddafi ha accettato un cessate il fuoco e ha proposto di far entrare nel paese gli osservatori internazionali. Ma gli osservatori non sono stati inviati e tutti hanno detto che Gheddafi non rispettava il cessate il fuoco. L’Occidente ha anche rifiutato l’offerta di Chavez di fare da mediatore per la Libia, nonostante essa fosse sostenuta da molti paesi latino-americani e dalla stessa Unione Africana.

Per questo motivo, mi arrabbio quando sento le sinistre europee denunciare l’orribile Alleanza Bolivariana delle Americhe che sostiene il dittatore Gheddafi. Hanno capito tutto a rovescio! I leader che sono al potere in America Latina hanno importanti responsabilità. Non sono dei semplici ometti di sinistra che fanno quattro chiacchiere nel loro angolino. Il loro principale problema è l’interferenza degli USA: quanto meno questi ultimi potranno fare ciò che gli piace, dovunque gli piaccia, tanto meglio sarà per quei paesi che tentano di svincolarsi dalla loro tutela rafforzando il potere dello stato, nonché per il mondo.

Il sistematico rifiuto delle soluzioni pacifiche significa che l’interferenza umanitaria è una scusa?

Certo che sì, ma funziona solo con gli intellettuali. Ho molti più dubbi su come reagiranno i popoli d’Europa. Continueranno a sostenere i loro leader durante l’aggressione a Gheddafi? La gente considera legittime soprattutto le guerre combattute per la sicurezza: ad esempio se qualcosa minaccia la nostra popolazione o il nostro stile di vita, ecc. Ma nel contesto di un clima di islamofobia (che io disapprovo, ma che esiste) diffuso tanto qui quanto in Francia, provate a spiegargli che stiamo combattendo in Cirenaica a favore di ribelli che vediamo strillare “Allah Akbar!”. Questa è una contraddizione!

Sul piano politico, molti partiti sono a favore dell’intervento, anche quelli di sinistra. I più moderati si sono limitati a sostenere l’implementazione della no-fly-zone, ma se Gheddafi manda i suoi carri armati a Bengasi, poi che si fa? Durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi persero rapidamente il controllo dello spazio aereo, ma nonostante ciò resistettero ancora per anni. Poiché l’obiettivo è sempre stato quello di rovesciare Gheddafi, i moderati avrebbero dovuto sospettare che si sarebbe andati ben oltre la creazione della no-fly-zone.

Incapace di assumere posizioni genuine e alternative, la sinistra si trova inrappolata nella logica dell’interventismo umanitario ed è costretta ad appoggiare Sarkozy. Se la guerra andrà bene e finirà in fretta, la posizione del presidente francese resterà senza dubbio solida in vista delle elezioni presidenziali del 2012, grazie anche alla sinistra che a ciò avrà contribuito. La sinistra, incapace di adottare una posizione coerente contro le guerre, è costretta ad adeguarsi alla politica interventista.

E se la guerra non andrà bene?

E’ spiacevole dirlo, ma l’unico partito francese che si è apertamente schierato contro l’intervento in Libia, in considerazione degli interessi della Francia, è il Fronte Nazionale. Lo ha fatto riferendosi in particolare ai flussi migratori e ha colto l’occasione per differenziarsi dall’Unione per un Movimento Popolare (UMP) di Sarkozy e dal Partito Socialista (SP), vantandosi di non aver mai collaborato con Gheddafi. Se la guerra in Libia non dovesse andare secondo i piani, sarà il Fronte Nazionale a trarne vantaggio nelle elezioni presidenziali del 2012.

Se l’interferenza umanitaria è solo un pretesto, allora qual è il vero obiettivo di questa guerra?

Le sollevazioni nel mondo arabo hanno colto di sorpresa l’Occidente, che non era molto informato su ciò che stava accadendo in Nord Africa e in Medio Oriente. Non metto in dubbio che vi siano persone esperte di questi argomenti, ma esse vengono di rado ascoltate a livello governativo e, tra l’altro, se ne lamentano spesso. Adesso, i nuovi governi di Egitto e Tunisia potrebbero non allinearsi più agli interessi dell’Occidente e di conseguenza divenire ostili a Israele.

Per prendere il controllo della zona e proteggere Tel Aviv, l’Occidente avrà dunque bisogno di liberarsi di quei governi che sono già ostili a Israele e all’Occidente. I tre principali sono Iran, Siria e Libia. L’ultimo, essendo il più debole, è stato attaccato per primo.

Funzionerà?

L’Occidente vorrebbe dominare il mondo, ma fin dal 2003, con il fiasco in Iraq, abbiamo potuto vedere che non ne è capace. In passato, gli Stati Uniti si erano già presi la libertà di rovesciare governanti che loro stessi avevano condotto al potere, come Ngô Dinh Diêm, nel Vietnam del Sud degli anni ’60. Ma oggi Washington non ne è più capace. In Kosovo, Stati Uniti ed Europa sono dovuti scendere a compromessi con un regime paramafioso. In Afhanistan, tutti sanno che Karzai è corrotto, ma non esiste altra scelta. In Iraq, hanno perfino dovuto accettare un governo che non li soddisfa nemmeno lontanamente.

Il problema sorgerà certamente anche con la Libia. Un iraqeno mi disse una volta: “In questa parte del mondo non ci sono liberali nel senso occidentale del termine, eccezion fatta per alcuni sporadici e piuttosto isolati intellettuali”. Poiché l’Occidente non può contare su governanti che condividano le sue idee e difendano i suoi interessi, allora prova ad imporre dei dittatori con la forza. Ma questo genera ovviamente una discrepanza con i desideri della gente.

Del resto, questo approccio si è rivelato fallimentare e la gente non dovrebbe lasciarsi ingannare da ciò che sta accadendo.

L’Occidente, che credeva di poter controllare il mondo arabo con fantocci come Ben Ali e Mubarak, si è improvvisamente detto: “Abbiamo sbagliato tutto, meglio darsi da fare per sostenere la democrazia in Tunisia, Egitto e Libia”.

Tratto da: Blogghete