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martedì 31 maggio 2011

Egitto. Il Sinai nel mirino di Tel Aviv


Sabato scorso proprio come da programma il Consiglio supremo delle forze armate egiziane ha riaperto in via definitiva il valico di Rafah, l’unico accesso alla Striscia di Gaza non sottoposto al controllo delle autorità israeliane. Si tratta di un ennesimo segno di distacco della nuova amministrazione de Il Cairo dal vecchio governo guidato da Hosni Mubarak, che invece era solito seguire alla lettera le rigide direttive di Tel Aviv riguardo all’apertura e chiusura del varco. Una prassi talmente rigida che aveva portato i palestinesi dell’enclave a considerare le autorità egiziane peggiori di quelle israeliane. D’ora in poi, invece, il valico di Rafah resterà aperto per nove ore al giorno dalle 9 alle 18 a esclusioni dei festivi, al momento il passaggio verrà consentito solo a persone munite di visto e alle ambulanze della Mezzaluna Rossa, che da due giorni stanno facendo la spola per trasferire in strutture ospedaliere adeguate molti dei malati di Gaza. Il transito delle merci invece continuerà ad avvenire solo attraverso i passaggi controllati dalle forze armate israeliane.

Il governo di Tel Aviv tuttavia non ha digerito la scelta della nuove amministrazione de Il Cairo e a più riprese ha criticato aspramente la riapertura del valico, tentando di portare come sempre all’attenzione della comunità internazionale il possibile rischio per la sicurezza di Israele e dei suoi confini. Sono stati molti, inoltre, gli esponenti dell’esecutivo di Netanyahu, che hanno accusato il Consiglio supremo delle forze armate egiziane di favorire in questo modo il riarmo di Hamas. Poi c’è stato anche chi, come il ministro israeliano delle Infrastrutture Uzi Landau, ha accusato l’Egitto di aver in questo modo violato gli accordi in vigore con Tel Aviv al contrario di quanto promesso dopo la caduta di Mubarak dal vicepresidente Suleiman, il quale aveva assicurato che la nuova amministrazione avrebbe rispettato tutti i trattati siglati dal precedente governo.

“È uno sviluppo spiacevole, poiché gli accordi firmati devono essere rispettati, e io spero che la Comunità internazionale possa dire all’unanimità e molto chiaramente che la violazione dell’accordo da parte dell'Egitto è inaccettabile. Il libero passaggio di persone e merci che si produrrà permetterà semplicemente di fare passare ulteriori munizioni, materiale militare e terroristi”, ha affermato Landau in riferimento a un accordo del 2005 del quale evidentemente non conosce i termini. Anche se è vero, infatti, che tale intesa prevede che il passaggio di Rafah non possa funzionare senza l’avallo di Israele è altrettanto vero che non è mai stata firmata da alcun esponente del governo egiziano. L’accordo si basava più che altro su alcune garanzie date dagli Stati Uniti ad entrambe le parti e che sono decadute dopo l’addio di Mubarak. Se si considera poi che Tel Aviv come strategia politica non firma alcun trattato che anche a lunghissimo termine potrebbe crearle qualche problema per continuare a fare il proprio porco comodo – come ad esempio quello di non proliferazione nucleare e quello contro le “cluster bomb” – quelle di Landau sono accuse che fanno quasi sorridere.

Non lasciano presagire invece proprio nulla di divertente le parole pronunciate ieri dal primo ministro Netanyahu riguardo la situazione nella penisola egiziana del Sinai durante la riunione della commissione Difesa della Knesset.

Il premier di Tel Aviv ha infatti accusato la nuova amministrazione egiziana di non essere in grado di esercitare la propria autorità in quell’area “permettendo così a gruppi terroristi di infiltrarsi nella zona e di rafforzare facilmente la propria presenza”. E guarda caso secondo “Bibi” dietro tutto ci sarebbe proprio Hamas, che avrebbe “ridotto le sue attività in Siria, a seguito della contestazione in questo Paese, per trasferirle in Egitto”. E, dulcis in fundo, per dare una nota di tragicità a questa lettura forzata della situazione nel Sinai, il governo israeliano ha diffuso una nota con la quale sconsiglia ai connazionali di recarsi nella penisola egiziana, mettendoli in guardia contro le minacce di sequestro. Tel Aviv vuole mettere le mani sul Sinai, tutto l’allarmismo creato intorno all’apertura del valico di Rafah non serve ad altro che a fornire alle forze armate con la stella di Davide una scusa per invadere il territorio egiziano non appena se ne presenterà l’occasione. E così, ancora una volta, Israele potrà nascondere dietro il bisogno primario di garantire la sicurezza dei propri confini l’ennesimo appropriamento delle terre altrui, grazie anche al sostegno incondizionato degli Stati Uniti e al silenzio del resto della comunità internazionale che gli hanno sempre garantito un’amnistia pressoché totale.

di Matteo Bernabei (m.bernabei@rinascita.eu)
Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8585

Damasco sequestra carico di armi sul confine turco


Per tutto il fine settimana appena trascorso sui media internazionali si è susseguita la solita innumerevole quantità di notizie riguardo alla presunta repressione perpetrata dalle forze armate di Damasco nei confronti dei manifestanti anti-governativi. Notizie riferite dai soliti anonimi della rete riguardo uccisioni, torture e quant’altro. Fra questa baraonda di informazioni apocalittiche, fornite senza che alcuna prova concreta le accompagnasse, non ha però trovato spazio l’annuncio del sequestro di un carico di armi proveniente dalla Turchia da parte delle autorità doganali di Raqqa. Ma d’altronde perché dare spazio a una notizia così rilevante come il trasferimento di armi nel nord della Siria, dove vivono migliaia di curdi, quando c’è la possibilità di accusare al Assad di essere dietro l’attacco al convoglio italiano in Libano. Accuse anche queste ovviamente basate sul nulla, ma per la stampa internazionale è comunque più interessante del fatto che ci sia qualcuno pronto ad armare la minoranza curda, la prima a protestare contro il governo di Damasco e la prima a placarsi dopo la concessione della cittadinanza fatta dal presidente del Paese arabo. Di contorno a questa ennesima farsa l’indignazione dei media e dei politici nordamericani, gli stessi che “esportano” la democrazia ma prima si impadroniscono delle risorse petrolifere dello sventurato Paese in questione, che fanno stragi di civili e poi le insabbiano e che sostengono l’uso del waterboarding come metodo per ottenere informazioni. Però chissà, forse l’indignazione di Washington riguarda le misure troppo morbide utilizzate fin qui dal governo di Damasco.


di Matteo Bernabei
Tratto da: Rinascita.eu

Draghi e le urne


I giornali d’oggi annunciano risultati elettorali che già tutti conoscono e fanno l’eco a commenti politici già archiviati. E’ l’inesorabile lentezza della carta stampata nel mondo della comunicazione elettronica. Eppure la parola scritta resta il mezzo più adatto a capire e, se possibile, prevedere. Quello che succede lo avevamo visto e descritto per tempo, come oggi leggiamo un verdetto che solo il propagandismo può annettere alla vittoria della sinistra. La metterei così: le forze dello statu quo hanno perso la presa, la realtà comincia a scivolar loro dalle mani. Sarà un processo non breve e non indolore, che piegherà le istituzioni e minerà l’intero sistema politico. Sarà un’occasione, ma solo a patto che non sia l’ennesima avventura. Proviamo a ragionare su quel che deve ancora accadere, proprio questa mattina, quando Mario Draghi prenderà la parola per le sue ultime “considerazioni finali”.

Il governatore della Banca d’Italia farà un quadro della situazione, esaminando l’influenza dei mercati internazionali sui conti di casa nostra. I primi saranno presto accantonati, nei commenti. E’ vero che le variabili economiche sono prevalentemente fuori dalla portata dei governi nazionali, esercitando un ruolo determinante. Ma non fanno parte del discorso interno, che più appassiona. Il governatore, quindi, riconoscerà i meriti del rigore finanziario, elogiando una disciplina di bilancio fra le migliori d’Europa. Dato importante, visto che s’avvia a presiedere la Banca Centrale Europea. Dopo di che, però, passerà a esaminare, con tono pacato e fermo, i guasti strutturali dei nostri conti e del nostro mercato, a cominciare dalla crescita rallentata, ricordando la necessità di porvi rimedio in tempi stretti. La prima cosa sarà sbandierata dal governo, a proprio vanto. La seconda sarà brandita dall’opposizione, che ne attribuirà la responsabilità alla maggioranza. Qualche osservatore, meno aduso al clangore delle sciabole, farà notare che si tratta di mali antichi, ma il punto veramente rilevante è chiedersi se si tratta anche di mali permanenti e futuri.

Per evitare che sia così Draghi tornerà a delineare le necessità del nostro mercato, che, in definitiva, sono le medesime della nostra società: premi alla produttività, incentivi alla competitività, meritocrazia, allentamento dell’asfissia burocratica e fiscale. Questi principi hanno declinazioni specifiche in ogni settore, dalla scuola al mondo del lavoro, dagli obblighi contributivi ai privilegi pensionistici, dal sistema di tassazione alla regolazione delle gare, dalla giustizia alla spesa pubblica. Tutte cose che conosciamo a memoria, che abbiamo ripetuto fin oltre la nausea, ma che si schiantano tutte contro il muro ottuso di una politica concentrata nella rappresentanza delle tifoserie piuttosto che nella rappresentanza degli interessi. Nella sostanza non ci sono in giro ricette radicalmente diverse da quelle tante volte illustrate, ma neanche ci sono in giro soggetti politici interessati ad altro che a fregare gli avversari.

La sinistra che ha vinto le elezioni amministrative è la stessa che si batte, in vista dell’imminente referendum, contro la “privatizzazione dell’acqua”, che non solo non esiste, ma, nelle modalità fin troppo tiepide previste dalla legge, è il minimo si possa fare per evitare il disastro idrico. La sinistra che vince, la stessa che saluterà con gioia arcigna le parole di Draghi, è la stessa che va in direzione esattamente opposta. E, del resto, al governo è vero che ci sono le forze che hanno varato quella legge, ma è anche vero che lo hanno fatto solo perché una direttiva europea lo imponeva e si sono guardate bene dal difenderla. Questo è il dramma italiano, mica chi mette la fascia di sindaco.

Tratto da: http://www.davidegiacalone.it/politica/draghi-e-le-urne/

lunedì 30 maggio 2011

Adesso Cameron e Sarkozy preparano lo sbarco in Libia


Al termine del G8, il presidente francese Sarkozy ha annunciato che si recherà a Bengasi insieme al premier britannico Cameron, dato che «abbiamo le stesse idee». Essenzialmente una: «Mediare con Gheddafi non è possibile». La stessa idea l’ha espressa il presidente Obama: «Non allenteremo finché il popolo libico non sia protetto e l’ombra della tirannia scomparsa». In parole povere, si stanno preparando a occupare la Libia.

E mentre il G8 chiede a Tripoli «l’immediata cessazione dell’uso della forza», la Nato intensifica le incursioni aeree che, in meno di otto settimane, hanno superato le 8.500. Partono per la maggior parte dalle basi nel meridione d’Italia, rifornite dalle altre. Pisa è di continuo sorvolata da C-130J che, dall’aeroporto militare, trasportano alle basi meridionali bombe e missili della base Usa di Camp Darby (prefigurando cosa avverrà quando entrerà in funzione l’Hub aereo nazionale, da cui transiteranno tutti i militari e i materiali verso teatri operativi). Che gli attacchi aerei preparino lo sbarco, lo conferma l’entrata in azione di elicotteri francesi Tigre, probabilmente affiancati da Apache britannici.

Ancora più significativo l’arrivo nel Mediterraneo di un imponente gruppo navale da attacco, guidato dalla più moderna e potente portaerei nucleare della classe Nimitz, battezzata George H.W. Bush, in onore del presidente che nel 1991 fece nel Golfo la prima guerra del dopo guerra fredda (oggi siamo alla quinta). Lunga 333 m e larga 40, ha a bordo 6mila uomini, 56 aerei (che possono decollare a 20 secondi l’uno dall’altro) e 15 elicotteri, ed è dotata dei più sofisticati sistemi di guerra elettronica. È una grande base militare mobile. E anche una centrale nucleare mobile: ha due reattori ad acqua pressurizzata PWR A4W/A1G, il cui vapore aziona le turbine delle quattro eliche. Una centrale nucleare che, pur avendo a bordo reattori più pericolosi di quelli di Fukushima, entrerà nella baia di Napoli e in altri porti.

La portaerei George H.W. Bush è affiancata da un gruppo di battaglia formato dai cacciatorpediniere lanciamissili Truxtun e Mitscher, dagli incrociatori lanciamissili Gettysburg e Anzio e da otto squadriglie aeree. Va a rafforzare la Sesta flotta, il cui comando è a Napoli, affiancandosi ad altre unità, tra cui i sottomarini nucleari Providence, Florida e Scranton. Si è aggiunto alla Sesta flotta anche uno dei più potenti gruppi da attacco anfibio, guidato dalla Uss Bataan, che da sola può sbarcare oltre 2mila marines, dotati di elicotteri e aerei a decollo veriticale, artiglieria e carrarmati. È affiancata da altre due navi da assalto anfibio, la Mesa Verde e la Whidbey Island, che ha effettuato il 13-18 maggio una visita a Taranto. Ha quattro enormi mezzi da sbarco a cuscino d’aria che, avendo un raggio d’azione di 300 miglia, possono trasportare velocemente fin sopra la costa 200 uomini alla volta, senza che la nave sia in vista.

Tutto è pronto, dunque, per lo sbarco «umanitario» in Libia. Agli europei l’onore di sbarcare per primi, sotto le ali protettrici della portaerei Bush.

di Manlio Dinucci (Fonte: IlManifesto)

Tratto da: http://saigon2k.altervista.org/2011/05/adesso-cameron-e-sarkozy-preparano-lo-sbarco-in-libia/

domenica 29 maggio 2011

50 mila blog chiusi per stampa clandestina?

Riceviamo e pubblichiamo, raccomandando la massima diffusione:

All’inizio di maggio una sentenza della prima sezione penale della Corte di Appello di Catania ha equiparato un blog ai giornali di carta. Dunque commette il reato di stampa clandestina chiunque abbia un diario in Internet e non lo registra come testata giornalistica presso il tribunale competente, come prevede la legge sulla stampa n 47 del 1948.

La vicenda è paradossale e accade in Italia. Lo storico e giornalista siciliano Carlo Ruta aveva un blog: si chiamava Accadeinsicilia e si occupava del delicato tema della corruzione politica e mafiosa. In seguito a una denuncia del procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, quel blog è stato sequestrato e chiuso nel 2004 e Ruta ha subito una condanna in primo grado nel 2008. Ora la Corte di Appello di Catania, nel 2011, ritiene che quel blog andava considerato come un giornale qualsiasi – ad esempio La Repubblica, Il Corriere della Sera o Il Giornale – è dunque doveva essere registrato presso il “registro della stampa” indicando il nome del direttore responsabile e l’editore. La notizia farà discutere a lungo la blogosfera italiana: cosa succederà ora?

Massimo Mantellini se la prende con Giuseppe Giulietti e Vannino Chiti per aver presentato in Parlamento la Legge 62 sull’editoria, che è stata poi approvata, con la quale si definisce la natura di prodotto editoriale nell’epoca di Internet. Ma il vero problema, a mio avviso, è la completa o scarsa conoscenza di cosa sia la Rete da parte di grandi pezzi dello Stato, incluso la magistratura. Migliaia di burocrati gestiscono quintali di carta e non sanno quasi nulla di cosa accade in Internet e nei social network. Questa sentenza, quindi, è un regalo alla politica cialtrona che tenterà ora di far chiudere i blog scomodi. Proveranno a imbavagliarci.

In Italia ci sono oltre 50 mila blog. Soltanto BlogBabel ne monitorizza 31 mila. Nel mondo esistono almeno 30 milioni di blog e forse sono anche di più. I blog nascono come diari liberi on line, può aprirne uno chiunque. Una casalinga. Uno studente. Un professore universitario. Un operaio. Un filosofo. Chiunque. Ma adesso in Italia non è più possibile e possiamo dire che inizia il Medioevo Digitale. Nel mondo arabo i blog e i social network hanno acceso il vento della democrazia, il presidente americano Barack Obama plaude il valore di Internet e la libertà d’informazione, Wikileaks apre gli archivi segreti delle diplomazie, e noi, in Italia, in un polveroso palazzo di giustizia, celebriamo la morte dei blog.

(...) Vogliamo innalzare una grande scritta davanti alla Corte Costituzionale con lo slogan “Io bloggo libero, non sono clandestino!”. Eggià: perché gli avvocati di Ruta faranno appello in Cassazione e a quei giudici bisognerà far sapere che in Italia ci sono 50 mila persone libere che hanno un blog e confidano nell’articolo 21 della Costituzione, che permette la libertà di espressione con qualunque mezzo.

Che ne dite? Ci proviamo?

Fonte: “Il Fatto” (edizione on-line), 28 maggio 2011

Tratto da: http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=32101&Itemid=26

sabato 28 maggio 2011

Alcune Considerazioni Oblique, su Fukushima il Nucleare e la Bomba Zar

Nota di rischio calcolato: Diamo a Cesare (che fu imperatore) quel che è di Cesare, anche se qui trattasi di Imperatrice ed Oscura. Il post che segue è frutto di una interessante missiva appena ricevuta dalla suddetta a mezzo noto socialnetwork blu.

E’ stato stimato che il Totale delle radiazioni emesse da Chernobil sia 100 volte maggiore di quelle di Hiroshima,


L’orologio segnava l’una, 23 minuti e 44 secondi del 26 aprile quando esplose il reattore numero quattro della centrale di Chernobyl. L’incidente, esattamente 25 anni fa, resta ancora oggi – anche dopo Fukushima, concordano gli esperti – la più grande catastrofe della storia del nucleare civile.

Radiazioni cento volte più forti delle bombe su Hiroshima e Nagasaki Quella notte i sistemi di sicurezza furono staccati per untest, che divenne fatale. Fu liberata radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, una quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. All’interno del reattore erano custodite circa 200 tonnellate di uranio. Secondo gli esperti fuoriuscirono circa il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera. La nube radioattiva si spostò verso gran parte d’Europa, colpendo soprattutto Bielorussia e Russia………

…..Il confronto con l’incidente di Fukushima

Rispetto all’incidente giapponese di Fukushima, anch’esso classificato al livello 7 sulla scala internazionale “Ines”, l’incidente nella centrale ucraina è considerato dagli esperti più grave per la maggior fuga di materiale radioattivo e gli effetti sulla salute e sull’ambiente nell’area.

Secondo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) l’esplosione portò la contaminazione più elevata in un’area nel raggio di 100 km dalla centrale, con la concentrazione maggiore di isotopi di stronzio, cesio e plutonio. Oggi la zona entro un raggio di trenta km è ancora interdetta all’accesso pubblico, ma con permessi speciali anche i turisti possono arrivare allo spiazzo davanti al reattore e spingersi sino alla città fantasma di Pripyat.

Le città di Chernobyl (15 mila abitanti) e Pripyat (50 mila) furono evacuate nel giro di 36 ore dopo l’incidente. Nei giorni successivi circa 130 mila persone in un raggio di 30 km dovettero lasciare le proprie case. In totale furono circa 350 mila le persone evacuate dalla regione e costrette a trasferirsi altrove. A venticinque anni dalla catastrofe regna ancora incertezza sul numero delle vittime causate direttamente dalle radiazioni, che l’Iaea quantifica comunque in circa 4.000. Ma cifre non ufficiali alzano il numero sino a 25 mila………

Al tempo stesso, si stima che quelle (le radiazioni) emesse da Fukushima siano il 10% o poco piu’ rispetto a quelle di Chernobil.

La cosa che spesso si ignora e’ che pare che siano stati condotti ad oggi circa 2044 i test nucleari bellici fino all’aprile 1996, 711 dei quali nell’atmosfera o in aree marine, per una potenza complessiva di 438 megatoni, ossia l’equivalente di circa 35 000 bombe di Hiroshima, queste esplosioni hanno portato alla dispersione nell’ambiente di circa 3800 chilogrammi di plutonio e di circa 4 200 chilogrammi di uranio.

La bomba ZAR

I russi arrivarono a far espodere in atmosfera una Bomba con potenza pari a 4000 volte Hiroshima, la famigerata Bomba Zar (http://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_Zar )

Qui il video, che e’ letteralmente impressionante.



In sintesi, Chernobil e Fukushima, sono inezie rispetto a quanto accaduto in questi ultimi 50 anni fa sul globo ad opera dell’uomo. (http://it.wikipedia.org/wiki/Test_nucleare)

Prossima tappa per la realizzazione del Nuovo Secolo Americano: guerra alla Siria e all’Iran



Il PNAC, ossia il Progetto per un nuovo secolo americano, è una lobby che dal 1997, anno della sua nascita,si assume lo scopo di promuovere una leadership globale a guida statunitense. Tra i fondatori di questo “istituto di ricerca”, il cui presidente è Wiliam Kristol, spiccano i nomi di Dick Cheney, già segretario alla Difesa nell’amministrazione di George Bush padre e vicepresidente in quella del figlio, e di Donald Rumsfeld,già segretario alla Difesa sotto Ford e Bush figlio. Il PNAC ha fortemente sostenuto la recente politica imperialista degli States, dalle guerre in Afghanistan e Iraq in poi. Non solo: questa gruppo di pressione, che praticamente sotto la presidenza Bush ha aumentato a dismisura il suo potere, nel 2000 aveva già elaborato il piano necessario per arrivare alla completa “americanizzazione” del mondo(o di maggior parte di esso): Rebuilding America’s Defenses
(http://www.newamericancentury.org/RebuildingAmericasDefenses.pdf ).

In questo documento sono indicati i potenziali nemici degli USA e alleati, i cosiddetti “Stati canaglia”: dall’Iran alla Siria,alla Libia e alla Corea della Nord. Dopo l’inizio della guerra in Libia (20 marzo 2011) il progetto sta giungendo al suo compimento,e dopo di esso verrà attuata la nuova strategia di guerra:non più contro il “terrore” o gli “stati canaglia” ma guerra permanente contro il mondo(http://it.peacereporter.net/articolo/28435/Guerra+globale+permanente ). Ora è finita con la morte mediatica di Osama Bin Laden (2 maggio 2011) e Mullah Omar (21 maggio 2011) la stagione della guerra al terrore,ad al Quaeda o ai talebani: come ho già scritto (http://coriintempesta.altervista.org/blog/al-qaeda-e-la-cia /)Al Quaeda e il fondamentalismo islamico sono tornati ad essere utili per le nuove guerre dell’Occidente,e non a caso è stato detto che Osama e Obama sono arrivati a una “convergenza postuma”(http://it.peacereporter.net/articolo/28565/Osama+e+Obama%2C+convergenza+postuma ).Ora è iniziata a seconda fase del Progetto del Nuovo Secolo Americano:destabilizzazione e guerra contro gli stati tendenti al nazionalismo laico e al “socialismo islamico” e controrivoluzione e repressione dei fermenti di libertà e (vera) democrazia delle masse arabe (http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8297 ): in seguito ci sarà il ritorno del “pericolo rosso” e dunque sarà la volta della guerra(fredda e calda) contro la Cina e infine contro i paesi socialisti come Cuba, Boliuvia,Venezuela, Nicaragua e nuovamente Vietnam. Ma procederanno passo per passo.Per ora la prossima tappa per la realizzazione del Nuovo Secolo Americano è la guerra alla Siria e all’Iran.
Staremo a vedere.

di Salvatore Santoru

1945 – 1998: il nucleare che nessun referendum ha fermato


Tra il 1945 e il 1998 USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina hanno condotto test nucleari per un numero pari a 2053.

In testa alla classifica delle esplosioni nucleari troviamo gli Usa con 1032, seguono poi URSS con 715, Francia con 210, Gran Bretagna e Cina appaiate a 45.

[1] I test avvennero in cima a torri, su chiatte, sospesi a palloni aerostatici, sganciati da aerei, lanciati da razzi fino alla quota di 480 chilometri sulla superficie terrestre; sott’acqua a 60 metri di profondità; in pozzi e sotto terra, fino a più di 240 metri sotto il suolo e in tunnel orizzontali. Circa il 25% dei test fu realizzato nell’atmosfera. I 511 test atmosferici raggiunsero una potenza totale di 438 megatoni, pari a 29.000 bombe come quelle di Hiroshima. Più di metà del valore complessivo dei megatoni fu concentrato in un periodo di sedici mesi, da settembre 1961 al dicembre 1962.[..]

Alla fine del 1958, gli esperimenti nucleari avevano prodotto sul pianeta circa 65 chili di stronzio 90, con una radioattività totale di 8,5 milioni di curie; la radioattività del cesio 137 alla stessa epoca ammontava a 15 milioni di curie. Il fall out degli esperimenti americani e britannici, di grande potenza e, tutti senza eccezione, in località nei pressi dell’equatore si sono distribuiti uniformemente sopra l’intero globo. Tra il 1952 ed il 1957, gli USA eseguirono 90 test nel poligono nucleare del deserto del Nevada. Quelle esplosioni rilasciarono una quantità di iodio 131 superiore di dieci volte a quella che si sprigionò dalla centrale di Cernobyl. Gli stessi test esposero mediamente ogni cittadino statunitense ad una radiazione pari a 2 rad; sono solo 0,24 rad annuali quelli provenienti dalla radioattività naturale. Alcuni medici hanno calcolato che circa 10.000 tumori alla tiroide saranno causati da questa pioggia contaminante invisibile.

Le esplosioni nucleari diffondono nell’aria atomi di plutonio 239 ed uranio 235, due materie che sono la cosa terrena più vicina alla dannazione eterna. Il plutonio è centomila volte più velenoso del cianuro di potassio, un solo grammo disperso nell’ambiente spegne ogni forma di vita in un’area di 500 metri quadri; un milionesimo di grammo uccide un uomo. I periodi di dimezzamento del plutonio 239 e dell’uranio 235 sono rispettivamente di 24.400 anni e 720 milioni di anni: il più breve di questi tempi supera abbondantemente tutta la durata della civiltà umana, dalle sue origini pi` remote ad oggi. La bomba H presenta un nuovo pericolo; produce importanti quantità di carbonio 14. I neutroni liberati al momento dell’esplosione bombardano l’azoto dell’aria, esattamente come le radiazioni cosmiche, formando carbonio 14. Fra 5.600 anni, ci sarà ancora sulla terra la metà del carbonio 14 prodotto dagli attuali esperimenti.

Due premi Nobel a confronto: Müller vs. Teller

In questo desolante panorama di demenza si levano ogni tanto voci, purtroppo isolate, che denunciano chiaramente tutta la micidiale pericolosità di esperimenti i quali in realtà non sono altro che simulacri di quella guerra che le superpotenze non potranno mai combattere senza sterminarsi a vicenda. Hermann Müller, premio Nobel 1946 per la medicina, ha reso noti per esempio senza mezze misure i gravissimi danni genetici causati dalle radiazioni provenienti dalle esplosioni sperimentali. Per questa sua decisa critica, il professor Müller ha dovuto affrontare la censura ed il sabotaggio da parte della Commissione per l’Energia Atomica (AEC), che gli vietò di presentare la sua relazione alla Conferenza di Ginevra per la pace (1955). Questi ostacoli però non gli hanno impedito di far conoscere al pubblico la verità sui test nucleari: “Qualsiasi dose di radiazioni è geneticamente indesiderabile -scriveva Müller in quegli anni – Gli esperimenti atomici in corso provocheranno certamente un danno alle generazioni future. Non solo: ogni radiazione assorbita aumenta le probabilità di un individuo di morire in anticipo sul termine assegnategli dalla Natura. In questo senso si può affermare che le esplosioni sperimentali hanno danneggiato sinora almeno trecentomila persone. La percentuale, se riferita a tutta la popolazione mondiale, è piccola, ma la cifra è enorme. Quanto al danno genetico, non è necessario pensare a mostri con due teste: è certo, però, che nei prossimi duemila anni nasceranno individui più deboli, meno longevi, affetti da deformità più o meno accentuate, da malattie in parte nuove. Riprendere gli esperimenti nucleari è equivalso a sparare a raffica alle generazioni future”.

Queste coraggiose ed oneste dichiarazioni venivano rilasciate nel periodo in cui il Servizio di Sanità Pubblica degli USA garantiva che il fall out era “nei limiti della sicurezza” ed Edward Teller amava ripetere che la ricaduta di pulviscolo radioattivo esponeva allo stesso danno biologico causato da una sigaretta fumata ogni due mesi.

Nel 1963, l’incalzante aumento della radioattività costrinse le potenze nucleari al trattato Limited Test Ban (LTBT) che proibiva le esplosioni sperimentali nell’atmosfera, negli oceani e nello spazio cosmico, limitandole al sottosuolo, per ridurre il danno planetario del fall out di scorie radioattive. Il trattato non serviva affatto a limitare l’uso delle armi nucleari, anzi ne incoraggiava la proliferazione con l’alibi che, sottoterra, le bombe non presentavano rischi per la popolazione. Tutta la faccenda era cosi grave; gestita dai politici e dai militari-scienziati, i quali potevano eludere le proteste della gente. Il LTBT fece scatenare una serie apocalittica di esplosioni sotterranee sempre più potenti e sempre più numerose. Fino al 1983, i test nucleari seguirono il ritmo forsennato di uno alla settimana. Nel solo 1968, gli USA eseguirono ben 55 esplosioni sotterranee, i russi 18.

[1] “Test Nucleari: giocare col plutonio” di Paolo Cortesi – FONTE

“1945- 1998” – video dell’ artista nipponico Isao Hashimoto.

Tratto da: Cori in Tempesta

venerdì 27 maggio 2011

Referendum BUFALA: Lo spauracchio Nucleare - Terza Parte

Nella Prima parte Referendum BUFALA : ci prendono in giro e spendono i nostri soldi !!! ho parlato del quesito referendario sul Legittimo Impedimento e di come sia insensato ed inutile (oltre che economicamente gravoso) abrogare una legge che decade comunque ai primi di ottobre di quest'anno (18 mesi dall'entrata in vigore) considerato che la trafila burocratica, in caso di vittoria dei "SI", porterebbe all'abrogazione di tale legge a fine Settembre.

Nella Seconda parte Referendum BUFALA: Un buco nell'ACQUA ho parlato dei cosidetti quesiti sulla "privatizzazione dell'acqua" e di come uno di essi disincentiva gli investimenti svincolando gli aumenti tariffari a prescindere dal capitale investito mentre l'altro abroga la possibilità di aprire al mercato e quindi alla concorrenza lasciando la gestione di tutti i servizi locali di rilevanza economica  esclusivamente nelle mani dei soggetti pubblici  che spesso risultano essere carrozzoni politici utili solo per alimentare le clientele elettorali.


In questa Terza ed ultima parte vi parlerò del "Referendum sul Nucleare" anche se questo quesito con molta probabilità sarà eliminato dal Referendum a causa al Decreto Omnibus che contiene, fra l'altro, lo stop alla costruzione di nuove centrali nucleari in Italia. (1)
 
A differenza della Prima e della Seconda parte  di questo post in cui la Bufala era nello stesso quesito referendario e nelle inesattezze con cui i media ci (dis)informano, con il quesito del nucleare si va ad abrogare effettivamente la possibilità di costruire le centrali per la produzione di energia nucleare dunque la Bufala in questo caso è nella scorretta concezione del Nucleare creata dalla disinformazione atta ad accrescere la paura e lo spauracchio nucleare, unici argomenti in possesso degli anti-nuclearisti che vogliono farci vedere ogni centrale nucleare come una potenziale Bomba Atomica pronta ad esplodere e vogliono farci credere che i rifiuti (o le scorie) nucleari siano una piaga inestinguibile.

Senza soffermarsi sui benefici che l'energia nucleare porterebbe all'Italia come:

- la possibilità di produrre energia pulita  e diminuire quindi le emissioni di anidride carbonica dovuta ai combustibili fossili (vedere anche Obama ambientalista pragmatico)

- la diversificazine e la diminuzione di dipendenza energetica (soprattutto in un periodo di forti tensioni Geopolitiche)
e sorvolando anche sul fatto che ...

- l'energia nucleare è attualmete l' unica seria alternativa ai combustibili fossili dal momento che le fonti alternative e rinnovabili risultano essere insufficienti anche nella più rosea visione futura (2) (3)

- le scorie nucleari occupano volumi molto modesti tali da essere stoccati in sicurezza con relativa semplicità ed inoltre tramite il loro riprocessamento costituiscono nuovo materiale energetico ad alto potenziale

- l'energia nucleare è prodotta ed utilizzata da tutti i paesi più ricchi, industrializzati ed in via di rapido sviluppo (Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Giappone, Germania, Francia, Canada - cioè 7 su 8 dei G8, manca solo L'Italia - ... ed ancora ... Brasile, Cina, India, Messico, Sudafrica, Corea del Sud, Belgio, Olanda, Finlanda, Svezia, Spagna, Slovenia, Repubblica Ceca, Bulgaria etc...)


... Siamo davvero sicuri che eliminando il Nucleare dall'Italia risolviamo il problema e ci mettiamo al sicuro dai tanto paventati rischi di incidenti Nucleari ed evitiamo di essere "inquinati" dalle scorie radiattive?

Mi spiace deludere gli avversori del Nucleare, ma la risposta è NO, non ci libereremmo comunque dell'eventuale rischio di incidenti (visto che tutti i paesi ai nostri confini hanno numerose centrali nucleari attive), nè dalle scorie e dal materiale nucleare (visto che le basi USA in Italia sono zeppe di testate atomiche).



A tal proposito ecco alcuni estratti di significativi articoli :

L'Italia? Un deposito Nucleare
E’ una storia nota, ma la ripetiamo, anche a costo di sembrare monomaniaci: sono centinaia gli ordigni nucleari occultati in Italia da oltre mezzo secolo e pronti ad essere utilizzati contro altre nazioni su semplice ordine Usa.
E dire che appena dieci giorni fa, il 7 febbraio, il governo e la Duma di Mosca sono tornati a chiedere agli Stati Uniti di “rimuovere le proprie armi nucleari e smantellare le infrastrutture costruite per loro nelle basi insediate in territorii straniero”. Come d’obbligo in Occidente, la notizia è stata rimossa dalle “informazioni” graziosamente donate dagli “autorevoli” media italiani, molto più interessati ad amplificare le gesta delle varie Ruby o Brenda. Una tale “rimozione” è utile a chi comanda davvero l’Italia: oltre il 70 per cento dei nostri concittadini, infatti, ignora l’esistenza del potenziale bellico nucleare sparso sul territorio italiano. E che secondo gli stessi rapporti del Pentagono è pari a “un impatto esplosivo di distruzione di oltre il 50 per cento del territorio” nazionale.
Basi di occupazione che, si badi bene, non sono soltanto quelle “tre o quattro” - Aviano, Ederle, Ghedi Torre, Napoli.. - che più o meno anche i più distratti conoscono dai tempi dell’Allied Force in Italy, ma un centinaio di più.
Come è noto - anche grazie ad una deliziosa, si fa per dire, “circolare Trabucchi” che rimuove ogni ostacolo al movimento di uomini e mezzi militari “alleati” sul nostro territorio - i piloti statunitensi possono decollare da un momento all’altro con armamenti atomici capaci di regalare agli obiettivi “ostili” decisi da Washington una forza distruttiva che moltiplicherebbe per 900 volte l’effetto prodotto, a Giappone già sconfitto, dagli Usa su Hiroshima e Nagasaki.
Si sa. Gli americani hanno il dovere di portare la democrazia, costi quel che costi. Il placet a simili “operazioni”, peraltro, è stato già scritto e ben definito dal Nuclear Posture Review del Pentagono: gli Usa non escludono la possibilità di impiegare preventivamente armi nucleari contro gli Stati da loro definiti “canaglia”. Un possibile obiettivo? Naturalmente l’Iran: un “potenziale”... Nemico Nucleare.
Ma come mai l’Italia, allora, anche per difendere la sua pace, la sua sicurezza, e non diventare a sua volta obiettivo di ritorsioni, non “restituisce agli Usa” le testate atomiche, come già fatto da Canada, Grecia, Danimarca e Islanda?
Ma perché abbiamo perso la guerra, nel 1945, e siamo tuttora loro prigionieri, siamo in cattività controllata. Elementare.

Basi statunitensi in Italia ...
(...)
Per quanto riguardale le “armi nucleari”, sono· circa cento quelle sul suolo italiano. Nonostante l’Italia abbia aderito al Trattato di non Proliferazione Nucleare, esse sono saldamente in mano statunitense con l’escamotage del sistema della doppia chiave (possesso e controllo Usa e uso solo con consenso italiano), creato per aggirare l’ostacolo del TNC che vieta la fabbricazione e detenzione di testate nucleari.
http://infotricksblog.blogspot.com/2011/04/basi-statunitensi-in-italia-occupazione.html





Nucleare: ecco perchè l'Italia non può fermarsi.
Votare contro il nucleare significa votare contro l'implementazione di una tecnologia per lo sfruttamento della forza dell' atomo che si basa su principi di funzionamento totalmente differenti da quelli implementati nelle vecchie centrali. Le vecchie centrali rimarrebbero comunque in funzione, con tutti i pericoli (ma sono scarsi anche in quel caso) che ne derivano. Non commettiate l'errore di pensare che il referendum possa allontanare le centrali che i francesi hanno costruito intorno a noi. Sapete quante sono? Tante, tantissime, più di quante possiate immaginarvi.
(...)
Le centrali di terza o meglio ancora di quarta generazione sono diverse a partire dal principio di funzionamento. Il core è progettato con la tendenza allo spegnimento. Per tenerlo acceso è necessario il continuo intervento umano. In caso di malfunzionamento o di catastrofe, la centrale si spegnerebbe senza alcun problema e non vi è modo che possa sfuggire al controllo degli operatori. Funziona tutto al contrario quindi: se l'operatore umano o i sistemi di raffreddamento funzionano, allora la reazione nucleare avviene. Se vi ne a mancare il corretto funzionamento di una qualsiasi delle parti di controllo che stanno intorno al reattore (meccanica o umana), il reattore si spegne. Niente botto, niente nube radioattiva, niente olocausto nucleare.
(...)
Un' altra informazione che sfugge ai più è la natura "pulita" delle centrali di quarta generazione. Significa che queste nuove centrali bruciano anche più del 90% del carburante fissile. Che altro? Significa efficenza elevata, ma significa anche una marea in meno di scorie. Anzi ZERO scorie. A questo punto verrebbe da dire che, pur bruciando il 90% del combustibile nucleare, una centrale nucleare di 4^ generazione produce comunque un 10% di scorie.
(...)
Ma c'è qualcosa d'altro di cui la gente non è informata. Quelli che dicono di NO alle centrali nucleari di nuova generazione sull' onda emotiva del preservamento dell'ambiente a vantaggio dei propri figli, non sanno che le centrali nucleari di 4^ generazione aiuterebbero paradossalmente a consumare le scorie nucleari prodotte dalle vecchie centrali, risolvendoci un annoso problema.
(...)
E le fonti rinnovabili? Gran cosa, si arriverà ad usare quelle un giorno, ma non oggi. Per il semplice motivo che messe tutte insieme non sarebbero capaci di fornire nemmeno la metà dell' energia che richiede il nostro stile di vita. Attenzione, sto parlando di tecnologie a disposizione e non di prototipi su carta la cui realizzazione è lungi dall' essere immediata.
Analizziamole quindi, però facendo lo sforzo di analizzarle in un contesto tutto italiano, proprio perchè i ragionamenti in linea di principio sono solo fumo:
ENERGIA EOLICA
FATTIBILITA' GEOGRAFICA: L'Italia non è l' Olanda o la Danimarca. Abbiamo certamente delle zone ventose, ma il territorio italiano non si presta in toto. Il rumore delle pale è fastidioso nelle ore notturne.
FATTIBILITA' POLITICA : l'italiano medio ha la memoria corta. Egli si è dimenticato che i primi oppositori contro l'implementazione di pale eoliche in Italia sono stati proprio i Verdi e gli esponenti della LAV.
I Verdi perchè dicevano che le esigenze di manutenzione delle pale imponevano la costruzione di strade di servizio di cemento in zone magari incluse in parchi naturali (non ho mai capito il perchè avessero scartato immediatamente l'idea di farle sterrate). Quelli della LAV perchè effettivamente le pale eoliche ogni tanto affettano qualche piccione. Sempre per ricordare la mentalità dell' italiano medio, l' Italia è il paese che ha deciso di osteggiare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, preferendo mantenere la Sicilia in una condizione di degrado piuttosto che disturbare le fasi dell' accoppiamento delle alici.
RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: scarso, scarsissimo. Una pala di grandi dimensioni può nella migliore delle ipotesi arrivare a rifornire di energia un quartiere.
FATTORE GREEN: elevato, una volta prodotte le pale rimangono in funzione, senza inquinare per parecchio tempo
ENERGIA IDROELETTRICA
FATTIBILITA' GEOGRAFICA: elevata: l'Italia è piena di fiumi e valli. Però per produrre tutta l'elettricità di cui abbiamo bisogno con l'idroelettrico dovremmo riempire tutti i nostri fiumi e le nostre valli di dighe di cemento.
FATTIBILITA' POLITICA: la diga va bene a tutti come soluzione, tranne agli abitanti dei paesi nei dintorni. E non hanno tutti i torti perchè in caso di cedimento strutturale dovuto per esempio ad un terremoto, l'onda di piena generata dal crollo della diga spazzerebbe tutto e tutti. Ricordate la tragedia del Vajont? http://www.vajont.net/
RAPPORTO COSTO/CAPACITA' PRODUTTIVA: elevato. Le centrali idroelettriche costano tantissimo ma sono capaci di rimanere in funzionamento per più di cento anni
FATTORE GREEN: l'impatto ambientale di una diga è devastante. Intere valli vengono trasformate, tutta la fauna e la flora circostante vengono eliminate.
SOLARE
FATTIBILITA' GEOGRAFICA: buona, sopratutto al centro sud Italia.
Attenzione però, Messina non è il Sahara!
FATTIBILITA' POLITICA: elevata, tanto i pannelli li pagano i cittadini RAPPORTO COSTO/CAPACITà PRODUTTIVA: scarsissimo. Un pannello solare non è in grado di produrre nemmeno il 100% dell' acqua calda necessaria ad una abitazione con 4 persone. Nè tantomeno è in grado di produrre elettricità a sufficenza. Il concetto è bellissimo ma sino a che l'efficenza media di un pannello si attesta intorno al 15% di conversione di luce in energia, la diffusione sarà scarsa, visti anche i costi parecchio elevati (nonostante gli incentivi statali, che sono una presa per il giro, perchè i soldi dello stato arrivano sempre dalle nostre tasche).
FATTORE GREEN: medio. Una volta installati durano in media solo 15-20 anni e vanno rimpiazzati con nuovi pannelli il cui costo sia produttivo che in termini di bilancio ecologico sono elevati.
(...)


Note:
(1) Decreto Omnibus già approvato dalla Camera e promulgato dal Presidente Napolitano e di imminente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sul quale dovrà infine pronunciarsi l'ufficio centrale della Cassazione per i referendum per stabilire l'effettivo annullamento del quesito referendario.
La cosa strana è che questo invece che far esultare gli anti-nuclearisti li fa inviperire perchè dicono che sia una manovra del governo che bleffa per evitare il Referendum per poi reintrodurre l'opzione nucleare.
In realtà in qualsiasi modo venga eliminata una norma, una legge o parte di essa, sia che venga cancellata per decreto o abrogata tramite Referendum nulla vieta al legislatore di re-introdurla in futuro quindi che il nucleare sia "cassato" per Referendum o per Decreto Legge il risultato rimane lo stesso.
(2) Per approfondimenti vi consiglio il libro "TORNARE AL NUCLEARE ?" di Chicco Testa e Patrizia Feletig Dalai Editore 

Fukushima non è Cernobyl. E i morti per l’energia eolica sono molti di più
Dal ’52 ad oggi vi sono stati 63 morti per l’energia nucleare e ben 73 per l’energia eolica. La paura verso il nucleare è usata dai media e da gruppi per interessi non dichiarati. È ancora troppo presto paragonare Fukushima a Cernobyl. Intanto si dimenticano le vittime del sisma e dello tsunami.
(...)
Da 65 anni, da quando gli Stati Uniti sganciarono le bombe atomiche sul Giappone, il nucleare fa paura. Provoca quasi uguale spavento anche il nucleare per produrre energia in centrali con avanzati sistemi di sicurezza: è una paura quasi metafisica per una morte che arriva subdola e silenziosa, per gli effetti cioè delle radiazioni atomiche. Per questo, in questi casi, il richiamo mediatico ha sempre molta presa.
(...)
Ad esempio, da quando si è iniziato a produrre l’energia atomica fino ad oggi, cioè dal 1952 al 2011, le morti accertate provocate da incidenti in impianti nucleari ad uso civile sono state 63, di cui 53 (è la cifra massima tra le diverse ipotesi proposte) sono da attribuire al disastro di Cernobyl, il più grave finora verificatosi. Inoltre, in seguito a tale incidente, soffrirono di avvelenamento acuto da radiazioni, (AAR, acute radiation sickness) 237 persone in gran parte pompieri e soccorritori che concorsero a riportare l’incidente sotto controllo. La sindrome da AAR comporta un 60% di mortalità dopo 30 giorni, se al paziente si applica una terapia medica intensiva. Essa è determinata da un livello di esposizioni da 4 fino a 6 sievert (Sv). Delle 53 vittime di Cernobyl morirono di AAR 28 persone, altre 15 morirono di cancro alla tiroide, e le rimanenti altre per cause differenti. Tra i 72mila addetti impiegati nell’emergenza vi sono stati inoltre 216 decessi non tumorali per cause attribuibili all’incidente, mentre tra costoro le morti per tumore sono state (dal 1991 al 1998, considerando il periodo di latenza di oltre dieci anni) non significative, cioè in percentuali simili a quelle del resto della popolazione non direttamente esposta. Si trattò, è ovvio, di un avvenimento doloroso, che, però, va visto nel contesto della pericolosità di ogni azione umana. A titolo di paragone, ad esempio, le vittime, a partire dagli anni settanta, connesse alla produzione di energia eolica sono state, 73.

giovedì 26 maggio 2011

Bombe atomiche sulla Libia?

La fusione fredda, l’esperimento italiano ed il furto di proprieta’ intellettuale


 

La presenza costante dell’uranio impoverito nei bombardamenti in Libia come a Belgrado, Falluja, in Afghanistan è alquanto inquietante. Le strane morti dei soldati iracheni bruciati all’interno di carrarmati perforati da proiettili passanti, fanno pensare a temperature che solo l’uranio in esplosione può produrre.

Se così è, ci troviamo di fronte ad un uso massiccio nei vari teatri di guerra, di proiettili letali e bombe che in forza della temperatura elevata all’atto dello scoppio producono danni analoghi a piccole esplosioni atomiche. Si tratta di una violazione dei trattati internazionali sull’uso delle armi.

Renderanno invivibili le città, nasceranno mostri, spariranno le civiltà che non vorranno assoggettarsi al nuovo governo mondiale. Tutto ciò, in Medio Oriente ed in nord Africa sembra essere un destino o se preferiamo un programma di distruzione di massa portato avanti con fredda determinazione… nel silenzio assoluto dei media addomensticati.

In questo video abbiamo conferma da autorevoli ricercatori della fattibilità dell’ipotesi sopra sostenuta. La follia criminale si è inpadronita dei governanti?

Vi consiglio di trovare il tempo per guardarlo anche nella parte finale.

LB

REFERENDUM SULLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA

Una bufala vera. Cosa insegna il “caso Savona Tpl”


Luciano Locci

(...)
Il referendum sulla privatizzazione dell’acqua è una bufala e non si capisce come mai l’alta Corte non l’abbia cassato. Il referendum non doveva essere ammesso perché il testo sul quale si dovevano esprime gli italiani è incomprensibile e contradditorio.

L’informazione , che ancora oggi passa su quasi tutti i giornali , è che il governo voleva privatizzare l’acqua e facendo credere che di questo si trattasse non sarebbe stato difficile pronosticare la vittoria dei “si”.

Ma non è assolutamente vero !

La previsione normativa è che non sarà più possibile la gestione diretta da parte degli enti locali o di loro emanazioni, ma affidamenti solo attraverso pubbliche gare, a cui potranno partecipare le stesse società pubbliche e private.

Questo significa che l'estromissione degli operatori pubblici dal settore non è assolutamente contemplata dalla legge. Il decreto, aprendo al mercato e quindi alla concorrenza (il “liberalizzatore” Bersani batta un colpo ! ), modifica la legislazione precedente nella modalità d’individuazione del gestore delle reti idriche, con introduzione dell’obbligo di indire gare di appalto per tutti i servizi pubblici, compreso quindi anche quello idrico.

Il decreto, pertanto, non privatizza l’acqua. Cambia esclusivamente il modo con cui verrà individuato dai Comuni il gestore del servizio. Per quanto riguarda il modello di gestione delle società miste, il socio privato, che sarà scelto mediante gara pubblica, dovrà essere un’impresa operativa: non è, quindi, consentita la partecipazione di un socio che si limiti ad apportare solo capitali. Ai fini della valutazione delle offerte, sarà previsto – quale criterio preferenziale – la qualità e il costo del servizio che sarà assicurato agli utenti.


Franco Bassanini, sul Corriere della Sera del 23 aprile ha affermato che sbaglia il PD a non schierarsi contro il referendum ed appoggiare, oltre che Di Pietro, il pugliese Niky Vendola.

Osservo che il presidente Vendola ha buoni motivi che “l’affaire liquido” rimanga tutto in mani pubbliche affinché la gestione dell’ Acquedotto pugliese ( oltre 2.000 dipendenti ) rimanga tale e quale. Non ho elementi per la valutazione di questa gestione in quanto non conosco i dati di bilancio, ma sarei curioso di commentarli.

Ricordo che anche per il trasporto , la cui competenza era affidata alle Province, si è operato nello stesso modo, ovvero chiudere con le disastrose gestioni effettuate da società od enti – di diretta espressione pubblica- ed affidare il servizio attraverso una gara riservata a società miste pubblico-privato.

A Savona così è avvenuto . Il risultato è che da gestioni del servizio fatto con enormi diseconomie e pesanti ripercussioni sul bilanci dei Comuni e Province, oggi , finalmente, la società mista di gestione chiude il bilancio non più in perdita, nonostante i pesantissimi tagli statali e regionali, oltretutto razionalizzando l’organizzazione del servizio su un unico bacino di traffico. In altre realtà territoriali le cose non sono andate così bene, ma ciò riguarda non il metodo scelto , ma, io credo che ciò sia dipeso dalla capacità del gestore del servizio che non è stato all’altezza del compito.

Per concludere quindi se è vero che la “sinistra” vuole abbattere Berlusconi, non si affidi all’attivismo di certe procure od a queste fasulle e pretestuose iniziative referendarie, ma , finalmente, arrivi ad una chiara definizione di una proposta politica che possa convincere l’elettorato.

Potrebbe , tanto per cominciare, utilizzare i molti protagonisti ( profumatamente pagati! ) dei numerosi talk show che , invece di limitarsi alle continue e noiosissime demonizzazioni di Berlusconi, diano un contributo attivo per dibattere su tutti i gravi problemi della nostra organizzazione sociale - purtroppo ancora irrisolti - per arrivare ad una credibile proposta alternativa di governo .

di Luciano Locci
Tratto da: http://www.truciolisavonesi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1912:referendum-sulla-privatizzazione-dellacqua&catid=63:altri&Itemid=57

Benzina. La fine dei distributori? Mmm...


Leggo proprio un bel post nel blog di Medo, uno dei commentatori più assidui (e "utili") di Petrolio.

Medo scopre da un dossier della FAIB, Federazione Italiana Benzinai, che i distributori di carburante in Italia sono calati, in 15 anni, di ben 9000 unità. Una cifra sbalorditiva. Qual è la motivazione di un simile collasso?

Il nostro amico, come sempre un filino catastrofista, segue un ragionamento che a prima vista ci aggraderebbe pure:

Andiamo verso un collasso dell'offerta? Certo, perchè i distributori chiudono quasi a vista d'occhio ed appaiono le prime code alle pompe delle periferie urbane; a forza di chiudere, il prezzo medio carburanti è anch'esso logicamente in aumento, aldilà dell'aumento del costo del petrolio da raffinare... Il quale è aumentato di undici volte negli quindici anni.

Non credo che il calo della domanda compenserà il collasso economico del comparto.

Mi tocca trovarmi in disaccordo. Non penso che la chiusura di migliaia di distributori di carburante sia dovuta a un calo della domanda ed a una crisi del settore, che prelude infine agli accoltellamenti sulla tangenziale. Credo invece che il fenomeno sia il medesimo che ci fa assistere alla chiusura di decine di migliaia di piccoli negozi, a favore di mostruosi centri commerciali che concentrano l'offerta della vendita al dettaglio.

Ricordo perfettamente quando a Roma c'era un microdistributore ad ogni angolo, in ogni stradina di Trastevere, in ogni vicolo del centro storico. Antiestetici? Non saprei, ma ognuno di essi era gestito da un benzinaio col cappellaccio, la sedia scassata, la sigaretta perennemente accesa e una famigliola da mantenere. Oggi non esistono praticamente più, e fare benzina nel centro di Roma è quasi un'impresa titanica.

Viceversa, nelle zone periferiche sono sorte come funghi enormi aree di servizio, a decine, spesso quattro o cinque una dietro l'altra. Ognuna di esse offre carburante, metano, gpl, autolavaggio, assistenza meccanica. Da quel che so, non sono più gestite dal benzinaio trasteverino ma da grandi compagnie che ne hanno fatto un business, alcune delle quali le stesse multinazionali francesi che gestiscono i centri commerciali (Auchan, Carrefour ecc.). Fai benzina da solo oppure, pagando di più, aiutato da un dipendente spesso straniero.

Io vedo solo il solito sistema economico in azione, insomma, e non un segnale del collasso energetico in arrivo. Vedo compagnie straniere che strappano il lavoro ai piccoli commercianti, niente di nuovo sotto il sole. Per le risse per il carburante che scarseggia, temo, dovremo ancora aspettare.

di Debora Billi

Referendum sull’acqua – Qualche utile precisazione di Red

Nel luglio 2010 è uscito su questo blog un mio post sull’argomento REFERENDUM SULL’ACQUA in cui mi soffermavo sulla falsità tutta ideologica della rappresentazione di “sinistra” dello scontro in questione (SI o NO all’abrogazione di parti del DL N.112/2008 e DL N.152/2006) come fosse uno scontro fra “privato che fa profitti sulla salute della gente” contro “pubblico che garantisce i beni comuni”.

Visto l’avvicinarsi del referendum, mi piace riprendere l’argomento, mettendo in luce altri aspetti della contesa. Mi perdonerà il prof. G.La Grassa del gretto economicismo che permea questo post, che non ha altra pretesa se non contribuire a togliere quello spesso strato di nebbia che la questione della gestione del servizio idrico ha assunto in Italia.

Partiamo da un dato grezzo: la famiglia media italiana spende circa 150€/anno per i 200 mc di acqua potabile che consuma all’anno (con forti oscillazioni fra città diverse) cui si aggiungono altri 180€/anno per l’acqua minerale di cui siamo fra i primi consumatori al mondo. Questo è il primo, e per molti unico, punto di vista da cui la famiglia media vede quindi la questione acqua “bene comune”. Se il secondo consumo si può teoricamente comprimere (il sottoscritto fa parte di quel 2% di famiglie italiane il cui frigorifero non vede acqua minerale), il primo è invece abbastanza rigido.

Dal punto di vista delle imprese, private o pubbliche, che operano nel settore la questione si pone invece nei seguenti termini: circa 3,6 miliardi di € di fatturato annuo per chi vende acqua minerale e circa 4 miliardi di € di fatturato annuo per le ex-municipalizzate. Non proprio bruscolini. Con la sottolineatura che mentre il primo mercato è (teoricamente) contendibile, il secondo è un monopolio naturale e quindi fa gola a tutti.

Questa è la questione vera in ballo, già da tempo, fin dalle prime finanziarie di Prodi che mettevano la gestione diretta e in-house dei servizi pubblici di interesse economico generale, come modalità d’eccezione per la gestione, che di norma doveva essere affidata attraverso gara ad evidenza pubblica. Come recita una direttiva europea che l’Italia come le altre nazioni europee non può violare.

La vittoria del SI ai due referendum non cambierebbe in nulla questo dato di fatto né i termini del conflitto competitivo tra operatori pubblici e aziende private.

Dei due articoli oggetto di abrogazione al prossimo referendum, il primo elimina le condizioni a cui la gestione diretta ed in-house è consentita dalla legge dello Stato. Queste condizioni sono aggiuntive e restrittive rispetto alla direttiva UE, ma la Corte Costituzionale le ha già giudicate pienamente legittime e costituzionalmente corrette. La sentenza N.325/2010 della CC ha infatti respinto tutti i ricorsi intentati dalle regioni rosse e ha stabilito che:

1) La gestione del servizio idrico integrato è materia riferibile all’ambito della tutela della concorrenza e dell’ambiente e non della salute;

2) Lo Stato ha tutto il diritto di normare la modalità di gestione del servizio e così facendonon viola le competenze regionali (non è materia concorrente);

3) il servizio idrico non costituisce una funzione fondamentale degli enti locali;

Tre sonore bocciature a chi fa della Costituzione la sua religione civile, che dovrebbero bastare per vergognarsi e nascondersi. La sentenza pertanto si chiudeva chiedendo l’abrogazione delle leggi regionali (Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Puglia – il gotha della sinistra regionale) dichiarate incostituzionali.

Un po’ diverso il caso del secondo quesito che chiede l’abrogazione delle seguenti parole: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale”. Si capisce la funzione di “drappo rosso” che tali parole svolgono per i “tori” fondamentalisti del conflitto capitale-lavoro, residuo svuotato dell’operaismo sessantottino.

In realtà la legge non fa che applicare il metodo del price cap nella determinazione della tariffa, un metodo universalmente applicato che in poche parole autorizza aumenti della tariffa in linea con l’indice generali dei prezzi, ridotto di un fattore che tiene conto degli aumenti di produttività aziendale e aumentato di un fattore che tiene conto della remunerazione degli investimenti fatti.

Abolire quelle parole potrà soddisfare il palato facile di chi ormai solo di parole-simbolo sopravvive, ma nella realtà dei fatti non avrà altra conseguenza che bloccare qualsiasi incentivo agli investimenti di manutenzione delle reti. Anche da parte delle aziende pubbliche più grandi, che sono tutte delle SpA e devono rendere conto agli azionisti del loro operato. Insomma un voto del tutto inutile in quanto ai suoi effetti pratici, con un netto peggioramento della situazione, quanto a trasparenza della gestione del servizio idrico integrato, se prevalessero i SI e che serve pertanto unicamente a riconfermare la logora dialettica politica italiana degli ultimi vent’anni fra berlusconiani e antiberlusconiani.

di Red
Tratto da: http://conflittiestrategie.splinder.com/post/24574986/referendum-sullacqua-qualche-utile-precisazione-di-red

Dominique Strauss-Kahn, il Fondo Monetario Internazionale, il ruolo egemonico degli Stati Uniti ed il destino di milioni di esseri umani


Prima di parlare dello strano caso di Dominique Strauss-Khan è necesario capire cos’è il Fondo Monetario Internazionale e come si è arrivati al ruolo egemonico degli stati Uniti.

Il ruolo egemonico degli Stati Uniti fu favorito dagli accordi di Bretton Woods. Infatti, nella conferenza di Bretton Woods, che si tenne dal 1 al 22 luglio del 1944, si accordò il dollaro come unica moneta convertibile in oro. Con questa mossa, fortemente voluta dal delegato statunitense Harry Dexter White, il dollaro esendo l’unica moneta convertibile in oro, divenne automaticamente la moneta utilizzata negli scambi internazionali.

Gli USA, oltre ad imporre il dollaro come moneta di riferimento mondiale impulsarono la creazione di due organismi: il Banco Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Soffermiamoci ad analizzare il FMI, il cui segretario generale, Dominique Strauss-Khan è finito nell’occhio del ciclone.

Il FMI ha il compito di promuovere la cooperazione monetaria internazionale e facilitare l’espansione del commercio. A tale organismo venne affidato anche un altro importante compito: aiutare gli stati membri in difficoltà economiche, attraverso il prestito di risorse; ossia, se uno stato membro ha un deficit di bilancio, il FMI interviene prestandogli soldi e quindi lo aiuta a superare la momentanea crisi.

Il sistema uscito da Bretton Woods era stato disegnato per favorire gli Stati Uniti ed infatti dopo la seconda guerra mondiale gli USA ascesero al ruolo di superpotenza, assieme alla ex Unione Sovietica; praticamente tutti gli altri stati del mondo si ritrovarono sottomessi.

Aver imposto la propia moneta, il dollaro, come unica moneta di riferimento per gli scambi internazionali ha determinato che tutti i paesi del mondo per poter operare a livello internazionale debbono rifornirsi di dollari.

In secondo luogo, il FMI lungi dall’essere l’organismo destinato ad aiutare i paesi in difficoltà, è sempre stato lo strumento attraverso il quale gli USA ed i suoi principali alleati (Regno Unito, Francia, Germania e Giappone) hanno potuto controllare tutti gli altri paesi del mondo.

Praticamente, un paese che ricorre al prestito del FMI, nel momento di difficoltà,si trasforma in un paese totalmente dipendente dagli USA. A cambio del prestito, lo stato richiedente è obbligato ad applicare determinate politiche economiche imposte dal Fondo a garanzia dei soldi prestati. Ossia, il FMI presta soldi a cambio dell’applicazione di una rigida ricetta economica che prevede sempre le stesse misure: riduzione delle spese sociali, aumento dell’età pensionistica, congelamento o riduzione degli stipendi, aumento delle tariffe pubbliche; aumento delle imposte e soprattutto privatizzazione di tutto quanto sia possibile privatizzare.

Lo stato che si ritrova a dover ricorrere al prestito del FMI, difficilmente si riprende, come ha dimostrato la storia e soprattutto rimane definitivamente assoggetato. Il tutto è stato disegnato per asservire gli stati ed I popoli al dominio statunitense e del suo sistema economico.

La ricetta imposta di fatto impedisce allo stato ricorrente al prestito di uscire dalla crisi. Con i provvedimenti imposti è impossibile la ripresa: lo stato è costretto a privatizzare le più importanti imprese pubbliche che davano ingressi e quindi una volta privatizzate, spesso svendute e “regálate” ai privati, cessano di apportare ingressi; la riduzione delle spese sociali, il congelamento o la riduzione degli stipendi e l’aumento delle tariffe pubbliche finiscono per minare il potere d’acquisto della maggioranza della popolazione, in particolare dei salariati e conseguentemente ciò si riflette sulla domanda; la caduta della domanda ovviamente si riflette sulla produzione, che reagisce con l’espulsione di ulteriore forza lavoro o la chiusura delle stesse imprese. Tutto il sistema peggiora ed in particolare diminuiscono le entrate fiscali dello stato, che lungi dal migliorare il suo deficit si ritrova con sempre minori ingressi ed ulteriori ricorsi al FMI.


In questi mesi, ad esempio, questa situazione si sta ripetendo in Grecia, che dopo il primo prestito e l’adozione di tutte le misure imposte dal Fondo, si trova in una situazione peggiore di prima ed è costretta a chiedere un ulteriore aiuto. Non è difficile ipotizzare prossime esplosioni ad Atene ed in tutta la Grecia. Nella stessa situazione è il Portogallo e presto anche Spagna e Italia potrebbero necessitare l’aiutino del FMI. In passato tanti popoli sono stati affamati, gettati sul lastrico da questo mostro che è il FMI.

Il 27 febbraio del 1989 la miseria estrema in cui il FMI aveva costretto il popolo del Venezuela fece da detonatore per la prima rivolta contro questo organismo al servizio del capitale USA. Ad oggi, quella fu in assoluto la prima ribellione contro i disumani provvedimenti del FMI ed anche l’unica rivolta riuscita vittoriosa. L’esperienza venezuelana dimostra che è possibile ribellarsi e liberarsi del FMI.

In conclusione il FMI agisce come uno strozzino: presta soldi a stati retti da politici corrotti, delinquenti e spendaccioni, che ritrovandosi in un mare di debiti per non affogare è costretto a chiedere prestiti al FMI. Il FMI presta ben volentieri ma a cambio di garanzie, ossia a cambio dell’adozione delle politiche di cui sopra, che finiscono per distruggere totalmente lo stato che cade nelle sue grinfie.


Chi controlla il FMI?

Lo statuto del FMI prevede che le decisioni, soprattutto quelle più importanti, siano prese con una altissima maggioranza qualificata. Il sistema di voto è direttamente proporzionato alla quota detenuta da ogni paese. Inizialmente, gli USA detenevano un terzo del capitale; oggi, quantunque la sua quota sia scesa al di sotto del 20%, continuano ad essere il principale paese detentore; in sostanza, per le decisioni più importanti, occorrendo una altisisma maggioranza qualificata (i 2/3 o 3/4), i paesi che volessero prendere soluzioni contrarie agli interessi USA non hanno alcuna possibilità di farlo.

Di seguito riportiamo l’elenco (aggiornato al 18/05/2011) dei primi 20 paesi membri del FMI, con le rispettive quote di possesso ed i loro attuali rappresentati, avvertendono che nel sito è possibile consultare l’elenco completo dei 187 paesi membri.


La moneta di riferimento è il cosidetto SDR, ossia Diritti Speciali di Prelievo; si tratta di uno strumento creato dal FMI nel 1969 e basato su un paniere di quattro monete: il dollaro USA, lo yen giapponese, la sterlina inglese e l’euro.

In sostanza, il Fondo è controllato dagli USA, attraverso il Minsitro delle Finanze. Nessuna decisione può essere presa se USA ed i suoi più stretti alleati non sono d’accordo. Infatti, gli USA col 17,75% detengono la quota più alta ed i primi cinque paesi assieme controllano il 40%.

In conclusione, il sistema incentrato sull’egemonia statunitense si regge su questi due principi: il dollaro come moneta di riferimento mondiale ed il FMI come organismo che controlla gli stati ed i popoli, impedendo a questi di indipendizzarsi dal sistema.

Il superamento di uno o di entrambi questi strumenti pone in pericolo la sopravvivenza stessa degli Stati Uniti. Analizziamo i motivi di questa nostra affermazione.

Cosa significa essere moneta di riferimento mondiale? Significa che tutti gli scambi commerciali o la maggior parte di essi si effettuano in dollari e quindi tutti i paesi per le loro esigenze commerciali hanno dovuto riempire le proprie riserve internazionali coi dollari. Se il dollaro cessasse di essere la moneta di riferimento, tutti gli Stati sarebbero costretti a vendere i loro dollari e comprare la nuova o le nuove monete necessarie ad effettuare le transazioni commerciali. Ciò determinerebbe una immediata svalutazione del dollaro ed il tracollo degli USA. Da un lato gli USA si ritroverebbero con un dollaro fortemente svalutato e quindi dovrebbero sostenere costi altissimi soprattutto per comprare petrolio; dall’altro, l’economia USA andrebbe incontro ad una iperinflazione; con tutta la quantità di dollari in circolazione, un’ondata inflazionaria sarebbe inevitabile.

Conclusione: gli USA non possono permettersi che il dollaro cessi di essere la moneta di riferimento e pertanto debbono stroncare qualsiasi tentativo che miri a tale misura.

Anche il venir meno degli scopi reali del FMI mina l’esistenza stessa degli USA. Se il FMI smettesse di controllare i popoli e gli stati, questi potrebbero allontanarsi dal sistema dollaro e di conseguenza siamo alla stessa situazione che condurrebbe ad una crisi profonda negli USA.

Gli USA che praticamente non aderiscono o non pagano le quote di molti organismi internazionali (Trattato di Kioto, ONU, Corte penale Internazionale, Unicef), invece tengono strettamente nelle loro mani il FMI e continuano a detenere e pagare la quota di maggioranza.

Le dichiarazioni di Dominique Strauss-Khan

L’attuale dirigenza del FMI è cosciente della grave crisi attuale e per bocca del suo massimo rappresentante, Dominique Strauss-Khan, il segretario generale, lo scroso febbraio arriva a dichiarare non solo che è necessario abbandonare il dollaro, ma occorre anche agire con urgenza perchè i conflitti all’interno del sistema finanziario mondiale potrebbero trascinare nel caos il mondo intero (vedasi nostro articolo: “Verso il tramonto del dollaro: anche Dominique Strauss-Kahn, segretario del FMI, chiede l’abbandono del dollaro”).

Affermare ciò ed iniziare a mettere in pratica il superamento del dollaro significa – come visto – minare l’esistenza stessa degli USA. Ovviamente gli USA non potevano accettare ed era facile prevedere la reazione; nell’articolo citato avevamo ipotizzato un futuro poco roseo per l’attuale segretario del FMI. Cosi è stato!

Tutti erano a conoscenza delle debolezze di Dominique Strauss-Khan e della sua dipendenza dal sesso, per cui è stato facile tendergli una trappola ed accusarlo di violenza sessuale.

Daniel Estulin nel suo articolo “Sexo en Nueva York” ipotizza che la cameriera che Dominique Strauss-Kahn ha tentato probabilmente di pagare (e non violentare) per ottenere servizi sessuali era un agente del Mossad, il servizio segreto isaeliano e vincolata al QAT internazionale (per i dettagli vedasi l’articolo citato).

Che sia stata una trappola si capisce anche dal fatto che una cameriera non entra a fare le pulizie in una stanza occupata. Meno che meno si permette di entrare in una stanza, quindi disturbare, se l’ospite paga 3.000 dollari a notte. In un hotel di lusso, il cliente è sacro e non va minimamente disturbato, pertanto la cameriera entra a fare le pulizie solo quando è certa che la stanza sia vuota. A meno che il proposito non sia un altro.

Inoltre, appena Dominique Strauss-Khan è arrestato, il segretario USA Timothy F. Geithner, sale a dichiarare che deve abbandonare l’incarico di segretario; non aspetta neppure il tempo necessario per verificare se si fosse trattato di un errore!

Dominique Strauss-Kahn era uno degli uomini più potenti del mondo. Era in pratica lui a decidere del destino di milioni di esseri umani; letteralmente decideva del futuro, della vita e della morte di milioni di esseri umani. Come massimo esponente del partito socialista francese, sembrava anche l’uomo più accreditato a succedere a Sarkozy nella carica di Presidente. All’improvviso, durante il suo soggiorno a New York, in un hotel da 3.000 dollari a notte la sua vita cambia completamente, accusato di violenza sessuale. Dominique Strauss-Kahn è ovviamente un uomo finito.

Come è possibile che si stato capace di cadere così ingenuamente? Probabilmente, essere il segretario del FMI, lo ha portato a sentirsi poco meno che un dio in terra. Si sarà sentito cosi potente da potersi schierare contro la potenza USA, in grave crisi, ma viva e disposta a venderé cara la pelle fino alla fine.Un errore gravissimo aver dato per spacciato il suo padrone.

di Attilio Folliero, Caracas 20/05/2011