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lunedì 11 aprile 2011

L’esportazione del caos imperiale


Si dice che la NATO non sappia più cosa fare in Libia. Dopo aver bombardato per ogni dove, ora dovrebbe effettuare operazioni di terra per venire a capo della situazione.

Ma questo si sapeva di già. La famigerata risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza ha permesso che venisse bombardata una parte, cioè l’esercito del governo libico tuttora riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei Paesi del mondo, a vantaggio di un’altra, cioè le milizie condotte da transfughi del “regime” e da fondamentalisti libici finanziati, armati e addestrati direttamente dall’Occidente o per conto dell’Occidente da fior fior di democrazie come l’Arabia Saudita (poi se qualcuno insiste a chiamare ciò “no-fly zone” ...).

Però la risoluzione 1973 non permette un’invasione e se si dovesse discuterne in Consiglio di Sicurezza mi sa tanto che Cina e Russia questa volta voterebbero contro.

Per giunta la Turchia è sempre più irritata, così come molti Paesi africani che hanno capito che in Libia si gioca il destino del loro continente.

Ma anche tutto ciò si sapeva.

Per molti è invece una spiacevole sorpresa, mentre per pochi - anzi pochissimi - è una giusta punizione. Io invece non credo proprio che gli strateghi occidentali pensassero veramente che contro Gheddafi si sarebbe sollevata la maggioranza dei Libici. Come non credo che pensassero veramente che gli Iracheni fossero in maggioranza contro Saddam Hussein o quanto meno a favore di un’occupazione di armate occidentali. E un discorso simile può essere fatto per l’Afghanistan.

Perché allora insistere nell’errore dopo una guerra clamorosamente persa (quella del Vietnam) e due evidenti impantanamenti, l’Afghanistan e l’Iraq? Perché la minaccia paradossale di volersi impantanare anche in Libia e magari di nuovo in Somalia, in Pakistan, nello Yemen, in Siria, in Libano e addirittura in Iran?

Perché questo è il piano B: se non posso più tenere sottomessa una regione strategica devo cercare di fare in modo che nessun altro possa impiantarvi la propria egemonia. E per far ciò devo creare il caos.

Altro che petrolio! Quello intanto deve comunque essere venduto e le crisi in Medioriente, come hanno ben spiegato Jonathan Nitzan e Shimshon Bichler in “The global political economy of Israel”, hanno sempre avuto la capacità di fare aumentare il prezzo del greggio rendendo felice la weapondollar-petrodollar coalition, cioè il connubio petrolieri-mercanti di armi. Una felicità che però, a mio modo di vedere, per i gestori del potere politico non è fine a se stessa (rendere felici i capitalisti dominanti non è l’unica preoccupazione del Potere), ma in questa congiuntura ha un eminente aspetto geostrategico.

La guerra in Libia rende felici anche Francia e Gran Bretagna le cui compagnie petrolifere potranno scalzare l’italiana ENI che era preferita per via dei suoi accordi molto più favorevoli ai libici. Anzi, i nuovi accordi rischiavano di creare un pericoloso precedente per tutto il comparto.

Se nel 1962 si dovette far ammazzare Enrico Mattei dalla mafia, oggi è meglio fare una guerra a Gheddafi: rende di più sul piano geostrategico (piano B) e inoltre in Italia al posto di Mattei c’è un tentennante Scaroni e un Berlusconi che basta infilagli o lasciare che si infili nel suo letto qualche ragazza e poi ricattarlo coi processi, previa campagna di stampa di sputtanamento (perché non leggerla anche così? I più vecchi si ricorderanno dello “scandalo Profumo” in Inghilterra. Siamo nel regno dei classici degli intrighi internazionali e anche uno spione principiante avrebbe capito che il lato “molle” del nostro premier era quello “duro”).

Ma una terza guerra “suicida” non è permessa ad Obama. Nemmeno i Repubblicani gliela permetterebbero e la sinistra radicale statunitense lo ha già mollato da un pezzo (fortuna per lui che c’è ancora quella italiana). Il Pentagono poi ha detto per tempo che solo un presidente pazzo si sarebbe infilato in una terza avventura dopo Af-Pak e Iraq.

Così dopo aver lanciato “un numero di missili superiore a quelli lanciati da tutti i precedenti premi Nobel per la Pace messi assieme”, come è stato detto durante un programma radio statunitense, gli USA hanno lasciato il compito ai volenterosissimi Francia e UK e a un’Italia che - impaurita per la possibile perdita di contratti - si è associata obtorto collo (ma con l’entusiasmo della sinistra quasi al completo), e hanno già deciso che riconosceranno come legittimi rappresentanti della Libia solo i miliziani dell’Est, non tanto perché stanno nel cuore della Rossanda ma perché nell’Est ci sono i pozzi di petrolio.

Così vediamo che per purissimo caso a difendere i diritti umani in Libia ci sono proprio le vecchie potenze coloniali, quelle che in Africa ci sono sempre state massacrando milioni di persone. La Germania che all’epoca coloniale in Africa c’era e non c’era, anche adesso c’è e non c’è. Anche questo è un puro caso.

Gli USA non c’erano e quindi, ancora per caso, una volta che Obama ha conquistato il prestigioso record tra i Nobel per la Pace di cui sopra, hanno deciso di “esternalizzare” i propri interessi geostrategici globali in quella zona.

Insomma, noi siamo dei Paesi contractor. Il nostro compito è diffondere in alcune zone il caos imperiale come un virus.

Aspettiamoci dunque altro.

di Piero Pagliani
tratto da: Megachipdue

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