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mercoledì 17 agosto 2011

Le rivolte arabe, la crisi ed il futuro del mondo – Intervista a Igor Panarin

Igor Panarin è un politologo russo, membro dell’Accademia delle Scienze Militari, del Consiglio Scientifico e Metodologico e del Comitato Federale per gli Affari della CSI; decano della Facoltà di Relazioni Internazionali e docente di Relazioni pubbliche e comunicazione di massa presso l’Accademia Diplomatica del Ministero degli Affari Esteri. È autore di numerosi libri sulla geopolitica e la propaganda di guerra. Antonio Grego l’ha intervistato per il sito della rivista “Eurasia”.

Avvertenza: l’intervista è stata iniziata a fine giugno e completata i primi di agosto 2011, di conseguenza ci possono essere delle incongruenze temporali fra il testo dell’intervista e la data di effettiva pubblicazione.


Antonio Grego: Partiamo dall’attualità, l’evento geopolitico più significativo di questi mesi è sicuramente la cosiddetta (dai mass media occidentali) “primavera araba” ovvero le rivolte che hanno sconvolto, e stanno ancora infuocando, quasi tutti gli Stati arabi dal Marocco fino alla Siria, escluse, curiosamente, le monarchie petrolifere della penisola arabica e la Giordania. Può illustrarci il suo punto di vista sulle cause di tali rivolte e su chi ne può giovare?

Igor Panarin: Dal punto di vista dell’attuale situazione, ci troviamo certamente un punto di svolta associato con l’inizio della fase attiva della crisi. Infatti, il mio ultimo libro “Il mondo dopo la crisi, o quali sono le prospettive” è arrivato puntuale e ha praticamente indovinato quello che sta avvenendo adesso, dato che ho scritto questo libro alla fine dell’anno scorso. L’inizio della fase attiva della crisi, diciamo, è l’inizio di Marzo 2011 e il completamento sarà il dicembre 2012. Ma perché la destabilizzazione è iniziata proprio nel Vicino Oriente?

Voglio brevemente ricordare che circa 5 – 6 anni fa, gli Stati Uniti hanno proposto il concetto del cosiddetto Grande Medio Oriente, nel quale inclusero l’Iraq, l’Iran, l’Afghanistan e, direttamente, il Vicino Oriente. E l’idea di tale scenario geopolitico è quella di estendere in qualche modo questa zona di conflitto dall’Iraq e dall’Afghanistan direttamente fino alla zona a ridosso dell’Europa.

Dal mio punto di vista, la causa principale dei conflitti nel Vicino Oriente arabo – è di tipo economico e finanziario. Voglio ricordare che la situazione ha cominciato a degenerare a partire dalla Tunisia, Paese arabo relativamente prospero, dove c’è una percentuale abbastanza alta di persone che conoscono la lingua francese, si studia nelle università e nei collegi francesi, e, in generale, questo Paese era abbastanza “democratico” rispetto alla media dei Paesi africani.

E la prima fiammata di tensione è avvenuta esattamente per merito di Julian Assange. Assange, a mio avviso, è un dipendente della British Intelligence MI-6, ma fondamentalmente di un tipo nuovo – è un collaboratore “illegale”, una cosa del genere era già stata realizzata prima, con la creazione del cosiddetto «Partito Pirata» in Svezia, raccogliendone un gruppo. In modo simbolico, lo strano scandalo sessuale associato al suo nome, è finito nel nulla.

Assange in qualche modo è andato a Londra da sé, ed ecco che sono passati già più di sei mesi e non lo hanno estradato né in Svezia, nè negli Stati Uniti, inoltre – ormai è completamente dimenticato, ma ha compiuto la sua funzione – esiste questo termine “pistola monouso”. Il colpo è stato fatto con l’aiuto di Internet, utilizzando il sito Wikileaks, che sostanzialmente ha provocato diversi omicidi mirati. Innanzitutto, sono state date alcune informazioni vere sui crimini dei militari Usa in Iraq e in Afghanistan.

In primo luogo, questi crimini sono stati ritoccati, come risulta dai documenti questi crimini in realtà sono 10, 20 volte peggiori, invece là si parlava solo di alcuni casi particolari. L’opinione pubblica mondiale ha percepito queste “rivelazioni” di Wikileaks come una fonte di nuove informazioni, dato che è apparsa una fonte affidabile. Hanno formulato questo obiettivo soprattutto dal 2006, quando all’interno della finanza anglo-americana è nata l’idea di prendere il controllo del Vicino Oriente.

In quello stesso periodo avvenne un fatto molto importante – il dichiarato taglio del personale della stazione radiotelevisiva della BBC. Queste persone, che sono inglesi che conoscono la lingua araba, non sono andati da nessuna parte perché tutta la redazione araba della BBC praticamente al completo si è spostata su Al-Jazeera. Vorrei sottolineare che questa è in pratica la BBC, la sua redazione araba. Ovvero Al-Jazeera per un certo periodo di tempo avrebbe mostrato di agire in modo indipendente, creando nel mondo arabo un clima di fiducia, ed ecco, come sono stati creati due meccanismi di informazione che hanno iniziato a sconvolgere la situazione nel Vicino Oriente.

In linea di principio, la destabilizzazione del Vicino Oriente è iniziata. E i principali obiettivi globali dell’azione dei due strumenti mediatici predetti sono, naturalmente, la Libia e la Siria. Perché la Libia? La Libia non forniva, paradossalmente, alcun pretesto per l’aggressione, perché era il Paese più prospero dell’Oriente arabo. Lo stipendio di un’infermiera era superiore a quello degli Stati Uniti, per non parlare degli altri paesi arabi, più di tremila dollari. Lo standard di vita in Libia era il più alto in Africa.

Sembrerebbe, pensando con le categorie della democrazia, che gli europei dovessero invece accogliere e sostenere questo regime e insegnare agli altri come in Libia si è ottenuto questo risultato. Ma dal mio punto di vista, il momento chiave è stato prima di tutto quando la Libia ha cominciato a mostrare realmente elevati tassi di crescita economica; secondo: il più alto livello di qualità della vita tra i Paesi africani; terzo: avvicinandosi al Sud Africa. Insieme al Sud Africa, membro del BRICS, formando un nuovo centro di potere economico. Si stavano realizzando piani per costruire una ferrovia attraverso tutta l’Africa, tra il Sudafrica e la Libia. Questo è un progetto immenso. E le RZD (Ferrovie Russe) potevano ottenere profitti per decine di miliardi di dollari. Ma non solo la Russia trarrebbe beneficio da questo progetto, ma gioverebbe all’intero continente africano in generale, perché la ferrovia è prevista passare in tutte le principali zone di conflitto (così chiamiamo anche il Congo e l’Angola, il Mozambico e altre aree), – questo significa comunicazione, questo è costruzione, questo è il progresso.

Naturalmente, si poteva posizionare l’Africa su un piano fondamentalmente diverso di sviluppo socio-economico. Ma perché tali piani non piacevano? Perché, in effetti, la Cina ha cominciato ad essere attiva in Libia, sono stati firmati accordi, e dal mio punto di vista, la ragione principale della guerra con la Libia è che si tratta a tutti gli effetti di una guerra contro i BRICS. Perché il Sudafrica (poco prima il Sudafrica sull’isola di Hainan è stato ammesso nei BRICS), alla fine dello scorso anno ha presentato la richiesta di ammissione nei BRICS aprendo così la strada al potenziale ingresso della Libia come la più sviluppata nazione della parte araba, se la costruzione della ferrovia transafricana iniziasse in realtà cambierebbe radicalmente la situazione finanziaria ed economica del mondo.

E dal mio punto di vista, è stata la causa principale dell’aggressione contro la Libia. Naturalmente, ci si chiede: perché anche l’Italia, un Paese che è interessato a sostenere la Libia in questi progetti, partecipa all’aggressione? Penso che sia a causa della debolezza della politica estera italiana, come nel caso dei problemi sull’isola di Lampedusa. Recentemente sono stato in Italia, ho visto che al confine tra Italia e Francia l’accordo di Schengen praticamente non funziona. Penso che questa sia un’azione contro l’Europa, con lo scopo di dividere l’Europa.

(...)

A.G.: Allora possiamo quindi dire che la guerra contro la Libia è una guerra contro l’Europa, giusto? E chi ne trae giovamento?

I.P.: Sì, questa è una guerra contro l’Europa. Per inciso, in questa situazione, vediamo che il ruolo chiave è stato giocato da nazioni europee come l’Italia e la Francia, che sono stati usati come attori, mentre dietro le quinte si è posizionato il Regno Unito. Al contrario gli Stati Uniti fanno in modo di mostrare di non essere coinvolti in questa guerra. Si tratta di un fenomeno nuovo rispetto al passato.

Dal mio punto di vista, negli Stati Uniti ci sono due gruppi di forze in lotta fra loro.

Se si effettua una panoramica generale geopolitica questa è naturalmente anche una guerra contro la Russia e la Cina, perché la Russia ha molto da perdere in Libia e nel tentativo di destabilizzazione in Siria – questo è chiaramente un gioco anti-russo. La Russia perde la sua posizione geopolitica, l’unico sbocco sul Mar Mediterraneo, dove in precedenza erano basate le navi della Flotta del Mar Nero dell’Unione Sovietica. In realtà, la Siria è un nostro partner strategico. A cosa è connesso questo? Al fatto che nel Vicino Oriente, la Siria ha mostrato un modello di prosperità economica e pacifica convivenza per tutto il Mediterraneo.

La Siria ha dimostrato che, all’interno, i suoi tre gruppi più influenti: i musulmani sunniti, gli alauiti, vicini agli sciiti, ed i cristiani, sono stati in grado di raggiungere un consenso. Non ci sono mai stati conflitti religiosi. Questa è una situazione unica. E questo non piace alle forze della destabilizzazione. Mi piacerebbe vedere la Siria come potenziale membro della formanda Unione eurasiatica.

E in questo senso la perdita della Siria oltre alla Libia e’ un colpo di potenza maggiore per l’Europa. C’è una domanda – perché la Russia non ha messo il veto sulla Libia. Posso dire che in una conferenza a Belgrado, questa è stata la prima domanda della televisione serba. Lì ho parlato per 80 minuti presentando il rapporto – «Le future azioni e la crisi globale».

A.G.: I casi di rivolte più controverse e più simili tra loro per modalità e impatto mediatico sono quello della Libia e quello della Siria. Nel primo caso la guerra civile si è evoluta in un intervento armato occidentale che vede partecipare anche l’Italia, pur se questo va contro i suoi stessi interessi nazionali, avendo precedentemente firmato un trattato di amicizia e avendo ormai perso miliardi di dollari di investimenti. In Siria sembra che si stia ripetendo lo stesso scenario, ma, al contrario della Libia, la Russia ha detto di opporsi categoricamente ad ogni risoluzione ONU di condanna. Quali sono gli interessi russi in gioco, nel caso della Libia e della Siria e perché nel caso della Libia la Russia ha di fatto avallato (pur prendendone le distanze) l’aggressione armata della NATO?

I.P.: Innanzitutto, io sono stato uno di quegli esperti e persone competenti che chiedeva fortemente per la Siria una tale posizione (di porre il veto ad ogni risoluzione di condanna, n.d.t.). Soprattutto prima che il governo prendesse una decisione. Sono quindi molto contento che la posizione da me richiesta sia stata adottata dal governo russo. Dal mio punto di vista sulla Libia ci sono stati due fattori che hanno portato la Russia ad agire così. La Russia da sola non poteva fermare l’azione della NATO. Era necessario sviluppare dei meccanismi all’interno dei paesi BRIC e dello SCO.

Ma a quel tempo la situazione si era sviluppata così rapidamente che i legittimi meccanismi legali, la consultazione veloce e la ricerca di soluzioni pratiche, non potevano essere utilizzati, poiché la situazione si era evoluta molto rapidamente, e la Russia da sola non poteva sopportare una simile coalizione, che comprendeva le nazioni europee, tra cui il nostro più stretto amico: l’Italia. Qui ci saremmo danneggiati in altri aspetti.

Riconosciuta criticamente l’esperienza della Libia, un gruppo di analisti, me compreso, ha preso una posizione netta richiedendo categoricamente, al momento di decidere, di non permettere tali sviluppi, e sono molto contento che questa visione sia stata accettata. Dal mio punto di vista, la situazione con la Siria assomiglia alla situazione dell’agosto 2008 (si riferisce alla guerra con la Georgia, n.d.t.), quando assolutamente non potevamo cedere. Questo ulteriore caos in Siria potrebbe portare alla trasmissione di onde di instabilità nel Caucaso. A proposito di questo, ero alla fine di maggio in Armenia.

Dall’Armenia, la Siria sembra un Paese vicino. Là si è svolta una grande conferenza dei paesi CSTO e si è discusso di vari scenari con la partecipazione di americani, di francesi, che erano invitati al dialogo. E il mio punto di vista alla fine di maggio era che in Siria si deve restare fermi e prevenire la destabilizzazione. Altrimenti i nostri piani di sviluppo economico, la concentrazione delle risorse nei processi di integrazione in Eurasia, falliranno, in quanto saremo occupati nel ristabilimento dell’ordine nel Caucaso del Nord e in Transcaucasia, così come i tentativi di riportare il problema del Karabakh dallo stallo alla risoluzione pacifica della zona di conflitto.

In questo senso, la Siria potrebbe essere il punto di partenza per destabilizzare tutto il Caucaso. Questa eventualità non è ammissibile per noi, credo, insomma, che abbiamo agito correttamente. Ed io ero proprio a Belgrado quando vidi i reportage da New York, le nostre rivendicazioni al Consiglio di Sicurezza. E sono molto contento che questa posizione ha trionfato in Russia. La Russia, dal mio punto di vista, ha tenuto per se l’unica linea corretta.

(...)

A.G.: Gli Stati Uniti stanno attraversando una fase di crisi profonda sia sul piano economico che politico-militare dopo la scoppio della bolla finanziaria nel 2008, eppure continuano ad avere l’iniziativa diplomatica e militare mostrando un’aggressività anche maggiore rispetto alla precedente presidenza di Bush. Con la presidenza Obama infatti, abbiamo visto un cambiamento di strategia che riguarda più la facciata (guerre per esportare la democrazia e i diritti umani al posto della crociata contro il terrorismo) che la sostanza che continua ad essere in ogni caso espansionista. Come mai, nonostante l’evidente indebolimento, gli statunitensi continuano con la loro politica aggressiva di sempre?

I.P.: Be’, in primo luogo per quanto riguarda la situazione interna negli Stati Uniti, possiamo dire che la situazione economica e politico-militare non sia migliorata. Gli Stati Uniti sono entrati nel punto critico. Cosa significa? Sono stato nel mese di novembre dell’anno scorso negli Stati Uniti e monitoravo le elezioni. Il 2 novembre, ci fu un gran numero di elezioni: dei governatori, al Congresso… E in queste elezioni ci sono stati cambiamenti fondamentali negli Stati Uniti, quando dentro gli USA è apparsa una forza che vede il futuro in modo diverso, in modo diverso rispetto l’attuale amministrazione ed alle amministrazioni precedenti. Questa forza si chiama Tea-party.

Questo partito comprende i rappresentanti dell’ala conservatrice dei repubblicani. Ma non solo. Questa è una visione un po’ diversa del mondo. Un tempo in America c’era il “partito degli isolazionisti”. Questo partito emerse sia prima della prima guerra mondiale e che prima della seconda. Gli esponenti di questo partito dicevano che gli Stati Uniti non dovrebbero essere coinvolti in conflitti interni tra Paesi nel mondo. Dicevano che è necessario di ritirare le truppe e mettersi a lavorare sulla propria economia.

In un certo senso i membri del Tea-party sono i loro successori che invitano a ritirare le truppe, a dedicarsi ai problemi interni, a bloccare i bonus alle banche, a bloccare la riforma sanitaria, e in generale a smettere di pompare l’economia con denaro stampato dal nulla.

Questa forza ha vinto quelle elezioni. Ma il fenomeno di questo movimento, nonostante l’assenza di un capo riconosciuto (è un nuovo tipo di partito strutturato a rete) e di una struttura gerarchica rigida e di un’ideologia, consiste d’altra parte in valori chiari – una famiglia forte, sport, salute, non interventismo in politica estera. Così possiamo formulare il loro credo.
(...)

A.G.: Gli altri poli geopolitici mondiali, in particolare il blocco eurasiatico rappresentato dallo SCO (Shanghai Cooperation Organisation) non sembrano approfittare di questa debolezza degli Usa ma al contrario esibiscono passività e stentano a proporre della alternative alla supremazia statunitense nel mondo. Per non parlare dell’Europa che pare finita in un vicolo cieco sia sul piano economico che politico. Come mai?

I.P.: Innanzitutto va detto che la Russia non può agire attivamente senza la Cina. Va ricordato che dopo l’incidente di Fukushima, il Giappone è, di fatto, escluso dalla lista delle principali potenze economiche. Secondo alcuni esperti si stima che l’industria automobilistica del Giappone è rimasta indietro di 40-50 anni. Questo era un pilastro fondamentale per la crescita dell’economia giapponese. È chiaro che le vere informazioni vengono dosate e nascoste. Questo cambia radicalmente la situazione. Perché il BRICS ha iniziato attivamente a svilupparsi?

Perché c’erano due modelli di comportamento in Cina. Nel 2006, venne presa la decisione della creazione tra Giappone, Corea del Sud, e la stessa Cina della valuta regionale ACU (Asian Currency Unit, n.d.t.). La decisione è stata presa ma non ha avuto seguito per diversi motivi. I leader del Giappone che sostenevano il progetto e volevano integrarsi più con la Cina che con l’America sono stati allontanati dal potere.

Volevano chiudere le basi americane, ma ancora oggi il problema non è risolto, così la Cina sperava in un riavvicinamento con il Giappone, ma nel primo caso gli americani non lo hanno permesso, e nel secondo caso ora vediamo in che condizione è il Giappone… a mio avviso, la Cina è passata ad essere più attiva nel BRICS e nello SCO ma hanno questo modello di comportamento: loro non vogliono mettersi in prima fila. Perché lo SCO o il BRICS? I cinesi vorrebbero mettere la Russia a combattere in prima linea, mentre loro restano dietro. Ma per la Russia questo non va bene, non siamo abbastanza forti per resistere al blocco NATO.

In questo consiste la tattica della Cina. La tattica di sovraccaricare gli Stati Uniti fino al punto che raggiungeranno il punto di crisi e sarà sufficiente un dito per farli cadere e andare in pezzi, senza cercare attivamente un confronto diretto. In questo senso, anche la Russia deve agire pragmaticamente, perché è chiaro che il potenziale economico e politico-militare attuale della Russia non è sufficiente per la collisione frontale con la NATO. Quindi, ecco, credo che il problema sia la politica più cauta della Cina.

L’obiettivo centrale della Cina è l’annessione di Taiwan nel 2016. Dopo di che, la Cina intraprenderà una politica estera più attiva. La Cina è pronta a perdere i suoi interessi economici in Libia, se in cambio il problema con Taiwan si risolvesse. Sono rimasti cinque anni. Penso che il problema con Taiwan si risolverà. La riunificazione con Taiwan penso che avverrà come previsto, e gli Stati Uniti non potranno opporsi. Sarà la grande Cina. Questo cambierà radicalmente la situazione.

(...)

A.G.: Voi ben sapete che in America, si utilizzano massicciamente vari metodi di guerra psicologica. Ora Obama per un alto numero di persone in Europa rappresenta un vero messia, un moderno profeta del progressismo e dei “diritti umani” (premio nobel per la pace a priori). Faccio notare, ad esempio, che tutti i media europei e mondiali hanno celebrato con entusiasmo il fatto che da poco a New York una legge permetta i matrimoni omosessuali.
Questo per l’Europa, e per molte persone nel mondo, è espressione di libertà, l’America è ora il baluardo della libertà del mondo contro le dittature e i “regimi oppressivi”. Questa guerra psicologica è ampiamente utilizzata nel caso della Libia e della Siria per giustificare le sanzioni prima e i bombardamenti poi. Perché questa guerra psicologica funziona sempre così bene?

I.P.: Perché è stato creato un potente strumento di impatto psicologico. Tutti i canali delle televisioni globali danno la stessa identica immagine del mondo. Cambia solo la forma ma non l’algoritmo di base…

(...)

A.G.: Nel suo libro del 2009 «Крах доллара и распад США» vi sono raccolti articoli e documenti che dimostrano come lei aveva previsto già nel 1998 la crisi finanziaria e valutaria iniziata nel 2008 e ancora in corso. Tuttavia non si è ancora verificato lo scenario da lei pronosticato del crack del dollaro e quindi della divisione degli USA in diversi Stati indipendenti. Cosa non è andato secondo la sua previsione? Perché il dollaro non è crollato?

I.P.: Il primo motivo – la questione di Dubai. Ricordo che nel novembre 2009 a Dubai, si è verificata una situazione catastrofica. È stato l’impulso che poteva portare al crollo del dollaro e al collasso del sistema. Ma la situazione è stata frenata. Per molti aspetti la situazione attuale nel Vicino Oriente è una conseguenza del fatto che hanno congelato la questione di Dubai.

Il secondo motivo – ho suggerito che dal gennaio 2010, la Russia avrebbe dovuto iniziare a vendere il petrolio non più in dollari ma in rubli. Questo non è avvenuto. Se la Russia lo avesse fatto, allora il crollo del dollaro sarebbe stato inevitabile. I leader russi a quanto pare comprendono che la resistenza può portare a un destino simile a quello di John F. Kennedy, che le forze che appoggiano questo modello economico sono pronte a scatenare guerre, conflitti, attentati terroristici.

Esempio: il tentativo di una guerra nucleare tra India e Pakistan. Con l’aiuto dei terroristi di Mumbai. È stata una provocazione con lo scopo di scatenare una guerra nucleare tra India e Pakistan. (...)


A.G. - C’è bisogno di una grande guerra per risolvere tutti i problemi?

I.P.: Ci sono forze che credono che abbiamo bisogno di una grande guerra. Perché è stato consegnato il generale Mladic? Penso che non sia un caso. Si tratta di un elemento provocatorio per riattizzare il conflitto nei Balcani, questo è un fattore di destabilizzazione. Per molti attori, tali azioni sembrano essere le più promettenti, perché pensano che la guerra possa risolvere tutti i loro problemi. Ma sono convinto che la guerra non è assolutamente il modo migliore. La guerra dell’informazione è un metodo più umano per risolvere la situazione.

A.G.: Qual è lo scenario che lei ipotizza nel suo ultimo libro appena uscito in Russia «Мир после кризиса, или Что дальше?» (Il mondo dopo la crisi, o quali sono le prospettive?)? Ce lo illustri per favore.

I.P.: L’idea principale di questo libro è la costruzione dell’Unione Eurasiatica e la transizione ad un nuovo paniere di valute mondiale. Yuan, euro, rublo e real brasiliano devono essere all’interno di questo paniere.

Ma soprattutto credo che all’interno degli Stati Uniti sono apparse forze a favore del consolidamento e contro il dollaro. C’è bisogno di una collaborazione tra Russia e queste forze negli Stati Uniti e questa collaborazione è possibile. In secondo luogo, io sostengo una graduale transizione dal dollaro ad un nuovo paniere di valute, senza caos. In terzo luogo, il BRICS – questa è l’organizzazione più promettente al mondo. Ci dovrebbe essere una gerarchia: in primo luogo le Nazioni Unite, poi il BRICS. Penso che la NATO non abbia futuro. Poi tocca al mondo multi-polare, che dovrebbe includere l’Alleanza delle Civiltà: la civiltà Latino-americana è il Brasile, la civiltà cinese è la Cina, la civiltà eurasiatica è la Russia, la civiltà africana è il Sudafrica. Questa è una potente unione. E l’unione con l’Europa, che dovrebbe liberarsi dalle catene del dollaro. Io credo inoltre che l’Italia sia un paese chiave per la Russia e dobbiamo essere stretti alleati.

1 commento:

  1. - Assange,subito esaltato dai carneadi tipo Rodotà,é un agente della CIA,cento a uno che non sarà mai processato in Usa.

    - Da anni in Siria convivono tutte le religioni,compreso l'ebraismo.In tempi caldi tra Tel Aviv e Damasco i negozi ebrei intorno alla grande moschea lavoravano indisturbati,visto de visu.Alla mia perplessità rispondevano,noi siamo ebrei siriani non israeliti.

    - Al nostro amico russo si potrebbe però obiettare perchè la Russia non ha messo il veto alla risoluzione Onu contro la Libia,cosa che non spiega a segiuto anche della domanda serba.

    - il dollaro non crolla perchè per ora i cinesi non lo permettono.

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